Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Eighty Fourth Shade [R]

Tre giorni erano trascorsi senza che nessuno tentasse di discutere di Leah con Damon.

L'uomo ne era felice: tutto quel gran parlare dei suoi ipotetici sentimenti che i suoi migliori amici avevano fatto non era servito che a renderlo tremendamente nervoso. Ormai aveva timore di qualunque cosa riguardasse la biologa: vederla, parlarle o anche solo sentirne parlare gli irritava i nervi in un modo che non avrebbe mai creduto possibile. Ovviamente Leah non ne aveva colpa... ma questo non cambiava ciò che Damon provava: soltanto se l'avessero finalmente lasciato in pace, permettendogli di rimettere ordine nella propria testa e nel proprio cuore, avrebbe potuto ricominciare a guardare la biologa per quello che era: una sua amica d'infanzia e la madrina di sua figlia, e nulla di più.

Certo, una vocina, dentro di lui, gli sussurrava che non era proprio così; che stava mentendo a tutti con scarso successo, e a se stesso con risultati disastrosi; ma l'altra parte di lui, quella terrorizzata alla sola idea di poter perdere Leah, ogni volta replicava vigorosamente, facendogli preferire l'opzione più semplice: tenere la bocca chiusa e lasciare che tutto restasse com'era. Neanche il pensiero che un giorno Leah avrebbe potuto innamorarsi – magari proprio di quel Matthew di cui parlava tanto, e la cui sola menzione bastava a metterlo di cattivo umore – poteva smuoverlo da quell'apatia scelta in totale consapevolezza: non aveva intenzione di rischiare. Punto.

Un sorriso un po' amaro gli stirò la bocca mentre si chiedeva se, nei mesi passati, anche Richard avesse convissuto con quella stessa battaglia interiore che lui stava sperimentando in quelle ultime settimane. Probabilmente era stato così; ricordava bene come il suo migliore amico fosse stato d'umore instabile per lunghi periodi, cupo e poi esaltato apparentemente senza alcuna ragione. Ora che si trovava – più o meno – nella stessa situazione, Damon iniziava a capirlo. Il timore e l'incertezza potevano far diventare pazzo il più razionale degli uomini; e se aveva sempre creduto che il matrimonio con Vivienne, burrascoso e fragile sin dal primo giorno, fosse il peggio, adesso che si trovava a lottare non contro un'altra persona, ma con se stesso, non poteva non ricredersi.

La porta d'ingresso si aprì e dopo pochi momenti Richard fece la sua comparsa in cucina, distogliendo il padrone di casa dai propri pensieri.

«Come mai qui?» chiese Damon a mo' di saluto.

L'altro scrollò le spalle; si sfilò la giacca e sedette al tavolo di cucina, allungando le gambe davanti a sé. «Mi ero stufato di stare chiuso in casa mia: Agathe ha da studiare e ci vediamo poco, e io non ho nessuna voglia di fossilizzarmi sui bilanci dell'agenzia di assicurazioni».

Damon lo guardò comprensivo. «Sai che comunque presto o tardi li dovrai controllare, vero?»

«Lo so, ma preferisco non pensarci e procrastinare finché posso» grugnì Richard.

Il suo migliore amico gli lanciò uno sguardo sardonico; poi, suo malgrado, sorrise. «Stare con Will ti fa bene: non ti ho mai visto trascurare un po' il lavoro senza essere divorato dai sensi di colpa».

«Stai dicendo che sono vecchio dentro?» replicò Richard.

«Sto dicendo che stai diventando più elastico: con vent'anni di ritardo, è vero, ma è sempre meglio di niente» rispose Damon.

Lo storico sorrise. «Forse sono troppo vecchio per comportarmi come un ragazzino».

«Nah» replicò l'altro. «Non si è mai troppo vecchi per ricordarsi di essere giovani e divertirsi: che sarebbe la vita, senza un pizzico di follia?»

«Tranquilla e gestibile?» tentò Richard.

«Piatta e noiosa» ribatté Damon. «In ogni caso, vedo con piacere che ti è passata l'ansia dell'altro giorno».

Richard gli lanciò un'occhiataccia. «Non ero ansioso».

«Ah no? Perché quando Alan ha fatto quell'accenno ai tuoi futuri figli, sei diventato bianco come uno straccio...» lo prese in giro Damon. «Sembrava stesse per venirti un infarto, ero già pronto a chiamare i soccorsi e tentare il massaggio cardiaco».

«Che spiritosone» bofonchiò l'altro. «E poi ti lamenti se io ti stuzzico riguardo a Leah? Certo che hai una bella faccia di bronzo».

«Tu non mi prendi in giro: tu fai insinuazioni prive di fondamento» ribatté Damon. «Io, invece, ti sfotto sulla base di fatti conclamati».

«Io non faccio mai insinuazioni prive di fondamento» replicò Richard con grande dignità. «Ed è per questo che sono certo che, in un futuro non molto lontano, sarai costretto a darmi ragione; e se anche non lo ammetterai a parole, ci penseranno i fatti a farlo».

«Spocchioso» mugugnò Damon.

«Testardo» rispose Richard.

Il padrone di casa si lasciò cadere su una sedia vicina al suo migliore amico. «Sai, a volte è ancora strano vederti felice insieme a una ragazza che potrebbe essere tua figlia o la mia, ma è bello: era da tanto, troppo tempo che non eri così spensierato. E anche Agathe sembra felice quanto te».

«Tu credi?» gli chiese Richard. «Qualche volta mi chiedo ancora se non ho sbagliato a insistere, con lei; voglio dire... è così più giovane di me, ci sono tante esperienze che non ha ancora avuto modo di fare... e ci sono momenti in cui la guardo e mi chiedo se stare con me non finirà per bruciare la sua giovinezza».

Damon si fece serio. «Be', sta a te impedire che questo accada» rispose lentamente. «Dovrai lasciarle i suoi spazi, perché abbia modo di tentare, sbagliare e riprovare con le sue sole forze; ma allo stesso tempo ci saranno sicuramente occasioni in cui potrai guidarla e aiutarla a conoscere il mondo. Non è detto che tu debba finire per farle bruciare le tappe; potresti, anzi, fare in modo che si risparmi dei dolori inutili e facilmente evitabili».

Richard sorrise. «Che farei senza il tuo buonsenso?»

«Ne hai fin troppo del tuo: anche senza di me, presto o tardi ci saresti arrivato» rispose Damon. «Magari ci avresti messo una decina d'anni, ma l'avresti capito, di questo sono certo».

«Molte grazie» commentò sarcastico l'altro prima di stiracchiarsi. «Che ne dici di offrirmi qualcosa da mangiare? Sto morendo di fame».

«Solo se prometti di non parlare di Leah» disse il padrone di casa.

«Per il cibo, questo e altro!»

******

Quando Agathe tornò a casa, nel pomeriggio, si aspettava tutto, ma non di imbattersi in suo padre.

«Papà» disse sorpresa dopo essersi scontrata con Evan sulla porta della cucina. «Che ci fai già a casa?»

L'uomo sbuffò e tornò sui propri passi, subito seguito dalla ragazza. «Avevo un'udienza in tribunale ma è stata spostata e, visto che in ufficio non c'era nulla da fare che richiedesse la mia presenza, ho deciso di prendermi una mezza giornata libera». Notò l'espressione sbigottita di sua figlia e sbuffò di nuovo. «Non fare quella faccia: ogni tanto anch'io ho bisogno di staccare la spina».

«A scadenza decennale, tipo l'Olandese Volante che può fare porto solo un giorno ogni dieci anni?» lo schernì Agathe. Evan si accigliò e lei si sforzò di trattenere le risate. «Non fare quella faccia, papà: ti stavo solo prendendo in giro».

Evan le agitò contro un dito con fare minaccioso. «Sta' attenta, signorinella: quest'impertinenza non mi piace».

«Oh, ma dai: nonna Penelope fa molto, molto, molto peggio» replicò la ragazza.

«Appunto: non voglia il cielo che tu finisca per diventare come lei» bofonchiò Evan. «Dio sa se non è sufficiente una Penelope, al mondo. Avercene due significherebbe andare incontro all'Apocalisse».

Agathe inarcò le sopracciglia. «Attento, papà: potrei riferirle quello che hai appena detto».

«Non farebbe che alimentare ancora di più il suo ego, sempre che questo sia possibile» rispose l'uomo, alzando gli occhi al cielo. «Penelope adora essere paragonata alle catastrofi naturali: la fa sentire onnipotente».

La ragazza soffocò una risata. «Be', un po' lo è: ottiene sempre quello che vuole».

«Quasi sempre» la corresse Evan. «Ancora non riesce a credere di non essere stata in grado di mandare a monte il matrimonio tra me e tua madre: credo che quella sconfitta le brucerà per il resto dei suoi giorni e probabilmente anche all'altro mondo...»

Stavolta Agathe non riuscì a trattenersi e scoppiò in una rumorosa risata. «Sono sicura che è così, ma immagino che sia una cosa positiva: almeno sa di non essere infallibile!»

«Dubito che lo ammetterà mai» commentò Evan. «La tua bisnonna è la quintessenza della superbia».

«Temo sia un male di famiglia» replicò allegramente Agathe. «Tra gli O'Brien, gli Williams e i Dubois, è una bella lotta a chi è più arrogante!»

Suo padre la soppesò con una lunga occhiata. «Se ragioniamo secondo la tua opinione, allora con te c'è da preoccuparsi, e molto, visto che nelle vene hai il sangue di tutte e tre le famiglie».

Agathe si posò una mano sul cuore con espressione sofferente. «Così mi ferisci: ero convinta di essere la personificazione della modestia!»

«Tu la modestia non sai neanche cos'è» decretò sicuro Evan. Aggrottò le sopracciglia, pensoso. «E neanch'io lo so. Né tua madre. Né tantomeno Penelope». Scosse la testa. «Abbiamo dato la vita a un mostro».

«L'importante è ammettere le proprie responsabilità» sghignazzò la ragazza.

Prima che Evan potesse ribattere un sonoro brontolio si levò dallo stomaco di Agathe e lui scosse ancora la testa. «Hai mangiato qualcosa, oggi?»

Lei si strinse nelle spalle. «Una mela durante l'intervallo».

«Ah, Urania, non imparerai mai» sospirò suo padre. Si sfilò la giacca, sbottonò i polsini della camicia e si arrotolò le maniche fin sopra i gomiti, per poi indossare un grembiule a righe colorate e andare dritto verso il frigorifero. «Mangiare è una necessità, non una scelta: saltare i pasti non ti fa bene, credevo l'avessi capito» aggiunse, scoccandole uno sguardo severo.

«Stavo studiando» rispose Agathe, scocciata. «Non dirmi che tu non hai mai saltato il pranzo o la cena quando eri particolarmente sotto pressione, al college, o adesso, durante le cause più difficili».

«Certo che l'ho fatto, e lo faccio tuttora» confermò Evan, accendendo i fornelli e iniziando a spadellare. «Io, però, sono tuo padre, ed è mio dovere farti la predica se non ti prendi cura di te stessa come dovresti».

A quelle parole Agathe rimase in silenzio per un bel po'; quando finalmente si decise a rispondere, fu solo per esternare un pensiero che la preoccupava ormai da qualche giorno.

«Papà» esordì esitante la diciottenne, «come... come ti sembra Ben, ultimamente?».

Evan, spiazzato dalla domanda, alzò lo sguardo e lo fissò su di lei. «In che senso, come mi sembra?»

Agathe tentennò per un momento: temeva di creare ulteriori problemi a suo fratello, ma non riusciva più a tenersi dentro quei pensieri e rimuginarci di continuo.

«Voglio dire... lo vedi tranquillo?». Si torse le mani, a disagio. «Ti sembra che sia... felice?»

Ormai dimentico delle padelle sul fuoco, Evan si voltò completamente verso sua figlia.

«Agathe» iniziò cauto, «c'è qualcosa che dovrei sapere?».

Lei scosse freneticamente la testa. «No, no, è solo... solo un'impressione che ho avuto, insomma, negli ultimi tempi l'ho visto un pochino... spento» tentò. Suo padre assottigliò lo sguardo, inchiodandola con gli occhi: era chiaro che non l'aveva convinto. «Ci ho parlato e mi ha detto di essere un po' giù» aggiunse precipitosamente.

In silenzio, Evan le voltò le spalle e finì di cucinare senza emettere un suono. Quando le ebbe messo di fronte un piatto colmo di cibo, sedette vicino a lei.

«Ura, piccola mia, ascoltami bene» esordì lentamente; Agathe lo fissò, inghiottendo una forchettata di cibo senza neanche battere le palpebre. «Tuo fratello è un uomo, ormai: un uomo con una vita ordinaria, talvolta sfiancante, ed è naturale che ci siano dei periodi in cui si senta annoiato. Succede a tutti; sarà così anche per te, anche se per ora non riesci a immaginarlo».

Agathe, che stava masticando un boccone di uova, deglutì e posò la forchetta.

«Non ho detto che è annoiato, papà: ho detto che non è felice» ripeté, scandendo con cura le parole e guardando dritto negli occhi suo padre. «Tu non lo vedi, che non è felice?»

«Tuo fratello ha tutto quello che ha sempre voluto – tutto quello che ha sempre detto di volere» replicò scettico l'uomo. «Non può essere infelice».

Sua figlia gli sorrise in un modo che lo colpì: era pieno di indulgenza e comprensione. Era il sorriso di una donna. «Tu sei sempre stato felice di quello che hai? Davvero non hai mai desiderato, neanche per un istante, di cambiare qualcosa della tua vita?»

Evan la osservò a lungo.

«Sì, l'ho desiderato più di una volta» ammise. «Ma io certe scelte...». Esitò, temendo di poter ferire Agathe. «Diciamo che alcune cose mi sono trovato a doverle fare prima di quanto avrei voluto, in tempi diversi e con sentimenti diversi. Benedict non si è mai trovato in questa situazione: ha potuto valutare le opzioni e scegliere la propria strada con tutta calma. Quindi come può non esserne soddisfatto?»

Agathe si strinse nelle spalle. «Non è detto che le scelte prese con calma e tranquillità siano necessariamente quelle giuste. Magari erano giuste prima; magari adesso Benedict è cresciuto, cambiato, e quello che prima andava bene per lui, adesso non gli è più congeniale».

Evan inarcò le sopracciglia. «E se anche fosse, che dovrebbe fare? Buttare all'aria tutto quello che ha costruito in questi anni e buttarsi a capofitto in chissà cosa?»

«Io credo solo che se non è più felice, allora dovrebbe fare tutto quello che è in suo potere per tornare a esserlo» replicò sua figlia. «Vuoi che diventi una persona amara e che odia il mondo? Vuoi che diventi come Gisèle?»

L'uomo sussultò, colpito da quelle parole e dalla punta di durezza con cui erano state pronunciate. Tuttavia, faticava a riconoscere la verità nelle parole di Agathe; o meglio, faticava a vedere come quella verità in quel momento si adattasse perfettamente ai sentimenti di Benedict. La convinzione che suo figlio fosse appagato dalla vita che si era scelto era tale da offuscare la realtà che aveva davanti agli occhi ogni giorno; eppure, il fatto che Agathe avesse deciso di parlargliene in modo così diretto, gli impediva di ignorare del tutto la cosa.

Prendendo un respiro profondo attraverso il naso, Evan si appoggiò pesantemente allo schienale della sedia. «Perché mi hai detto tutto questo?»

Agathe gli scoccò uno sguardo sorpreso. «Ben è mio fratello: non riesco a restarmene a guardare mentre sta male».

«Sta male, addirittura?». La preoccupazione di Evan svanì come nebbia al sole: a lui Benedict era sempre sembrato tutto sommato tranquillo e non poteva credere di essersi sbagliato a tal punto. No: doveva essersi trattato di un episodio che Agathe aveva ingigantito, concluse tra sé.

Quel pensiero era talmente evidente, nell'espressione di Evan, che a sua figlia non sfuggì.

«Considerala l'eccessiva apprensione di una diciottenne, se credi» disse la ragazza, tornando a mangiare per mascherare la delusione. «Io, quello che dovevo dire, l'ho detto».

Evan si accigliò. «Ma...»

Agathe lasciò le posate e spinse indietro il piatto. «Grazie dello spuntino, Evan. Adesso devo tornare a studiare» disse con voce piatta, alzandosi e andando verso le scale. Non appena fu in camera sua, chiuse con cura la porta e ripescò il cellulare dalla borsa, avviando una chiamata rapida.

La persona all'altro capo rispose al terzo squillo.

«Ben?». Agathe appoggiò la fronte al vetro della finestra e chiuse gli occhi, stanca. «Non arrabbiarti, ma... ho parlato con papà. Ho cercato di fargli capire che non sei più felice».

«Perché l'hai fatto?» esplose la voce arrabbiata di suo fratello.

«Perché so quant'è difficile trovare il coraggio di deluderlo» rispose piano Agathe. «Lui non lo accetta, non accetta niente che non sia quello che progetta o che desidera. Pensa che siano soltanto fantasie, che il tuo problema sia la noia e che io l'abbia scambiata per infelicità perché sono una ragazzina immatura e sentimentale».

Benedict tacque a lungo. «Se papà osservasse gli altri solo la metà di quanto fai tu, avrebbe capito almeno da un anno che questa vita non mi piace più».

Sua sorella scoppiò in una breve, amara risata. «Se ci osservasse, non sarebbe lui, e noi non avremmo questa conversazione».

Entrambi rimasero in silenzio per un po'.

«Credo di non aver mai capito davvero, fino ad ora, quanto sia difficile essere figli di nostro padre» osservò Benedict. «Come hai fatto a decidere di non assecondare i suoi progetti?»

«È semplice, Ben: io non ho voluto mai, nemmeno per un secondo, essere quello che lui desidera io diventi» rispose Agathe.

Suo fratello ridacchiò cupamente. «Forse sarebbe stato tutto più facile, se anch'io l'avessi capito a diciotto anni invece che a trenta».

«Non è mai facile, Ben. Non è mai facile» replicò Agathe. «È Evan a rendere tutto più complicato». Tacque per un momento. «Non farti scoraggiare da lui, Ben. Cerca di capire cosa vuoi, qual è la nuova strada che vuoi intraprendere, e appena sarai certo della tua scelta, non voltarti più indietro. Non sacrificare la tua felicità al suo orgoglio, ti prego».

«Non lo farò» rispose Benedict con fermezza. «Un giorno ripenseremo a questi momenti e potremo essere fieri di noi stessi, sorellina, te lo prometto».

Anche se suo fratello non poteva vederla, Agathe sorrise. «E io lo prometto a te. A qualcosa l'ostinazione degli O'Brien dovrà pur servirci, no?»

Benedict rise, finalmente con allegria, e Agathe si sentì un po' più leggera: se solo anche lui fosse riuscito a ignorare le pressioni della loro famiglia ed essere felice, non avrebbe potuto desiderare nient'altro.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro