Fourty Fifth Shade [R]
Agathe si era divertita come raramente le era capitato.
Proprio come promesso da Damon, non appena lei, Lara e Thomas salirono in macchina, l'autista mise in moto la limousine e si diresse a un pub ben preciso, sicuramente seguendo le indicazioni del dottor Zimmermann. Una volta arrivati, i ragazzi entrarono nel locale e bevvero una birra sotto gli sguardi perplessi degli altri avventori, sconcertati dai loro abiti da sera. Risaliti nella limousine vennero portati a un altro pub, e poi a un altro ancora: nei primi due o tre non fecero più che bere qualcosa, ma col succedersi delle fermate, diventarono sempre più intraprendenti. A metà nottata erano abbastanza brilli da lasciarsi andare: Agathe si esibì in un ballo scatenato sopra un tavolo, suscitando l'entusiasmo dei presenti, giusto mezz'ora prima che Thomas si lasciasse trascinare dalla sua follia e concedesse un mezzo spogliarello, finendo per andare in giro con la giacca e la cravatta sopra il petto nudo, mentre Lara, dopo aver tirato su la gonna del proprio abito e averla annodata perché le lasciasse le gambe scoperte e non le fosse d'impiccio, agguantò un uomo di mezza età e si lanciò in una rumba talmente frenetica da sconvolgere il povero Thomas.
Quando i tre ragazzi rincasarono, le prime luci dell'alba rischiaravano appena il cielo.
«Papà deve essere già andato in ospedale» biascicò Lara dopo aver suonato più volte il campanello senza ottenere risposta. Frugò con lentezza esasperante nella borsetta alla ricerca del proprio mazzo di chiavi e, quando riuscì a trovarle e ad azzeccare la chiave giusta, barcollò con passo incerto oltre porta; Thomas incespicò alle sue spalle e la prese al volo prima che si schiantasse sul pavimento.
Appoggiata al muro, Lara si voltò verso Agathe, immobile sul pianerottolo e all'apparenza senza alcuna intenzione di varcare la soglia. «Will?»
«Lo sapevate che Prescott ha un appartamento in questo stesso palazzo?» mormorò la ragazza bruna.
I due amici la fissarono con gli occhi sgranati.
«Proprio qui, Agathe? Sul serio?» chiese Lara, sgomenta. L'altra annuì.
«Due piani più su» disse con voce fioca. Guardò Thomas e Lara, tormentandosi le mani. «Mi ha chiesto di andare da lui, quando fossimo tornati dal nostro giro per Londra. Gli ho detto di sì. In quel momento sembrava semplice...» esitò, «mentre adesso...».
«Sei abbastanza ubriaca da poter essere sfacciata e incauta» le fece notare Thomas con grande serietà, la camicia arrotolata e annodata intorno alla testa come una bandana. «Non pensare, Will: vai».
La ragazza non se lo fece ripetere: girò sui tacchi e imboccò le scale, salendo i gradini a due a due come se ne andasse della propria vita.
******
La luce che entrava dalla finestra era flebile e timida, ancora troppo debole per poter rischiarare davvero la stanza. Richard, seduto sulla poltrona con gli occhi fissi oltre il vetro, osservava i tetti di Londra tingersi di un rosa così tenue da far sembrare la città uscita da una fiaba. Si chiese come sarebbe apparsa Agathe immersa in quella luce, con il suo vestito scuro e la pelle bianca come un fiore di magnolia.
Tre leggeri colpi alla porta lo riscossero: non erano stati che lievi echi, ma nel silenzio dell'appartamento erano risuonati chiari e nitidi.
Quando Richard aprì la porta, la prima cosa che cercò furono gli occhi grigi di Agathe: li trovò immersi nella penombra, enormi e titubanti.
L'uomo allungò cauto una mano e la sfiorò sotto il mento con un solo dito.
«Entra» sussurrò.
Il suono dei passi della ragazza fu soffocato dal folto tappeto che copriva il pavimento della stanza. Agathe l'attraversò per intero e si fermò soltanto quando arrivò di fronte alla finestra; appoggiò una mano al telaio e guardò fuori per alcuni lunghi secondi prima di voltarsi. Il chiarore dell'aurora la avvolse, risplendendo sul collo nudo, sulla pelle candida del volto, sui capelli neri ancora raccolti, e Richard ebbe la risposta alla sua domanda: in quel momento Agathe gli sembrava una creatura di fuoco e di luce, splendida, eterea, irraggiungibile.
Agathe tese le braccia verso di lui in una muta richiesta. Richard la accontentò: si avvicinò e la strinse tra le braccia con delicatezza, accarezzandole la parte scoperta della schiena. La ragazza sospirò piano e si abbandonò a quell'abbraccio, mentre le dita dell'uomo trovavano la cerniera lampo che tanto aveva fatto penare Lara e la tiravano giù senza difficoltà.
Richard sentì Agathe poggiare la guancia contro il suo petto: la ragazza non si mosse e non parlò, neanche quando il costoso abito si ammucchiò intorno alle sue caviglie, ormai inutile.
Agathe mugolò qualcosa di incomprensibile e strusciò il viso sulla giacca di lui, incurante delle macchie di ombretto e mascara che avrebbe potuto lasciarvi.
«Sei ubriaca» constatò Richard, non del tutto sorpreso e anche un po' divertito. Abbassò lo sguardo sul corpo di lei e scoprì all'improvviso di non essere più in grado di deglutire: Agathe era strizzata in un minuscolo corsetto di taffetà rosso cupo e Richard si rese conto che mai, prima d'ora, aveva visto così tanta pelle di Agathe tutta insieme. «Agathe» disse con voce rauca.
La ragazza alzò gli occhi confusi e sonnolenti su di lui e gli sfiorò il bavero della giacca. «Mh?»
«Agathe, dove... quando hai comprato questo?» le chiese, sfiorando il tessuto che la avvolgeva.
«Un regalo di Lara» borbottò lei, prima affondare il volto nella curva del suo collo. Richard trattenne l'impulso di gemere: la figlia di Damon doveva essere un demonio, se aveva scelto di regalare alla sua amica una cosa del genere, e Agathe di sicuro non lo aiutava, premendosi a quel modo contro di lui.
Stringendo i denti, Richard passò un braccio intorno alle spalle di Agathe e l'altro dietro le sue ginocchia: la sollevò e la portò in camera da letto, dove la adagiò con cura sul letto ancora intatto. Prima che potesse allontanarsi da lei, però, Agathe lo afferrò per la giacca e lo tirò verso di sé; lo baciò con un misto di imbarazzo e spavalderia, stringendosi a lui prima di farsi piccola tra le sue braccia.
«No, Agathe, no» mormorò Richard. Prese le mani di lei e se staccò dalle spalle; poi, sebbene gli costasse uno sforzo enorme, si impose di allontanarsi. «Sei ubriaca, e più tardi te ne pentiresti».
«Mai» sospirò Agathe, allungandosi verso di lui. «Ho aspettato così tanto... così tanto...»
«Allora potrai aspettare ancora qualche ora, o qualche giorno» disse deciso l'uomo. «Non abbiamo nessuna fretta. Agathe, guardami: fare quel passo in questo momento, in cui sei stordita dalla stanchezza e dall'alcool, sarebbe una forzatura. Non è così che ti voglio: anch'io aspetto questo momento da settimane, se non mesi, ma ti voglio lucida e consapevole, non intontita come sei ora. Perciò» proseguì Richard, recuperando una propria camicia da un cassetto, «adesso ci metteremo a letto. Per dormire e basta».
Agathe sbuffò, delusa; nascose il volto sul copriletto e mugugnò contrariata prima di alzarsi, un po' barcollante.
«Va bene, Prescott: faremo come vuoi tu» biascicò, per nulla felice.
L'uomo tirò un sospiro di sollievo e le tese la camicia, che però lei non prese; ondeggiò in modo allarmante e rimase in piedi solo grazie al letto, che le forniva un appoggio sicuro.
«Immagino che non saresti in grado di slacciare quella trappola infernale neanche se avessi una settimana a disposizione» sospirò Richard, accennando alle chiusure del corsetto che facevano bella mostra di sé sulla parte anteriore del capo. Le si avvicinò e la fece voltare; Agathe si appoggiò a lui, facendo aderire la propria schiena al petto dell'uomo, e lasciò andare la testa contro la spalla di Richard, le cui dita scivolavano leggere e precise sul suo stomaco e tra i seni, individuando i ganci e aprendoli uno alla volta. Pochi secondi dopo, Richard lanciò il pezzo di stoffa su una sedia; con dolcezza fece sedere la ragazza sull'orlo del materasso, recuperò la camicia e con quella la rivestì.
Agathe si lasciò cadere di schiena sul letto e fissò l'uomo con occhi stanchi mentre lui cercava di tirarla di nuovo su.
«Non ancora, folletto mio» mormorò Richard; la prese per i polsi e la costrinse a mettersi seduta nonostante il mugolio contrariato di lei. Si appollaiò al suo fianco e le attirò la testa contro la propria spalla. «Pazienta ancora un minuto».
Con dita agili prese a toglierle le forcine dalla testa per liberarle i capelli e massaggiarle lo scalpo. La lasciò sdraiarsi soltanto quando si accorse che il sonno stava per avere la meglio su di lei e, con gesti leggeri, le sfilò le scarpe e le calze.
Finalmente soddisfatto della propria opera, Richard infilò Agathe sotto le coperte e si spogliò prima di raggiungerla.
«Sei stanca, piccina?» le sussurrò mentre l'abbracciava.
«Mh-mhhh» mugolò la ragazza in risposta; gli si rannicchiò addosso per poi addormentarsi quasi all'istante. Richard la strinse più forte tra le braccia e sprofondò nel sonno in breve tempo.
******
Le imposte schermavano la luce tenue del sole invernale, ma anche così qualche raggio riusciva a filtrare nella stanza e sul letto, dove le due figure abbracciate dormivano ancora pesantemente. Richard fu il primo a svegliarsi: batté le palpebre, infastidito dalla luce, e si voltò a osservare la giovane donna addormentata accanto a lui.
Nel sonno, i capelli di Agathe si erano aggrovigliati fin quasi a raddoppiare di volume: Richard sentiva quella cascata di fili setosi coprirgli il braccio nudo e la testolina della ragazza premuta sulla sua spalla, insieme a una mano delicata appoggiata mollemente sul suo stomaco. Avrebbe voluto muoversi, abbracciarla e sistemarla meglio, ma nel sonno Agathe gli si era avvinghiata addosso in modo tale da impedirgli qualsiasi movimento: aveva intrecciato le gambe alle sue, e Richard riusciva a percepire il calore di quella pelle liscia contro la propria.
Incapace di resistere, l'uomo fece scivolare una mano lungo la schiena di Agathe in una carezza leggerissima e delicata; i suoi polpastrelli scesero lievi lungo la stoffa fino a raggiungere i fianchi della ragazza, lasciati scoperti dalla camicia che le si era arrotolata intorno alla vita durante il sonno. Sotto quell'improvvisata camicia da notte, la pelle di Agathe era bollente e tesa: sempre accarezzandole la linea dolce del fianco, Richard portò l'altra mano alla base della schiena di lei e la massaggiò con la punta delle dita. Agathe si mosse appena contro di lui e mugolò, senza però svegliarsi, e Richard fu improvvisamente molto più consapevole di quel corpo giovane incollato al suo: sentiva il seno di Agathe schiacciato contro il suo petto, il suo fiato che gli solleticava il collo, la forza con cui le sue gambe erano serrate sulle proprie, il monte di Venere, coperto solo dalle mutandine, premute contro il suo bacino...
Il desiderio di toccarla – non sfiorarla come aveva fatto fino a quel momento, ma toccarla, con energia, con vigore, con tutta la propria passione – divampò, incontrollabile: con decisione Richard portò le mani più in basso, afferrò le natiche della ragazza e le strinse, premendola contro di sé ancora di più, come se dovessero fondersi e diventare una cosa unica.
A causa del gesto improvviso, Agathe si svegliò di soprassalto e tentò di sollevarsi sui gomiti; l'uomo ne approfittò per incollare la bocca a quel collo niveo e assaporarlo, impedendole di capire appieno cosa stesse succedendo.
«P-Prescott...» ansimò Agathe, stordita dal brusco risveglio e dall'eccitazione nascente, «che stai...».
«Prova a indovinare» mormorò lui, leccandole un orecchio.
«Ma stamattina non volevi...» esalò la ragazza.
«Stamattina era stamattina» tagliò corto Richard, passando dall'orecchio di Agathe alla sua bocca. La ribaltò, schiacciandole la schiena contro il materasso, e rotolò sopra di lei per sdraiarsi tra le sue gambe; le sue mani scivolarono lungo le cosce della ragazza e le artigliarono, per poi risalire lungo la camicia e slacciare i bottoni uno alla volta, con una calma in totale contrasto con la frenesia con cui la baciava.
«Prescott...» disse Agathe con urgenza.
«Lei parla troppo, Miss Williams» sbuffò lui. Scese a tracciarle ghirigori sullo stomaco con la punta della lingua e risalì a poco a poco; quando la ragazza iniziò ad agitarsi le prese i fianchi e li tenne fermi per impedirle di dimenarsi e proseguire nella propria opera. Agathe, intuito che l'uomo non le avrebbe dato ascolto, rinunciò a protestare e si rilassò: ogni punto in cui si posava la bocca di Richard le sembrava diventasse incandescente; sentiva il velo di barba che copriva le guance dell'uomo grattarle la pelle e procurarle altri brividi; la sua presa era così salda da farle dolere la carne nel punto in cui le sue dita si serravano su di lei. Ricordando che per la prima volta da quando si erano conosciuti non avevano un motivo per fermarsi, Agathe afferrò per i capelli l'uomo che per mesi l'aveva torturata dolcemente – come stava facendo in quello stesso momento – e lo tirò più su, verso la propria bocca. Quando Richard affondò di nuovo la lingua tra le sue labbra, la ragazza ne approfittò per far vagare le proprie mani sul suo petto e sulla schiena, cercando la pelle e un contatto più intimo. Con gesti bruschi strattonò la maglietta che lo copriva e lo costrinse a interrompere il bacio per potergliela sfilare: soddisfatta, Agathe sospirò mentre Richard si avventava di nuovo su di lei; gli passò le mani sulla schiena, per poi affondarvi le unghie quando l'uomo prese a muoversi tra le sue gambe, strofinandosi contro l'unico punto del suo corpo che ancora gli era sconosciuto, a cui non aveva mai osato avvicinarsi prima. Il piacere generato da quei movimenti le fece sfuggire un gemito strozzato dalle labbra.
«Oh, Prescott...» gemette Agathe mentre i movimenti dell'uomo diventavano più decisi. Attraversata da una scarica di adrenalina, se lo scrollò di dosso e salì su di lui, acquistando una posizione dominante. Per un attimo restarono congelati, immobili: Richard osservò Agathe, sconvolta, rossa in viso e con le labbra socchiuse, sensuale come mai avrebbe creduto, a cavalcioni su di lui con la camicia sbottonata che lasciava esposto al suo sguardo il seno candido; Agathe guardò Richard, il suo petto che si sollevava e abbassava rapido, i capelli scompigliati, gli occhi socchiusi pieni di un desiderio selvaggio, quasi brutale, appena mitigato dalla dolcezza con cui le stava sfiorando una coscia.
Con un movimento fulmineo, Richard si tirò a sedere e passò un braccio intorno alla vita di Agathe perché non scivolasse via; con la mano libera le afferrò i capelli e le sfiorò la bocca con la propria con un gesto tenero. Agathe si aggrappò alle sue spalle, muovendosi contro di lui, alla ricerca di un'intimità ancora maggiore; gli insinuò la lingua tra le labbra ma l'uomo, la mano ancora saldamente infilata nella sua chioma corvina, le tirò indietro la testa con decisione.
«No, mia piccola Agathe» sibilò; lei lo fissò e lesse sul suo volto quanta fatica gli costasse trattenersi. «Non tentarmi. Lo sai che non ti resisto...»
«Hai cominciato tu» piagnucolò lei; Richard le tirò di nuovo i capelli e la ragazza, per tutta risposta, gli accarezzò il collo con entrambe le mani. «Non devi più resistere. Non c'è più motivo di fermarsi... prima di...»
Richard scoppiò in una risata priva di allegria. «Sei così ingenua, tesoro mio. Ti farà male; e se ti prendessi ora, ti farebbe persino più male di quanto sia necessario, perché non ho la forza di frenare l'impeto che mi spinge a farti mia senza alcun riguardo».
«Ma io ti voglio...» si lagnò Agathe.
«Se ti facessi quello che mi passa per la testa in questo momento, poi non mi vorresti più, te lo garantisco» mormorò Richard tra i denti. «Sei una tentazione a cui non sono mai riuscito a resistere, Agathe, ma non voglio farti male. Perciò non stuzzicarmi, o non rispondo di me!»
La ragazza approfittò del fatto che Richard le aveva lasciato i capelli per accoccolarsi su di lui e nascondere il viso nell'incavo del suo collo; per qualche istante rimase ferma, poi, ancora eccitata, ricominciò discretamente a strofinarsi contro di lui.
«Agathe!» la redarguì l'uomo, intuendo all'istante quali fossero le intenzioni della ragazza; ma quando lei finse di non sentirlo e continuò imperterrita a premersi contro il suo corpo, Richard sbuffò, inferocito. «Va bene, vediamo se questo riesce a calmarti!»
Prima che Agathe potesse rendersene conto, Richard si era alzato dal letto tenendola tra le braccia e aveva attraversato la stanza con poche, rapide falcate; tre secondi più tardi, la ragazza si ritrovò seduta in una doccia e un getto d'acqua gelida la investì, inzuppandola da capo a piedi.
«Prescott!» urlò, furiosa; tentò di rialzarsi, ma ricadde a sedere sotto l'acqua fredda mentre la sua mente si snebbiava. «Sei un dannato bastardo!»
Richard non rispose. L'idea di somministrare ad Agathe una doccia fredda per farla calmare era stata improvvisa e lui non si era soffermato a riflettere sulle possibili conseguenze. Lo stava facendo adesso che era troppo tardi, e cioè quando ormai le conseguenze le aveva di fronte agli occhi: l'acqua aveva strappato Agathe allo stordimento e l'aveva fatta infuriare, vero, ma aveva anche inzuppato la camicia con cui aveva dormito, rendendola penosamente trasparente; le mutandine di taffetà, poi, le si erano incollate addosso al punto che sembrava non ci fossero.
Agathe colse lo sguardo dell'uomo e sorrise perfida: non le fu difficile intuire il corso dei pensieri di lui – le occhiate che le stava lanciando parlavano chiaro – e considerata la situazione, aveva la possibilità di prendersi una piccola rivincita.
«Scusa se mi sono arrabbiata» disse melliflua, rialzandosi dal pavimento della doccia. «È stato fuori luogo... soprattutto perché in fondo hai avuto una buona idea» aggiunse, girando la manopola della doccia verso l'acqua calda. Si sfilò la camicia con studiata lentezza e gliela tirò addosso con un sorriso sfacciato. «Se vuoi scusarmi...» concluse allegra, chiudendogli le porte della doccia in faccia. Due secondi più tardi le riaprì appena e lanciò sul pavimento l'ultimo pezzo del proprio misero abbigliamento prima di cominciare a insaponarsi: era consapevole che Richard poteva intravederla attraverso i vetri sabbiati della doccia e sapeva che questo lo avrebbe spinto all'esasperazione.
Così fu; quando vide volare fuori dalla doccia quel pezzetto striminzito di stoffa rossa impregnato d'acqua fino all'ultima fibra, Richard si coprì gli occhi con una mano, maledicendo il giorno in cui Agathe aveva imparato a giocare quel suo gioco così pericoloso. L'uomo uscì dal bagno sempre tenendo gli occhi coperti, procedendo a tentoni per non urtare nulla, con una sgradevole sensazione in fondo allo stomaco. Adesso che Agathe era maggiorenne e si stava scoprendo così naturalmente sensuale, così portata al piacere fisico, quanto ci sarebbe voluto perché gli uomini lo notassero? Ma soprattutto, quanto ci sarebbe voluto perché arrivasse qualcuno in grado di strappargliela dalle braccia e portarla via con sé?
******
Quando Agathe riemerse dal bagno, avvolta in un asciugamano e senza nessuna idea di come tornare nell'appartamento di Lara per recuperare dei vestiti – si era resa conto con disappunto di non avere altra scelta se non tornare in quel bellissimo ma vistoso abito da sera con cui era giunta lì all'alba – trovò Richard con l'aria fosca e un muso lungo fino a terra.
«Prescott?» chiamò guardinga. Si avvicinò lentamente: quando l'uomo era di quell'umore, non sapeva mai in che modo avrebbe reagito ai suoi approcci. «Ti sei arrabbiato per quello scherzetto di prima? Scusa, eh, ma avevi cominciato tu...»
«Non sono arrabbiato» tagliò corto Richard, brusco. Le rivolse una rapida occhiata. «Davvero» insisté.
«Sarà» concesse la ragazza, scettica. «Però hai quella faccia».
«Quale faccia?» domandò Richard, per un istante genuinamente confuso.
«La stessa che fai ogni volta che qualcosa ti infastidisce profondamente, come quando mi sei saltato addosso quella mattina a casa tua, quando poi ho saltato la scuola, o quando hai minacciato Noah alla boutique, per dirne un paio» spiegò Agathe. «Occhi leggermente socchiusi, ruga tra le sopracciglia aggrottate, mascella indurita neanche te l'avessero inchiodata, spalle rigide...». La ragazza si strinse nelle proprie. «Quella faccia».
Richard era sgomento: sul serio le sue emozioni erano così evidenti? Era sempre stato convinto di riuscire a mantenere un'espressione impassibile qualsiasi cosa accadesse e mai nessuno, a parte i suoi amici più stretti e i suoi genitori, era stato in grado di capire cosa si agitasse davvero dentro di lui. Da quando Agathe lo conosceva così bene?
L'uomo si ricompose in fretta.
«Riformulo: non sono arrabbiato con te» si corresse. «Meglio?»
«Decisamente». Agathe tirò un silenzioso sospiro di sollievo. Se proprio Richard doveva essere arrabbiato, meglio che lo fosse con qualcuno che non fosse lei: aveva già visto quanto Richard potesse infiammarsi di rabbia e quanto rapidamente, e non ci teneva a essere di nuovo l'oggetto del suo malcontento. Non se poteva evitarlo: quando gli aveva giocato quel tiro mancino con Miss King, era stata convinta che la rabbia dell'uomo che le piaceva tanto fosse un ben misero prezzo da pagare per avere la propria vendetta e dargli una bella lezione.
Una musica lontana li riscosse. Agathe, sempre avvolta nell'asciugamano, si precipitò sulla propria borsetta e ne trasse il cellulare; lo guardò corrucciata per un momento, poi si decise a rispondere.
«Sì?» chiese con quello che sembrava un pizzico di agitazione. Ascoltò con attenzione per qualche istante, annuendo tra sé. «Certo... sì, posso... mi servono soltanto dieci minuti per vestirmi. Ti manderò un messaggio per farti sapere dove... sì, lì è perfetto. Ci vediamo lì tra mezz'ora».
Chiusa la telefonata, Agathe recuperò l'abito da sera e se lo rinfilò senza biancheria, consolata dal fatto che doveva soltanto scendere di due piani. Richard, insospettito da quella chiamata così sibillina e dall'improvvisa fretta della ragazza, incrociò le braccia sul petto.
«Come mai tanta fretta?» chiese con una punta di gelo.
Agathe alzò gli occhi su di lui e Richard fu certo di averci visto, per un attimo, uno sguardo colpevole.
«Io... be', una mia compagna di classe mi ha chiamata, dice di dovermi parlare» rispose lei sbrigativa, contorcendo le braccia per tirare su la cerniera del vestito. «Ha detto che è urgente, quindi devo sbrigarmi...». Agathe scoppiò in una risatina poco convinta. «Meglio che vada a mettermi qualcosa di più discreto. Ci vediamo dopo».
La ragazza agguantò il resto delle proprie cose e scappò dall'appartamento senza osare guardare di nuovo Richard o avvicinarsi a lui. L'uomo digrignò i denti: forse quella ragazzina pensava che lui avesse delle reazioni lente, ma quando aveva chiuso la chiamata e messo giù il cellulare, lui era stato abbastanza furbo da lanciare uno sguardo discreto al display del telefono prima che il nome di chi aveva chiamato Agathe sparisse: e nonostante la bugia che gli aveva rifilato, niente poteva convincerlo che Moses fosse un nome da donna.
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