Fiftieth Shade [R]
Lara e Thomas erano fermi di fronte al cancello della scuola e osservavano la strada che arrivava lì passando per l'otto.
«Pensi che verrà?» chiese lei, agitata.
«Non c'è motivo per pensare il contrario» rispose lui. «Guarda, eccola che arriva».
Agathe infatti stava coprendo con passo veloce i metri che ancora li separavano. Da quando i suoi due migliori amici erano usciti allo scoperto, rivelando a tutti che stavano insieme, lei e Lara avevano interrotto la loro tradizionale passeggiata mattutina verso la scuola. Non le dispiaceva: sapeva che quel momento sarebbe arrivato – molto presto, anzi, si sarebbero separate per andare al college – e aveva preso la cosa con notevole serenità.
«Tom, Lara, buongiorno» salutò tranquilla.
Lara la prese sottobraccio, mollando Thomas con tanta foga da sbilanciarlo. «Si può sapere perché non sei voluta venire a scuola con noi?» sibilò.
«Da quando è un problema?» replicò Agathe. Colse lo sguardo eloquente della sua migliore amica e sbuffò. «Ti comporti come se la partenza di Prescott avesse cambiato qualcosa...»
«La sua partenza ha cambiato tutto!» disse Lara. «Non vorrai farmi credere che l'hai dimenticato così in fretta!»
«Non l'ho dimenticato, ma è stupido comportarsi come se la sua partenza mi avesse sconvolta» rispose Agathe. «Sono sempre la stessa. Anzi, potremmo dire che sono più simile alla persona che ero prima di conoscere Prescott».
«Certo, come no» ribatté sarcastica Lara, squadrandola dalla testa ai piedi. «Proprio la stessa di prima!»
«Quante storie per un piccolo cambio di look!» tagliò corto l'altra. «Piuttosto, che fate oggi pomeriggio?»
«Studiamo?» ipotizzò ironico Thomas.
«E se invece vi proponessi di venire a Londra con me?» li tentò Agathe.
«Agathe...» esordì guardinga Lara, «che cos'hai in mente?».
«Niente di male» la blandì la sua migliore amica. «E dai, venite con me... abbiamo un sacco di tempo per studiare, lasciare i libri chiusi per qualche ora non ci ucciderà!»
«E io dovrei credere che sei la stessa di qualche mese fa?» sbottò Lara. «Quella Agathe non avrebbe mai proposto di andare a Londra invece di studiare!»
«Neanche questa Agathe lo farebbe» intervenne Thomas, rivolgendole uno sguardo calcolatore. «Scommetto che l'ha proposto solo perché ha già studiato tutto quello che ci hanno assegnato per i prossimi tre giorni!»
«E va bene, Tom, mi hai beccata» ammise la ragazza, alzando gli occhi al cielo in modo teatrale. «Ho già studiato tutto e scommetto che l'hai fatto anche tu. Lara non lo farà fino all'ultimo momento, come al solito... quindi che problema c'è?»
«Nessuno» rispose placido il ragazzo. «Andiamo a Londra».
******
Appena usciti dalla St. Margaret, Agathe consigliò agli amici di passare a casa e mettere qualcosa di più comodo, dando loro appuntamento di lì a mezz'ora. Puntualissima, trenta minuti più tardi passò a prendere prima Lara e poi Thomas, per poi imboccare a velocità sostenuta la strada per Londra.
«Si può sapere che hai in mente?» le domandò Lara per l'ennesima volta mentre entravano nella City.
«Cielo, pescetto, quando sei diventata così paranoica?» replicò la sua migliore amica. «Possibile che tu non riesca a fidarti di me?»
«Mi fido!» esclamò Lara in tono offeso. Agathe le scoccò uno sguardo scettico e l'altra allargò le braccia. «Okay, è vero, mi fido... ma non proprio come prima» ammise.
«Paranoica, paranoica, paranoica» canticchiò Agathe. Svoltò per l'ennesima volta e rallentò, osservando con attenzione i palazzi che si susseguivano lungo la via, per poi infilarsi nel primo parcheggio a disposizione. «Puoi rilassarti, mezza tedesca: siamo arrivati. La tua curiosità non sarà messa alla prova ancora a lungo!»
I tre ragazzi scesero dall'auto e Agathe andò dritta verso il portone di un palazzo: scorse i nomi sul citofono, poi pigiò un pulsante e bisbigliò nel microfono il proprio nome.
Il portone si aprì. Agathe entrò senza esitazioni seguita da Lara e Thomas che, al contrario, apparivano riluttanti. La loro confusione aumentò quando, invece dell'ascensore, la loro amica imboccò le scale che portavano al seminterrato: un lungo corridoio su cui si aprivano delle porte a intervalli regolari. Erano tutte chiuse tranne una, più o meno a metà del corridoio, da cui fuoriuscivano luce e voci.
«Ehilà!» salutò allegra, entrando e sfilandosi la giacca. Gli altri due rimasero a bocca aperta: erano in una stanza molto ampia e ben attrezzata in cui facevano bella mostra parecchi strumenti musicali. Vicino alle pareti c'erano alcuni divani e dei grossi pouf, e addirittura un piccolo frigorifero in un angolo. Alcune persone vagolavano già tra chitarre e amplificatori, alcuni bevendo birra, altri sgranocchiando patatine.
«Finalmente, mezza francese!» salutò una voce familiare. «Lara, Tom, ci siete anche voi!»
«Marco!» esclamarono i due fidanzati, increduli. «Che ci fai qui?»
Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Sono venuto a vedere le prove, come voi» rispose.
«Prove... di che cosa?» balbettò Lara.
«Della band, no?». Marco osservò le espressioni incredule dei due nuovi arrivati e poi agitò un dito con fare ammonitore in direzione di Agathe, intenta a salutare gli altri ragazzi. «Mezza francese, non avevi detto niente ai tuoi amici?»
«Volevo che fosse una sorpresa... e credo proprio d'esserci riuscita» sghignazzò lei. «Allora, ragazzi: loro sono Lara e Thomas, i miei migliori amici» disse, passando alle presentazioni. «Lara, Tom, loro sono Jack, Ridley, Brian e Scott, gli altri componenti della band» proseguì: uno alla volta i ragazzi li salutarono, offrendo loro qualcosa da bere o da mangiare.
«Agathe, come mai Marco è qui? Credevo avessi detto di non voler più uscire con lui» chiese sottovoce Lara alla sua migliore amica.
L'altra si strinse nelle spalle. «Ci siamo risentiti e abbiamo deciso che anche se il nostro tentativo di frequentarci non è andato bene, possiamo comunque essere amici...»
«Avanti ragazzi, diamoci una mossa» la interruppe Brian in tono burbero. «Dobbiamo provare!»
«E comunque, da quando fai parte di una band?» bisbigliò Lara ad Agathe in tono accusatorio mentre gli altri andavano ai rispettivi strumenti.
«Dopo che Prescott è partito, avevo bisogno di qualcosa che mi distraesse» replicò Agathe mentre osservava i ragazzi già schierati: Ridley alla batteria, Scott al basso, Jack alle tastiere e Brian alla chitarra. Quest'ultimo le scoccò un'occhiataccia e lei alzò le mani, affrettandosi verso il microfono e la seconda chitarra.
«Partiamo con Over my head» decise Brian.
Ridley, che stava per dare il tempo, si bloccò. «Brian, è la prima volta che degli amici di Agathe vengono alle prove» disse. «Perché non partiamo con un pezzo in cui è lei, a cantare?»
Agathe arrossì. Brian ci rifletté sopra per qualche istante, poi si strinse nelle spalle. «Va bene. Agathe, scegli il pezzo e cominciamo!»
La ragazza arricciò il naso, poi fissò Brian con aria di sfida. «Visto che vogliamo impressionarli, tanto vale partire con qualcosa di forte, no?»
«A te la scelta» ribadì Brian.
La ragazza si avvicinò a Ridley; i due parlottarono per qualche istante prima di prendere una decisione che accontentasse entrambi e battersi il pugno in un gesto cameratesco.
«Andiamo con Going Under degli Evanescence» disse la ragazza.
Il batterista impugnò le bacchette e diede il tempo; dalla chitarra di Brian spezzò si levarono i primi accordi in contemporanea alla voce di Agathe.
Lara sorrise e lanciò un'occhiata a Thomas, che sembrava basito. Per lei la performance di Agathe non era una sorpresa: lei l'aveva sentita cantare tante volte, ma capiva bene che per qualcuno come Thomas – che la ascoltava per la prima volta – potesse essere una sorpresa.
La voce di Agathe era ricca, corposa, avvolgente e lievemente roca; i toni più bassi sembravano risuonare nel petto di chi l'ascoltava come in una cassa di risonanza, mentre quelli più alti, limpidi e sicuri, davano la sensazione di una leggera scarica elettrica.
La band terminò la canzone e sulle ultime note Marco, Thomas e Lara applaudirono.
«Brava come sempre, mezza francese!» si complimentò il primo.
«Niente male davvero» convenne Brian: detto da lui, che era un perfezionista e aveva sempre qualcosa da ridire sulle prestazioni della sua band – e persino sulle proprie alla chitarra – era un gran complimento. «Sai come la penso, ragazza: dovresti considerare l'idea di farne un lavoro».
«Nah» rispose Agathe dopo aver bevuto un sorso d'acqua. «Mi piace cantare, ma l'idea di essere al centro dell'attenzione, di non avere più privacy...». Lasciò la frase in sospeso e si strinse nelle spalle. «Preferisco tenere un profilo basso».
«Un profilo basso? Conciata così?» considerò scettica Lara, indicando i jeans neri dell'amica che le aderivano come una seconda pelle, gli stivaletti bassi e la maglia grigia che le lasciava scoperta la spalla. Sul tessuto spiccava una vistosa collana di metallo, abbinata all'orecchino agganciato al lobo dell'orecchio sinistro, lasciato completamente scoperto dai capelli rasati cortissimi; sull'altro lato della testa, la sua chioma corvina scendeva giù fino a metà della schiena, creando un contrasto spettacolare. «E con quei capelli?»
«Quand'è che la smetterai con questa storia, pescetto?» chiese Agathe, esasperata. «Neanche avessi tagliato i tuoi, di capelli!»
«Sei così diversa» piagnucolò Lara.
«Tanto l'avrei fatto comunque: ci pensavo già da un po'» confessò l'altra. «Ne è valsa la pena anche solo per vedere la faccia disgustata di Gisèle!»
«A me sembra un'ottima motivazione» intervenne Thomas: la sua affermazione gli valse un'occhiata incredula da parte della sua fidanzata. «Cosa? Andiamo, è stata grande! Alla King è quasi venuto un colpo quando l'ha vista arrivare con metà della testa rasata. E la faccia di Davenport, poi? Uno spasso!»
«Anche secondo me sta bene con questo look» convenne Marco.
«Sentito?» sghignazzò Agathe all'indirizzo della sua migliore amica. «Forse dovresti considerare anche tu un cambio di look, pescetto... magari dopo la tua festa di compleanno!»
Lo sguardo di Lara si illuminò di una luce tutt'altro che rassicurante. «Canta alla mia festa!»
«Non ci penso nemmeno» ribatté Agathe. «Non ho voglia di discutere con tua madre, e sai che finirebbe così: detesta che qualcuno le rubi la scena. A proposito, sei sicura che non si offenderà, visto che la festa è per te e non per lei?»
«Perfida» commentò Thomas. «Con ragione» aggiunse, scorgendo l'espressione di Agathe.
«Che è, un salotto per vecchie signore, questo?» sbottò Brian. «Ragazza, conserva la voce per cantare e voialtri: farete meglio a stare in silenzio se non volete che vi sbatta fuori! E adesso andiamo avanti con la scaletta!»
******
«Allora, è stata tanto male questa gita a Londra?»
Era quasi l'ora di cena. Le prove erano finite da una mezz'ora e i tre ragazzi erano di nuovo diretti a Hersham, dopo aver promesso al resto della band di tornare presto per assistere ancora alle prove.
«Non male. Strana di sicuro» rispose Lara. «Stiamo quasi sempre nella nostra bolla ad Hersham, a studiare e intrattenerci tra di noi, e non avevo mai pensato a quante altre cose potessimo fare per passare il tempo. E poi non avevo mai assistito alle prove di una band». Sorrise. «Era un sacco che non ti sentivo cantare, Will. Mi mancava».
«E a me mancava farlo» ammise Agathe.
«Quando hai imparato a cantare?» le chiese Thomas.
«Ho preso lezioni per parecchi anni, da quando ne avevo sei fino a un anno e mezzo fa» rispose la ragazza. «Mia madre me l'ha imposto. E pretendeva anche che imparassi a suonare il pianoforte».
«Ricordo ancora le liti al riguardo» sogghignò Lara.
«Be', alla fine ha dovuto cedere» ricordò la sua amica con aria compiaciuta.
«L'hai convinta a non farti studiare pianoforte?» indagò Thomas.
«No, ma ho ottenuto di imparare a suonare l'organo al posto del piano» sghignazzò Agathe. «Se n'è pentita il giorno in cui ho attaccato un requiem nel bel mezzo della notte cantando a squarciagola!»
Lara rise fino alle lacrime. «Oh, me la ricordo, quella volta» disse. «Ero rimasta a dormire a casa tua e quando hai attaccato il requiem, si è sentito un urlo pazzesco dalla camera dei tuoi genitori». Si voltò verso Thomas, che era seduto sul sedile posteriore. «Sua madre arrivò correndo e inciampando ogni tre passi: aveva la faccia coperta da una specie di fanghiglia secca e urlava come un'ossessa... solo che il suono dell'organo copriva la sua voce!»
Anche il ragazzo scoppiò a ridere. «E Mr. Evan come la prese?»
«Mr. Evan» gli fece il verso Agathe, «arrivò con più calma ma altrettanto sconvolto: solo che, dopo aver zittito mia madre e averla sbattuta fuori dalla mia stanza, mi disse "Potresti mica suonare qualcosa di Bach? Visto che ormai siamo svegli e all'opera... tanto vale!"».
Tutti e tre risero di nuovo.
******
Quando rientrò a casa, Agathe trovò i suoi genitori già a tavola.
«Finalmente» commentò suo padre quando la vide entrare; Gisèle – ancora profondamente irritata per quel suo nuovo look, che definiva "da volgare borghesuccia" – la ignorò. «Avresti potuto chiamare e avvertire che avresti fatto tardi».
«Ero con Tom e Lara. Mi è scappato il tempo» spiegò la ragazza. Raggiunse Evan e gli scoccò un bacio sulla guancia. «Scusa, papà».
Nonostante si fosse accorto, con il suo occhio allenato di avvocato, che quella piccola manovra – la calma giustificazione, le scuse pronunciate con naturalezza, il gesto affettuoso e l'uso della parola "papà" – non fosse altro che un abile espediente per rabbonirlo ed evitare altri rimbrotti, Evan non poté fare a meno di sciogliersi, e sorrise bonario a sua figlia.
«Oh, be'. In fondo è solo un ritardo di qualche minuto» commentò sereno.
«Ma bene, giustifica sempre la sua maleducazione e il suo disprezzo per le regole di questa casa!» sibilò Gisèle.
Evan storse il naso e tornò a fissare Agathe. «Hai l'espressione di quando suonavi sempre l'organo» mormorò. «Urania, ti va di cantare qualcosa per me?»
Agathe sorrise. «Di cosa hai voglia?»
L'uomo rifletté per alcuni momenti. «Ulrica» decise.
Sua figlia annuì una sola volta, si riscaldò la voce per un minuto e si preparò a intonare una delle arie preferite di suo padre.
«Re dell'abisso affrettati,
precipita per l'etra,
senza librar la folgore
il tetto mio penetra.
Ormai tre volte l'upupa
dall'alto sospirò;
la salamandra ignivora
tre volte sibilò...
E delle tombe il gemito
tre volte a me parlò!»
Evan applaudì entusiasta.
«Uno splendido contralto. Penso ancora che sia uno spreco, che tu canti solo per me e te stessa» commentò.
«Sai come la penso. Non riuscirei a cantare solo questo per tutta la vita» rispose Agathe mentre sedeva a tavola e si versava un bicchiere d'acqua.
«No, ma potresti permettere ad altri di ascoltarti» replicò suo padre. «Piccolina, sai bene che sono appassionato di teatro e concerti, dunque quello che sto per dirti non ha niente a che vedere con il fatto che sei mia figlia, tienilo a mente. Ho sentito cantare molte persone, e raramente ho ascoltato qualcuno come te: hai una voce splendida e canti con una passione in grado di toccare chiunque». Le sorrise. «Il tuo canto scalda il cuore, Urania».
Agathe abbassò lo sguardo e arrossì. Evan era un perfezionista e raramente concedeva lodi del genere, perciò era un evento ricevere da lui un complimento simile. Lei lo sapeva bene, quindi tanto calore e tanto orgoglio la compiacevano e imbarazzavano in pari misura.
«Grazie, papà» mormorò.
Gisèle spostò la sedia con un gesto brusco e uscì dalla stanza con passo altero.
«Giuro che quando fa così non la sopporto» soffiò la ragazza.
Evan guardò con stanchezza prima sua figlia e poi la porta dietro cui era sparita sua moglie.
«Non pensarci» la esortò. «Cantami qualcos'altro. Canta l'aria che mi piace tanto della Cenerentola».
Agathe scosse la testa e sorrise suo malgrado.
«Nacqui all'affanno, al pianto.
Soffrì tacendo il core;
ma per soave incanto,
dell'età mia nel fiore,
come un baleno rapido
la sorte mia cangiò.
No no; tergete il ciglio;
perché tremar, perché?
A questo sen volate;
figlia, sorella, amica
tutto trovate in me.
Padre... sposo... amico... oh istante!
Non più mesta accanto al fuoco
starò sola a gorgheggiar.
Ah fu un lampo, un sogno, un gioco
il mio lungo palpitar».
Agathe intonò gli ultimi due versi dell'aria con un groppo in gola. Non sapeva per quale motivo, le era venuto in mente Richard: si era resa conto di non aver mai neanche canticchiato a bassa voce in sua presenza, e non poté fare a meno di chiedersi cosa avrebbe pensato lui della sua voce: se l'avrebbe apprezzata, se gli sarebbe piaciuto ascoltarla, se anche lui le avrebbe chiesto di cantare qualcosa in particolare.
La ragazza deglutì a fatica, ingoiando la tristezza e la voglia di rivedere lo storico, sotto gli occhi attenti di suo padre.
«Dovresti proprio lasciare che le persone ti ascoltino» ripeté Evan in tono sommesso, alzandosi da tavola. «Soprattutto chi ti permette di cantare così» aggiunse, fingendo di non notare le sguardo sbalordito di Agathe.
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