Eightieth Shade [R]
Qualche giorno dopo la discussione con Alan, Agathe percorreva la biblioteca di casa Prescott come un leone in gabbia.
«Non ci posso credere. Non. Ci. Posso. Credere!» scandì furiosa.
Il motivo della sua rabbia era semplice: Richard le aveva appena riferito che il loro amico giornalista, in barba alle loro richieste, stava architettando nuovi modi per spingere Damon e Leah uno verso l'altra.
«Credici, invece» rispose Richard. «Ho provato a dissuaderlo, ma da quell'orecchio non ci sente: ha deciso di andare avanti anche se tutti gli abbiamo detto di non farlo».
«Io capisco che si comporti così perché vuole il bene dei suoi migliori amici, ma la sua tendenza a ignorare i desideri altrui convinto di agire sempre per il meglio inizia a infastidirmi» ringhiò Agathe. «Possibile che non si riesca a farlo ragionare?»
«Pare proprio di no». Richard aggrottò appena la fronte. «Ho tentato in tutti i modi: parlandogli ragionevolmente, minacciandolo... l'ho addirittura supplicato di smetterla, ma lui si è limitato a rispondere che anche se tutti ci siamo arresi, lui non lo farà».
«Lui combinerà un gran bel pasticcio, ecco che farà!» sbottò Agathe. «Il tuo amico ha bisogno di una lezioncina».
«Poveraccio» commentò Richard con nonchalance. La ragazza si voltò verso di lui con le sopracciglia inarcate e una smorfia sul volto, e lo storico scrollò le spalle. «Ho provato sulla mia pelle le tue lezioncine, quindi permettimi almeno di provare pietà per uno dei miei migliori amici».
«Anche lui le ha provate, ma a quanto pare non è bastato» bofonchiò Agathe. «Sembra proprio che Alan abbia bisogno di qualcosa di un po' più... drastico».
Stavolta fu Richard a inarcare le sopracciglia. «Quanto drastico?»
Agathe scoprì i denti in un ghigno perfido. «Più di quanto potrebbe mai immaginare».
******
Alan marciava attraverso Hersham con passo sostenuto, fischiettando un motivetto allegro. Quel giorno aveva deciso di tentare un nuovo assalto con Damon e, se l'amico non si fosse fatto convincere ad ammettere i propri sentimenti, di parlare chiaramente a quattr'occhi con Leah: era finito il tempo delle tattiche sottili e inconcludenti. Lui, Alan, sarebbe stato lo schiacciasassi lanciato a tutta velocità contro l'ostinazione e la cecità dei suoi amici.
Il giornalista, già preda dell'esaltazione al pensiero del proprio inevitabile successo, non si accorse della coppia che stava girando l'angolo fino a quando non si scontrò con un uomo.
«Mi scus...» esordì Alan, sentendosi morire le parole in gola quando alzò lo sguardo sul volto della persona che aveva urtato: il giudice Theodore Pearson lo fissava con aperto disprezzo e un'antipatia tanto profonda da essere quasi tangibile.
Benedict Williams ammiccò in direzione del giornalista e, dopo aver sussurrato una scusa banale al giudice, si dileguò.
«Mr. Bell» disse gelido Theodore, senza accennare a muoversi o a distogliere lo sguardo da lui. Alan iniziò a sudare freddo.
«Giudice Pearson» rispose, in difficoltà: il padre di Moses aveva sì e no sette anni più di lui, dunque non avrebbe dovuto essere tanto a disagio in sua presenza, eppure sapere che quell'uomo lo disprezzava tanto bastava a far sparire tutta la sua solita sfacciataggine e a farlo sentire un ragazzino di fronte a un adulto.
«Finalmente ci incontriamo» proseguì il giudice: la sua voce somigliava sempre di più a un inverno artico. «Da un po' desideravo parlare con lei, ma sembra essere un uomo molto sfuggente: a quanto pare, però, l'occasione si è presentata».
Alan non replicò: dopo aver buttato giù il telefono un paio di volte nel sentire a sorpresa la voce dell'uomo che ora gli stava di fronte, aveva preso l'abitudine di non rispondere mai a meno di non essere assolutamente certo dell'identità di chi lo stava chiamando, e ormai la sua segreteria era piena di messaggi rabbiosi e intimidatori di Theodore Pearson.
Theodore, del tutto indifferente al disagio del suo interlocutore e segretamente lieto di averlo turbato tanto, decise di partire subito all'attacco.
«Allora, Mr. Bell, lei crede di fare il bene di mio figlio, proseguendo questa relazione?» chiese a bruciapelo.
Quell'attacco frontale lasciò Alan senza parole.
«Io... io...» balbettò il giornalista.
«Lei... lei... cosa?» lo sbeffeggiò Theodore senza alcuna pietà. «Moses è un giovane uomo molto intelligente e, a quanto pare, anche molto sensibile: sta chiaramente attraversando un momento di profonda confusione e lei non lo aiuta, assecondando questa sua incertezza dal punto di vista... sessuale».
Quella era un'offesa che, per quanto in imbarazzo, Alan non poteva ignorare.
«Senta un po', Mr. Pearson» replicò quindi con aria battagliera, «a me non piace il suo tono, né quello che sta dicendo».
«Il mio intento non era di stringere amicizia con lei, dunque la cosa non mi turba affatto» disse sarcastico il giudice.
«Moses non sta attraversando nessun momento di confusione» proseguì mordace Alan. «Sono certo che a lei faccia piacere crederlo, ma le posso garantire che non è così: se fosse meno retrogrado e si fosse preoccupato di vederci insieme, se ne sarebbe accorto persino lei. Moses è innamorato di me e io sono innamorato di lui: se ne faccia una ragione!»
Theodore digrignò i denti: l'inizio di quella conversazione non l'aveva preparato a trovare resistenza.
«Dovrei rassegnarmi a lasciar traviare mio figlio da un uomo evidentemente molto più scaltro di lui, e a vedere la sua vita e la sua reputazione rovinate per sempre soltanto per i suoi desideri, Bell?» ribatté furioso.
Alan non era meno arrabbiato. «È stato Moses a cercarmi, a dichiararsi per primo, a voler stare con me: io lo ammiravo da tanto tempo, ma non avrei mai avuto il coraggio di avvicinarlo. Lui sa perfettamente chi è e cosa vuole, e non si fa scrupoli a prenderselo». Non poté trattenere un sorrisetto subdolo e irritante. «Anche questa è una cosa che saprebbe, ma sono lieto che la conoscenza dei momenti di intimità miei e di Moses le siano preclusi».
Il giudice impallidì, imbarazzato e ancor più furibondo. «Dovrebbe vergognarsi» disse, nauseato.
«Lei dovrebbe vergognarsi» rispose freddamente Alan. «Se la sua omofobia è tale da impedirle di essere felice per Moses, allora non posso dire altro se non che non merita di averlo come figlio: è una persona speciale, e ha diritto a qualcosa di meglio di un padre che non lo accetta per il suo orientamento sessuale». Fece per andarsene, ma ci ripensò: guardò il giudice a lungo, con malcelato disgusto. «E la prego di non importunarmi più con le sue considerazioni retrograde e omofobe: se mai dovesse desiderare di parlarmi ancora, prima si assicuri che il suo cervello sia arrivato al ventunesimo secolo e all'apertura mentale che ci si aspetta da un uomo colto e intelligente. Arrivederci, giudice Pearson».
Il giornalista girò sui tacchi e riprese la propria strada, talmente furioso da credere che sarebbe esploso da un momento all'altro. Non aveva fatto che pochi passi quando una mano lo afferrò, trattenendolo. Si voltò, incredulo: il padre di Moses lo stava guardando intensamente, ma senza più traccia di disprezzo.
«Lei ci tiene davvero» mormorò meravigliato Theodore.
«Certo che ci tengo» rispose piccato Alan. «Gliel'ho detto prima: io amo Moses. Ma forse lei ha problemi di udito e non ha capito le mie parole» disse a denti stretti.
Incredibilmente, il giudice non si offese; continuò a fissarlo, quasi stesse cercando le prove della menzogna scritte sul suo volto. Alla fine si arrese all'evidenza: Alan era sincero.
«Dio, mia moglie mi darà il tormento quando ammetterò che aveva ragione» sbuffò Theodore. «Dovrebbe passare a casa nostra, un giorno di questi: Victoria muore dalla voglia di conoscerla. Ma se può, cerchi di farle visita quando non ci sono io: non sono pronto per un fidanzamento ufficiale».
Alan rimase di sasso a guardarlo andar via con tutta la calma del mondo.
«Tutto qui?» gli urlò dietro. «Prima mi insulta e mi minaccia, e poi cambia idea così, come se niente fosse?»
Il giudice agitò una mano. «A caval donato non si guarda in bocca, Mr. Bell!»
L'altro si nascose il volto tra le mani, sconfortato. Ben presto, però, anche quel sentimento lasciò spazio a qualcosa di diverso: la rabbia. Solo che stavolta non era diretta verso Theodore Pearson, bensì a chi l'aveva messo sul suo cammino. Non era difficile scoprirne l'identità: Benedict Williams non poteva avere nessun motivo per fargli uno sgarbo simile, ma sua sorella sì.
E lui sapeva esattamente dove trovarla.
******
Agathe, seduta sull'antica scrivania di noce di Richard, dondolava i piedi e osservava lo storico che, seminascosto dietro la tenda, sorvegliava l'otto col proprio binocolo.
«Lo vedo» disse Richard all'improvviso, sporgendosi appena per avere una migliore visuale.
«Come ti sembra?» chiese la ragazza.
«Inferocito».
Agathe sorrise. «Quindi è andato tutto come previsto».
Non appena fu certo che Alan si stesse dirigendo proprio verso casa sua, Richard mollò il binocolo e corse alla scrivania. «Scendi» disse, tentando di spingere giù Agathe. «Fingiamo di non sapere perché è venuto qui così arrabbiato».
«Di sicuro sa che è stata opera mia» gli fece notare lei.
«Sì, ma sentirci negare l'evidenza lo farà esplodere» ribatté Richard. «E quando sarà in preda alla furia, incapace di ragionare lucidamente, potremo fargli la predica senza che riesca a trovare delle scuse per il suo comportamento».
La ragazza lo agguantò per la giacca e gli strappò un bacio breve ma intenso. «Sei così intelligente che non posso fare a meno di adorarti» ridacchiò.
Il campanello suonò.
«Eccolo». Lo storico si staccò da Agathe, raddrizzandosi la giacca. «Preparati. E ricorda: negare, negare, negare finché non dà di matto».
Richard uscì dalla biblioteca; Agathe lo sentì aprire la porta d'ingresso e risalire a tutta velocità.
«Non credi che sarebbe sembrato più naturale aspettarlo nell'ingresso?» bisbigliò lei, raggomitolata in una poltrona con un libro tra le mani.
«Di sicuro, ma non ho intenzione di affrontarlo da solo» sussurrò lui di rimando, scaraventandosi dietro la scrivania.
Si udirono dei passi pesanti e frettolosi sulle scale, e Alan apparve nel vano della porta: aveva i capelli scompigliati, il volto paonazzo e gli occhi che scintillavano minacciosi.
«Tu» esordì feroce, andando dritto verso Agathe; con un gesto rude le fece cadere di mano il libro e lei fu costretta a guardarlo.
«Ehi!» insorse Richard, oltraggiato per l'atteggiamento dell'amico sia verso Agathe che nei confronti del suo povero libro.
«Che vuoi, Alan?» chiese Agathe, fingendosi perplessa.
«Non fare la santarellina con me, Miss Williams» sbuffò inferocito il giornalista. «Lo so che è stata tutta opera tua!»
«Di preciso, cosa è stata opera mia?» chiese lei, recuperando il libro che stava leggendo.
«Avermi fatto incontrare il giudice Pearson» ringhiò Alan, strappandole di nuovo il tomo dalle mani.
«Oh» rispose Agathe. Si allungò per riprendersi il libro, ma Alan lo mise fuori dalla sua portata. Accigliata, sbuffò. «E cosa ti fa pensare che sia stata io a fartelo incontrare? Perché io sono qui già da un paio d'ore: Richard può confermarlo».
«Era con tuo fratello, che si è dileguato appena io e il giudice ci siamo trovati a tu per tu» sibilò Alan. «E Benedict non ha nessun motivo per giocarmi un tiro del genere».
«Come lo sai? Magari ha dei motivi suoi per avercela con te, o forse è geloso. Va' a sapere» obiettò lei.
«Tuo fratello? Ma fammi il favore» replicò sarcastico il giornalista.
«Quali che siano le tue convinzioni, non puoi dare a me la colpa per qualcosa che vede coinvolto mio fratello» tentò di farlo ragionare Agathe.
«Senti, bellezza, non provare a fregarmi» la mise in guardia Alan, arrabbiandosi sempre di più. «Ormai ti conosco abbastanza da riconoscere che in questa faccenda c'è il tuo zampino; e se a Moses sembra star bene che tu forzi in questo modo le situazioni che lo riguardano, io non lo accetto!»
«Non lo accetti quando sono gli altri a farlo a te, ma quando sei tu a metterti in mezzo nonostante ti sia stato chiesto di non farlo, allora non ci sono problemi?» gli ritorse contro Agathe con veemenza, alzandosi. I due si scrutarono torvi sotto lo sguardo attento del padrone di casa.
«Quindi è per questo che l'hai fatto? Perché non ti ho dato ascolto?» abbaiò Alan.
«No, l'ho fatto perché non hai dato ascolto a Damon!» berciò lei. «Hai visto quanto è brutto, essere messi in situazioni spiacevoli e imbarazzanti che si desidera evitare a tutti i costi? Anche agendo con le migliori intenzioni, si può finire per combinare dei disastri, ed è esattamente quello che stavi per fare tu!»
«Sei irritante» disse arrabbiato Alan.
«Non sono io: è avere torto, che fa quest'effetto!» lo schernì Agathe. «Se credessi ancora di avere ragione, continueresti ad addurre giustificazioni per il tuo comportamento!»
«Scusa se lo dico, amico, ma stavolta ha ragione Agathe» s'intromise cauto Richard. «Hai tirato troppo la corda, e io con te, fino a pochi giorni fa. Adesso sei arrabbiato con noi, ma un giorno ci ringrazierai: ti abbiamo evitato di litigare con Damon».
Alan si lasciò cadere sul divano. «Siete degli impiccioni» bofonchiò.
«Mai quanto te» rispose leggera Agathe, soddisfatta d'averla avuta vinta. «Adesso posso riavere il mio libro?»
******
Damon sbirciò fuori da uno spiraglio delle tende della sua camera da letto, paventando l'arrivo dei suoi migliori amici.
Conoscendo Richard e Alan, aveva i suoi dubbi sul fatto di averli convinti a desistere; specialmente per quanto riguardava il giornalista. In quel momento, poi, non desiderava altro che riposare: era tornato solo un'ora prima da un turno particolarmente duro all'ospedale e, dopo una doccia e uno spuntino veloce, voleva soltanto sdraiarsi su quel letto che lo chiamava invitante.
Aver visto che la strada era deserta l'aveva rassicurato: dopo aver indossato una vecchia tuta e una maglietta che aveva visto giorni migliori, l'uomo si buttò di peso sul letto e si sistemò il cuscino sotto la testa, gli occhi già chiusi.
Mentre scivolava nel dormiveglia Damon lasciò vagare una mano sull'altra metà del letto, trovandolo freddo e vuoto. Per un momento ripensò a quando lì c'era Vivienne, con le sue camicie da notte assurdamente piene di pizzi; poi l'immagine della sua ex moglie cambiò, trasformandosi gradualmente in quella di Leah, sorridente ed eccitante nella sua sensualità spontanea, di cui era inconsapevole.
Le labbra di Damon si piegarono all'insù. L'immagine di Leah prese vita: poteva quasi sentire la mano di quell'apparizione risalirgli lieve il braccio, accarezzargli la spalla e avanzare fino al cuore per sentirne il battito. Gli sembrava di sentire tutto, di lei: il respiro che gli solleticava l'orecchio, le dita impudenti che lo stuzzicavano attraverso la maglietta, i capelli fuori controllo che lo sfioravano.
La mano della Leah immaginaria scese più in basso e Damon aprì di scatto gli occhi, perfettamente sveglio. La sensazione indugiò ancora per qualche istante nella sua mente, poi svanì come nebbia al sole.
Incredulo e con un pizzico di vergogna, l'uomo si alzò. Non capiva come i suoi pensieri avessero potuto deviare in quella direzione: Leah era sua amica, erano cresciuti insieme, e immaginarla intenta a provocarlo era l'ultima cosa che sarebbe dovuta succedere. Se Richard e Alan avessero potuto sapere in che modo la sua stessa mente l'aveva appena tradito! Se l'avessero saputo, sarebbero ripartiti alla carica, più determinati che mai. Per fortuna, non c'era alcuna possibilità che lo scoprissero: avrebbe portato quel segreto nella tomba e, a meno di imparare a leggere il pensiero, i suoi migliori amici non l'avrebbero mai saputo.
Questa rassicurante certezza, però, non eliminava il problema, né dava risposte alle domande che la sua mente stava sfornando a ritmo sostenuto, tra cui una spiccava su tutte: perché il suo inconscio aveva deciso di dipingere Leah in quegli atteggiamenti?
Quale che fosse la risposta, però, una cosa era certa: doveva estirpare quegli strani pensieri e quelle fantasie fuori luogo, evitare che la sua mente indugiasse su quelle immagini. Doveva tenere a bada il suo subconscio a tutti i costi: altrimenti, come avrebbe potuto guardare Leah negli occhi? Sapeva che non ci sarebbe riuscito, se i suoi pensieri avessero proseguito lungo quella strada.
Rinfrancato dalla decisione appena presa, Damon tornò a sdraiarsi, stando bene attento a pensare a tutt'altro. Lentamente si addormentò, e al risveglio non avrebbe ricordato il sogno in cui Leah dormiva con lui in quello stesso letto.
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