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Ninth Shade [R]

Richard aveva tenuto fede al proposito maturato dopo la chiacchierata con Evan Williams.

Negli ultimi due giorni, lo storico aveva accantonato del tutto il lavoro pur di concentrarsi sul suo nuovo hobby: conoscere ogni dettaglio su Agathe Williams.

Non che avesse compiuto grandi progressi: indagare su quella ragazza senza suscitare sospetti si stava rivelando più complicato del previsto. Fino a quel momento, tutto quello che era riuscito a scoprire era che la ragazza sembrava aver preso, nel corso degli anni, lezioni su più o meno qualsiasi cosa: danza, nuoto sincronizzato, scherma, musica, scrittura creativa, pittura, scultura... la lista pareva infinita.

Peccato che, per quanto numerose, quelle informazioni non avessero portato con loro delle risposte. Semmai, avevano acuito la curiosità di Richard: era chiaro che il carattere di Agathe – così discordante da quello del resto della famiglia – era innato, e non il frutto di una ribellione giovanile.

Lo storico si risolse a chiedere per l'ennesima volta l'aiuto di Alan.

Quando il giornalista entrò a Villa Prescott, un paio d'ore dopo la chiamata dell'amico, sospettò all'istante il reale motivo dietro quell'invito a prendere un thè: sul bancone della cucina, infatti, troneggiavano un'invitante torta al cioccolato e un grosso vassoio di biscotti assortiti.

Richard tolse il bollitore dal fornello mentre l'altro appoggiava la borsa col portatile sul tavolo e si appollaiava su uno sgabello.

«Tempismo perfetto» commentò il padrone di casa; riempì due tazze d'acqua bollente, vi tuffò dentro gli infusori e ne spinse una verso Alan, poi indicò con un gesto distratto le vettovaglie. «Serviti pure».

Alan, che non aveva bisogno di un simile incoraggiamento, stava già masticando un biscotto mentre si tagliava un'abbondante fetta di torta. Dopo aver gustato con tutta calma un paio di bocconi, finalmente rivolse la propria attenzione all'amico.

«Che ti serve, Rick?» chiese a bruciapelo.

Richard sbuffò. «La tua malafede è sconvolgente: non potrei averti invitato per il semplice piacere di fare due chiacchiere?»

«Potresti» convenne il giornalista. «Ma quest'accoglienza mi pare un po' troppo abbondante, perché sia questo il caso».

Lo storico incrociò le braccia al petto e sollevò il mento. «Vorresti dire che di solito non sono ospitale?» sibilò.

Fu il turno di Alan di sbuffare. «Sei troppo beneducato per essere inospitale con la gente che ti è antipatica, figuriamoci con gli amici!» replicò. «Ma la torta, Richard». Indicò il dolce incriminato. «La torta! Tu non compri mai la torta... a meno che non sia il tuo compleanno!»

«Sciocchezze» disse l'altro. «Ricordo chiaramente di averne presa una, quattro anni fa, e visto che era maggio di sicuro non era il mio compleanno».

Il giornalista inarcò le sopracciglia. «Sì... per un thè a cui erano invitate venti persone». Tacque per un istante. «E comunque, se non ricordo male – e io non ricordo male – fu Valentine a comprare quella torta». Imitò l'amico, incrociando le braccia sul petto con espressione risoluta. «Quindi hai bisogno di qualcosa... o vuoi sapere qualcosa... che dovrebbe essere fuori dalla tua sfera d'interesse».

Richard storse il naso. «E tutto questo l'avresti capito da una torta?»

«Sì».

I due uomini si scrutarono in silenzio per un lungo minuto.

«E va bene!» cedette Richard, le braccia alzate al cielo. Alan nascose un sorrisetto dietro la tazza di thè. «Ma che resti tra di noi».

«Resta sempre tra di noi» esclamò sbrigativo Alan. «Allora?»

Richard sedette dall'altro lato dell'isola, di fronte ad Alan.

«Agathe Williams».

Quelle due semplici parole furono più che sufficienti: il giornalista si raddrizzò sullo sgabello, lo sguardo improvvisamente animato.

«Mhhh... be', le informazioni basilari le conosci già, è inutile stare a ripeterle. Cosa vuoi sapere, di preciso?»

«Perché è così diversa dai genitori, magari?»

Alan non batté ciglio al tono sarcastico dell'altro. «E perché è rilevante?»

Il padrone di casa sbuffò con forza attraverso il naso. «Non lo è» precisò. «Ma il fatto che una cosa non sia importante, non significa necessariamente che non possa incuriosirmi».

Alan lo fissò con le sopracciglia inarcate.

«Salva per qualcun altro queste scuse» ribatté. «E lasciamo stare questo benedetto perché... almeno per il momento». Si grattò il naso mentre guardava la parete di fronte a sé senza vederla davvero. «Torniamo alla tua domanda. Non credo che Agathe sia realmente tanto diversa dai genitori, o quantomeno, ha diversi tratti in comune con entrambi». Prese a contare sulle dita. «Per esempio, ha l'ostinazione del padre e anche la stessa mancanza di scrupoli, quando la situazione lo richiede».

«Mancanza di scrupoli? In che senso?»

«Non mi interrompere». Alan continuò col proprio elenco. «Da Evan ha ereditato anche la passione per la musica e l'indole ribelle...»

Richard non riuscì a trattenersi e si lasciò sfuggire una via di mezzo tra una risata e un grugnito.

«Evan, ribelle?». Alzò gli occhi al cielo. «Ti prego!»

«È vero!» insorse Alan. «Non dopo essere stato costretto a sposarsi perché Gisèle era incinta di Benedict, d'accordo, ma prima giocava a rugby ed era un assiduo frequentatore di concerti rock e metal». Sorrise. «Lo è ancora, anche se ci va molto meno di frequente e fa di tutto perché non si sappia in giro. Di solito si porta anche dietro i figli; per esempio, so con certezza che l'anno scorso Evan ha chiuso lo studio per una settimana e insieme a Benedict e Agathe hanno girato mezza Europa per partecipare al Sonisphere...»

Lo storico strabuzzò gli occhi. «Il che?»

«Il Sonisphere!» ripeté Alan, alzando le braccia al cielo. «Oh, andiamo! È solamente, tipo, la serie di festival musicali rock e metal più famosa in tutta Europa!». Guardò Richard con aria insolitamente grave. «Dovresti uscire un po' di più e provare a goderti la vita, Rick».

«Andando a un festival rock?»

«Anche. Magari scopri che ti piace, no?»

I due uomini tacquero per qualche istante.

«Lasciamo stare le mie preferenze per quanto riguarda il tempo libero e torniamo all'argomento principale» disse Richard.

Alan sbatté i palmi delle mani sul legno. «Se non ti fidi di quel che dico, che parlo a fare?»

L'altro assottigliò lo sguardo. «Continua a parlare» lo esortò, «oppure...». Afferrò torta e biscotti e iniziò a tirarli verso di sé con un gesto lento e deliberato, gli occhi fissi in quelli dell'amico.

«Uffa!». Alan s'imbronciò e incrociò le braccia al petto. «Vuoi sapere che cosa Agathe ha preso da Gisèle?». Gli rivolse un sorrisetto tutt'altro che rassicurante. «Tanto per cominciare, il talento artistico: quella ragazza ha una gran mano, quando si tratta di disegnare e dipingere. Poi, da sua madre ha sicuramente ereditato parte dell'arroganza – anche se quella l'ha preso anche dal ramo paterno – e tutto questo senza contare la propensione agli scoppi d'ira...»

«Ma se Gisèle sembra una statua di marmo!» esclamò Richard. Alan gli rivolse un'occhiataccia, irritato per essere stato interrotto, ma l'altro non se ne curò. «Non mi sembra proprio il tipo incline alle sfuriate!»

«Ah sì?». Il giornalista gli scoccò uno sguardo di sfida. «Adesso ti faccio vedere».

Alan trasse il portatile dalla borsa, lo aprì e lo accese; dopo qualche minuto, girò il computer verso Richard.

«To', mio caro: rifatti gli occhi».

Richard trasse a sé il portatile e lo fissò, la bocca socchiusa e gli occhi fuori dalle orbite: sullo schermo troneggiava la foto di una donna col volto dipinto tanto abilmente di rosso, nero e marrone, da farla sembrare un demone. Un demone molto realistico.

«E questo... questo mostro, chi è?» riuscì a dire infine lo storico.

«Gisèle» rispose Alan, gonfiando il petto.

«Gisèle?» gli fece eco Richard, incredulo. Guardò di nuovo la foto: sì, la donna aveva i capelli biondi, ma erano spettinati e in ogni caso, la pittura sul volto la rendeva irriconoscibile. «Impossibile!»

«Più che possibile» lo contraddisse Alan. «Chiudi la foto; sotto c'è un video che devi solo far partire!»

Il padrone di casa eseguì; senza parole guardò lo schermo, in cui una Agathe di non più di dieci anni correva a tutta velocità inseguita dalla maschera grottesca che sputava nell'aria una sfilza di improperi in inglese e francese.

«Oh, numi» farfugliò infine Richard. «Quella... quella... cosa era davvero Gisèle!»

Alan si limitò ad annuire mentre si mordeva le labbra; dopo un paio di secondi, però, l'uomo abbandonò ogni pretesa di restare serio e scoppiò in una gran risata.

«È fantastico, non è vero?» singhiozzò, esilarato. «Quel video mi mette sempre di buonumore, sempre, non importa quanto sia triste o di malumore!»

«Si può sapere come diavolo hai avuto quel video?» esclamò lo storico. «Come te lo sei procurato, eh?»

Alan si agitò una mano davanti al volto per farsi aria, mentre continuava a ridacchiare senza freni. Infine, parve riuscire a prendere fiato.

«L'ha girato una delle mie vedette» spiegò. «Che per puro caso si è trovato a passare nel posto giusto al momento giusto...». Sogghignò. «Allora, pensi ancora che Gisèle non sia incline alla rabbia?»

Richard alzò gli occhi al cielo. «Chiunque si sarebbe arrabbiato, al posto suo».

«Ma non chiunque avrebbe fatto una scenata simile... men che meno una persona che si sforza in tutti i modi di apparire come la personificazione dell'eleganza» sottolineò Alan.

Lo storico si accarezzò una guancia perfettamente sbarbata.

«Quello che mi domando davvero è: che c'entrava Agathe con la rabbia di Gisèle?»

Al giornalista sfuggì un'altra risatina. «Davvero non l'hai capito?». Quando Richard si limitò a guardarlo con espressione perplessa, scosse la testa. «È stata la tua cara Miss Williams a realizzare quel capolavoro sulla faccia di sua madre!»

«Non è affatto la mia cara» replicò brusco Richard, prima che il suo cervello registrasse il resto della frase. «Aspetta... che

«Oh, hai capito benissimo!». Alan gli rivolse un'occhiata scaltra. «La piccola Agathe – che all'epoca aveva solo dieci anni ma, a quanto dicevano le voci di corridoio, già un rapporto drammaticamente fragile con sua madre – a quanto pare era furiosa con la splendida, algida, elegantissima Gisèle... per un motivo o per l'altro». Alan ridacchiò e si sforzò di prendere fiato. «Così un bel pomeriggio, mentre sua madre si concedeva un pisolino, ha preso colori e pennelli dallo studio della suddetta e le ha dipinto la faccia nel modo che hai visto».

«Senza che Gisèle si svegliasse». Richard arricciò le labbra. «Vorresti davvero farmi credere che non si sia accorta di nulla? Com'è possibile?»

Alan sbuffò.

«Sonniferi» spiegò. «Madame Dubois-Williams tiene molto al suo sonno di bellezza e da bambina, Agathe era un tantino... rumorosa».

Richard lo fissò per alcuni istanti con aria stordita.

«Vediamo se ho capito bene» disse infine, l'indice sollevato come a richiedere la totale attenzione dell'amico. «A dieci anni, Miss Williams si è accostata a sua madre mentre quest'ultima dormiva e le ha dipinto il volto a raffigurare una maschera demoniaca... mentre il riposo di Mrs. Dubois-Williams era favorito dai sonniferi perché la sopracitata bambina era rumorosa e scalmanata». L'uomo tacque e batté rapidamente le palpebre; poi, in modo del tutto inaspettato, scoppiò a ridere.

Il giornalista inarcò le sopracciglia per l'ennesima volta in mezz'ora. «Quindi adesso mi credi?»

Richard, incapace di fermare l'attacco di ridarella che l'aveva colto, si limitò ad annuire. Premendosi una mano sul petto, tentò di arginare la propria reazione abbastanza da riprendere fiato.

«Be', una cosa è chiara» singhiozzò infine tra una risata e l'altra. «Quella ragazzina ha le capacità per diventare un'ottima pianificatrice...»

«...altro tratto in comune con Evan» concluse Alan al posto suo, sogghignando.

«E la fantasia» proseguì Richard. «Ma quella, credo, è tutta sua».

«Sai cos'ha altro ha, di notevole?». Alan spense il portatile e lo rimise con cura nella borsa. «La curiosità. Ma quella, a ben guardare, la accomuna a qualcuno che non è né suo padre, né sua madre».

Lo storico appoggiò gli avambracci al ripiano di legno e guardò l'amico ingollare l'ultimo sorso di thè. «E a chi la accomuna, allora?»

Alan si tagliò una seconda fetta di torta e ammiccò. «Guardati allo specchio: magari ti verrà in mente!»

******

Agathe lanciò un rapido sguardo alla propria destra e subito si rimproverò d'averlo fatto.

Da quando Richard Prescott l'aveva cercata sotto il temporale e poi portata a casa propria, la diciassettenne non era stata capace di pensare ad altro che a quanto ambivalente fosse il comportamento di quello strano, strano uomo; e per quanto ci pensasse, non riusciva a trovare una spiegazione plausibile all'atteggiamento del suo vicino di casa. Come si potesse passare dall'ostentare uno sdegnoso orgoglio verso una perfetta sconosciuta al preoccuparsi per quella stessa persona tanto da affrontare una pioggia torrenziale e portarla in casa propria – lo spazio più intimo e privato che si possa avere – era qualcosa che sfuggiva completamente alla comprensione di Agathe.

Suo malgrado, la ragazza scoccò un secondo sguardo a Villa Prescott e quasi inciampò sull'acciottolato del marciapiede.

Un'altra cosa che non riusciva a capire e, con ogni probabilità, anche quella che la irritava di più, era la propria incapacità di disinteressarsi della questione. In fondo, cosa le importava dei motivi dietro i comportamenti di Richard Prescott? Chi era, per lei, quell'uomo di cui aveva ignorato l'esistenza fino a tre settimane prima?

Agathe varcò il cancello di casa, se lo richiuse alle spalle e vi si appoggiò per un istante, gli occhi chiusi e il naso arricciato in un'espressione infastidita. A malincuore, dovette ammettere almeno a se stessa che quella sua inspiegabile curiosità non accennava a scemare; per quanto si sforzasse di non farlo, la sua mente continuava a rimuginare su Richard Prescott.

La diciassettenne decise di tentare un approccio pratico alla questione. Visto che una qualche parte di lei – residuale, fastidiosa, traditrice, ma al momento incontestabilmente al comando – si intestardiva a volerne sapere di più su quell'enigmatico sconosciuto, allora forse assecondare quel capriccio e cercare informazioni su di lui poteva essere la chiave per superare quella che rischiava di trasformarsi in un'ossessione.

Con una nuova determinazione, Agathe riaprì gli occhi e marciò in casa e verso la propria camera a passo veloce; una volta lì, si liberò in fretta di borsa e giacca e si mise alla scrivania, tirando il portatile a sé.

Per qualche istante, le dita di Agathe indugiarono sulla tastiera.

Oh, andiamo, si rimproverò in silenzio. Non ha importanza da dove iniziare, purché si inizi!

La ragazza inserì il nome di Richard nel motore di ricerca e cliccò Invio; in pochi secondi, una sfilza esorbitante di risultati riempì lo schermo.

«O Dio» balbettò inconsciamente mentre iniziava a scorrere le pagine. A giudicare da una prima occhiata, a quella cena a Londra l'uomo le aveva detto la verità: si occupava di una moltitudine di cose difficile da elencare o anche solo da immaginare tutte insieme. La ragazza continuò a leggere, arrivando anche ad aprire qualche articolo, ma ben presto si rese conto che si trattava perlopiù di informazioni legate al lavoro di Prescott e, per quanto fosse curiosa, non era quel che cercava.

Il link di una libreria online attirò la sua attenzione; dopo averci cliccato sopra, si ritrovò davanti la lista delle pubblicazioni di Prescott.

Giusto, rifletté la ragazza, grattandosi la fronte. Uno studioso, come diceva quell'arpia di Vivienne.

Diede un rapido sguardo all'elenco; c'era una lunga serie di articoli e saggi, per la maggior parte su argomenti storici di cui alcuni disponibili online, e una buona decina di libri.

Un titolo la colpì; abbandonato il portatile, Agathe si scaraventò verso la propria libreria e si mise in punta di piedi mentre controllava le costole dei volumi ordinatamente impilati.

«E dai, lo so che ci sei!» sbuffò la diciassettenne. Prese la sedia e ci salì sopra per cercare tra gli scaffali più alti. «Aha!» esultò infine, sfilando un tomo bello spesso dal penultimo ripiano. Soppesò per un attimo le oltre ottocento pagine di Segreti e falsi miti del Medioevo, poi lo rivoltò.

Il viso di Richard Prescott la scrutò altezzoso dalla quarta di copertina.

«Ma andiamo!» sbuffò Agathe, schiaffandosi una mano sul volto. «Quattro anni che hai questo libro e non hai mai guardato chi fosse l'autore. Bella scema!»

La ragazza spostò lo sguardo sulla parte stampata sotto la foto, sebbene non si aspettasse di trovarci granché. Difatti era così: una breve sinossi del libro era seguita da una ancor più breve biografia dell'autore, tanto scarna da far chiedere ad Agathe cosa l'avessero inserita a fare. Un dettaglio, tuttavia, le fece inarcare un sopracciglio tanto da spedirlo a un soffio dall'attaccatura dei capelli: a quanto pareva, il suo misterioso vicino di casa compiva gli anni il ventitré di novembre, solo una settimana dopo Benedict.

Se il giorno e il mese di nascita di Richard Prescott l'avevano semplicemente sorpresa, l'anno riuscì a farla strozzare con la sua stessa saliva.

1969. Richard damerino Prescott era nato nel 1969, il che significava che di lì ad alcune settimane avrebbe compiuto quarantatré anni.

E se lui aveva quarantadue anni e lei diciassette, questo significava che a dividerli c'erano ben...

«Non ci pensare, Agathe» boccheggiò tra sé. Certo, se l'era immaginato che Prescott fosse sulla quarantina, ma vederlo scritto era tutta un'altra cosa. Per la seconda volta in pochi minuti, si premette una mano sul viso. «Dammi retta, non ci pensare che è meglio!»

La ragazza rimise a posto il volume e tornò alla scrivania. Nonostante lo shock continuò ad aprire siti e leggere articoli su Richard Prescott per un'altra mezz'ora, ma non scoprì niente che fosse degno di nota: a quanto sembrava, l'imprenditore era ben conosciuto, ma l'uomo risultava dannatamente sfuggente.

Agathe chiuse il portatile con un gesto secco e appoggiò la fronte sulla scrivania mentre le sfuggiva un gemito di frustrazione: aveva l'impressione che quella ricerca infruttuosa non avrebbe fatto altro che alimentare la sua curiosità.

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