Fourty Ninth Shade [R]
«Mi dispiace per quel pugno, sai».
Richard chiuse la valigia con un gesto secco e alzò lo sguardo su Alan: aveva perso il conto delle volte che aveva sentito quella frase uscire dalla bocca del giornalista e, considerato che erano passati solo due giorni dall'evento, trovava la cosa preoccupante.
«Era la cosa migliore che potessi fare» rispose Richard mentre controllava il contenuto del bagaglio a mano. «Per compensare quello che stavo per fare io, che era la cosa peggiore in assoluto». Quasi inconsciamente, si accarezzò il livido che faceva bella mostra di sé sul suo mento. «Credo che questa storia sia andata troppo oltre: è ora di dare un taglio netto a... be', a qualsiasi cosa sia».
Alan assunse un'aria tutt'altro che felice. «Per quanto tempo starai via?»
L'altro si strinse nelle spalle. «Non lo so. Andrò in Austria da mio padre, penso di fermarmi da lui per qualche settimana. Poi si vedrà: non mi dispiacerebbe tornare in Italia, ma anche un giretto in Spagna o in Germania, magari... oppure potrei andare negli Stati Uniti: sto pensando di espandere l'attività della mia casa editrice e aprire una succursale laggiù».
«Comincio a chiedermi non quando tornerai, ma se tornerai» mugugnò il giornalista.
Richard non smentì la sua supposizione. «Ho toccato il fondo, l'altro giorno – o meglio, lo avrei toccato se non ti fossi messo in mezzo. È ora che io ritrovi me stesso».
Alan sospirò. «Lo capisco, amico».
I due uomini si abbracciarono per un lungo minuto. Quando si staccarono, il giornalista era visibilmente commosso e anche Richard non era impassibile come al solito.
«Cerca almeno di farti sentire» si raccomandò Alan. «Tienimi informato sui tuoi spostamenti: potrei avere voglia anch'io di prendermi una piccola vacanza!»
Richard sorrise. «Sarai sempre il benvenuto» gli assicurò. Alan annuì prima di andarsene e Richard si accinse a fare un'ultima, rapida visita: c'era un aereo che lo aspettava.
******
Damon era in cucina, intento a preparare il pranzo per sé e per Lara – da poco rientrata da scuola – ma la sua mente era altrove. Nelle ultime settimane Richard si era fatto stranamente sfuggente; negli ultimi giorni, poi, era di pessimo umore e si era rifiutato di vedere chicchessia, anche se aveva il sospetto che avesse fatto visita ad Alan più volte. Che si trattasse di affari o di una questione molto più delicata, Damon non sapeva dirlo: tutto quello che sapeva era che il suo migliore amico era di pessimo, pessimo umore. Per questo fu oltremodo sorpreso quando, richiamato da una breve scampanellata, si ritrovò proprio Richard fuori dal portone d'ingresso.
«Ehi, Rick, entra» lo invitò Damon, facendosi da parte. L'altro uomo non si fece pregare ed entrò nell'ingresso, piacevolmente caldo dopo il freddo intenso che regnava all'esterno. «Allora, a cosa devo il piacere?» aggiunse, guidandolo verso la cucina.
«Sono venuto a salutarti» rispose Richard, appollaiandosi su uno degli alti sgabelli di fronte al bancone della cucina.
«Stai partendo?» chiese Damon, perplesso. Richard annuì.
«Ho il volo tra tre ore. Ho bisogno di passare un po' di tempo lontano da Hersham» spiegò. «Ne approfitterò per sondare il terreno riguardo alcuni affari che vorrei intraprendere».
«Quindi non sarà un viaggio breve» disse lentamente il suo amico.
«No. Con ogni probabilità starò via parecchi mesi, forse addirittura un anno o più» confermò Richard.
«Nessun tipo di affari potrebbe spingerti a stare lontano da casa tanto a lungo» considerò Damon. Aggrottò la fronte, tentando inutilmente di nascondere la propria preoccupazione. «Rick, fuggire non è la soluzione. Se hai un problema, di qualsiasi cosa si tratti... be', puoi parlarmene, lo sai. Sarei felice di aiutarti».
Richard sorrise e scosse la testa. «Lo so, ma alcuni problemi non si possono affrontare prendendoli di petto. Anzi, dubito addirittura che la mia situazione possa classificarsi come un problema: è, più che altro, la fine di qualcosa. Devo solo allontanarmi per rimettere in ordine le idee e prepararmi a cominciare qualcosa di nuovo».
«È più serio di quanto immaginassi» disse Damon. «Si tratta della tua donna misteriosa, non è così?»
Richard si appoggiò alla schienale appena accennato dello sgabello. «Sì» rispose calmo.
«Quindi te ne vai per dimenticarla» aggiunse il padrone di casa.
«È l'unica cosa che mi rimanga da fare» spiegò l'altro.
I due amici rimasero in silenzio per un po', quel tipo di silenzio pieno di cose non dette che però non feriscono: era più un silenzio morbido, dolce come un balsamo, che con i ricordi di una vita passata fianco a fianco lenisce ogni piccola ferita, ogni dolore.
«Dunque ci salutiamo» mormorò Damon.
«Solo per un po'» rispose Richard.
«Hai bisogno di un passaggio all'aeroporto?» chiese Damon, cercando di contenere la commozione.
«Ho chiamato un taxi; arriverà tra poco» rispose piano Richard.
«Allora va'». I due uomini si abbracciarono brevemente e si separarono; per quanto tempo, non lo sapevano ancora.
******
Lara saltellava da un piede all'altro, l'immagine stessa dell'impazienza.
«E dai, rispondi, rispondi!» gemette nel telefono.
Da brava adolescente – e a maggior ragione essendo la migliore amica di Agathe – quando aveva sentito entrare in casa sua Richard Prescott, era scesa dabbasso in punta di piedi e si era acquattata fuori dalla cucina, per origliare la conversazione tra suo padre e lo storico.
Quello che aveva sentito l'aveva lasciata senza parole.
Sentì la voce di suo padre, confusa, con appena una punta d'incertezza, pronunciare la domanda di cui – lei non sapeva come, ma lo sapeva – temeva la risposta.
«Stai partendo?»
Lara aveva trattenuto il fiato: anche lei temeva la risposta, neanche fosse stata Agathe.
«Ho il volo tra tre ore».
Non fu tanto quella breve frase a inquietarla, quanto il tono: la turbò al punto che si perse il resto, e colse quasi di sfuggita la parte ben più allarmante della conversazione.
«Con ogni probabilità starò via parecchi mesi, forse addirittura un anno o più».
Furono quelle parole di Richard Prescott a gettare Lara nel panico. Di recente aveva visto poco Agathe e le aveva parlato ancora meno, ma una cosa era assolutamente chiara ai suoi occhi: la sua migliore amica non lo aveva dimenticato. Non conosceva il motivo del loro recentissimo allontanamento ma, come quando era ricomparsa l'ex fidanzata dello storico, Lara sapeva che da qualche parte, nella testa o nel cuore di Agathe, era ancora annidato Prescott. E così, tornata in camera sua alla massima velocità concessa dalla necessità di non essere sentita dai due uomini in cucina, Lara si era incollata al telefono per avvertire la sua migliore amica di quanto stava per succedere.
Peccato che il telefono di Agathe suonasse a vuoto.
«Oh, ma perché non rispondi?» quasi urlò Lara, senza sapere cosa fare. «Rispondi sempre, e proprio oggi non senti quel maledetto telefono?»
Combattuta, Lara lanciò il proprio telefono sul letto e percorse la stanza a grandi passi, le mani nei capelli e nessuna idea su cosa fare. Poi si infilò la giacca e uscì di corsa, occhieggiando disperata il taxi fermo fuori dalla casa di Richard Prescott e il tassista che caricava i bagagli.
******
«Moses?» chiamò Agathe. «Moses, avanti, so che sei qui, nascosto da qualche parte» chiamò ancora.
Era ormai da oltre un'ora che girava invano alla ricerca di Moses: aveva provato a casa sua, da Jean e in un paio di altri locali che sembravano piacergli in modo particolare prima di ripiegare sulla sua ultima possibilità: un minuscolo parco – più che un parco, una piccola macchia di alberi e folti cespugli – in cui c'era un'unica panchina e in cui si erano nascosti spesso, a volte da soli e negli ultimi giorni insieme, per parlare senza che nessuno li disturbasse.
Attraversato un cespuglio particolarmente fitto, Agathe si trovò di fronte Moses, il capo chino e le mani inguantate strette l'una all'altra.
«E allora» esordì la ragazza, lasciandosi cadere a sedere sull'estremità libera della panchina e riprendendo fiato, «che ci fai nascosto qui? Avevamo un appuntamento, tu e io... o mi sbaglio?».
Moses si torse le mani, agitato. «Non credo di essere pronto».
«Sciocchezze: sei prontissimo, è solo che hai paura» tagliò corto Agathe. Gli prese una mano e la strinse forte. «Muoviti: è ora di andare».
A quelle parole Moses parve agitarsi ancora di più e quando Agathe tentò di tirarlo in piedi, lui oppose resistenza.
«Io... io... non sono sicuro» balbettò. «Forse sarebbe meglio aspettare ancora un po'... che so, qualche giorno, magari una settimana... o due...»
«Oppure un mese, o due, o un anno, o una vita intera» disse Agathe, spietata. «Moses, se continui a farti prendere dal panico, non lo farai mai» lo rimproverò. «Ecco perché ci sono io con te: per costringerti ad affrontare la situazione. E adesso alzati, oppure scoprirai perché ho un soprannome da uomo!»
Suo malgrado, Moses sorrise e si lasciò guidare da Agathe fuori dal parco e verso la loro destinazione.
******
«È sicuro che non sia qui? Assolutamente sicuro?» chiese Lara, implorante.
«Sono sicuro». L'uomo scosse la testa. «Mi dispiace di non poterla aiutare, Miss Zimmermann. Forse potrebbe provare al Jean's Haven, oppure...» l'uomo arrossì appena, «be', credo che Miss Agathe passi parecchio tempo in casa Pearson, in questi giorni...».
«Ho già provato, sia da Jean che dai Pearson» mormorò Lara, sconsolata. «Non so più dove cercare. Grazie comunque della disponibilità, Stevens».
«Di nulla, Miss Zimmermann» rispose il maggiordomo di casa Williams. «Mi rincresce di non esserle stato d'aiuto. Continui comunque a cercare: lo sa che Miss Agathe non può essere lontana». Ammiccò in direzione del garage. «A piedi non si va lontano».
«No, infatti» convenne Lara, sentendosi animata da un rinnovato vigore. «La troverò, dovunque si sia nascosta!»
******
A mano a mano che si avvicinavano alla loro meta, Moses diventava sempre più nervoso. Più di una volta aveva tentato di fare dietrofront e andarsene, ma la stretta ferrea di Agathe sul suo polso era riuscito a impedirglielo.
Per il momento in cui raggiunsero il cancello, il giovane uomo era pallidissimo, e persino Agathe sembrava inquieta. Tuttavia la ragazza premette il pulsante con decisione e attese.
«Chi è?» gracchiò il citofono; evidentemente la telecamera del dispositivo non funzionava a dovere.
«Miss Williams» rispose Agathe con voce tremula, improvvisamente a disagio. «Mi fa entrare?»
Un lungo silenzio seguì a queste parole, poi la serratura automatica del cancello scattò.
Agathe e Moses si fecero strada con cautela fino alla porta d'ingresso e poi all'interno della casa, quasi stessero entrando nella tana di una belva feroce; c'era silenzio, lì, e le stanze erano tutte immerse nella penombra di un primo pomeriggio invernale cupo e nuvoloso, tranne una. I due ragazzi schiusero con cautela il battente accostato e Agathe fece il suo ingresso.
«Miss Williams» la accolse in tono grave Alan, seduto alla scrivania, senza neanche alzare lo sguardo dal proprio computer.
«Mr. Bell» rispose piano Agathe, intimorita dal tono freddo dell'uomo.
«Ha compagnia, vedo» aggiunse il giornalista in tono ancor più glaciale quando la ragazza afferrò la mano di Moses e lo trascinò nella stanza; Moses si fece piccolo sotto lo sguardo gelido con cui Alan lo squadrò prima di tornare al proprio lavoro. «Allora, cosa volete da me?»
«Be', io... io niente, a dire il vero» rispose Agathe. Alan, sorpreso, sollevò di nuovo lo sguardo sui due. La ragazza spinse Moses in una sedia di fronte alla scrivania e si accomodò nell'altra. «È... è Moses che deve dirle qualcosa». Diede un colpetto di gomito all'altro. «Avanti, parla» gli sussurrò.
Moses, però, non sembrava in grado di parlare: rimase in silenzio nonostante le occhiate indagatrici di Alan – che sentiva tutta la sua naturale curiosità risvegliarsi – e le gomitate e gli incoraggiamenti sussurrati di Agathe.
«Visto che lui non parla, lo farò io» decise nervosa la ragazza. «Almeno... almeno per spiegare a grandi linee il motivo della nostra presenza qui». Guardò Alan, che annuì e si accomodò contro lo schienale della propria poltrona. «Partiamo dall'inizio. Mr. Bell, lei ricorda la mia festa di compleanno?»
Alan si rabbuiò. «Perfettamente» rispose. «E non sono l'unico» aggiunse in un sibilo.
Agathe colse al volo l'allusione a Richard e a quello che era successo quella sera e la mattina successiva, e impallidì. «Be', quella sera, tra gli altri, era presente anche Moses, come ricorderà. Mancava dall'Inghilterra da parecchio tempo, e la mia festa fu la sua occasione per... per... reinserirsi nel tessuto sociale di Hersham, se vogliamo dire così» ridacchiò titubante. «Dopo essere stato lontano così a lungo, nel tornare ha avuto l'occasione di vedere con occhi nuovi le sue vecchie conoscenze, di coglierne tratti e sfumature a cui prima non aveva mai prestato attenzione».
«Non ne dubito» sibilò ostile il giornalista, scoccando a Moses un'occhiata di fuoco che l'uomo più giovane, impegnato a fissarsi le scarpe, non notò.
«Ecco, in... in questa occasione, Moses ha avuto modo di rivalutare parecchie persone, ma soprattutto una». Agathe deglutì. «Si è reso conto di non averne mai riconosciuto il valore e i pregi, e... be'...». La ragazza si bloccò, a disagio, e diede un'altra gomitata a Moses. «E dai, parla! Adesso tocca a te!» bisbigliò agitata.
Moses scosse la testa, curvandosi ancora di più.
«Vorrà dire che proseguirò io» disse Agathe, con l'aria di chi preferirebbe trovarsi in mezzo agli squali. «Rivedere quella persona gli ha suscitato un sentimento molto... molto forte, e riuscire finalmente a vederne tutti i pregi ha fatto il resto. Moses...»
«Conosco già la conclusione» la interruppe brusco Alan. Il pensiero di Richard, di quello che aveva passato in quei giorni e della sua partenza lo rendeva sgarbato. «La intuisce tutta Hersham, Miss Williams: non siete stati molto discreti».
«Oh no, no, lei non capisce» farfugliò Agathe, arrossendo furiosamente. «Moses... lui... lui...»
«Sono innamorato di te». L'intervento di Moses era stato fatto con voce chiara e limpida. Alan lo guardò, e impiegò parecchi secondi per realizzare che Moses Pearson non stava fissando Agathe, ma lui.
«Io... io...» adesso era il giornalista a balbettare. «Che cosa?»
«Sono innamorato di te, Alan Bell» ripeté Moses in tono di sfida, il mento sollevato in un gesto orgoglioso, il volto arrossato per la tensione e gli occhi brillanti. Osservò il volto sconcertato del giornalista prima di voltarsi verso Agathe e sorriderle. «Avevi ragione, tesoro: non avrei avuto pace per il resto della vita, se non mi fossi tolto questo peso. Anche se so che non sono ricambiato, adesso mi sento più leggero».
Agathe gli sorrise di rimando, trattenendo a stento le lacrime. Nell'arco di pochi istanti Moses era tornato a essere quello di sempre: sorridente, audace, fiducioso. Era esattamente quello che aveva sperato e non poteva che esserne felice.
Moses fece per alzarsi. «La ringrazio per il suo tempo, Mr. Bell, e mi scuso per l'incomodo che certamente le abbiamo procurato con la nostra visita. Le auguro una buona giornata» disse, serio e composto.
Alan sollevò una mano, facendo immobilizzare i due giovani; la sua attenzione, però, era tutta per Moses. «È da quando sei diventato capitano della tua squadra di polo che ti osservo» disse.
«E non avrebbe mai immaginato che mi piacessero gli uomini, vero?» aggiunse Moses in tono amaro.
«Più che altro, non osavo sperarci».
Moses fissò Alan con gli occhi sgranati e il giornalista sorrise.
«Vuoi dire che tu... tu...» balbettò Moses. Alan annuì, ancora sorridente; tese una mano e strinse quella dell'altro in un gesto intimo, dolce e appassionato al tempo stesso.
«Non avevi mai lasciato trapelare nulla, e come potevo anche solo pensare di avere una possibilità?» mormorò il giornalista.
«Be', non ce l'avevi» ridacchiò Moses mentre finalmente la tensione lo abbandonava. «Detestavo la tua professione, credevo che fossi uno di quei paparazzi da quattro soldi che rovinano la vita delle persone pur di avere uno scoop... e poi neanche tu avevi mai lasciato intendere che ti piacessero gli uomini...»
«Però hai cambiato idea» disse Alan.
«La sera della festa di Agathe, quando con grande furbizia hai impedito a Evan di fare delle domande che l'avrebbero messa nei guai» sorrise Moses.
Agathe, che stava sgattaiolando zitta zitta fuori dalla stanza approfittando della distrazione dei due uomini, di colpo si ritrovò di nuovo al centro dell'attenzione: infatti Alan, ricordatosi della sua presenza, scattò in piedi, pallido come non mai.
«Ma se tu... se tu...» farfuglio, guardando Moses.
«Se io sono innamorato di te, intendi?» completò placido il giovane.
Alan annuì. «Se tu sei innamorato di me, tu e Agathe... voi non... non state insieme!»
Moses e Agathe lo guardarono come se fosse completamente impazzito. «Noi due, insieme?» dissero in coro prima di scoppiare a ridere.
«Mr. Bell, ti facevo molto più sveglio di così... soprattutto sapendo quello che sai!» sghignazzò Agathe prima di tornare seria: il ricordo della sua brusca separazione da Richard ebbe il potere di far svanire all'istante ogni traccia di divertimento.
«Allora io... noi... oh Dio, non avevamo capito niente!» esclamò Alan, fuori di sé. «Lo sapevo, lo sapevo che ci sfuggiva qualcosa!». Il giornalista mosse qualche passo incerto; gli tremavano le mani, e non sapeva cosa fare. «Lui... se l'avesse saputo...» balbettò incoerentemente.
«Alan, che succede?» gli chiese Moses, alzandosi a sua volta e guardandolo preoccupato.
«Richard...». Alan si coprì per un attimo il volto con le mani. «Lui sta...»
«AGATHE!» tuonò una nuova voce. I tre, presi alla sprovvista, ebbero un sussulto e si voltarono verso la porta della stanza: Lara era lì, l'espressione sconvolta e furiosa. «Perché diavolo non hai risposto al telefono, eh?» ululò.
«Io...» l'altra si tastò le tasche, ancora scossa dalla brusca apparizione della sua migliore amica, «devo averlo lasciato a casa. Perché?».
«Perché dovevo parlarti!» urlò Lara. «Sta partendo!»
«Chi... chi sta partendo?» chiese Agathe, sinceramente spaventata dalla furia di Lara: era raro vederla così arrabbiata.
«Richard» rispose Alan. «Richard sta partendo».
Il volto di Agathe divenne cereo.
«Parte tra meno di due ore, l'ho sentito parlare con mio padre» intervenne Lara, guardando l'orologio. «Deve essere già in aeroporto, ma se ci sbrighiamo forse riusciamo a fermarlo!»
«Andiamo con la mia auto» decise Alan, agguantando le chiavi.
«No». Il sussurro di Agathe bastò a fermare tutti.
«Che vuol dire "no"?» chiese Lara, incredula.
«Vuol dire no» rispose Agathe. Si era appoggiata alla scrivania; ne stringeva il bordo così forte che le nocche delle sue mani apparivano sbiancate e aveva gli occhi chiusi. «Se ha deciso di partire, non abbiamo nessun diritto di fermarlo».
«Ma lui sta partendo perché crede che tu stia con Moses!» replicò Alan. «Se solo gli dicessimo che non è così...»
«Io e Prescott ci siamo fatti tanto male a vicenda» rispose la ragazza. «Non dovete dirgli nulla, nessuno di voi. Comincio a pensare che forse è meglio... è meglio stare separati. Non può esserci niente di sano in qualcosa che ha come unico risultato quello di far soffrire te stesso e un'altra persona».
«Ma quello non è stato l'unico risultato, Will» protestò Lara. «Lo sai meglio di noi, e non puoi far finta che non sia così!»
«Non è stato l'unico risultato» ammise Agathe, «ma di sicuro è stato il più evidente e anche il più incisivo. Se a causa mia Prescott si sente ferito al punto da voler andare via, allora che diritto ho io di fermarlo e farlo stare peggio?».
Nessuno seppe replicare all'ultima affermazione di Agathe, e rimasero dov'erano. Le ore passarono, e fu solo a tarda sera che si separarono.
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