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«Ecco i vostri Okonomiyaki, le due vaschette di Tori no karaage, gli Yakitori misti senza salsa e la confezione di Dorayaki. In tutto sono cinquemila Yen.» A parlare fu il responsabile di quello che era un piccolo ristorantino all'aperto in centro città. Lesse più volte lo scontrino aggiustandosi ripetutamente la montatura degli occhiali allo scopo di essere certo di non aver dimenticato nulla, consegnando infine le buste piene di cibo alla ragazza mentre un sorriso sbucava dai folti baffi neri. Lei si limitò a fare un cenno col capo, voltandosi un istante dopo in direzione del biondo.
«Bé, cosa fai lì immobile? Hai sentito, no? Paga.» Disse, mettendo particolare enfasi sull'ultimo termine. Non glielo stava dicendo, ma ordinando. E sebbene il suo sguardo fosse impassibile, la minaccia che vi si celava dietro era più chiara di quanto potessero mai essere quegli occhi di vetro dalla forma affilata.
Ubbidisci o ti uccido.
E lui ubbidì.
«Sentite...siete certi di non aver bisogno di un'ambulanza?» Aveva appena rimesso il portafogli in tasca, quando sentì l'uomo pronunciare quella frase con evidente preoccupazione nella voce.
In effetti, Bakugou si rese conto solo in quel momento di non aver minimamente pensato a quanto potessero risultare spaventosi agli occhi altrui conciati in quel modo; lei col volto rigato di rosso in ogni parte e del sangue ormai secco tra i capelli, e lui coi pantaloni della divisa macchiati fino alle ginocchia. Senza contare la spalla sinistra su cui la mora gli si era poggiata per l'intero tragitto mentre lui, rigido come un blocco di marmo, si era limitato ad avanzare un passo dopo l'altro in religioso silenzio.
Fu questa la ragione per cui una volta alzata la testa non fu per nulla stupito dalla scomparsa del sorriso dell'uomo, ormai sostituito da una smorfia corrucciata.
«Oh, no! Gliel'ho detto, è sangue finto!» Si affrettò a rispondere lei agitando le mani con vigore, per poi, con una lentezza inquietante, aprire le labbra sino a creare un sorriso tanto falso quanto da brividi, il cui destinatario era proprio il ragazzo al suo fianco.
«Non è vero, Bakugou?»
Terrore. Ecco l'unica emozione abbastanza potente da descrivere al meglio cosa stesse provando in quel momento, ascoltando quell'unione di lettere di sua proprietà uscire dalle labbra dell'ultima persona che avrebbe voluto, mentre una paura viscerale sembrò paralizzargli ogni singolo arto dalla punta delle dita fin sopra i capelli.
Lo aveva chiamato per nome. Conosceva la sua identità e chissà cos'altro sul suo conto.
Possibile che fosse anche ciò merito del suo quirk? Cos'altro avrebbe dovuto temere di quell'unicità? Ma sopratutto: chi era davvero quella ragazza?
«G-Già...noi...e-ecco noi siamo nel...nel club di teatro della scuola.»
Merda! Smettila di balbettare, idiota! Crederà tu abbia paura di lei.
«Oh. Capisco.» Asserì l'uomo, decretando così la fine di quel discorso e lasciandoli liberi di andare.
I due ragazzi passeggiarono con andatura lenta lungo le trafficate vie di Musutafu.
La pioggia aveva ormai smesso di tormentare i tetti dei grattacieli col suo violento tocco, lasciando come uniche testimoni del proprio passaggio le pozzanghere in cui più spesso di quanto avrebbe voluto ammettere, gli capitava d'incorrere. Per la seconda volta si ritrovò a passeggiare silenzioso, mentre osservava la mora alla sua destra rivolgergli più volte occhiatacce furtive e, di tanto in tanto, l'ammirava liquidare con la medesima scusa chiunque si avvicinasse preoccupato dopo aver notato in che terribili condizioni, all'apparenza, fossero i due.
Bakugou non aveva la minima idea di dove stesse andando; la parte aggressiva di sè avrebbe voluto far saltare in aria e rispedire una seconda volta all'altro mondo la ragazza che ormai aveva soprannominato "Zombie", con la speranza che stavolta la porta d'uscita dell'aldilà fosse chiusa. Quella emotiva desiderava prenderlo a schiaffi per il suo comportarsi da cagnolino ed ostinarsi a stare al gioco di quella pazza omicida, ed infine c'era quella razionale. Essa gli diceva di non fare nulla per peggiorare la situazione, mettendo quindi da parte per un fottuto attimo l'orgoglio, ed usare ogni mezzo a disposizione per sopravvivere. Era questo tutto ciò a cui riusciva a pensare, mentre sequenze riguardanti gli avvenimenti di quel pomeriggio continuavano a sfrecciare imperterrite come un treno in corsa, senza che lui potesse far nulla per impedirlo.
Ormai mancava poco perché decidesse quale delle tre voci nella sua testa ascoltare, quando lei si arrestò di colpo nel bel mezzo del marciapiede, sbuffando e guardandolo in cagnesco.
«La pianti o no di seguirmi?!» Strillò. Un piede che batteva a terra ed i pugni chiusi lungo i fianchi.
Di rimando, Bakugou le riservò un'occhiata perplessa.
«Ti arrabbi se ti do del maniaco, eppure ti comporti come uno di loro standomi attaccato come una cozza. Non hai nulla di meglio da fare?»
«CERTO CHE HO DI MEGLIO DA FARE!» Sputò acido, sopprimendo un ringhio alla base della gola. «Ma ero convinto che...»
Lo sguardo vermiglio del biondo si posò sulle buste gonfie di cibo, gesto che a lei non passò inosservato.
«Non dirmi che credevi davvero avrei cenato con te?» Domandò, spalacando gli occhi quando questa sua supposizione venne confermata dalla mancanza di una risposta. Subito un sospiro frustrato le sgusciò via dalle labbra, come se stentasse a credere all'ingenuità di quel tipo.
«Guarda che io ho detto che dovevi pagarmi da mangiare, non che avremmo mangiato insieme. E poi ci siamo appena conosciuti! Non sono mica quel tipo di ragazza, sai?» Sbottò, incrociando le braccia sotto il seno ed esaminando con aria indagatrice il ragazzo a pochi metri da lei, portando l'indice ed il pollice al mento. «Senza contare che non vado dietro ai biondi, scusa.»
«AH?! CHE DIAMINE HAI CAPITO, COMPARSA DI MERDA?! SEI FUORI STRA-»
«Rea, andiamo o no? Sto morendo di fame.»
Come se tutto ciò che era successo non lo avesse fatto già sentire abbastanza stupido, la figura appena arrivata e responsabile di aver interrotto quello scambio di battute sovrastando le loro voci, mandò Bakugou nell'ennesimo uragano di confusione della giornata. Sebbene fosse più disorientato che mai, lo riconobbe all'istante. Come avrebbe potuto essere altrimenti? I capelli grigi, gli occhi blu come il cielo notturno, zainetto in spalla e statura bassa; non si sarebbe potuto mai dimenticare del ragazzino che aveva visto morire solo un'ora fa.
Con un'espressione di pura apatia si era avvicinato a colei che doveva essere, in teoria, la sua assassina.
Lasciò tuttavia che gli prendesse la mano, e curioso iniziò a sbiriciare in ambedue i pacchetti, intenzionato a vedere quali prelibatezze vi fossero all'interno.
«Che cazzo?! Non è possibile, tu...lei ha usato il suo quirk e...no! Non ha il minimo senso! Quel moccioso dovrebbe essere-»
«Morto? Davvero hai creduto a quella farsa? Mia sorella ti ha proprio fregato, eh?»
SORELLA?!
«Te l'ho detto che sei un grande attore, Yuri.» Lo complimentò lei, rivolgendogli un veloce occhiolino per poi dargli il cinque. E fu in quell'istante che Bakugou notò come quel ragazzino portasse un anello dalla manifattura simile ai due appartenenti alla mora.
«Un momento...quindi è stata tutta una fottutissima messa in scena?! Non sei una villain?!» Domandò poi.
«Già.» Si limitò a rispondere lei.
«E non puoi uccidere le persone col tuo quirk?!»
Sul volto di Rea si dipinse una smorfia di puro disgusto a quella domanda. «Sei impazzito? Chi vorrebbe mai un'unicità del genere.»
Bakugou parve riservarsi un momento per analizzare al meglio la nuova situazione che si andava creando, dopo quanto gli era appena stato rivelato.
«Quindi mi stai dicendo che ho trascorso un pomeriggio d'inferno, temendo di morire da un momento all'altro e facendo ciò che volevi PER NESSUNA DANNATISSIMA RAGIONE?!» Esplose infine, sentendo il petto alzarsi ed abbassarsi concitatamente mentre alcuni passanti lo fulminavano con lo sguardo, colpa l'improvviso scatto d'ira.
Ma lui semplicemente li ignorò. Dopotutto, erano solo banali personaggi secondari per quanto gli riguardava; delle mere comparse nella storia principale che invece era la sua vita.
Inoltre, avvertiva un familiare pizzicore alle dita; segno esplicito che fosse pronto a combattere. E non gl'importava affatto che il suo avversario fosse una ragazza. Perché avrebbe dovuto? Uomo o donna non vi era alcuna differenza per quegli occhi assetati di vendetta. Lo aveva umiliato, si era presa gioco di lui ed aveva riso alle sue spalle.
Desiderava farle male. Tanto.
«Puoi essere furioso quanto vuoi, la colpa è unicamente tua. Avresti dovuto pensarci prima di cercare di ferirmi.»
«Oh, tranquilla! Stavolta non commetterò lo stesso errore. TI AMMAZZERÒ DIRETTAMENTE!»
Bakugou non era del tutto sicuro di quanto successe dopo quella frase. O meglio, era certo di essersi scagliato contro Rea alimentato da una nuova carica omicida a pervadergli l'intero corpo, così com'era altrettanto certo di avere tra le mani un'esplosione che le avrebbe insegnato una volta per tutte a non sottovalutarlo mai più, figuriamoci a deriderlo.
Tuttavia, quella maledetta ragazza riuscì a sfuggirgli ancora una volta.
Ed era lì, in quel punto, che iniziava il frammento di ricordo di cui non era del tutto sicuro.
Perché stavolta lei non si curò di muovere neanche il benché minimo muscolo. Semplicemente svanì nel nulla più assoluto.
Si era volatilizzata, come fusa con l'aria. Trascinandosi dietro le ultime correnti gelide di metà febbraio e lasciandolo lì, a domandarsi mentre raccoglieva il fiore che un istante prima era tra i suoi capelli, se avrebbe mai avuto l'occasione di rincontrarla un giorno.
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