1 - terzo capitolo.
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Parte prima — Terzo capitolo
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In due settimane, ero riuscita a finire a (quasi) massimi voti gli esami finali del quarto, e ultimo, anno. Ero finalmente fuori dall'inferno a cui dovevo sottopormi giornalmente. Fortunatamente erano stati scritti, quindi avevano avuto poco da fare per cercare di mettermi alle strette. Inoltre, ero sicura che non volessero più avermi tra i piedi.
Eloise mi era stata vicina, ma non troppo (aveva finalmente capito che toccarmi non era cosa buona e giusta, amen!), durante questo periodo snervante, dandomi i miei spazi e cercando di essere gentile, simpatica, cercava di essermi amica.
Non avevo avuto mai nessuno amico.
A dir la verità solo uno, ma quella era una cosa di cui non parlavo più da tempo. Cioè, era solo un amico immaginario. Ecco, l'ho detto.
Ora, era il primo di giugno e si respirava aria nuova. Le piogge erano frequenti, come da sempre nel nostro paese, ma più spesso lasciavano spazio al sole che si faceva largo prepotente tra le nuvole grigiastre.
Avevo iniziato a pensare, cercare di interrogare me stessa e capire cosa volessi dalla vita.
Fosse stato per me, avrei volentieri scritto un libro. Amavo scrivere, ma era una professione non adatta ad una donna, e inoltre vi erano imposti limiti a cui sicuramente non sarei riuscita ad attenermi. Avevo quasi diciotto anni e avrei dovuto capire presto cosa avrei fatto dopo l'ultimo anno, magari iniziando con un lavoro estivo. Ma chi mai avrebbe preso proprio me?
La sartoria non era il mio forte e, per quanto avessi gradito la proposta dei gemelli, non avrei mai potuto lavorare con loro, sarei stata più che un peso. I miei genitori non mi mettevano fretta, ma sapevo che una mano a casa sarebbe stata di grande aiuto. Soprattutto dopo che la legge sul Matrimonio era stata accettata e, di lì a poco, sia Chloe che Jo si sarebbero sposati.
Jo non era particolarmente dispiaciuto della cosa, forse qualcuno lo interessava, ma mia sorella era completamente andata in depressione. Stava ore a guardarsi e a ripetersi "Io? Potrei mai io?", come se non credesse possibile che una ragazza potesse sposarsi e mettere su famiglia.
C'era qualcosa di strano in lei, da qualche tempo a questa parte e dovevo scoprire cosa.
Il suo sguardo trasudava confusione, quando fino a poco prima aveva sempre mostrato determinazione cieca.
Tirai giù la coperta ed andai ad affacciarmi alla finestra spalancata che faceva entrare aria fresca nella camera. Rabbrividii, quando il vento mi scompigliò i capelli gonfi e pieni di nodi. Andai in bagno e mi lavai con calma, visto che ero sola in casa. Dopo un bel bagno ghiacciato, mi vestii e andai in cucina a fare colazione.
Mentre addentavo un pezzo di pane del giorno prima, inzuppato nel latte per ammorbidirlo, mi venne un'idea. Ingurgitai tutto alla velocità della luce e scesi giù per strada, correndo e scansando le persone che camminavano tranquille sui marciapiedi. Per poco non mi feci mettere sotto da una carrozza.
Scesi giù per Bonnet street e arrivai di fronte al bordello di Miranda in meno di venti minuti.
Abbassai istintivamente il cappuccio del mantello ed entrai, dirigendomi al bancone dove una ragazza teneva d'occhio il via vai e prendeva gli appuntamenti. Era seduta e teneva una mano sul grembo rigonfio, mentre con l'altra scribacchiava su un taccuino. Doveva essere sicuramente la ragazza che aveva nominato Miranda, quella incinta. Probabilmente non aveva sentito il campanello posto sopra la porta.
"Buongiorno." dissi io, accennando un sorriso. Lei alzò lo sguardo e aggrottò la fronte, posando la penna sul tavolo e portando una mano sulla guancia. Guardava incuriosita i miei capelli.
"Buongiorno, desidera?" mi chiese, prendendo un'agenda verde petrolio e controllando sicuramente la serie di appuntamenti.
"Cercavo Miranda. Non ho un appuntamento."
La ragazza scosse la testa leggermente, portando i capelli biondi all'indietro. Si alzò di botto e la vidi tremolare un attimo. Mi sporsi e l'aiutai a riacquistare l'equilibrio.
"Scusa un attimo. Il bambino scalcia a volte." ammise lei, piegandosi in avanti e sorridendo benché dolorante. Inizio ad accarezzarsi la pancia, canticchiando una melodia che non conoscevo. Tutto in lei emanava dolcezza.
Si rimise dritta e, tenendo una mano sul fianco, si diresse verso una stanza attigua, facendomi segno di aspettare all'ingresso. Poco dopo fece il suo ingresso con la proprietaria che, quando mi vide, mi sorrise a trentadue denti.
"Ciao, dolcezza. Come mai da queste parti? Hai cambiato idea sulla proposta di lavoro?" mi fece l'occhiolino e risi insieme a lei.
"No, cioè.. Senza offesa. Non credo sarei la persona più adatta, non ho neanche mai baciato nessun ragazzo." dissi io con vergogna. Era strano ammetterlo, pure peggio se davanti avevi una donna che ne aveva combinate di tutti i colori.
"Possiamo sempre rimediare. E di ragazze, invece? Baciano molto meglio degli uomini, sai?" le due donne davanti a me iniziarono a ridere, mentre io diventavo ancora più rossa. Ero sicura di non provare alcunché per il sesso femminile.
"Suvvia, sto scherzando. Dimmi pure."
Doveva aver capito il mio imbarazzo, perché ritornò seria e mi guardò tranquilla, invogliando mi a parlare.
"Ero qui per sapere se c'era qualcosa... Un lavoro adatto a me. Volevo guadagnare qualcosa quest'estate, visto e considerato che ho ben poco da fare, e non credo che nessuno mi voglia prendere." chiesi io speranzosa. "Ho finito gli studi, ma vorrei aspettare prima di decidere quale strada prendere. E nel frattempo..."
Miranda soppesò l'idea, si portò una mano al mento e la sua espressione si fece pensierosa. Guardò la ragazza incinta e poi ripose il suo sguardo di nuovo su di me.
"Trovato. Potresti lavorare al bancone, magari tu e Lauren" indicò la ragazza incinta al suo fianco "potreste smezzarvi il lavoro. Lei è già avanti con la gravidanza e non dovrebbe affaticarsi troppo. Ma i tuoi ne sanno qualcosa?" chiese lei.
Non avevo minimamente pensato a loro. Mio padre avrebbe fatto la fame pur di non mandarmi a lavorare in un bordello. Il mio indugio fece capire subito a Miranda tutto.
"Guarda, potresti andare a lavorare da un mio amico. Lui non crede a quelle fesserie del diavolo, ma dovresti mascherarti. Dovresti solo servire ai tavoli, potrei prestarti una parrucca delle mie." indicò i suoi capelli che, però, parevano così veri. "E, quando Lauren sta poco bene o è stanca, potresti lavorare qua, come vuoi tu. Che dici?"
La proposta era allettante e mi si scaldò il cuore a sentir una persona sconosciuta preoccuparsi tanto ed aiutarmi.
"Credo vada bene. Benissimo." dissi, convinta.
"Passa nel pomeriggio, ti farò sapere." disse, prima di tornare nell'altra stanza, mentre un urlo, proveniente da una delle stanze al pian terreno, si propagava fin lì. "E preparati a metterti uno di quei corsetti con le poppe al vento! La prima impressione è tutto, e non voglio che i miei clienti pensino che qui ci sia un convento di suore! Siamo persone altamente qualificate, noi."
"Quante volte vi ho detto di chiudere bene quelle cazzo di porte? Non vogliamo sentire gli orgasmi di tutti." gridò Miranda, per poi chiudersi la porta alle spalle.
**********
Mr. Odds era uno spilungone. Non era un uomo di molte parole, ma quando parlava, riusciva sempre a farsi valere - per quanto le persone fossero, credo, più spaventate dai suoi due metri e tre.
Ogni volta che dovevo parlare con lui per molto tempo, subito dopo mi ritrovavo a massaggiarmi il collo per ore. Lavoravo in quella locanda da una settimana. I miei genitori erano rimasti colpiti dell'offerta di lavoro che mi era arrivata, tanto da ringraziare personalmente Fred e regalargli tre capi in sartoria.
Anche se, comunque sia, ero obbligata a indossare parrucche e a truccare gli occhi — cosa a cui non ero abituata — pur di non farmi riconoscere.
"Sarah, un boccale di birra!" ormai mi ero abituata alla poca gentilezza degli uomini che passavano i loro pomeriggi lì. E anche al mio nuovo nome, Sarah. Sgusciai tra i tavoli, prendendo i boccali vuoti da sopra essi e i tovaglioli sporchi, e mi diressi verso il bancone dove Dawn, l'altro ragazzo che lavorava lì, faceva scivolare su di esso due té fumanti e tre boccali di birra.
Aveva dei bei lineamenti duri, in contrasto con i capelli di un biondo angelico e gli occhi verdi.
Per poco non caddi, ma riuscii subito a rimettermi in equilibrio e consegnare le ordinazioni quasi intatte. Anche se il mio vestito verde ne aveva fatto le spese, avrebbe puzzato di birra.
Finii il mio turno pomeridiano prima quel giorno, salutai Mr. Odds che mi fece cenno con la testa e Dawn, che ora se la doveva vedere da solo con gli ubriaconi della locanda. Presi la strada più corta per arrivare da Miranda, che mi aveva chiesto il favore di sostituire Lauren che si sentiva poco bene.
Arrivai e salutai tutte le ragazze e i pochi ragazzi con un cenno della testa, non avevano ancora iniziato il loro turno. Due giorni prima avevo fatto la mattina e li avevo conosciute tutti, chi più e chi meno.
Erano ragazzi bellissimi, affascinanti. Le ragazze erano tutte slanciate, dalle forme prorompenti e i capelli lunghi, eccezion fatta per Crysta, che conservava intatta la sua chioma sbarazzina e corta.
"Eireen, buongiorno. Che appuntamenti abbiamo oggi?" mi chiese la ragazza dai tratti arabi di cui non ricordavo il nome.
Presi l'agenda in mano e iniziai ad elencare gli appuntamenti: "Crysta tu sei con Orfeo, Magda tu sei con Frederic, Aleysha tu con il signor Black..." e continuai così fino a che tutte tornarono nelle loro stanze, aspettando l'arrivo dei clienti.
Il via vai fu incessante per tutto il pomeriggio, tutti gli uomini arrivavano nervosi e intrattabili e uscivano calmi e felici. Ecco cosa può fare una scopata.
Alle otto di sera, stavo per finire il turno e aspettavo Miranda che venisse a darmi il cambio per la sera.
L'ennesimo uomo entrò nella locanda e si piazzò davanti a me, mentre io tenevo ancora gli occhi fissi sul foglio che avevo davanti.
Alzai lo sguardo e vidi un viso giovane, dai tratti ancora acerbi. Non poteva avere più di venticinque anni.
Era lo stesso ragazzo che avevo incontrato al Madison Park, avvolto nello stesso mantello.
Sorrisi al ricordo, ma mi limitai a chiedere con garbo: "Hai un appuntamento?"
Non ce la facevo più a sorridere, la mascella era contratta in quella posizione da ore. Lui mi squadrò, soffermandosi sul seno poco scoperto.
Per quanto lavorassi lì, conservavo il mio pudore e alla fine Miranda aveva acconsentito al non mettermi a disagio con corpetti succinti e gonne con lo spacco.
"No, ne vorrei prendere uno." mi disse lui. Sembrava diverso da quella volta, era molto più serio e il suo sguardo era freddo, come se avesse fretta di svuotare le palle e andare via.
"Quale ragazza preferisce?" chiesi, allungando il braccio e porgendogli il catalogo con i ritratti di ogni ragazza — fatti da Miranda stessa — e con una nota di fondo con tutte le loro caratteristiche.
Il ragazzo cominciò a sfogliare, rimanendo impassibile ma concedendosi qualche smorfia. Che gli piacessero gli uomini? Avevamo un catalogo anche per quello, anche se più scarno.
"Di queste, nessuna sembra rispecchiare i miei gusti appieno." mi fece un sorriso sghembo. Feci una smorfia e mi chinai a prendere il catalogo maschile.
"Questo è quello maschile, per chi ha gusti differenti." gli dissi, continuando a sorridere ma mal celando una certa ilarità nella voce.
"Oh, no. Non sono i maschi che mi interessano. Ma forse lei..." rispose tranquillo.
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"Sua Eccellenza."gridò la ragazza al culmine dell'orgasmo, mentre l'altra aspettava implorante il suo turno.
Amava essere chiamato così durante i rapporti sessuali, lo rendeva ancora più eccitante. L'altra ragazza si avvicinò a lui, socchiudendo gli occhi e posizionandosi tra le sue gambe, leccando famelica la sua erezione piena.
Non ci fu bisogno di fare nulla, lei si alzò e si mise a cavalcioni su di lui, prendendo in mano la situazione. Affondò su di lui, ancheggiando prepotentemente. Anche lei in poco arrivò all'orgasmo, urlando — Christopher — ai quattro venti.
Il Papa non si preoccupò nemmeno di tapparle la bocca, casomai qualcuno la sentisse. Lui era il Sommo e poteva tutto, ma si ricordò di punirla per averlo chiamato per nome.
Chiunque era andato contro le sue scelte personali, ora si trovava venti metri sotto terra nel migliore dei casi — a volte aveva dato qualcuno in pasto al suo branco di lupi personale.
Poche persone pensavano che la Chiesa, i suoi componenti stessi fossero corrotti.
Ma erano proprio quei pochi a pensar bene e ad essere destinati alla morte. La Chiesa, senza l'ignoranza dilagante, avrebbe decretato la sua fine.
In me l'ateismo non è né una conseguenza, né tanto meno un fatto nuovo: esso esiste in me per istinto.
Sono troppo curioso, troppo incredulo, troppo insolente per accontentarmi di una risposta così grossolana.
Dio è una risposta grossolana, un'indelicatezza verso noi pensatori: anzi, addirittura, non è altro che un grossolano divieto contro di noi: non dovete pensare!
• Friedrich Nietzsche
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Ecco il quarto capitolo.
Vorrei dare alcune delucidazioni:
Con l'ultima parte, non intendo offendere alcun religioso, che creda in Dio, Allah o gli unicorni.
Per quanto io sia atea, rispetto le altre religioni e coloro che le seguono.
La frase finale, inoltre, è messa affinché si capisca il grado di corruzione, che può essere nascosta solo grazie all'ignoranza dilagante di questo mondo post-apocalittico, ma che ricorda molto il Medioevo.
Spero di non aver offeso nessuno nella sua intimità personale.
Buona lettura :)
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