Fourteenth Shade [R]
Superato Halloween, Lara tornò a scuola più svogliata di prima. Non che Agathe se la passasse meglio; aveva trascorso le ultime ventiquattr'ore in uno stato di nervosismo estremo, al punto che soltanto la sua migliore amica era riuscita a parlarle senza essere vittima dei suoi scoppi di rabbia.
In quel momento, le due ragazze camminavano svelte in direzione della St. Margaret, strette nei cappotti per proteggersi dal freddo: un flusso d'aria gelida aveva investito la Gran Bretagna nelle ultime ore, dando inizio a un novembre più cupo del previsto.
«Che hai intenzione di fare, quando vedrai Thomas?» chiese Agathe a Lara.
«Chi dice che devo fare qualcosa?» replicò Lara, quasi in preda al panico. Agathe alzò gli occhi al cielo.
«Nessuno dice che devi fare qualcosa» spiegò all'amica in tono paziente. «Pensavo solo che, visto che inizi ad ammettere che Tom ti piace, avessi intenzione di... che ne so? Di essere carina con lui, di vederlo qualche volta anche solo con la scusa di studiare, senza che sia sempre io a spingerti o incastrarti». Lanciò un'occhiata di sbieco a Lara. «Non mi pare complicato».
«Oh, Will, sta' zitta e pensa a Prescott» sussurrò Lara, rossa come un'aragosta bollita. Alla sola menzione di quel nome, anche l'altra arrossì.
«Non farmi pentire di avertene parlato, pescetto!» bisbigliò agitata in risposta.
Prima che Lara potesse replicare, arrivarono in vista della scuola e Thomas le vide tra la folla degli studenti che varcava il cancello.
«Ragazze!» salutò allegro: entrambe sorrisero di cuore al vederlo. «Andiamo in classe?» propose, mentre si sistemava meglio la sciarpa intorno al collo per difendersi dal vento gelido che soffiava quel mattino. Le due ragazze acconsentirono e insieme si fecero strada nell'ingresso, dove parecchi studenti erano riuniti in gruppetti e chiacchieravano prima dell'inizio delle lezioni del giorno.
«Mi sa che passerò in biblioteca» disse Agathe, quasi tra sé.
«Di già?» si lagnò la sua migliore amica. «Non ti pare un po' presto?»
«Devo restituire quei due libri che ho preso in prestito prima di Halloween» ribatté l'altra. «Presto o tardi dovrò andarci ed è inutile portarmeli dietro per mezza scuola: tanto vale farlo subito... anche se questo significava dover vedere la brutta faccia di Miss King già di primo mattino» concluse con una smorfia eloquente.
«Vuoi che ti accompagniamo?» disse Thomas, il corpo già voltato in direzione del corridoio giusto. Agathe aprì la bocca per rispondere, colpita dall'immancabile galanteria di quel ragazzo, ma Lara la precedette.
«Agathe conosce la strada per la biblioteca meglio di chiunque altro» intervenne, gli occhi fissi su Thomas. «Noi... noi potremmo andare in classe intanto, no?». Il ragazzo non disse nulla e Lara arrossì. «Non sopporto più il peso della borsa» aggiunse precipitosamente, mentre arrossiva per l'ennesima volta.
Thomas le sorrise radioso, le sfilò la borsa dalla spalla e se ne fece carico nonostante le proteste della ragazza. «Allora noi ti aspettiamo in classe, Agathe» disse; le fece l'occhiolino e si avviò lungo il corridoio insieme a una Lara imbarazzatissima.
Agathe ricambiò l'occhiolino di Thomas, attenta a non farsi vedere dall'amica, e se ne andò con passo veloce verso la biblioteca solo per trovarla chiusa. Bussò a intervalli regolari per almeno cinque minuti, ma nessuno le aprì: o Miss King non era ancora arrivata, o non aveva alcuna intenzione di avere a che fare con gli studenti così presto. Un po' stizzita, si voltò di scatto per andare in classe e urtò qualcuno.
Un paio di mani maschili l'afferrarono saldamente per le braccia e le impedirono di cadere.
«Dovremmo smetterla di vederci così, Miss Williams» disse Richard Prescott.
Agathe gli rivolse un'occhiata torva. Era ancora di malumore a causa di ciò che le aveva raccontato la sua bisnonna ad Halloween – non che ce l'avesse con lei, ovviamente – ma soprattutto delusa, anche se non l'avrebbe mai ammesso, dal fatto che Richard avesse partecipato alla stessa festa a cui era stata lei senza degnarla neanche di un saluto; per questo si liberò con fermezza dalla sua presa e fece un passo di lato, allontanandosi da lui.
«Mr. Prescott» salutò con freddezza.
Richard, che era andato lì per ispezionare una volta di più la biblioteca in cui evidentemente i suoi soldi non erano finiti, e ben lieto per quell'incontro inaspettato ma non per questo meno gradito, si accigliò. Credeva di essersi sbarazzato da un po' della ritrosia della ragazza, ma di fronte a quel nuovo atteggiamento non poté fare a meno di chiedersi se non avesse osato troppo, durante il loro ultimo incontro.
«Come sta la sua gamba, miss?» chiese in tono piatto.
«Bene, grazie» rispose lei. Tra i due si dilatò un silenzio spiacevole e stavolta fu Agathe a spezzarlo. «Ho saputo che ha conosciuto Penelope, la nonna di mio padre, alla festa degli Zimmermann. A quanto pare, la mia bisnonna la trova incantevolmente appetitoso» disse tra i denti.
Richard assottigliò appena lo sguardo, stuzzicato da una nota stonata che per un attimo aveva percepito nella voce di lei: il modo in cui aveva quasi letteralmente morso le ultime parole lo incuriosivano a morte. Che fosse gelosa?
Lusingato suo malgrado da quell'idea, l'uomo le scoccò un sorrisetto insieme a un'occhiata maliziosa.
«È vero, l'ho conosciuta» confermò. «Una donna di grande fascino, la sua bisnonna. Finalmente ho capito da chi lei abbia preso, miss» aggiunse con la voce più bassa di un'ottava, senza mai perdere il sorriso.
Agathe arrossì violentemente, ma si costrinse a non abbassare lo sguardo. Se quell'uomo pensava di poterla ignorare per una serata intera e poi rabbonirla con uno stupido complimento, allora si sbagliava di grosso!
«Scoprirà che ho ereditato molto altro dalla mia bisnonna. Sono altrettanto ostinata e di sicuro non mi faccio abbindolare da un paio di complimenti, tanto per dirne qualcuna» replicò secca.
Richard non riuscì a trattenersi e le si avvicinò, portando il volto a un soffio da quello di lei.
«Non sarà gelosa di me, Miss Williams!» la provocò.
Per tutta risposta Agathe gli pestò un piede con violenza inaudita e, furibonda, si voltò per andarsene: il gesto fu tanto repentino che la sua lunga chioma schiaffeggiò il volto del quarantaduenne, già piegato per il dolore.
«A quanto pare, dalla sua bisnonna ha ereditato anche l'istinto ad azzoppare le persone» grugnì lui.
«Non solo ad azzopparle» sibilò in tono feroce la ragazza da sopra la propria spalla.
L'uomo, per nulla propenso a lasciarla andare via, le arpionò la borsa con il manico ricurvo del proprio bastone da passeggio e la trascinò indietro.
«Che cosa sta facendo? Mi lasci andare!» bisbigliò furente Agathe mentre lui le passava un braccio intorno alla vita per tenerla ferma. Ignorando gli occhi di Richard, che erano saldamente appuntati sul suo volto, la ragazza si guardò intorno, preoccupata che qualcuno potesse vederli; tentò di sottrarsi alla sua presa, ma la stretta dell'uomo era simile a una morsa d'acciaio.
«È questione di un minuto, miss, non si agiti» disse noncurante Richard; anche lui temeva che qualcuno potesse vederli, ma una parte del suo cervello trovava quel piccolo rischio – unito alla confusione e alla stizza di Agathe – dannatamente eccitante. Serrò ancor di più la stretta sul corpo esile della ragazza che cercava di divincolarsi. «Venga a trovarmi stasera, a casa mia, miss, e per adesso io la lascio andare» propose con la massima calma.
«Mi scusi?» soffiò Agathe, gli occhi grigi ridotti a fessure: questo, unito ai capelli mossi che si erano scompigliati nei suoi tentativi di fuga e al tono di voce, agli occhi di Richard la facevano somigliare a una gattina arrabbiata.
«Casa mia. Stasera. Alle undici» rispose Richard. «Sempre se ne ha il coraggio, è ovvio. Lascerò l'ingresso di servizio aperto... lo stesso da cui è entrata come una furia una settimana fa» la prese in giro. Per un attimo esitò, poi decise che poteva osare un po' e le passò la punta della lingua sull'orecchio, facendola rabbrividire dalla testa ai piedi; dopodiché la lasciò andare e fece due passi indietro, conscio che da un momento all'altro Agathe avrebbe potuto frantumargli anche l'altro piede.
«Vada al diavolo, Prescott!» quasi gridò la ragazza mentre se ne andava.
«Ci pensi, miss» le gridò dietro Richard. «Potrebbe avere un altro assaggio... o potrei averlo io!»
Agathe, senza neanche voltarsi, gli rispose con un gestaccio della mano e girò al primo angolo che trovò sul suo cammino.
Vergognosamente allegro per averla fatta arrabbiare tanto, Richard fece roteare il bastone, fischiettò tra sé e decise che la biblioteca poteva aspettare: non credeva più di avere la concentrazione necessaria a effettuare un'ispezione, per quel giorno.
******
Agathe sbirciò con la coda dell'occhio la sveglia sul comodino. Grazie alla poca luce che filtrava dalle tende, riuscì a decifrare l'ora: le ventidue e quarantatré.
Sempre distesa nel letto, immobile e con le coperte tirate fino al mento, la ragazza tese le orecchie; sua madre era andata a dormire subito dopo cena, i domestici alloggiavano al piano terra e in serate come quella si ritiravano intorno alle nove, quindi quei leggerissimi scricchiolii che di tanto in tanto le sue orecchie coglievano e si facevano più forti non potevano che essere i passi pesanti di Evan su per le scale, diretto alla propria camera da letto.
Quasi a confermare la sua tesi, i passi si affievolirono mentre andavano verso l'estremità opposta del corridoio in cui si trovava la sua stanza; un battente fu richiuso con cautela e finalmente tutto tacque.
Veloce, ma attenta a non fare rumore, Agathe si alzò dal letto già vestita di tutto punto e si allungò a recuperare le scarpe e una minuscola borsa sotto il letto; infilò le prime ai piedi, mise a tracolla la seconda e aprì con cautela la portafinestra che dava sul balcone. Una folata di vento gelido la investì e Agathe maledisse di non aver preso una sciarpa né una giacca, ma ormai non poteva tornare dentro e mettersi a frugare nell'armadio: era tardi e non voleva rischiare di essere sentita.
La ragazza lanciò un'occhiata al prato alcuni metri più giù: era da un sacco di tempo che non lo faceva, ed era un po' nervosa.
Cauta, Agathe scavalcò la ringhiera del balcone prima con una gamba, poi con l'altra e, tenendo una mano serrata sulla protezione in ferro battuto, allungò l'altra verso la parete quasi compatta di caprifoglio che copriva quell'angolo della casa, ben sapendo che al di sotto della pianta si nascondeva un reticolato di metallo piuttosto solido: ricordava quando una decina d'anni prima era stato installato e come, all'epoca, un operaio di cento chili vi si fosse appeso per dimostrare che il peso della pianta non avrebbe mai potuto strappare quel sostegno dal muro.
L'unico problema era trovarlo, quel benedetto reticolato, visto che il caprifoglio era diventato così fitto da nasconderlo alla perfezione. La ragazza tastò inutilmente i rami più vicini alla ricerca di un appiglio; dopo un minuto buono, rassegnata, si allungò il più possibile senza mollare la presa sulla ringhiera e iniziò a scavare tra le foglie con la mano libera.
Alla fine, la sua ostinazione venne ricompensata: i suoi polpastrelli trovarono il freddo del metallo e Agathe ci si aggrappò con tutte le proprie forze prima di lasciare la ringhiera.
Con lentezza esasperante, tastando ogni punto più volte con le mani o con i piedi e grazie anche al quel po' di luce che arrivava da qualche lampione lontano e dallo spicchio di luna nel cielo, Agathe proseguì la propria discesa e, più tardi di quanto avesse desiderato, le suole delle sue scarpe toccarono il prato.
Ringraziando il cielo che la stanza dei suoi genitori non si affacciasse su quel lato della casa, Agathe corse al cancello e lo aprì, non troppo preoccupata: un paio d'anni prima Benedict, suo fratello, era tornato a casa per un weekend e, una volta tanto in pausa dalla modalità "fratello maggiore severo e protettivo", le aveva insegnato come oliare i cardini di quel piccolo cancello in modo da poter sgattaiolare fuori di casa senza essere smascherata dallo stridio del metallo. Agathe aveva fatto tesoro di quel particolare insegnamento e, non vista, oliava regolarmente quei cardini per essere pronta in caso di necessità.
Al pensiero di Benedict, la ragazza sorrise: era quasi certa che suo fratello avrebbe rimpianto di averle rivelato come uscire di casa senza essere pizzicata dai loro genitori, se avesse saputo che uso stava facendo di quegli insegnamenti!
Quando si fu richiusa il cancello alle spalle, Agathe tirò un sospiro di sollievo: almeno quella parte era filata via liscia. Nascosta nell'ombra, gettò un'occhiata all'orologio che portava al polso: segnava le ventidue e cinquantasei. Imprecando tra sé si mise a correre, grata che nella parte esterna dell'otto non ci fossero case per un isolato intero e della presenza delle piante in parte inselvatichite che la nascondevano con facilità.
Quando giunse dietro casa di Richard Prescott, Agathe si fermò per un minuto, titubante. Non era certa del motivo per cui stava facendo qualcosa di tanto stupido: magari l'aveva infastidita il modo in cui l'uomo aveva messo in dubbio il suo coraggio? Probabile. Ma quando le era capitato di sgattaiolare fuori di casa, per di più in piena notte, per andare in casa di uomo?
Mai, le rammentò una vocina nella sua mente. Perché di solito sei più intelligente di così.
La ragazza ignorò quella voce. D'accordo, non poteva essere soltanto la sfida implicita che lui le aveva lanciato: era davvero troppo, troppo poco per prendersi il rischio di far scoppiare uno scandalo di proporzioni epiche ed essere spellata viva da suo padre. Allora, magari, la noia stava avendo la meglio sul suo buonsenso, giocandole un brutto tiro insieme alla curiosità... o forse la verità era che quell'uomo era dannatamente affascinante e lei non riusciva a resistergli. Quale che fosse il motivo, ormai era arrivata fin lì: tornare indietro non avrebbe avuto senso.
Accantonati i dubbi che le agitavano la mente Agathe provò a spingere il piccolo cancello, ma quello non si mosse. Stupita e un po' offesa tentò di nuovo, stavolta con maggiore energia, ma il risultato non cambiò: il cancello era chiuso.
Sentendo la rabbia montare come un fiume in piena, la ragazza strinse le labbra e assottigliò lo sguardo; studiò il muro di cinta e masticò tra i denti una serie di improperi contro Richard mentre rifletteva sul da farsi.
«Pensi di potermi prendere in giro impunemente, stupido damerino dei miei stivali?» sibilò Agathe a nessuno in particolare. Con espressione battagliera, si rimboccò le maniche del vestito di lana e sistemò la borsetta che aveva a tracolla. «Adesso ti faccio vedere io».
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