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Eighty First Shade [R]

Il primo giorno di giugno portò a sorpresa delle ore roventi su Hersham.

Agathe era entusiasta e terrorizzata allo stesso tempo: le lezioni alla St. Margaret stavano per terminare – momento mai abbastanza atteso – ma questo significava anche che gli esami erano praticamente alle porte e, nonostante stesse studiando sodo ormai da settimane, continuava ad avere un giusto timore di quella prova.

Le sei del pomeriggio erano passate da poco quando Agathe si avviò verso casa: aveva appena terminato una sessione di studio particolarmente dura in compagnia di Thomas e Lara, e la possibilità di sgranchirsi le gambe – cosa che aveva bramato per tutto il pomeriggio – insieme all'aria tiepida di inizio estate la rinfrancavano tanto da farle venir voglia di canticchiare. Tempo un paio di minuti, e la melodia che stava intonando sottovoce divenne un canto a gola spiegata: non le importava di poter dare fastidio a qualcuno, o che tutti i suoi vicini di casa la credessero pazza. In quel momento Agathe era in pace con il mondo, e cantare era il suo modo di comunicarlo.

Quando arrivò di fronte a casa Prescott, trovò un Richard sorridente appoggiato al montante del cancello aperto, chiaramente in ascolto.

«Un giorno o l'altro dovrai cantare solo per me» commentò.

Agathe sorrise a sua volta.

«Sì, dovrei» convenne. Il suo sorriso si allargò ancora di più. «Qualche mese fa mi è capitato di cantare di nuovo per Evan; l'aria che mi aveva chiesto, in quel particolare momento mi spinse a pensare a una persona, e mio padre mi disse che canto con grande trasporto, e che avrei dovuto permettere alla persona che mi ispira un canto simile di ascoltarmi».

Richard affilò lo sguardo, sentendo la gelosia punzecchiarlo crudelmente. «E a chi pensavi?»

La ragazza scosse divertita la testa. «A te» rispose con dolcezza.

L'uomo sentì un groppo in gola; deglutì e le si avvicinò, guardandola con occhi ardenti. Allungò una mano per spostare una ciocca di capelli corvini che le indugiava sulla fronte, e d'istinto Agathe prese un respiro tremolante.

«Va tutto bene, qui?»

Agathe e Richard si voltarono in perfetta sincronia: proprio dietro di loro c'era Evan, ancora in auto e con il motore acceso. Sul sedile del passeggero era seduto Benedict, e ad Agathe bastò uno sguardo per accorgersi che suo fratello aveva un'aria tutt'altro che felice.

«Perché, come dovrebbe andare?» rispose sbrigativa a suo padre. «Ben, che ci fai qui a Hersham?»

«Oh, io e tuo fratello siamo tornati per portare delle carte a un cliente e già che ci siamo, abbiamo deciso che si fermerà a cena: Myra dovrebbe già essere a casa nostra, mi sembra di vedere la macchina di Ben nel vialetto» rispose Evan per lui. «Appena hai finito di parlare con Mr. Prescott vieni a casa. Richard, è sempre un piacere».

«Anche per me, Evan» rispose l'altro.

In silenzio, la coppia sul marciapiede osservò la Mercedes di Evan finire di percorrere l'otto ed entrare nel giardino di casa Williams.

«Meglio che vada: mio fratello non ha una bella cera e ho come l'impressione che gli servirà un po' di sostegno morale» disse la ragazza. «Passo domani dopo la scuola, va bene?»

«Ho da fare in ufficio: facciamo verso le quattro» replicò Richard.

«Alle quattro, allora». Non potendo fare altro, Agathe si accontentò di rivolgergli un bel sorriso prima di tornare a casa propria.

******

L'istinto di Agathe aveva indovinato al primo colpo.

Quando si era seduta al tavolo della cena insieme ai propri genitori, Benedict e Myra, la diciottenne si era resa conto quasi subito che quella cena, più che un'occasione per riunire la famiglia, era soltanto una scusa per interrogare suo fratello e mettergli un po' di pressione.

«Allora, Ben, dimmi» esordì Evan dopo aver toccato in modo vago altri quattro o cinque argomenti, «tu e Myra vi siete decisi a fare il grande passo?».

Myra arrossì un poco; Benedict invece cambiò colore, passando dapprima al pallore estremo per poi tingersi di un verdognolo malsano.

«Perché questa domanda?» chiese, teso.

Evan scrollò le spalle. «Be', mi sembra sia arrivato il momento: tu non credi? In fondo hai trent'anni, un buon lavoro e una bella compagna: quanto ancora vuoi aspettare a mettere su famiglia?»

Notando la sfumatura verdastra sul volto di suo fratello diventare più intensa, Agathe decise di intervenire.

«È bello ritrovarsi per stare tutti insieme in famiglia» disse. «Myra, è da un pezzo che non vedi i tuoi genitori o sbaglio?»

«Sono quattro mesi» confermò l'altra, malinconica.

«Be', sembra che la bella stagione sia finalmente arrivata» continuò Agathe. «Questo potrebbe essere un buon momento per andare a trovarli!»

«In effetti ho delle ferie arretrate» ammise Myra. «Se solo Ben potesse allontanarsi...»

Agathe fu lesta a rispondere, per evitare che suo padre si intromettesse. «Mi è parso di capire che questo sia un momentaccio, per lo studio: una valanga di lavoro da non crederci, papà se ne lamentava giusto ieri. Se aspetti che Ben si liberi, la vedo dura. Perché non vai da sola?»

«Ma...». L'altra donna esitò. «Be', io sto con tuo fratello. I viaggi dovremmo farli insieme» disse con dolcezza.

«Oh, non necessariamente» replicò Agathe con noncuranza. «Ogni tanto prendersi un po' di spazio fa bene, a maggior ragione visto che convivete e condividete tutto da quattro anni!»

Benedict le scoccò uno sguardo riconoscente; Myra, invece, non sembrava convinta.

«Oh, Ben, adesso che ci penso: mi hai preso quella cover per il cellulare che ti avevo chiesto?» inventò su due piedi Agathe.

Lui colse al volo le sue intenzioni. «Certo! Per fortuna te ne sei ricordata: io l'avevo completamente scordato. L'ho lasciata in macchina... mi accompagni a prenderla?»

«Come no».

Fratello e sorella uscirono chiacchierando di sciocchezze; non appena si chiusero nella macchina del maggiore, Benedict si lasciò andare contro il sedile e sospirò con forza.

«Senti, Ben se non vuoi più stare con Myra, è meglio che ti sbrighi a lasciarla» disse Agathe senza mezzi termini. «Lei si vede già sposata con te e madre dei tuoi figli: non puoi più tirarla per le lunghe».

«Non so come fare» confessò Benedict. «Non voglio ferirla».

«La ferisci di più se continui a ingannarla» commentò sua sorella. «E comunque non è che non sai come fare: è solo che hai paura. Quello che non so è: hai paura che lasciarla sia la scelta sbagliata, o solo che papà si infuri con te?»

«Certe volte sei proprio una stronza» sbottò Benedict.

«Dacci un taglio: lo sai che sono dalla tua parte» replicò sbrigativa Agathe. «Ben, sul serio, devi prendere una decisione in tempi rapidi, o rischi di ritrovarti sposato prima di capire come sia successo. Ed è meglio che non succeda affatto, secondo me: sareste entrambi infelici e nessuno dei due se lo merita».

«Lo so, lo so» disse frustrato suo fratello. «Ma non è facile! In fondo, neanche tu hai ancora detto a papà che non t'iscriverai a Legge, o sbaglio?»

«Io vivo ancora in casa sua e dipendo economicamente da lui» sbuffò la ragazza. «Riesci a immaginare che vita sarebbe, la mia, se glielo dicessi prima di andarmene?»

«Be', io ci lavoro insieme» ribatté Benedict.

«Puoi sempre cercare lavoro in un altro studio, ma piuttosto che perderti, si farebbe una ragione della tua rottura con Myra: questa è una cosa può accettare» commentò Agathe.

«Ti detesto» concluse insofferente Benedict, a corto di argomenti.

«Ma sì, ti voglio bene anch'io» rispose lei con grande tranquillità. «Adesso rientriamo, o capiranno che la nostra era solo una scusa per parlare a quattr'occhi».

******

Fermo fuori dalla villa del suo migliore amico, Damon suonò il campanello come ogni giovedì sera.

Un minuto più tardi, lui e Richard si affrontavano sulla porta d'ingresso.

«Come mai ti sei preso la briga di citofonare? Per caso hai perso le chiavi di casa mia?» lo prese in giro Richard.

«Oh, no: volevo solo farti provare l'ebbrezza del poter scegliere se aprire o meno agli ospiti» replicò Damon sullo stesso tono.

Lo storico gli rivolse una smorfia e lo lasciò entrare.

«Niente Will, stasera?» chiese Damon dopo essersi lasciato cadere sul divano del salottino.

«Cena di famiglia» rispose vago Richard, frugando nel mobile bar. «Credo che Evan sia passato a tormentare Benedict, in questo periodo».

«Vorrà sapere quando si deciderà a farlo diventare nonno» ridacchiò Damon. Batté una mano sul divano. «Restando in tema: posso stare seduto tranquillo su questo divano, o è stato testimone di qualche momento piccante tra te e Agathe?»

Richard alzò lo sguardo solo per un momento, riflettendo intensamente. «No, ancora no. Anzi, grazie per l'idea: rimedierò alla prima occasione».

Il volto dell'altro sbiancò. «Stavo solo scherzando!» ululò.

«Io no» rispose imperturbabile il padrone di casa. «Dai, non fare quella faccia: come se non fossi tu quello che ci ha interrotti, settimane fa...»

«Preferisco non pensarci» disse risoluto Damon. «In fondo Agathe per me è un po' come una figlia...»

«E allora a chi pensi? A quella che è effettivamente figlia tua?» affondò il colpo Richard.

Damon perse il poco colore che gli era rimasto.

«Che c'entra Lara?» chiese con voce strozzata.

Il suo migliore amico gli porse un bicchiere di brandy. «C'entra. Credi forse che pratichi la castità?»

«RICHARD!» urlò Damon.

«Cosa?» domandò l'interessato con indifferenza. «Non sei tanto ingenuo, di sicuro immaginavi già che fa sesso col suo fidanzato – fidanzato che ti sta simpatico e approvi senza riserve. Non vedo che ci sia di male, anche noi alla loro età...»

Damon si tappò le orecchie e iniziò a cantare a tutta voce. «Non ti voglio sentire, non ti voglio sentire, non ti voglio sentire!»

«Molto maturo» sbuffò Richard, dandogli un buffetto poco delicato sul ginocchio.

«Quando avrai figli, se mai ne avrai, capirai che intendo» mugugnò il suo migliore amico, lanciandogli un'occhiata storta. «E ti auguro di avere tutte figlie femmine!»

L'altro scrollò le spalle. «Potrei averne anche dieci, ma dubito comunque che sarei tanto irritabile al pensiero che facciano sesso: l'apertura mentale è uno dei miei pregi».

Damon gli sogghignò dritto in faccia. «Credimi, Rick: davanti all'eventualità che gli uomini facciano alla tua bambina quello che tu hai fatto con le donne, o che anche solo lo pensino, non c'è apertura mentale che tenga».

«Se lo dici tu» commentò Richard con aria di superiorità.

«Pregherò qualunque divinità esistente perché te lo faccia sperimentare» replicò Damon.

Finalmente i due amici sorseggiarono il liquore, sprofondando in un silenzio rilassato. Parecchi minuti dopo Richard si alzò, prese la bottiglia e si accinse a riempire i bicchieri per un secondo giro, ma l'arrivo di Agathe glielo impedì.

«Ohi! Richard!» esclamò senza fiato la ragazza, facendo irruzione nella stanza. Quando vide Damon, si diede uno schiaffo sulla fronte. «È giovedì, accidenti, me n'ero dimenticata» sbuffò.

Suo zio le sorrise divertito. «Tranquilla, Will, per qualche minuto posso prestartelo: basta che prima mi riempia il bicchiere» ghignò.

Agathe arricciò il naso e scoccò uno sguardo ridente a Damon, poi diede un colpetto in mezzo alla schiena di Richard. «Be', che aspetti? Lasci mio zio a patire la sete? Bel padrone di casa sei!»

Lo storico le rivolse una smorfia piuttosto eloquente, inarcando le sopracciglia; lei ridacchiò e Richard, scuotendo la testa mentre sbuffava una risata, ficcò l'intera bottiglia nella mano di Damon.

«Torno subito: vedi di non berla tutta» si raccomandò, seguendo Agathe in corridoio.

Attento a non farsi vedere, Damon si allungò sul bracciolo della poltrona e li spiò da uno spiraglio della porta: Agathe sembrava impensierita da qualcosa, lo capiva dal modo in cui continuava a spostare i capelli per toccarsi le orecchie. Richard, serio e concentrato, la ascoltava; le prese le mani per impedirle di torturarsi ancora i lobi, poi si chinò appena su di lei, fissandola negli occhi e mormorando qualcosa che Damon non poteva sentire. Lo vide scandire bene ogni parola e Agathe annuire con ampi gesti del capo; poi la ragazza prese un gran respiro e sorrise, felice e rassicurata. Anche Richard sorrise, con una gioia che Damon non gli aveva visto sul volto per parecchi anni; e rimase a fissarli anche quando Agathe si aggrappò alla camicia dell'uomo e lo trascinò verso di sé per baciarlo con passione.

Tornando a sedere comodamente nella poltrona e versandosi una generosa dose di brandy, Damon si ritrovò a pensare alla scena che aveva appena spiato: una scena rassicurante nella sua spontaneità, nella naturalezza con cui si era svolta. Una scena che non poté fare a meno di rivedere nella propria mente, con se stesso e Leah al posto di Richard e Agathe: si vide ascoltare paziente e con un pizzico di divertimento Leah che sbraitava e gesticolava esagitata; si vide oggetto dell'esasperazione di lei; si vide placarla stringendola tra le braccia e baciandola come aveva sognato di fare spesso, anni e anni addietro.

Damon buttò giù il resto del liquore in un sorso solo e se ne versò dell'altro, tentando di concentrarsi su qualcos'altro. Lo irritava, il modo in cui la sua immaginazione sfuggiva al suo controllo, prendendo strane direzioni quando meno se l'aspettava e, peggio ancora, prendendo spunto da particolari apparentemente innocenti. Quelle fantasie erano piacevoli, ma anche terribilmente pericolose: neanche sforzandosi riusciva a credere che Leah potesse nutrire un interesse nei suoi confronti, ed era assolutamente certo – come aveva ripetuto innumerevoli volte a Richard e Alan – che la loro migliore amica non lo vedesse che come un fratello, compagno di innumerevoli giochi da bambini e di goliardate adolescenziali. Insomma, la minuscola parte di lui che s'ostinava a pensare a un possibile futuro con Leah era subito frustrato dalle considerazioni razionali del resto del suo cervello, che gli rammentavano con sarcasmo quanto fossero futili e irrealizzabili quelle fantasie.

L'uomo sorrise amaro tra sé proprio mentre Richard rientrava.

«Siamo di nuovo soli» annunciò. Lo sguardo gli cadde sulla bottiglia tra le mani dell'amico. «E meno male che ti avevo detto di non berla tutta» commentò ironico.

«Non l'ho bevuta tutta: solo metà» tentò di discolparsi Damon.

«Sai che differenza» sbuffò Richard, strappandogliela di mano. Si buttò di peso nella poltrona e riempì il proprio bicchiere con aria esausta. «È da non credere quanto sia caotica la vita di quella ragazza» disse incredulo. «Quando non è lei, ad avere qualche problema, è sempre qualcuno che le sta intorno».

«Non mia figlia, spero, almeno per stavolta» replicò placido Damon.

«No, stavolta è suo fratello». Richard alzò gli occhi al cielo. «Anni di studio e sacrifici, e a trent'anni è già infelice della vita che s'è costruito».

«Meglio prima che poi» commentò sincero l'altro. «È più che in tempo per fare le correzioni del caso».

«Si è sempre in tempo per fare le correzioni del caso» obiettò Richard.

Damon gli sogghignò in faccia. «E tu ne sai qualcosa, non è vero, amico mio?»

«Anche tu dovresti saperne qualcosa» lo punzecchiò di rimando lo storico.

I due uomini si scrutarono con aria di sfida per qualche momento, poi scoppiarono a ridere in perfetta sincronia: la loro ilarità, corroborata dal brandy, si protrasse per parecchi minuti, lasciando entrambi esausti e senza fiato, ma allegri.

Finalmente rilassati, Richard e Damon bevvero ancora; la bottiglia finì; il padrone di casa ne aprì un'altra, e ben presto si immersero nei ricordi della loro gioventù. Persi in chiacchiere, non si accorsero dello scorrere del tempo: le due del mattino erano passate da un pezzo quando Damon, brillo e sfinito dalle risate, si appisolò sulla poltrona a casa dell'amico. E anche se Richard stesso stava scivolando nel sonno lì dov'era seduto, non gli sfuggì come dalle labbra addormentate del suo migliore amico fosse scivolato leggero il nome di Leah.

******

Il mattino seguente, quando si svegliò con il torcicollo peggiore degli ultimi dieci anni e un tamburo che gli suonava la carica nella testa, Damon ci mise un po' a rendersi conto di essere buttato in maniera scomposta in una poltrona della biblioteca di Richard.

Proprio mentre analizzava con disgusto il modo in cui la sua bocca era impastata dal brandy, il padrone di casa fece capolino dalla porta.

«Buongiorno, Bella Addormentata» sghignazzò. Entrò, portando il vassoio con la colazione. «Ti ho preparato un bel po' di caffè e dell'aspirina, o non ti rimetterai mai in sesto per andare al lavoro».

Con un gemito di gratitudine, Damon accettò la tazza di caffè forte che l'altro gli porgeva. «Il tuo brandy mi ha steso» mugugnò. «Com'è possibile che tu sia fresco come una rosa e in perfetta forma?»

«Perché a differenza tua, mi sono fermato prima di raggiungere il limite» rispose candidamente Richard. «Non abbiamo più vent'anni, amico: esagerare è fuori questione».

«Dillo alla diciottenne con cui esci» grugnì Damon in tono di scherno.

L'altro si accigliò. «Attento, o mi riprendo il caffè» minacciò.

Damon lo guardò con espressione ferita e si strinse la tazzina al cuore. «Non oseresti».

«Vuoi scommettere?» replicò Richard.

«No» bofonchiò il dottore, arrendendosi. «Mi rimangio quello che ho detto».

«Saggia decisione» commentò altero lo storico.

In silenzio, Damon bevve un'altra tazza di caffè e si sentì tornare lentamente alla normalità. Almeno, abbastanza da fare una domanda che l'aveva sempre imbarazzato.

«Senti, Rick, i miei ricordi di ieri sera sono un tantino offuscati» ammise, a disagio. «So che con te non devo preoccuparmi, ma... non ho detto niente di ridicolo, vero?»

Per un momento Richard considerò l'idea di rivelargli come, nel sonno, avesse chiamato Leah; poi scorse il volto tutto sommato rilassato e felice del suo migliore amico e non ebbe cuore di dirglielo, ben sapendo che questo avrebbe spazzato via ogni traccia di tranquillità.

«No, amico, non hai detto niente di ridicolo» rispose, fingendosi deluso. «Si vede che dovevo farti bere di più!»

Damon rise, sollevato, e Richard non riuscì a pentirsi della scelta fatta: era sicuro che, anche senza la sua intromissione, presto l'amico si sarebbe arreso a quello che provava.

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