Fourty First Shade [R]
L'acqua scrosciava, inondando il lavandino e schizzando goccioline ovunque, ma Richard non se ne curava. Fermo davanti allo specchio, esaminava il proprio volto pallido con aria assorta, quasi distratta. Dopo un tempo apparentemente lunghissimo si riscosse: immerse le mani nel getto d'acqua e si sciacquò il viso due, tre, quattro volte, finché non sentì le dita e la pelle ghiacciate.
Asciugatosi sommariamente, l'uomo uscì dal bagno e si fermò a guardare tutto quello che lo circondava. L'ambiente familiare della propria camera da letto lo tranquillizzò: i mobili, il suo completo preferito appeso all'anta dell'armadio, pronto per essere indossato, i quadri appesi alle pareti, tutto contribuiva a placare il grumo viscido che gli si agitava nello stomaco.
Gli occhi di Richard caddero sul letto. In quel letto una volta aveva dormito Agathe; da sola, ma quel giorno, anche a ore di distanza, aveva potuto sentire, vaghissimo, l'odore di lei aleggiare sul cuscino. Distolse lo sguardo.
«Rick, come ti senti?» chiamò piano Damon dalla porta. Aveva seguito lo sguardo smarrito e angosciato dell'amico e aveva percepito quel malessere come proprio. Entrò nella stanza e spinse l'altro uomo a sedere sul bordo del letto. «L'effetto del tranquillante che ti ho dato è svanito o ti senti ancora stordito?»
Richard scosse la testa. «Sono lucido» mormorò. Si massaggiò la gamba con un gesto casuale. «È ancora indolenzita» notò senza un vero interesse.
«Passerà presto» lo rassicurò Damon. «A parte la gamba, tu... come stai, tu?»
L'altro si strinse goffamente nelle spalle. «Sto bene, Damon, sto bene. Solo...» esitò, il respiro bloccato, «è solo che non riesco a smettere di pensarci».
Damon gli strinse una spalla: non aveva parole di conforto da offrirgli, ma solo la propria vicinanza. D'altra parte, il malessere del suo amico non era del tipo che si potesse guarire con qualche medicina.
«Devo andare, non sono riuscito a farmi spostare il turno in ospedale» disse dispiaciuto il medico dopo un po', alzandosi. Guardò Richard, preoccupato. «Alan è a casa, gli ho detto di passare da te più tardi...»
«Non ce n'è bisogno» mormorò Richard, spento: con il pigiama e i capelli in disordine, non sembrava neanche lui.
«Invece sì» rispose Damon con dolcezza. «C'è bisogno. Siamo i tuoi migliori amici, non ci respingere».
Richard fece un debole gesto d'assenso. Damon se ne andò. Inquieto, il padrone di casa si alzò di nuovo con una lieve smorfia di fastidio: la gamba era un po' rigida e gli dava qualche grattacapo, ma non ce la faceva più a stare a letto, tanto più dopo aver ricordato come anche Agathe vi avesse riposato...
Aggrappato alla balaustra e a uno dei suoi fidati bastoni da passeggio, Richard scese le scale lentamente, con passo incerto: ci mise un'eternità, ma quando i suoi piedi si posarono sul corridoio del piano terra, si sentì un po' meglio.
Ora non doveva fare altro che trovare una stanza in cui Agathe non fosse mai entrata e rinchiudercisi dentro.
******
La pendola in corridoio aveva da poco suonato le undici quando Alan arrivò a casa Prescott.
«Rick? Richard? Dove diavolo sei?» chiamò la voce allarmata del giornalista quando trovò la camera da letto vuota. Per parecchi minuti i passi frettolosi di Alan riempirono la casa insieme ai suoi richiami concitati, e Richard si decise a dargli un indizio: con l'impugnatura del bastone da passeggio abbassò la maniglia della porta e la tirò, lasciandola spalancata. «Diamine, Richard, ecco dove ti sei ficcato!» sbottò Alan, sollevato e irritato in parti uguali, quando infine lo trovò. «Mi hai fatto prendere un colpo!»
Richard sollevò su di lui uno sguardo accigliato. «Vi comportate tutti come se fossi un moribondo o un aspirante suicida».
«Vorresti biasimarci?» replicò Alan. «Non sei in te, Rick: lo so io, lo sa Damon, e soprattutto lo sai tu».
L'altro uomo si accasciò sulla sedia con aria stanca e Alan sedé accanto a lui.
«Devi smettere di pensarci» gli disse gentilmente il giornalista. «Continuare a rimuginarci sopra ti farà soltanto stare peggio».
«Ci provo» disse Richard con un pizzico di rabbia, «ma non ci riesco! Continuo a rivedere davanti agli occhi quella scena e...e...».
«Basta, basta» cercò di calmarlo Alan. «Hai fatto colazione? No? Be', dovresti. Vado a prepararti qualcosa».
Alan andò in cucina e prese tutto l'occorrente per preparare al suo amico un'abbondante colazione, pur sapendo che con ogni probabilità Richard non ne avrebbe mandato giù neanche un boccone. Mentre cucinava, il suo cervello lavorava a tutta velocità: Richard non stava bene – ricordava ancora in che stato era quando lui e Damon l'avevano raggiunto – e doveva assolutamente trovare un modo per far sì che il suo amico si riprendesse. Anche Damon era d'accordo: il tranquillante che gli aveva dato era una soluzione temporanea, ma dovevano far sì che Richard si riscuotesse da quello stato di apatia e malinconia profonde, e in fretta.
Quando, mezz'ora più tardi, Alan tornò nella stanzetta in cui si era rintanato il suo amico, trovò Richard che tremava avvolto in una coperta.
«Amico, non puoi andare avanti così» gli intimò; gli mise davanti il vassoio stracolmo in un chiaro invito a mangiare, poi andò in corridoio e accese il riscaldamento. Quando tornò dal padrone di casa, sedette di fronte a lui e incrociò le braccia sul petto con aria ostinata. «Devi fare qualcosa».
«Non c'è nulla che io possa fare per cancellare quello che ho nella testa» disse Richard amaro.
«Un modo c'è». Alan esitò. «Forse potresti andare da... da lei».
«No» rispose Richard all'istante.
«Andiamo, Rick, mettere la testa sotto la sabbia non servirà» disse Alan, spazientito. «Devi trovare il coraggio di uscire di qui e guardare in faccia la realtà: soltanto così riuscirai a liberarti di ciò che ti tormenta. Smettila di nasconderti».
«Non credo di farcela» mormorò l'altro uomo.
«Invece ce la fai» replicò Alan, arrabbiato. Lo prese per un braccio e lo strattonò per costringerlo ad alzarsi. «Adesso ti porto a fare una doccia e a renderti presentabile: restare in pigiama e aspettare che ti crescano i funghi addosso non ti aiuterà!»
******
Alan era stato di parola: aveva costretto Richard a lavarsi e darsi una sistemata e, per tutto il tempo che aveva trascorso in casa sua, non aveva smesso di fargli la predica su quanto fosse stupido stare rinchiuso tra quelle mura, dato che questo non avrebbe cambiato la realtà dei fatti. Con grande sollievo di Richard, una chiamata del suo caporedattore aveva costretto Alan a precipitarsi in ufficio, ma il giornalista non aveva perso l'occasione per intimargli di lasciare cancello e porta sul retro aperti, in modo che potesse mandare qualcuno a controllarlo; Richard, ben sapendo che trasgredire a quegli ordini gli sarebbe valsa una nuova predica che non aveva voglia di ascoltare, si era rassegnato a fare come Alan aveva detto. In fondo, adesso aveva di nuovo la casa tutta per sé.
La colazione preparatagli dal suo amico giaceva ancora intatta sul tavolo: come Alan aveva predetto, Richard non aveva neanche toccato il piatto. Dopo aver vagato un po' per il corridoio, maledicendo di tanto in tanto la gamba rigida che gli impediva di muoversi liberamente, era tornato a sedere vicino al camino in cui Alan aveva acceso il fuoco che ancora scoppiettava vivace, lo sguardo perso tra le fiamme: sapeva che era stupido comportarsi così, sapeva che non serviva a niente, eppure non poteva farne a meno.
Richard non si scompose neanche quando, tempo dopo – ma quanto? aveva sentito la pendola suonare più volte, ma non ricordava quante – udì lo scatto lontano della serratura della porta d'ingresso e dei passi leggeri lungo il corridoio. All'uomo venne da ridere: sembravano i passi di un fantasma, tanto erano fiochi.
Una voce chiamò il suo nome più volte e la porta della stanza in cui si trovava fu aperta; i passi si fermarono per poi riprendere, titubanti, quasi impercettibili, e la stessa mano che aveva spinto il battente di legno – una mano piccola, femminile, delicata – gli sfiorò i capelli aggrovigliati, le spalle coperte soltanto dalla camicia, il pugno serrato che riposava sul ginocchio.
«Prescott?» chiamò di nuovo la voce, incerta. La mano risalì al volto e gli spostò i capelli in una carezza piena di premura. «Non so come abbia fatto, ma quel tuo diabolico amico giornalista è riuscito ad avere il mio numero di telefono e mi ha chiesto di passare qui non appena avessi potuto. Mi dispiace di non essere arrivata prima... se avessi saputo...». La voce si spense. Calò il silenzio, senza che Richard trovasse il coraggio di distogliere lo sguardo dal caminetto.
«Insomma, vuoi guardarmi o no?» sbottò la voce, ora esasperata. «Adesso!»
Richard alzò gli occhi e incontrò quelli grigi di Agathe: stizziti, preoccupati, brillanti di vita.
Con un gesto repentino, l'uomo la afferrò e se la tirò sulle ginocchia: nascose il volto contro il suo collo e la strinse tra le braccia con tanta forza da toglierle il fiato, da farle male, mentre ansimava come se avesse corso.
Agathe, intanto, si dimenava nella sua stretta.
«Prescott, accidenti... Prescott, mi stai stritolando!» protestò. Riuscì a liberare una mano la usò per sollevare il volto di lui. «Si può sapere che hai? Sembra che tu abbia visto un fantasma!»
Richard scoppiò in una risata isterica: il sogno – meglio, l'incubo – che aveva avuto la notte precedente era stato così terribile e realistico da lasciarlo con i nervi scossi: terrorizzato, aveva chiamato Damon, che era accorso e, pur non capendo granché – Richard si era guardato bene dal raccontargli per filo e per segno il proprio incubo – l'aveva tranquillizzato come poteva prima di somministrargli a forza un sedativo per far sì che si calmasse e tornasse a dormire.
«Accidenti a te, dannata ragazzina» disse con voce tremante. «Non farmi mai più scherzi come quello di ieri!»
Agathe lo fissò con gli occhi sgranati. «Stai cercando di dirmi che quell'innocuo scherzetto ti ha fatto avere gli incubi?» chiese incredula prima di mettersi a ridere. «E cos'hai sognato? Di portare all'altare Miss King?»
Richard la stritolò di nuovo, sordo alle proteste della ragazza. «Non mi va di parlarne. Promettimi soltanto che non tirerai mai più in ballo quella donna, quando si tratta di me».
La ragazza alzò gli occhi al cielo. «Va bene, va bene, ma adesso smettila di tentare di soffocarmi! Il mio compleanno è vicino e io non voglio morire vergine!». Richard la guardò sollevando le sopracciglia e lei rispose con una smorfia. «Sono mesi che aspetto di compiere diciotto anni per poter fare... hai capito. Con te» balbettò, in imbarazzo. «Se mi soffochi ora, tutta la nostra attesa sarà stata inutile!»
L'uomo rise di nuovo, stavolta sinceramente divertito. Alan aveva ragione: lasciarsi turbare in quel modo da un sogno era stupido e privo di senso e se avesse cercato Agathe subito, se l'avesse almeno chiamata per sentire la sua voce, si sarebbe risparmiato ore di inutile agonia perché lei era viva, e non il cadavere freddo e immobile del suo sogno. Scosse la testa.
«Mi dirai mai che diamine hai sognato, per esserne così turbato?» chiese Agathe.
«Forse un giorno te lo racconterò» rispose Richard; finalmente rilassato, sprofondò un po' di più ne cuscini e lasciò che Agathe gli sistemasse la camicia.
Agathe brontolò sottovoce mentre gli passava la cravatta intorno al collo e la annodava prima di abbottonargli il gilet. «Ora va meglio: devi solo infilarti la camicia nei pantaloni e pettinarti, poi sarai di nuovo quello di prima».
Richard le infilò una mano tra i capelli e prese a massaggiarle la nuca, sperando così di zittirla. «Ogni tanto dovremmo uscire da questa casa» disse.
La ragazza mugolò compiaciuta sotto la pressione deliziosa di quelle dita. «Siamo sempre fuori da questa casa: io vado a scuola, esco con i miei amici, tu vai al lavoro...» mormorò.
«Intendevo insieme» precisò l'uomo.
«Vuoi un appuntamento alla luce del sole?» disse Agathe. «Va' a spiegarlo a Evan: se non ti ammazza, io ci sto!»
«Tu non vuoi morire vergine e io non voglio morire prima di aver compiuto novant'anni» replicò Richard. «Non sono così stupido da fare una cosa del genere: pensavo però che sarebbe opportuno un sopralluogo in vari college per scegliere quelli più adatti a te, e questa potrebbe essere un'ottima scusa agli occhi di tuo padre».
Agathe lo gratificò di uno sguardo ammirato. «Sei diabolico, Prescott».
«Disse Satana in gonnella» rispose lui con un borbottio morbido.
«Com'è che mi hai chiamata?» chiese Agathe, sinceramente divertita. «Ti sfido a ripeterlo, se ne hai il coraggio!»
«Ti ho chiamata Satana in gonnella perché è esattamente quello che sei» disse Richard, acchiappandole i polsi e capovolgendola prima che potesse fare alcunché. Agathe si ritrovò a testa in giù, con la schiena sulle gambe di lui e le proprie buttate oltre il bracciolo della poltrona, e scoppiò a ridere: quel gesto non era per niente da Richard, o almeno, non da Richard come l'aveva conosciuto lei, algido e compassato tanto da sembrare una mummia. «Allora, vuoi protestare?»
«E chi protesta?» rispose lei. «Lo trovo un soprannome piuttosto pittoresco e, in un certo senso, anche lusinghiero». Strabuzzò gli occhi, un po' a disagio per il sangue che le stava andando alla testa. «Puoi tirarmi su? Mi sento male».
«Non so se voglio farlo» disse Richard, fingendo di riflettere. «Dopo le pessime ventiquattro ore che ho appena trascorso a causa tua, forse te lo meriti...»
Agathe gli mostrò la lingua. «Tirami su, Prescott, prima che il mio pregiato cervello subisca dei danni».
«Prima trattiamo il prezzo della tua libertà» replicò l'uomo. «Non voglio sprecare il mio vantaggio!»
Lei sbuffò. «Tutte queste storie per uno scherzetto innocente!»
Richard la ignorò. «Quanto manca al tuo compleanno?»
«Tre giorni» brontolò lei, mentre il suo buonumore svaniva. «Nove a quella stupida festa». Gli lanciò un'occhiata saccente. «Che t'importa? Tanto non riceverai un invito» aggiunse, facendogli di nuovo la linguaccia.
«Ti ho concesso il libero uso della mia biblioteca e tuo padre mi vuole come cliente a tutti i costi: figurati se non mi inviterà!» ribatté Richard.
«Oh, al diavolo» brontolò lei, infastidita, ben sapendo che Richard aveva visto giusto. «Tagliamo la testa al toro, Prescott: dove vuoi arrivare? Ho già preso il vestito che mi hai fatto arrivare a tradimento e accettato quella miniera di diamanti mascherata da collana: che cosa vuoi ancora?»
L'uomo si accarezzò il mento con la mano libera, pensoso. «Visto che l'hai tirata in ballo, voglio che indossi quella collana al tuo compleanno, senza se e senza ma».
Agathe inorridì. «Così non vale!»
«Allora puoi restare così ancora per una mezz'oretta, o magari di più» commentò leggero lui. «Posso stare a casa anche tutto il giorno, se voglio».
La ragazza ringhiò come un animale in trappola. «Diciamo che ci penserò».
«Non mi basta» la stuzzicò Richard.
«Maledizione, Prescott!» esplose Agathe.
Lui si strinse nelle spalle. «Considerala la mia vendetta per la tua vendetta» disse.
«Prescott, tirami su: mi gira la testa, mi fanno male gli occhi e devo andare a studiare» rispose secca la ragazza.
«Come ordina, mademoiselle». Richard la rimise nel verso giusto e l'aiutò ad alzarsi.
«Mi sa che ti preferivo in modalità cadavere, Prescott» brontolò lei. «Non mi piace quando te la prendi con me».
«Chi di crudeltà ferisce...» la prese in giro l'uomo.
«Sì, sì, certo» sbuffò Agathe. Andò in corridoio e si coprì per affrontare il freddo invernale prima di voltarsi di nuovo verso Richard, che l'aveva seguita; il suo sguardo si appuntò sull'andatura claudicante dello storico e suo malgrado, la ragazza si accigliò. «Che hai fatto a quella gamba?» gli domandò, preoccupata.
L'uomo si massaggiò appena l'arto in questione. «Devo aver assunto una posizione sbagliata mentre dormivo: è indolenzita e fa un po' male, ma passerà presto».
Agathe lo fissò negli occhi. «Davvero non vuoi dirmi che cosa ti è successo per ridurti nello stato in cui ti ho trovato?» chiese seria.
Richard scosse la testa. «No. Di sicuro non oggi; un giorno, forse...». Si strinse nelle spalle. «Richiedimelo quando saremo sposati» concluse, facendole l'occhiolino.
Agathe si mise a ridere. «Certo, Prescott, come no! Se la metti così, allora non te lo potrò chiedere mai più!»
«Mai dire mai» rispose lui mentre l'accompagnava alla porta e la guardava sparire oltre il cancello: circondata dalla neve e dal riverbero fioco della luce sul manto candido che copriva ogni cosa, Agathe gli sembrava una creatura eterea, irreale e irraggiungibile, un po' come era stata nel suo incubo, ma in modo molto più rassicurante. Tornò in casa, Richard, rifiutandosi di pensare cosa potesse suggerire la reazione del suo sé onirico e concentrandosi soltanto su quanto fosse lontano e assurdo quel sogno.
******
Uscita da casa Prescott Agathe percorse la strada che la separava dall'incrocio dell'otto, voltò l'angolo e si nascose dietro un cumulo di neve. Con la schiena poggiata al muro gelido, la ragazza si sforzò di cancellare dalla mente l'espressione che aveva visto sul volto di Richard nel momento in cui l'aveva trovato, ma non ci riuscì: quel pallore innaturale, quegli occhi pieni di angoscia e di smarrimento non la lasciavano in pace. Non comprendeva il perché di un simile turbamento: che Richard le avesse mentito? Insomma, come poteva un sogno aver scosso a tal punto lui, un uomo tanto intelligente, forte e razionale? C'era qualcosa che non le tornava.
Ben decisa a ottenere delle risposte, Agathe si staccò dal muro con un colpo di reni e si avviò lungo il marciapiede con passo deciso.
In pochi minuti, la ragazza raggiunse casa Bell; suonò il campanello e attese paziente, ma nessuno le rispose. Agathe prese il telefono e lo soppesò per qualche istante, incerta sul da farsi, prima di lasciar cadere l'apparecchio nella borsa e appoggiarsi di nuovo al muro, proprio accanto al citofono.
La sua attesa durò oltre due ore, ma alla fine l'automobile del giornalista si fermò davanti al cancello e l'uomo mise la testa fuori dal finestrino.
«Miss Williams, a cosa devo il piacere?» chiese Alan, sinceramente stupito nel trovarla lì. «È forse successo qualcosa a Richard?» aggiunse con un filo d'ansia.
«Niente che lei non sappia già, o almeno credo» rispose la ragazza. «Quando l'ho lasciato sembrava tornato normale. Io...» Agathe esitò, «io le vorrei parlare, Mr. Bell, se ha qualche minuto da dedicarmi».
«Certo» disse subito l'uomo. Aprì il cancello e parcheggiò la macchina in garage, dopodiché raggiunse subito Agathe di fronte alla porta d'ingresso e la aprì, facendole cenno di entrare.
«Non so lei, ma con questo freddo mi è venuta voglia di una bella tazza di thè» disse Alan dopo che si furono liberati di giacche e sciarpe. Agathe lo seguì in cucina e sedé al tavolo mentre l'uomo si dava da fare intorno al fornello e poi a preparare un vassoio con tutto l'occorrente.
«Allora, miss» esordì Alan alcuni minuti più tardi, mentre riempiva le tazze, «di cosa voleva parlarmi?».
«Ecco, Mr. Bell, lei... lei, non so come, è riuscito ad avere il mio numero di telefono e mi ha chiesto di passare a casa di Mr. Prescott per accertarmi che stesse bene» iniziò Agathe, un po' nervosa. «Io ci sono andata, e lui...». Si interruppe. «Lui... non era in un bello stato, ecco». Si bloccò di nuovo. «Che cosa gli è successo?»
Alan si stupì. «Non gliel'ha chiesto?»
«L'ho fatto, ma lui non mi ha voluto rispondere» disse Agathe, imbronciandosi.
«Se non gliel'ha detto lui, non credo di poterlo fare io» rispose Alan più gentilmente che poté.
«Mr. Bell, non è mia abitudine ficcare il naso negli affari altrui, ma lei mi ha tirata in mezzo a questa cosa e Prescott... lui era così... così...». La ragazza annaspò, alla ricerca delle parole giuste. «Sembrava spezzato» concluse in un sussurro, le labbra tremanti.
«E lo era» confermò Alan. «Si è lasciato spezzare senza motivo, da una cosa talmente stupida che ci si potrebbe anche mettere a ridere... soprattutto sapendo quanto Richard sia razionale».
«Non mi piace vederlo così» sussurrò Agathe quasi tra sé, cullando tra le mani la tazza di thè ancora intatta.
«No, sono certo di no» mormorò Alan. «Beva». La ragazza bevve docilmente un sorso. «Ora, Miss Williams, io non posso né voglio dirle cosa ha turbato tanto il mio amico, ma forse posso darle un piccolo indizio, e l'indizio è che non l'ho tirata in mezzo a questa storia: ci era già dentro» disse il giornalista.
«C'entra lo scherzo che gli ho fatto ieri, vero?» chiese Agathe: si sentiva in colpa. «Almeno questo l'ho intuito, dalle parole di... del suo amico».
Alan si lasciò andare contro lo schienale della sedia. «Non mi fraintenda, miss, il suo scherzo è stato geniale e a dir poco esilarante, ma Richard ha un... un rapporto piuttosto complicato, diciamo così, con Miss King. La scena di ieri ha sconvolto in modo particolare la sua testa tanto solida e razionale e lui ha sfogato la tensione nell'unico modo possibile: quando la sua mente aveva le difese abbassate». Le sorrise rassicurante. «Non si preoccupi, sono certo che si riprenderà presto».
«L'ha già fatto» brontolò Agathe, ripensando a come Richard l'avesse ricattata.
«Devo ammettere, Miss Williams, di essere lieto della sua visita, dato che anch'io volevo parlarle» disse Alan qualche minuto più tardi, mentre riempiva di nuovo la propria tazza e quella della ragazza.
Agathe si tese di nuovo. «Ah sì?» chiese guardinga.
«Sì» confermò l'uomo. «Spero che non se la prenderà se le confesso di sapere, sul rapporto tra lei e Richard, più di quanto sarebbe lecito». Alan sospirò. «Con un lavoro come il mio, si sviluppa una certa capacità di osservazione».
«Immagino di non potermene lamentare, considerata la scena avvenuta proprio qui a Capodanno» disse sottovoce la ragazza.
«In realtà ero al corrente della vostra... come la possiamo chiamare? Frequentazione? già da un po'» replicò Alan.
Gli occhi di Agathe si spalancarono.
«Lo so, la cosa ti sconvolge, Agathe – non ti dispiace se ti do del tu, vero?». Agathe scosse la testa. «Be', come dicevo, so parecchie cose sul rapporto tra te e Richard, compreso quanto sia stato stupido il mio amico in alcune occasioni. Ora che tra di voi è tornata la calma, vorrei dirti un paio di cose». Alan tacque per un momento, riflettendo con cura prima di proseguire. «Richard è un uomo votato interamente alla parte razionale di sé: si è trincerato dietro il costante utilizzo di una logica ferrea ed è raro che riesca a lasciarsi andare... ma questo di sicuro l'hai notato anche da sola». Lei annuì. «Ecco, questa sua particolarità lo ha reso un po' troppo rigido, e se ci aggiungi alcune... disavventure sentimentali... che ha vissuto nel corso degli anni, per ultima quella con quella vacca di Valentine», la risata trillante di Agathe riempì la stanza, «puoi immaginare come per lui sia difficile non solo permettere ai propri sentimenti di manifestarsi, ma anche solo accettarli e riconoscerli». Alan rivolse alla ragazza uno sguardo eloquente. «Non ammetterà tanto presto quello che prova».
Agathe rimase in silenzio per un po'. «Mr. Bell...»
«Alan» la corresse il giornalista.
«Alan» ripeté Agathe. «Perché mi stai dicendo tutto questo?»
Alan sorrise. «Perché so come certi atteggiamenti di Richard possano allontanare e ferire le persone» rispose. «Con te l'ha già fatto più di una volta, purtroppo, ma sei ancora qui: se ricapitasse potresti decidere di non tornare più sui tuoi passi, ma voglio che tu sappia che non devi demordere. Vale la pena di lottare con quel testone di Richard, quindi anche se si comporta da idiota tu non te ne andare: insisti, braccalo, sfiniscilo, perché a un certo punto si scioglierà e ti lascerà entrare».
Agathe sollevò le sopracciglia. «Mi stai incitando a iniziare una relazione con il tuo amico?»
«Sì» rispose Alan, immensamente soddisfatto.
La ragazza scoppiò di nuovo a ridere. «Alan, comincio a volerti bene» dichiarò.
L'uomo assunse un'espressione costernata. «Per carità, non farti sentire da Richard: è più geloso di quanto voglia ammettere!»
Entrambi risero ancora.
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