Fourty Second Shade [R]
Quel sabato sera non stava affatto andando come Lara s'era immaginata. Quando, il giorno prima, Agathe aveva proposto a lei e Thomas di andare a Londra per una cena e una passeggiata a Piccadilly Circus insieme a qualche altro loro compagno di scuola, i due non avevano esitato ad accettare; in fondo era un bel cambiamento rispetto a quel che facevano di solito e, almeno Lara questo lo sapeva bene, la sua migliore amica non poteva certo andare a rinchiudersi a Villa Prescott quando tutti si sarebbero aspettati di vederla in giro con gli amici, quindi non c'era nulla di strano in quel programma.
Fu solo quando i tre si trovarono nella macchina di Agathe, ormai a metà strada verso Londra, che a Lara sorsero i primi dubbi: la sua migliore amica era taciturna come non mai e teneva lo sguardo fisso sulla strada, le sopracciglia corrugate in un'espressione tesa. Lara la studiò in silenzio per qualche minuto, incerta su cosa dire per convincere l'altra a rivelarle cosa le passasse per la mente, prima di scoccare un'occhiata a Thomas attraverso lo specchietto retrovisore. Il ragazzo scosse appena la testa e si portò cauto un dito alle labbra: come lei aveva notato la tensione di Agathe e si chiedeva da cosa fosse causata, ma non riteneva che pungolare la loro amica mentre era al volante fosse una scelta saggia.
Il viaggio proseguì in silenzio e alla fine arrivarono a poche decine di metri dalla loro meta; Agathe s'infilò in una via meno trafficata subito dietro a Piccadilly e fermò la macchina in seconda fila.
«Eccoci» annunciò.
I due fidanzati si scambiarono un'occhiata.
«Will, non dovresti parcheggiare?» tentò cauto Thomas.
«No».
La risposta secca e recisa di Agathe fece dipingere un cipiglio identico sui volti dei suoi migliori amici.
«Agathe...» esordì Lara.
Agathe sbuffò. «Io non mi fermo» spiegò, anticipando la domanda dell'altra. «Ho da fare, ma vi raggiungo dopo...»
Lara sgranò gli occhi. «Non mi dire che esci con Prescott e ci hai usati solo come copertura!»
«Certo che no!» ribatté Agathe.
«E io dovrei crederci». L'altra incrociò le braccia al petto e scoccò ad Agathe uno sguardo di fuoco. «Come no!»
La diciassettenne mora alzò gli occhi al cielo e si girò a guardare Thomas. «Te la porti via, per favore?»
«No». Anche Thomas incrociò le braccia. «Non se prima non ci dici dove vai».
Agathe gettò la testa indietro e gemette, esasperata. «Vado da Marco, va bene?» ammise controvoglia.
«No, non va bene per niente!» esplose Lara prima che Thomas potesse aprire bocca. «Ci vai dopo come si è comportato? Ancora ci vuoi uscire? Tu... tu...». Lara annaspò, alla ricerca delle parole. «Tu sei di coccio, ecco! Hai la testa dura come il legno! E non cambierai mai, mai...»
«Quello che non capisco» la interruppe Thomas con voce calma, lo sguardo fisso in quello dell'amica, «è perché tu ci voglia uscire. Avevo l'impressione che non t'importasse di lui». Esitò per un istante. «Che Prescott per te fosse più importante».
Agathe spense il motore e si mise in ginocchio sul sedile per guardare bene Thomas. «Infatti Prescott è più importante» confermò. «Vado da Marco solo per parlarci».
«Ma perché?» insisté Lara. «L'ultima volta ti è saltato addosso...»
«...e io gliel'ho lasciato fare» concluse Agathe al suo posto. «La colpa di quello che è successo è anche mia». Sospirò e si rimise seduta per bene. «Sentite, io e Marco siamo rimasti... in sospeso, se capite che intendo. Io mi sono pentita di quello che c'è stato, lui si è risentito del mio averci ripensato e abbiamo deciso di non sentirci per un po', perché io potessi fare chiarezza in quello che provo e che voglio, ma... insomma, penso che abbiamo entrambi bisogno di una chiusura che sia netta e pulita. Non è cattivo, anzi, e non mi ha fatto niente di male o che io non volessi, quindi... non so, se la merita un po' di onestà e che io gli dica cosa ho deciso mentre lo guardo negli occhi, no?»
Thomas fece una smorfia e sospirò a sua volta. «Sì, se lo merita» convenne: dalla sua espressione, sembrava che pronunciare quelle parole gli costasse parecchio. Scivolò sul sedile fino a trovarsi dietro a quello di Lara e gli diede un colpetto. «Dai, scendi».
Lara si voltò verso di lui con aria oltraggiata. «E la lasciamo andare? Così?»
«Sì» rispose Thomas, dando un'altra botta al sedile. «Scendi, Lara, muoviti!»
La ragazza scoccò uno sguardo fosco al proprio fidanzato, poi puntò l'indice contro Agathe. «Non venire a piangere da me, quando tornerai!»
«Non ci sarà motivo di piangere, pescetto, quindi smettila di fare la drama queen e scendi».
Lara spalancò lo sportello e mise i piedi sull'asfalto. «Voglio proprio vedere!»
«E lo vedrai!» esplose Agathe. Diede una botta sul volante e guardò Thomas. «Dio santo, Tom, portatela via, questa mamma chioccia isterica!»
«Stronza!» le strillò contro Lara, piantata in mezzo alla strada con le mani sui fianchi.
«Rompiscatole!» le urlò di rimando Agathe, rossa in volto.
«BASTA!» tuonò Thomas, zittendole entrambe. Scese rapido dall'auto, prese Lara per un gomito e la sospinse sul marciapiede. «Smettetela di fare le isteriche, tanto anche quando litigate non riuscite a tenervi il broncio per più di mezz'ora!»
«E no! Stavolta no!» berciò Lara.
«Ah sì?» Thomas le lanciò uno sguardo di sfida, poi si voltò verso la ragazza ancora al volante. «Sai, Agathe, ha ragione lei: sei proprio una stronza».
«Ehi!». Lara gli diede uno spintone. «Non le parlare così!»
«Visto?» ribatté il ragazzo. «Tra cinque minuti sarà passata a tutte e due. Adesso andiamo, e tu» continuò, rivolto ad Agathe, «vedi di sbrigarti, eh».
«Sì, papà» rispose sarcastica lei; mise in moto la macchina e s'infilò nel traffico.
«Di' a quel mezzo italiano di stare attento a quello che fa, o stavolta lo faccio pestare da Tom!» le urlò dietro Lara mentre l'auto si allontanava.
«E meno male che eri arrabbiata con lei» commentò Thomas in tono sardonico. La prese sottobraccio. «Andiamo, va'».
I due si avviarono a passo veloce lungo il marciapiede, ignari del fatto che Agathe li stava tenendo d'occhio dallo specchietto retrovisore. Quando li vide svoltare l'angolo, sospirò di sollievo: sapeva che Lara avrebbe preso male la sua decisione di rivedere Marco anche solo per chiudere ogni rapporto tra loro e proprio per quel motivo aveva evitato fino all'ultimo secondo di dirglielo, ben sapendo che se l'avesse saputo in anticipo non solo le avrebbe dato il tormento, ma sarebbe stata addirittura capace di escogitare un modo di fermarla o, peggio ancora, seguirla.
Agathe guidò per un paio di miglia prima di parcheggiare a poca distanza dalla Corte di Giustizia; dopo essere scesa dall'auto e averla chiusa con cura, si guardò intorno e trovò Marco, appoggiato a un lampione qualche metro più avanti, che la fissava con le mani infilate nelle tasche e l'espressione seria.
La diciassettenne annullò la distanza che li separava con pochi passi decisi.
«Ciao» tentò cauta.
«Ciao» rispose il ventiquattrenne con voce monocorde. «Allora, sei venuta per chiudere quel poco che c'era tra di noi, giusto?»
Agathe sbuffò e pestò un piede a terra. «La vuoi smettere di anticipare quello che ho in testa?»
Marco tentò un mezzo sorriso. «Non lo so. Quando ti arrabbi sei spassosa, mezza francese».
L'irritazione di lei svanì rapida com'era arrivata; le sue spalle si afflosciarono e per qualche istante puntò lo sguardo a terra.
«Serve a qualcosa dirti che mi dispiace?» mormorò Agathe dopo qualche momento di silenzio.
Marco si strinse nelle spalle. «Serve sempre». Le picchiettò un dito in mezzo alla fronte fino a quando non rialzò la testa. «Ehi, tu non sei innamorata di me, ma neanch'io lo sono di te: non c'è bisogno di fare questa faccia da funerale». Tacque per alcuni istanti. «Mi piaci e lo sai, Agathe, negarlo sarebbe stupido, e io sapevo benissimo in che guaio mi stavo cacciando, quando ho deciso di farti la corte; sapevo che c'era un altro e che avevo poche possibilità di conquistarti, ma ci ho voluto provare lo stesso perché era quello che sentivo di fare». La sua bocca si piegò in una smorfia amara. «Diciamo che non mi fa piacere, dover accettare la sconfitta, ma non ho altra scelta».
Agathe sospirò con forza. «Mi sento in colpa lo stesso; non avrei dovuto lasciarti avvicinare, avrei dovuto dirti subito che... che tenevo troppo all'altra persona o che comunque non era il momento giusto. Invece credo di averti illuso, e sento di averti fatto torto».
Il ragazzo la fissò pensoso per un minuto buono.
«Mi hai usato?» le chiese infine. «Per far ingelosire l'altro, o anche solo per sentirti meglio?»
Lei scosse la testa. «Ti trovavo interessante davvero, Marco – ti trovo interessante, è solo che...». Scosse di nuovo la testa. «Non abbastanza, per me».
«Allora poteva andare peggio». Marco le rivolse un breve sorriso, poi si sporse e la baciò sulla guancia. «Adesso è meglio se andiamo ognuno per la propria strada. Stammi bene, mezza francese».
Agathe sorrise a sua volta. «Anche tu, mezzo italiano».
La diciassettenne guardò Marco attraversare la strada a testa bassa e correre sul marciapiede di fronte prima di tornare alla propria auto, con un nuovo senso di leggerezza nel petto.
******
Agathe era in camera sua, intenta a preparare la borsa per il giorno successivo, sbuffando di frustrazione: trascorrere le ultime ore del fine settimana pensando al lunedì mattina non era certo un buon modo di concludere una giornata di riposo.
Inginocchiata a terra, la ragazza stava giusto lottando con l'astuccio delle penne – che aveva malauguratamente lasciato aperto e che aveva appena riversato le proprie viscere colorate sul pavimento – quando la porta della sua stanza si spalancò con un tonfo sordo, spaventandola a morte.
«Tanti auguri, Will!» urlarono Lara, Thomas e Damon in coro.
Ripresasi dallo spavento, Agathe si rialzò da terra e dopo aver lanciato un rapido sguardo all'orologio, che segnava mezzanotte e un minuto, rivolse ai tre un sorriso luminoso.
«Siete in ritardo!» scherzò. Osservò di sottecchi Evan, che la guardava dalla porta con un piccolo sorriso. «L'avevate programmato, vero?» chiese a suo padre. «Per questo hai spedito Gisèle da Séline!»
Evan socchiuse placido gli occhi in un muto assenso.
«Allora, Will, come ci si sente ad avere diciotto anni?» chiese Lara mentre la serrava in un abbraccio stritolante.
«Più o meno come ci si sente ad averne diciassette» rantolò l'interpellata in risposta. Lara sciolse l'abbraccio solo per fare posto a Thomas, che strinse Agathe molto più delicatamente.
«Tanti auguri alla mia Cupido personale» disse in tono solenne, facendo ridacchiare Agathe.
La ragazza sorrise e Thomas si allontanò: era il turno di Damon, che le scompigliò i capelli prima di abbracciarla.
«Un anno in più significa anche un nuovo granello di saggezza da aggiungere a quella che si aveva già» le disse all'orecchio. «Non permettere più a niente e a nessuno di abbatterti, piccolina».
Agathe trattenne a stento le lacrime. «Grazie, zio» bisbigliò.
Lara batté le mani per richiamare l'attenzione. «È il momento dei regali!» tuonò.
«Di già? Credevo che avreste aspettato la festa» si stupì la sua migliore amica.
«Questo è un piccolo anticipo» replicò Lara. Le tese una busta di carta rigida ben chiusa da un grosso fiocco e le fece l'occhiolino. «È da parte di tutti e tre, ma io sono l'unica a sapere cosa ci sia dentro. Forse è meglio se aspetti di essere sola prima di aprirlo...»
Agathe si accigliò. «Devo preoccuparmi?» chiese con una punta d'ansia: a volte Lara aveva delle trovate persino peggiori delle sue.
«No, ma segui comunque il mio consiglio» replicò Lara prima di aggiungere in tono cospiratore: «Penso che ti sarà molto utile, quando ti preparerai per la festa... e soprattutto per il dopo-festa!».
Evan assunse un'aria sospettosa mentre Agathe e Thomas impallidivano: Damon, invece, scoppiò a ridere.
«Ah, Will cara, hai proprio portato Lara sulla cattiva strada!» sghignazzò, mentre si asciugava le lacrime di divertimento dagli occhi.
«Sì, a volte mi rendo conto di aver creato un mostro» bofonchiò la neo-diciottenne facendo sparire alla massima velocità la busta incriminata.
«Dai, sorella, vedrai che poi mi sarai grata!» bisbigliò Lara, congedandosi insieme agli altri due. Quando Agathe fu di nuovo sola in camera propria, tirò fuori il regalo che aveva ricevuto e lo scartò, circospetta, prima di scoprire cos'era... e schiaffarsi una mano sul volto, incredula: Lara aveva proprio superato il limite, ma quantomeno l'aveva liberata di una commissione che non poteva più rimandare.
******
Agathe godeva di una certa libertà, ma su una cosa Evan era stato irremovibile: il fatto che quello fosse il giorno del suo compleanno non la autorizzava a saltare la scuola. Perciò quel lunedì mattina la ragazza si avviò verso la St. Margaret più imbronciata che mai e, per di più, sola: un messaggio di Lara l'aveva avvertita che si sarebbero viste direttamente in aula.
Mentre percorreva la solita strada, senza sgarrare nemmeno di un passo, i suoi pensieri corsero a quello che era stato l'ultimo anno: a differenza di quanto era accaduto fino a quel momento, ora Agathe si sentiva, se non più matura, sicuramente diversa. Parecchie cose erano cambiate, soprattutto negli ultimi mesi, e lei iniziava ad avere qualche certezza in più su come voleva che fosse il suo futuro; su chi avrebbe voluto avere al proprio fianco e chi no, e sulla necessità di decidere in modo autonomo della propria vita. La ragazza si stava giusto chiedendo quale fosse il modo migliore per comunicare a Evan che non voleva intraprendere gli studi di Legge quando una voce la riscosse dai propri pensieri.
«Miss Williams, buongiorno. Posso rubarle qualche minuto? Ho delle novità riguardo le sue domande di ammissione al college» disse Richard a voce alta, affacciato al cancello principale della propria casa. Agathe lo guardò confusa prima di seguire il suo sguardo, appuntato su qualcosa alle sue spalle: si voltò e vide i Simmons, anche loro abitanti dell'otto, passare in auto e rivolgere un cenno di saluto a Richard.
«Buongiorno a lei, Mr. Prescott» rispose Agathe, abbastanza forte da essere udita da orecchie indiscrete. «Mi dica pure».
Richard si scostò un poco. «Entri, miss».
Agathe infilò con calma il cancello e seguì l'uomo lungo il vialetto e dentro il portone d'ingresso. Non appena si furono richiusi la porta alle spalle, Richard la afferrò per i fianchi e la coinvolse in un bacio breve ma molto appassionato, tanto da lasciare la ragazza senza fiato.
«Buon compleanno, Satana in gonnella» sussurrò a un centimetro dalle sue labbra.
«Se questo è il mio regalo, penso che farò come il Cappellaio Matto e inizierò a festeggiare i miei Non-Compleanni, visto che sono decisamente più frequenti» balbettò Agathe, stordita.
Richard rise di gusto. «Pronta per la festa?» indagò.
Il malumore di Agathe tornò più rapidamente di come si era dissolto.
«Maledizione, Prescott!» ululò. «Dovevi proprio ricordarmi di quella dannata spada di Damocle che mi pende sulla testa?»
«Addirittura?» disse l'uomo, stupefatto. «Non ho mai conosciuto nessuno che disprezzasse tanto le feste... persino a me piacciono!»
«A me le feste piacciono, ma non quelle organizzate dai miei genitori» precisò Agathe. «Quelle somigliano più a un funerale. Anzi, a pensarci bene un funerale è persino più divertente...»
«Secondo me stai soltanto esagerando» la stuzzicò Richard.
«Credi?». La ragazza serrò le labbra. «Vorrà dire che giudicherai con i tuoi occhi: tanto sono certa che Evan ti abbia già invitato...»
«Sabato mattina» confermò Richard.
«...quindi tanto peggio per te. Ricorda però che almeno tu potresti evitare questa scocciatura» concluse Agathe.
«E perdermi lo spettacolo di te, con indosso il vestito che io ho scelto, con sulla pelle i gioielli che io ti ho regalato, mentre ringhi contro tua madre come un animale selvatico in trappola? Non ci penso proprio!». L'uomo rise di nuovo, divertito dall'immagine che gli si era formata nella mente.
«Molto divertente» scattò Agathe. «E poi non ho mai detto che indosserò quella collana imbarazzante, perché è questo che è: imbarazzante. Vistosa, enorme e imbarazzante».
«Solo perché non ci sei abituata» minimizzò Richard. «Indossarla è più semplice di quanto sembri... per la donna giusta».
«Poetico» bofonchiò lei. «Be', grazie per la fiducia riguardo l'essere la donna giusta per indossare la tua collana di famiglia, ma credo proprio che adesso andrò a scuola, altrimenti finirò per fare tardi».
«Io ho un'idea migliore» disse Richard con uno sguardo che ad Agathe non piacque affatto. «Ti fidi di me?»
«Non tanto, ma immagino che dovrò fare uno sforzo» replicò Agathe, un po' esasperata, prima di diventare sospettosa. «Che cos'hai in mente?»
Richard agguantò la giacca e le chiavi dell'auto. «Te lo spiego per strada».
******
«L'ho sempre saputo che sotto la scorza algida e compassata sei completamente matto» esalò Agathe, incredula ed emozionata.
«Ho i miei momenti» rispose Richard, placido ma compiaciuto.
Il sole splendeva con un'intensità a cui Agathe non era abituata, non in inverno comunque: il clima mite della Francia, che conosceva grazie alle frequenti visite ai nonni materni, era piacevole, ma l'Italia era un'altra cosa.
«Non ho mai visto un sole così» mormorò la ragazza.
«Il sole è sempre lo stesso: sei tu a guardarlo con altri occhi» la contraddisse Richard, osservandola con grande intensità. «Posso dedurne che la mia sorpresa ti è piaciuta?»
«E come potrebbe essere altrimenti?». Agathe scoppiò a ridere, poi gettò un'occhiata allo splendido panorama che aveva di fronte: non sapeva come, Richard aveva scovato un ristorantino proprio dentro Castel Sant'Angelo – che lei aveva visto solo in foto – e la vista spettacolare che si godeva da lassù era impagabile. «È stata una sorpresa incredibile».
E lo era stata davvero. Dopo averla fatta salire in macchina, Richard si era diretto il più velocemente possibile verso Londra, e Agathe non aveva avuto nessun sospetto sulle sue intenzioni fino a quando l'uomo non aveva fermato l'auto nel parcheggio di Heathrow, incitandola a scendere. Un rapidissimo passaggio in un negozio d'abbigliamento – "Non ne posso più di vederti con questa dannata divisa!" – per farle indossare qualcosa di più comodo e poi l'aveva trascinata al terminal, stando bene attento a non farle scorgere neanche per un attimo i biglietti aerei. In effetti, Agathe aveva capito dove Richard la stesse portando soltanto quando, una volta atterrati, aveva letto con sgomento il nome dell'aeroporto, di cui aveva capito una sola parola: Roma.
«Ci torneremo» promise Richard, «e non solo per un pranzo». Le rivolse uno sguardo penetrante. «Potresti venire a studiare qui».
Agathe scoppiò di nuovo a ridere, ma stavolta senza allegria. «Con tutte le ottime università che ci sono da noi e in Francia, secondo te Evan accetterebbe di lasciarmi trasferire in Italia?»
«Quando saprà che non hai alcuna intenzione di studiare Legge, probabilmente non gli interesserà nemmeno il college al quale ti iscriverai» le fece notare l'uomo. «A questo proposito: cos'è che vorresti fare? Anche se non alla facoltà che vorrebbe tuo padre, le domande di ammissione tra poco andranno spedite comunque».
«E se io non volessi andare al college?» mormorò Agathe, giocherellando con l'orlo del vestito.
Richard strabuzzò gli occhi. «Che cosa?» balbettò, incredulo.
«Non fraintendermi, so di dover avere una formazione che mi permetta di trovare un lavoro, ma...», Agathe esitò, tormentandosi le mani, «non credo di volerla trovare nei libri. Né di poterlo fare».
L'uomo incrociò le braccia sul petto e la guardò con severità. «Con la sola istruzione della St. Margaret non andrai lontano, Agathe» esordì.
«Oh, non cominciare con la predica, Prescott!» sbottò lei. «So bene di essere ancora lontana dal possedere le competenze necessarie a trovare e conservare un impiego, so benissimo di dover ancora studiare: tutto quello che ho detto è che non credo che la mia strada sia in un lavoro teorico, intellettuale, come il tuo, che si svolge tutto sui libri» concluse.
Richard le scoccò uno sguardo di fuoco. «Mi sembrava che ti piacesse, il mio lavoro».
«Ed è così: per te è perfetto, ma non lo è per me» ribatté Agathe bruscamente. «Io voglio fare qualcosa di diverso». Richard le rivolse uno sguardo sardonico cui lei rispose con un'occhiata ostile, arricciando il naso. «Magari dovrei accogliere il tuo suggerimento e trasferirmi qui per studiare. Quattro o cinque anni lontani da Hersham non potrebbero che farmi bene...» disse altera.
Richard le afferrò il polso e lo serrò in una morsa ferrea; una donna da un tavolo vicino lo fissò, scandalizzata, e lui lasciò Agathe all'istante. «La mia era solo un'idea, e ripensandoci, non è che mi piaccia poi così tanto» sibilò a denti stretti.
«Perché finiamo sempre per discutere?» sbuffò la ragazza, massaggiandosi il polso.
«Perché mi preoccupo per te» rispose Richard.
«E il fatto che tu sia geloso marcio non c'entra nulla, ovviamente» disse sarcastica Agathe.
«Non stavolta». Agathe lo fissò con aria eloquente e lui sollevò le mani. «Va bene, forse un pochino, ma soltanto perché pensare di starti lontano per anni non mi piace. In effetti, più che gelosia si tratta di qualcosa di diverso» mormorò quasi tra sé.
«E questo qualcosa di diverso ce l'ha, un nome?» lo incalzò Agathe.
«Non lo so ancora» rispose Richard. Si accorse dell'espressione delusa della ragazza e le prese di nuovo la mano, stavolta più gentilmente. «Non era questo che avevo in mente, quando ho deciso di portarti qui, oggi. Sono stanco di discutere con te».
«Già, anch'io». Agathe sfilò la mano da quella di Richard, incrociò le braccia sul tavolo e vi si appoggiò con la testa. «Dopo Valentine è cambiato tutto» disse mesta.
Richard si alzò di scatto e la tirò in piedi. «Oggi niente pensieri tristi» ordinò in tono perentorio: la prese sottobraccio e si avviò con lei all'uscita.
«Perché è il mio compleanno?». La ragazza gli rivolse un finto sguardo adorante. «Oh, Prescott, come sei dolce e premuroso!»
«Cerco solo di metterti di buonumore» rispose lui con serietà. «Visto quello che ti aspetta sabato sera, ne avrai bisogno!» concluse pungente, trattenendo a fatica una risata.
«Ti odio, Prescott, oh se ti odio» brontolò Agathe, già meditando vendetta: forse, in fondo, il regalo di Lara poteva davvero rivelarsi utile.
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