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«Vuoi entrare alla Yuuei?! Sei impazzito per caso?!» Rea squadrò allibita da capo a piedi suo fratello, il quale se ne stava immobile a braccia conserte davanti a lei. Con un colpo secco la ragazza aveva sbattuto la mano sul tavolo da pranzo, causando la nascita di un fragore sordo e mettendo così in bella mostra i due fogli tenuti sino ad un istante prima tra le dita e ora ridotti ad un ammasso di carta spiegazzata grazie alla sua presa ferrea.

Cercò in ogni modo di contenere il leggero tremolio che aveva iniziato a pervaderle l'intero corpo, mentre agli angoli degli occhi impercettibili lacrime argentee si ritrovarono inevitabilmente perse, mischiate a forza al grigio delle sue iridi ogni qual volta la mora s'imponeva di tirare su col naso per ricacciarle dentro.

Avrebbe di gran lunga preferito rimanere con la vista appannata piuttosto che concedere loro il permesso di uscire davanti ai più piccoli.

Non aveva il minimo dubbio al riguardo, e Ren lo sapeva.

Così come sapeva che le lacrime ed i brividi che tanto fervidamente s'imponeva di nascondere non fossero causati dalla rabbia, bensì dalla paura.

Lei era terrorizzata.

Sia per lei, che per la sua famiglia e ciò che poteva succedergli.

«Yuri.» Il diretto interessato si voltò al richiamo del maggiore. Quest'ultimo gli aveva lanciato un'occhiata autorevole, indicando poi con una mossa del collo la porta scorrevole in legno da cui si arrivava al soggiorno. Lui recepì all'istante il messaggio ed annuì in un gesto d'intesa.

Afferrò quindi la mano di Yue che nel mentre osserava la scena confusa e la trascinò fuori, ignorando i suoi capricci ed intimandole di stargli ad almeno un metro di distanza sul divano vista la bocca ancora unta di salsa: in caso contrario, l'avrebbe trasformata in una nuvola col suo quirk pur di evitare di sporcarsi.

Finalmente soli, tra i due la prima a riprendere coscienza della situazione e infrangere quel muro di silenzio fu proprio Rea.

«Papà è d'accordo?» Domandò. La voce spezzata ma decisa.

Ren portò un braccio dietro la nuca, accarezzandosi i capelli. «Non all'inizio. Dopotutto è una scuola costosa e mi toccherà fare l'esame per la borsa di studio per entrare. In effetti, mi ci è voluto davvero un bel po per convincerlo.» Ammise, e giurò di aver sentito l'accenno di una risata venir fuori dalla bocca della sorella.

«Chissà mai perché.» Lo canzonò, e non vi erano dubbi sul fatto che solamente un sordo non sarebbe stato in grado di riconoscere il ben poco accenno di sarcasmo con cui aveva pronunciato quelle parole, mentre non contenta gli riservava un'occhiata che lui conosceva ormai alla perfezione, e che mai aveva fallito nel proprio scopo d'incutergli timore.

Fu lì che Ren si sentì un'idiota. In quel preciso momento. Aveva abbassato la guardia e lei non aveva perso tempo ad approfittarsene. Se lo doveva aspettare.

Infondo, era sempre così con lei.

Nell'istante in cui capiva di essersi esposta troppo, di aver dato un'immagine di sé fin troppo vulnerabile, ecco che partiva al contrattacco utilizzando la sua unicità per riavere il dominio della situazione.

Gli altri preda, lei predatrice. Doveva ammetterlo: mai nessun quirk era stato più azzeccato per qualcuno.

«Sei sleale.» L'accusò, fissandola in quegli occhi felini ora splendenti di uno scintillio maligno.

Ogni singolo arto tremò e le gambe divennero pesanti quanto macigni, dandogli come l'impressione di essere state legate a catene invisibili che contro la sua volontà gl'impedivano di accennare il benché minimo passo.

«Forse, ma ai bugiardi bisogna rispondere da imbroglioni.» Ren attinse ad ogni briciolo di forza di volontà di cui disponeva.

Anche muovere un solo dito gli sarebbe bastato, ma ogni sforzo si rivelò infine vano.

Normalmente avrebbe fatto ricorso al suo quirk per annullare in men che non si dica l'effetto di quella paralisi, tuttavia sebbene il corpo fosse in allarme, la mente sapeva bene che con sua sorella non vi era il pericolo di una reale minaccia. Di conseguenza, tutto ciò che poteva fare era stringere i denti e rassegnarsi all'idea di essere costretto ad attendere paziente il momento in cui lei, e soltanto lei, l'avrebbe liberato.

«Tu dai a me del bugiardo?! Con che coraggio ci riesci dopo oggi?!»

«Te l'ho già detto, quel ragazzo se l'è meritato. La mia coscienza è pulita.» Aveva dichiarato, per poi lasciarsi andare ad uno sbuffo.

«Ma davvero?» Un sorriso sghembo nacque sul volto del fratello. «Quindi, se ora papà si svegliasse e chiedesse da dove viene tutto questo cibo, non avresti problemi a dirgli la verità iniziando dallo spettacolo che hai messo in scena oggi, vero? Anche perché l'hai detto tu stessa, no? Non hai fatto nulla di male.»

Silenzio. Un minuto buono passò, ma di un accenno di risposta non vi fu alcuna traccia. Il tempo in quella cucina sembrava essersi interrotto, congelato allo scopo di immortalare in eterno la visione dei due gemelli impegnati a fissarsi a vicenda; la loro era una gara di sguardi di cristallo, una gara a cui nessuno dava l'impressione di voler rinunciare.

In particolare il maggiore, il quale talmente concentrato nel raggiungere la vittoria, non si accorse che la luce maligna negli occhi di Rea fosse svanita.

Aveva annullato il suo quirk. Poteva di nuovo muoversi.

«Coscienza pulita, eh?» Fu la prima cosa che gli venne in mente e subito un ghigno divertito delineò le sue labbra.

«Vaffanculo!» Gridò lei. «A te e a quella scuola del cazzo. Finirà col metterci tutti in pericolo!»

«Ugh, rieccoci con la paranoia...»

«E comunque si può sapere da quand'è che vuoi fare l'eroe?! Prima che tornassimo qui non avevi mai-»

Si bloccò. La crudele mano d'acciaio della consapevolezza l'aveva colpita in pieno viso con uno dei suoi attacchi più feroci, di conseguenza le parole furono svelte a morirle in gola. Quasi immediate. Si sentì un'idiota.

Come aveva potuto non rendersene conto prima?

Come aveva fatto ad essere così cieca?

Eppure la risposta giaceva proprio lì, in quegli occhi che soltanto ora capiva si differenziavano dai suoi non solo per il colore, ma anche per l'emozione celata al loro interno.

Colpa.

«Ti senti responsabile per quello che è successo, non è cosi? Per la mia prima morte.» Sussurrò, col capo ora chino dalla vergogna. Una parte di lei voleva convincersi che meno alto fosse stato il proprio tono, più dolore avrebbe risparmiato ad entrambi nel nominare il fantasma del ricordo di quella notte.

«È da tre anni che sono in debito con te, Rea. È ora che lo ripaghi.»

Quest'ultima stava per dirgli che non esisteva alcun debito fra loro e che anzi, se solo si fosse azzardato a ripetere una cazzata del genere, gli avrebbe infilato la spugna con cui aveva appena lavato i piatti in bocca pur di fargli chiudere il becco.

Tuttavia, ogni buon proposito venne alla svelta messo in un angolo quando dal corridoio l'imponente figura di loro padre fece capolino in cucina.

Occhi azzurri e stanchi, mano tra i capelli neri scompigliati e fisico muscoloso abbigliato con un pigiama a maniche corte, il quale mostrava alla perfezione il tatuaggio che ricopriva l'intero braccio sinistro arrivando fino al retro del collo.

Di certo se voleva continuare a dimostrare di avere appena trentacinque anni, lo stava facendo benissimo.

«Si può sapere cos'avete voi due da urlare tanto? Credevo che una volta superato il periodo biberon uno potesse finalmente dormire in pace. Guardate che più tardi ho un doppio turno in ospedale, e preferirei che nessun paziente morisse d'infarto a causa delle mie occhiaie da spavento.» Detto ciò sbadigliò sonoramente, strofinandosi le palpebre chiuse con pollice e indice.

Quest'ultimo dito nello specifico, catturò l'occhiò dei due ragazzi un attimo prima che si rivolgessero l'un l'altro uno sguardo complice.

Neanche oggi si è tolto l'anello.

«Scusa, papá.» Risposero in coro.

«Le altre due furie?»

«Salone. Anche se sembrano fin troppo silenziosi per essere ancora vivi.» Scherzò Ren, alleggerendo quell'atmosfera divenuta fin troppo tesa e pesante. L'uomo rise della battuta, per poi cambiare totalmente espressione una volta accortosi dell'ora riportata sull'orologio agganciato alla parete.

«Merda, è tardi! Mi dispiace, vi preparo subito-»

«No, no, tranquillo! Abbiamo già cenato.»

«Oh...davvero?»

«Già. Un amico di Rea ha offerto da mangiare.» Concluse infine, ghignando un attimo prima di ricevere una gomitata allo stomaco che per poco non gli fece salire anche il dolce all'altezza dell'esofago.

«Un amico? Un maschio, intendi?» Lo sguardo dell'uomo s'incupì, la fronte corrucciata ed il corpo rigido mentre poggiava entrambe le mani sulle spalle della figlia. «Cosa ti ho detto sui ragazzi? A meno che io non li conosca, devi evitarli fino ai diciott'anni!»

«Ma ne ha sedici. Se ricordo bene, la mamma non aveva solo un anno in più quando è rimasta incinta?» S'intromise ancora una volta Ren, affondando il coltello nella piaga e riuscendo però stavolta ad evitare una seconda gomitata.

«Hai ragione...» Suo padre riflettè attentamente, osservando un punto indefinito all'interno della stanza. E quando arrivò a ciò che sembrava la soluzione al proprio dilemma si abbassò all'altezza della mora, incrociando il proprio sguardo al suo. «Fino ai 20, allora!»

«EH?!» Urlò lei sconvolta, gettandosi addosso al fratello con l'intento di levargli una volta per tutta quella smorfia divertita a suon di pugni.

Aveva mollato la presa sui fogli tenuti in mano per tutto quel tempo abbandonandoli sul pavimento, tuttavia suo padre li riconobbe all'istante.

Quindi anche lei ora lo sa. Pensò mentre li raccoglieva.

Aveva infatti appena finito, quando disse una semplice frase che ebbe il potere di far smettere l'ennesima rissa tra gemelli a cui, dalla loro nascita, era stato costretto ad assistere.

«Oh, Rea a proposito. Dovrai accompagnare tu Ren settimana prossima all'esame per la Yuuei.»

La ragazza subito scattò sull'attenti. «Cosa?!»

«Sei pazzo?! Se lei mi accompagna di sicuro farà qualche malocchio per portarmi sfortuna!» A quella lamentela, Ren si guadagnò una tirata di capelli dalla sorella.

«Mi stai dando della strega, imbecille?!» Lui in tutta risposta le riservò lo stesso trattamento, e i due andarono avanti così per un po.

O almeno, fino a quando non vennero divisi a forza dal padre, ormai esasperato e con le dita a reggersi il ponte del naso mentre scuoteva la testa.

«Ne ho abbastanza! Lamentatevi pure quanto volete, tanto lunedì andrete insieme alla Yuuei. Che vi piaccia o no!» Decretò con aria imperiosa, segnando la fine del loro breve momento di ribellione.

«E quando sarete lì, cercate loro.» La loro attenzione venne presto catturata da una vecchia fotografia. Sebbene in realtà, non vi fosse molto da dire su di essa a loro parere; non era nient'altro che l'ennesima foto ricordo di loro due da piccoli, in braccio a quelli che sembravano gli ennesimi parenti di cui non ricordavano minimamente l'esistenza.

«Chi sono?»

«Due vecchi amici. Siamo stati compagni di classe fino alle medie, ma anche avendo fatto licei diversi siamo comunque riusciti a tenerci in contatto...o perlomeno, così è stato prima che ci trasferissimo a Okinawa.» Una fugace scintilla di tristezza mista a nostalgia gli attraversò lo sguardo, accompagnato dalla nascita di un sorriso amaro.

«Questo è uno dei pochi ricordi che avete con loro. A quel tempo erano nel pieno della loro carriera da eroi, quindi per motivi di sicurezza era più saggio avere meno foto insieme. Ma di recente ho saputo che insegnano entrambi alla Yuuei e, dato che siamo tornati in città, vorrei che almeno voi andaste a trovarli.»

In automatico, da ambedue i ragazzi venne fuori un verso di sgomento. Non ricordavano di aver mai ascoltato con tanto interesse un racconto del padre.

«Vuoi dire che loro potrebbero essere i miei futuri insegnanti?! Come si chiamano?! Che quirk hanno?! Sono forti?! Hanno sconfitto molti villain?! Raccontami tutto, presto!» Ren saltellava su e giù sul posto, elettrizzato da questa nuova rivelazione al punto da agitarsi come una trottola impazzita il cui materiale di fabbrica aveva tutta l'aria di essere adrenalina mista ad ecstasy.

«Ecco...direi che è meglio iniziare coi nomi.» Per primo, indicò l'uomo con in braccio un Ren di circa quattro anni; aveva lunghi capelli neri fino alle spalle, lo sguardo stanco, una barba corta e degli abiti neri che consistevano in una maglia a maniche lunghe e pantaloni del medesimo colore. Tuttavia, la cosa che trovò maggiormente bizzarra fu la sciarpa che portava attorno al collo.

Aveva visto male, o era composta da dozzine di fascie bianche?

«Lui è Shouta Aizawa.» Rivelò muovendo poi l'indice sull'altra figura, la quale aveva Reika tra le braccia ed un enorme sorriso stampato in faccia.

Al contrario del primo, i suoi capeli biondi erano decisamente più lunghi e dall'insolita forma a spaghetto. Hizashi Yamada: era quello il suo nome.

«Ora figliolo, lascia che ti dia un consiglio per l'esame.» Ren annuì, tornando di colpo serio alla velocità di uno schiocco di dita.

«Non ho idea di come esso si svolgerà, ma posso dirti questo: Aizawa è un tipo che non fa né remore, né sconti a nessuno. Inoltre sarà sicuramente il più selettivo sugli studenti da ammettere, quindi fossi in te metterei in mostra il più possibile la mia unicità e, cosa ancora più importante, eviterei di ricordargli di quando a due anni gli hai fatto la pipì addosso.»

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