Fourty Eighth Shade [R]
Erano passati già tre giorni dalla partita di polo, ma né Moses né Agathe erano impazienti di farsi vedere in giro: il primo si era dato malato al lavoro e non aveva più messo il naso fuori di casa, mentre la seconda aveva escogitato nuovi e più strani percorsi per andare e venire dalla scuola senza passare nei pressi di Villa Prescott.
In quel giovedì pomeriggio, cauta e silenziosa, Agathe sgattaiolò lungo il muro di cinta del giardino di casa Pearson stando attenta a non farsi notare: aveva visto Noah uscire dal cancello sulla sua potente auto sportiva e quindi sapeva che la strada era sgombra, ma preferiva comunque non correre rischi.
Una volta sul retro, aprì il cancello e la porta di servizio con il duplicato delle chiavi che Moses le aveva dato un paio di giorni dopo quell'incontro al bar così che lei potesse andare e venire liberamente, e salì i gradini a due a due per poi dirigersi sicura verso una porta indistinguibile dalle altre.
Lo sguardo spento di Moses la raggiunse dal letto; per un attimo gli occhi dell'uomo si illuminarono, ma quella scintilla si spense quasi subito.
«Ehi» salutò con dolcezza Agathe mentre posava una scatola e un grosso bicchiere di carta sul comodino. «Ti ho portato qualche dolcetto e una cioccolata calda». Sedette sul letto e passò una mano sulla fronte di Moses. «Come ti senti?»
«Come sempre» rispose malinconico lui.
Gli occhi di Agathe si addolcirono, se possibile, ancora di più. «Oh, Moses, non fare così» lo pregò. Si chinò a sfiorargli la guancia con un bacio, poi si sfilò scarpe e giacca e si infilò nel letto insieme a lui. «Deprimersi non serve a nulla, e neanche passare le giornate a letto».
Moses chiuse gli occhi per qualche istante. «Se solo tu potessi capire...» disse amaro.
Agathe non riuscì a trattenere una lacrima. Allungò le braccia verso l'uomo prostrato da tanta tristezza e se lo strinse al cuore. «Non fare così» ripeté, un nodo di pianto che le bloccava la gola. «Ci sono io qui con te. Ci sono io... insieme sistemeremo ogni cosa». Il suo pensiero corse a Richard e il grumo incastrato nella sua gola si fece più duro e pesante. «Quasi ogni cosa» si corresse sottovoce, sfiorando la fronte dell'uomo con un bacio.
Sorpreso da quel tono tanto da dimenticare i propri problemi, Moses puntò sul suo volto uno sguardo confuso che divenne quasi subito allarmato.
«Agathe, tesoro... stai piangendo!» esclamò, incredulo. Agathe si toccò le guance e si rese conto che erano inondate di lacrime: non si era neanche resa conto di aver iniziato a piangere fino a quando Moses non glielo aveva fatto notare. Tentò di arginare quello scoppio emotivo, ma riuscì solo a singhiozzare rauca. «Oh no, tesoro, ti prego... ti prego, non piangere!» la supplicò Moses, costernato: scattò a sedere e se la tirò in grembo, stringendola tra le braccia e cullandola affinché si calmasse. Nessuno dei due avrebbe saputo dire come fosse avvenuto quel capovolgimento di ruoli: un momento prima era Agathe che tentava di risollevare il morale di Moses, e l'attimo dopo Moses era diventato la spalla solida e paziente su cui Agathe stava riversando un fiume di lacrime.
«Perdonami, Moses» disse la ragazza non appena riuscì a smettere di piangere ed ebbe ripreso fiato. «Sei già così triste... non hai bisogno di sorbirti anche le mie stupide reazioni».
«Non c'è mai niente di stupido nelle lacrime» decretò Moses. Le rivolse un'occhiata fugace. «A quanto pare non sono l'unico angosciato, qui. Vuoi dirmi il perché di questo pianto disperato?»
Agathe si sforzò di sorridere, ma non riuscì a incrociare il suo sguardo. «Nulla di cui valga la pena parlare» disse con voce tremula.
«Non c'entrerà per caso mio fratello!» proruppe Moses con voce terribile: Noah era implacabile nel suo tentativo di avere Agathe e Moses temeva con tutto se stesso il momento in cui il ventenne l'avrebbe importunata di nuovo. Ma Agathe scosse violentemente la testa. «E allora di che si tratta?» chiese, accigliato. «Cosa può giustificare così tante lacrime?». L'uomo si interruppe; le sopracciglia si sollevarono, gli occhi si sgranarono, la bocca si socchiuse. «Oh... oh, tesoro, tu sei innamorata!»
«No!» negò Agathe con un vigore simile al panico.
«Invece sì!». Moses la lasciò nel letto e si alzò; prese a camminare avanti e indietro per la stanza, sconcertato. «Agathe, tu sei innamorata, ovviamente di qualcuno che non sono io...», Moses esitò, «...ma tesoro, perché non me l'hai detto? Quel giorno, al bar, avresti potuto dirmi che c'era qualcuno per cui provavi sentimenti simili e io non ti avrei mai, mai chiesto...»
«Se te l'avessi detto non avresti accettato la mia decisione» disse Agathe, dolente.
«Certo che non l'avrei accettata!» rispose d'impeto l'uomo, ancora sconvolto. «E come avrei potuto? Ma soprattutto, come ho potuto essere così cieco da non vedere quello che avevo davanti agli occhi? Tu sei innamorata, Agathe – così innamorata che potresti consumarti, lontana dalla persona che ti ha rubato il cuore! Perché non è qui». Moses le picchiettò un dito sul petto. «Non è qui, il tuo cuore. L'hai lasciato alla persona che l'ha conquistato. Ti sei divisa a metà: tutto cuore con quella persona e tutto cervello qui con me!»
«C'è abbastanza cuore anche per te» mormorò Agathe, soffocando nuove lacrime.
«Ce n'è eccome, tesoro» disse dolcemente Moses. «Ne hai abbastanza da aver deciso di spaccarlo a metà per non far torto a nessuno. Ma anche quel pochino che hai conservato per darlo a me, vorrebbe essere con l'altro!»
Agathe scoppiò di nuovo a piangere. Moses l'abbracciò, senza traccia di rancore negli occhi.
«Sai, tesoro, penso che dovresti tornare da quella persona e restituirgli quel pezzetto del tuo cuore che gli hai sottratto» sussurrò l'uomo. «Se è stato così bravo da conquistarlo tutto, allora è giusto che l'abbia per intero».
«No!» insorse Agathe; per un attimo smise di piangere e guardò Moses con aria di sfida. «Ho preso una decisione e la porterò avanti fino in fondo. Se lui non può e non vuole capire... allora sia quello che deve essere. Non è mai stato un rapporto semplice e... e credo che presto o tardi vi avrebbe posto fine lui stesso».
«Lo pensi ora, ma cambierai idea» disse Moses con gentilezza. «Agathe, non ho alcun diritto su di te e a questo punto, anche se l'avessi, non mi sentirei di reclamarlo. Devi tornare indietro».
«No» rispose caparbia Agathe. Gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò stretto. «Ho scelto. Hai bisogno di me, quindi resterò dove sono».
Moses scosse la testa, ma non riuscì a contraddirla. Si lasciò sfuggire un sorriso sincero mentre ricambiava l'abbraccio, commosso suo malgrado dalla testardaggine della ragazza.
«Moses» mormorò lei dopo un po'. «Quando... quando parlerai con la tua famiglia?»
L'uomo la strinse fin quasi a farle male; Agathe lo sentì irrigidirsi da capo a piedi, e attese in silenzio la sua risposta.
«Non lo so ancora» disse lui dopo qualche minuto di penoso silenzio. «Io... io vorrei trovare il momento adatto. Vorrei avere accanto la persona giusta, quando lo dirò...». Tacque e respirò a fondo. «Non ho alcun diritto di chiedertelo, ma... sarai con me, quel giorno?»
Agathe sorrise appena, ancora accoccolata tra le sue braccia, e gli strinse una mano. «Certo che sarò con te. Sarò con te quel giorno e per tutto il tempo che vorrai».
Moses la guardò, emozionato e fiero. «Sei incredibile, Agathe. Una donna da sposare, se solo ne avessimo il coraggio!»
La ragazza scoppiò a ridere. «Perché no? In fondo mio padre non fa che tormentarmi perché mi accasi con uno dei figli del famoso giudice Pearson!» lo prese in giro.
«Quindi, se mai decidessimo di sposarci, avremmo la benedizione di tuo padre?» sorrise Moses.
«Altroché. Avresti la benedizione e anche la dote!» sghignazzò lei. Si tirò su e costrinse Moses ad alzarsi. «Va' a fare una doccia e vestiti: è ora di uscire!»
******
Incapace di concentrarsi su alcunché, Richard stava vagando in casa propria, sbirciando di tanto in tanto dalle finestre: per ammazzare il tempo, diceva tra sé. Quello che non osava ammettere era che, in realtà, continuava a controllare l'otto nella speranza di vedere Agathe passare, avvicinarsi a casa sua – magari persino provare a entrare, nonostante il modo in cui l'aveva messa alla porta.
Alan ha ragione: non riesci a togliertela dalla testa, disse spietata una voce nella sua mente. E pensare che l'hai anche preso a male parole!
Richard scosse la testa nel vano tentativo di scacciare quei pensieri molesti. Non voleva pensare ad Agathe; non voleva pensare che nonostante tutto la desiderava ancora, non voleva ammettere di sentire la sua mancanza, non voleva confessare che il desiderio di lei – tutta intera, cuore, mente e corpo – ancora lo faceva bruciare nel ricordo di quei primi baci clandestini e di quel mattino passato nello stesso letto, fianco a fianco, in un gesto così intimo come dormire insieme.
Un movimento ai margini dell'otto catturò la sua attenzione. Due figure camminavano fianco a fianco e una Richard l'avrebbe riconosciuta anche nell'oscurità più profonda.
Con un balzo l'uomo raggiunse la scrivania, agguantò il binocolo e tornò alla finestra. Moses e Agathe camminavano lentamente, all'apparenza immersi in conversazione: il pallore del giovane uomo era smorzato solo da un leggero tocco di colore sulle guance e l'ombra di un sorriso sulle labbra riusciva appena a mitigare il suo aspetto malinconico. La ragazza invece sembrava normale e lo storico non si sarebbe posto nessuna domanda se non ne avesse notato gli occhi, ancora rossi di pianto.
Richard sentì il sangue ribollirgli nelle vene. Perché Agathe aveva pianto? Forse Moses Pearson era più simile a suo fratello di quanto sembrasse, e le aveva fatto del male?
Quella supposizione quasi frenetica fu smentita a una seconda occhiata: i due ragazzi procedevano mano nella mano, le dita allacciate in un gesto tenero. Richard vide le dita di Agathe stringere più forte quelle di Moses e stavolta tutta la sua rabbia si indirizzò verso di lei: come poteva quella piccola, subdola traditrice tenere la mano di un altro con quelle stesse dita che aveva usato per toccare lui? Quelle stesse mani che ora sistemavano la sciarpa di Moses Pearson avevano slacciato la sua camicia, sfiorato il suo petto, accarezzato i suoi capelli: vederle su di un altro, anche in un gesto così innocente, lo riempì di furia.
Richard posò il binocolo con tanta rabbia da rischiare di romperlo; voltò le spalle alla finestra, mentre l'impulso di massacrare Moses Pearson fino a lasciarlo privo di sensi sul marciapiede diventava sempre più intenso, sempre più soffocante; impugnò il bastone da passeggio come se fosse stato pronto a colpire la testa dell'altro uomo, deciso a scendere in strada e trasformare in realtà quelle idee feroci, quando qualcuno fece il suo ingresso nella stanza, così rapidamente da apparire come una macchia sfocata.
«Rick, fermo!» urlò una voce, tentando di strappargli dalle mani il bastone da passeggio; Richard resistette, lottando contro quel volto che non riusciva a mettere a fuoco e quelle mani che non riconosceva. I due si strattonarono; Richard sentì il bastone da passeggio scivolargli tra le dita e cercò con maggiore impegno di raggiungere la porta, perché il suo ultimo pensiero razionale – almeno in parte – era stato quello di raggiungere Moses Pearson, metterlo al tappeto e riprendersi Agathe con la forza.
«No, Richard! So cos'hai in testa, ma non devi farlo!» urlò ancora la persona che gli stava di fronte. «È un errore, un terribile errore! Non puoi fare del male né a Moses né ad Agathe!». Richard spintonò l'ostacolo che gli impediva di uscire, ma quello gli resistette stoicamente, sbarrandogli la strada.
«Togliti di mezzo!» ululò Richard, fuori di sé.
«Fermati, Richard, o dovrò prendere provvedimenti drastici per impedirti di fare sciocchezze!» lo ammonì la voce.
«SPARISCI!» tuonò Richard.
Un istante più tardi un pugno ben piazzato lo colpì alla mascella e lo spedì sul pavimento. Richard rimase sdraiato sul tappeto, privo di sensi, e Alan sbuffò mentre si massaggiava la mano indolenzita.
«Ti avevo avvertito» borbottò tra sé; si versò una dose generosa di whisky dalla bottiglia accanto al camino e bevve d'un fiato. «E comunque, quando tornerai in te, mi ringrazierai».
******
Agathe era ferma davanti al cancello di casa propria e fissava Moses con aria preoccupata. Stava pensando a una cosa ormai da qualche giorno e, anche se era convinta che fosse arrivato il momento di parlarne, non sapeva come affrontare l'argomento.
«Moses, so che quello che dirò non ti piacerà, ma... non puoi andare avanti così» esordì, titubante. «Stai male e non mi piace per niente vederti in queste condizioni». Moses la fissò e lei prese un respiro profondo per farsi coraggio. «Io... io credo che sia arrivato il momento di affrontare la situazione: rimandare non ha più senso».
Moses abbassò lo sguardo, amareggiato e disilluso. «Non credo di averne il coraggio» ammise.
La ragazza gli afferrò le mani e le strinse tra le proprie, costringendolo ad alzare gli occhi. «Non sarai da solo» cercò di rincuorarlo. «Io sarò con te per tutto il tempo e ti aiuterò. Non so come andrà a finire ma... ma credo che si debba tentare».
«E per cosa?» le chiese lui, ancora più amareggiato.
«Perché altrimenti vivrai tutta la vita chiedendoti: e se avessi tentato? Se avessi parlato, se avessi provato, come sarebbe andata?» rispose Agathe. «Moses, ascoltami. Facciamo questo tentativo. Proviamoci».
«Andrà male» rispose lui rassegnato, scuotendo la testa. «Andrà male e a quel punto non avrò mai più il coraggio di parlarne con nessuno. E allora... che farò? Tutti si aspettano che io... che io...»
Agathe gli lasciò le mani; prese il volto di lui e lo sollevò, fissandolo con aria battagliera. «Guardami, Moses; così. Tu devi provare: non ti concedo di arrenderti senza aver tentato almeno una volta. E se andrà male, comunque non sarai solo. Se andrà male...», Agathe si fermò per un istante, per essere certa di avere la sua completa attenzione, «allora ti sposerò non appena avrò preso il diploma».
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