he was sunshine
I broke his heart 'cause he was nice
He was sunshine, I was midnight rain
26 Dicembre 2023
C'è odore di cannella e menta piperita nell'aria - che a Manuel risulta ancora strano il fatto che sia in grado effettivamente di riconoscere dei simili odori; fino ad un anno prima non se lo sarebbe mai immaginato.
Anzi, fino ad un anno prima, in realtà, non ha mai nemmeno festeggiato il Natale o vissuto in modo diverso il periodo tra Dicembre e Gennaio.
Sono sempre stati giorni vuoti, dove gli altri venivano inondati d'amore insieme a mamma e papà, mentre lui restava da solo a casa a cucinarsi i cordon-bleu da solo perché Anita, sua madre, era impegnata a turni extra in un ristorante per poter pagare l'affitto dell'appartamento per il mese successivo.
Quindi ecco.
Ora, invece, si inebria dell'odore di cannella, mentre indossa un maglione di lana che gli pizzica sul collo e una renna con un grosso naso rosso sul davanti.
È un regalo della signora Virginia e non ha avuto il coraggio di dirle che a lui quelle cose non piacciono - se l'è fatto piacere.
Regge in mano una tazza di ceramica bianca contenente della cioccolata calda che si è appena preparato quando varca la soglia del salotto, con i piedi ricoperti solo da un paio di calzini sottili.
Vive nella villa dei Balestra da qualche mese e ancora si deve abituare alla grandezza di tali ambienti - insomma, una sola stanza è al pari di tutto il suo precedente alloggio.
Il luogo dove ha fatto ingresso è addobbato per le feste, c'è anche l'albero di Natale illuminato da luci gialle e rosse, le uniche presenti a non rendere ogni cosa buia.
Ma ad attirare la sua attenzione non sono i festoni, le sagome di Babbo Natale attaccate alle pareti o qualche regalo rimasto ancora da scartare.
Lo fa piuttosto la figura di Simone al centro della stanza: ha le palpebre calate e le cuffie con il filo collegate al telefono che tiene tra le dita - questo perché ha perso le AirPods qualche settimana prima e nessuno ha pensato di regalargliene un paio nuovo in occasione delle festività.
Manuel lo osserva, piegando la testa su di un lato.
Non sa quale canzone stia ascoltando, ma lo vede oscillare sul posto, spostando il peso del corpo da un piede all'altro.
Un solo pensiero gli vortica nella testa: che spettacolo meraviglioso.
C'è Simone al centro del salotto, a piedi scalzi, con addosso dei pantaloni della tuta grigi e una maglietta in cotone a maniche corte blu scuro; le sue labbra sono schiuse e si muovono appena a sussurrare un ritornello che l'altro ragazzo non conosce.
Manuel continua a scrutarlo. Non ha il cellulare dietro - se lo avesse, scatterebbe una foto di quel momento, per intrappolare in pixel un frammento di realtà che vorrebbe dilatare nel tempo e nello spazio, per farlo durare per sempre.
Perché i momenti perfetti durano troppo poco.
È uno dei motivi per cui si cerca di immagazzinare quanti più istanti possibili.
Per non dimenticare.
Per non dimenticarsi.
Muove qualche passo lento e distratto nella sua direzione, ancora con la tazza fumante in mano, che è quella che posa sul tavolino rotondo e in legno che è posto accanto al divano.
Non vorrebbe interrompere quella scena - gli pare quasi un crimine - eppure riesce comunque a fare del rumore e allora Simone si accorge della sua presenza.
Quest'ultimo sorride frattanto che si leva una sola cuffia dall'orecchio. «Da quanto tempo sei lì?».
Sono uno di fronte all'altro, a poco più di un metro di distanza.
«Non molto» replica Manuel. «Che stavi ad ascoltà?».
Una risposta a parole non arriva. Piuttosto, Simone allunga la cuffietta che tiene tra pollice, indice e medio al ragazzo che gli sta di fronte, il quale la pizzica con i polpastrelli e se la porta all'orecchio destro. Delle note che conosce gli risuonano nei timpani.
Fino a qualche mese fa non avrebbe mai creduto di riconoscere l'odore di cannella e menta piperita, insieme a quel brano riprodotto da Spotify.
«Te ascolti ancora Taylor Swift?» lo prende in giro, con una mezza risata. La cuffia rimane in equilibrio al di sopra del suo lobo.
«Che c'hai da dire?».
«Che esiste de mejo, molto mejo».
Simone lo sa bene che non condividono gli stessi gusti musicali - anzi, sono agli antipodi: lui sul pop internazionale, l'altro sull'hard rock e screamo.
Ricorda ancora di essersi spaventato quando gli ha fatto ascoltare gli Alesana.
Ciò nonostante, non perde tempo a puntualizzare o ad intavolare un discorso che elogia Taylor Swift e su come sia la regina - secondo il suo modesto parere.
No, non fa nulla di tutto ciò.
Compie invece mezzo passo in avanti, a ridurre a pochi centimetri la distanza che ancora li divide.
Si avvicina così tanto da rendere pressoché inesistente il vuoto tra di loro. Le punte dei loro nasi si sfiorano nel momento esatto in cui comincia il ritornello della canzone, lo stesso che Simone inizia a sussurrare: «Are we out of the woods yet? Are we out of the woods yet? Are we out of the woods yet? Are we out of the woods?».
Manuel abbozza una risata - perché l'altro ragazzo è tutto, fuorché intonato - e si morde piano il labbro inferiore.
Ma Simone continua: «Are we in the clear yet? Are we in the clear yet? Are we in the clear yet?», si sporge un po' di più in avanti, fronte contro fronte. «Canta con me» soffia.
In risposta, ottiene un cenno del capo che viene scosso per diniego e un «Non me piace 'sta canzone».
«La sai a memoria».
«Bugiardo». Non si arrende.
No, adesso appoggia lieve le labbra sulle sue e mormora: «We were built to fall apart, then fall back together». Non è un bacio quello che avviene tra di loro, è soltanto un lieve tocco tra le loro bocche, un remoto cercarsi e tirarsi indietro.
A Manuel sfugge una risata sull'orlo dell'isterismo, mentre la voce di Taylor Swift ancora gli riempie un orecchio. «Stronzo» soffoca e socchiude le palpebre.
«Two paper airplanes flying, flying, flying» Simone lo biascica e gli mordicchia il labbro inferiore.
È soltanto a quel punto che Manuel posa entrambe le mani sui suoi fianchi, alza gli occhi glielo e si arrende al «And I remember thinking...».
Cantano insieme, non andando a tempo, sussurrando e poi urlandosi le parole addosso: «Are we out of the woods yet? Are we out of the woods yet?Are we out of the woods yet? Are we out of the woods? Are we in the clear yet? Are we in the clear yet?Are we in the—».
Il brano va avanti da solo, risuonando nelle cuffiette. Però loro smettono di intonarlo - stonarlo, forse.
Cessano di farlo nel momento in cui quel lieve contatto diviene un bacio, bocca e lingua.
Manuel si ritrova a stritolare il tessuto della t-shirt dell'altro ragazzo tra le dita. Lo tira di più verso di sé grazie a quell'appiglio.
Fino a qualche mese prima, Manuel non si sarebbe mai immaginato di riconoscere l'odore di cannella e menta piperita, di sapere a memoria una canzone di Taylor Swift, ma soprattutto di baciare un ragazzo, di farlo con una libertà tale da farlo sentire bene, al settimo cielo, come mai gli è accaduto prima.
Fino a qualche mese prima, Manuel non sarebbe mai stato in grado di descrivere la felicità.
Adesso lo farebbe descrivendo i lineamenti di Simone, insieme all'odore di quella stanza e alle note che gli risuonano in un orecchio.
17 Novembre 2024
«Che fai? Torni?» Manuel lo chiede allo schermo del cellulare, come è accaduto negli ultimi due mesi. Lo fa osservando un apparecchio sul quale compare l'espressione stanca di Simone.
Stanchi lo sono entrambi e può anche risultare ridicolo e patetico, considerando tutto: la distanza tra Roma e Padova non è abissale ed è passato relativamente poco tempo.
Sono lontani da poco più di sessanta giorni, eppure ad entrambi sembra molto di più.
Chiunque abbia detto che le relazioni a distanza sono facili, ha sempre mentito e non poco.
Per Manuel è come non poter respirare bene, come avere un macigno pesante che gli opprime il petto e gli fa contorcere gli organi.
Che Simone sia vitale per lui se ne sono accorti tutti, considerando il modo in cui in quei due mesi si è lentamente spento.
Ora se ne sta seduto sul divano, nel salotto della villetta Balestra, da solo, con l'unica fonte luminosa che corrisponde alla lampada in un angolo che tinge ogni cosa di un tenue giallo.
«Dovrei tornare per Natale, lo sai» è la risposta di Simone, la cui voce giunge gracchiante dal fondo della cornetta.
«Manca ancora un sacco a Natale» si lamenta Manuel, piegando il capo su di un lato. «Non puoi venì prima?».
Si vede Simone ridacchiare. «C'ho l'obbligo di frequenza, lo sai».
«Eh, 'o so e te ripeto sempre che ce stava pure qua giurisprudenza, che cazzo ce sei annato a fa' in Veneto».
«Per gli Spritz a due euro».
Manuel aggrotta le sopracciglia e gli mostra il dito medio. «Sò mejo io degli Spritz».
«È un'ardua competizione».
Fa qualche secondo di pausa, serrando le labbra. «Sò serio, comunque» sussurra poi. «Me manchi».
«Fai il sentimentale, Ferro?».
«T'ho già mannato a fanculo o sbajo?».
Simone sorride ancora, sebbene si veda poco dalla schermata dell'iPhone: sembra essere per strada, con un berretto con la visiera in testa e le cuffie col filo nelle orecchie. «Mi manchi anche tu» dice «Per Natale ti giuro che sto lì e abbiamo tutto il tempo del mondo».
«Ce conto— Se no pijo er primo treno e te vengo a menà».
Scuote il capo e gli fa linguaccia. «Tua madre, invece? Come sta?».
«Sta bene» risponde Manuel, con scioltezza. «Er medico suo ha detto che è troppo sotto stress, niente de grave. Je ha detto de pijarse la valeriana alla sera pe' sta' tranquilla».
«E funziona?».
«Pe' mò non ce se po' lamentà» taglia corto. «Vabbé, niente de serio, se sta' a agità pe' niente».
«Sicuramente, appena è un po' più tranquilla non avrà più niente» Simone annuisce. «Devo staccare adesso. Ti scrivo più tardi, okay?».
«Okay» Manuel pigola. Non vorrebbe concludere quella chiamata, non per davvero, ma come al solito deve farsela bastare. «Ah, Simò?».
«Mh-m?».
«Faccio er conto alla rovescia pe' Natale».
26 Dicembre 2024
Per Natale, Simone non torna e Manuel non sa come sentirsi.
Del suo messaggio di scuse non se ne fa nulla, neppure del suo dopo Capodanno, recuperiamo, perché non è lo stesso e perché si sente preso in giro.
Dovrebbe essere il picco della loro relazione, ma a picco ci stanno solo cadendo.
Quella sera, Manuel è rannicchiato sul divano del salotto. Le luci ad intermittenza dell'albero addobbato gli danno fastidio, ma è l'unica fonte luminosa della stanza e, inoltre, non ha voglia di alzarsi e andare a spegnere tutto.
Ha partecipato a stento alla cena della vigilia e al pranzo del Venticinque, con parenti non suoi che, se ci fosse stato Simone, avrebbe trovato lontanamente gradevoli, da solo è tutto un differente discorso.
Il Ventisei non vuole vedere nessuno, ha persino spento il cellulare per non essere invitato da nessuna parte e, specialmente, per non leggere ulteriori scuse e rimedi proposti dal suo fidanzato.
È appoggiato al bracciolo con parte del busto, a fissare il vuoto, aspettando che il sonno lo avvolga - o che qualcuno gli dia una botta in testa, è relativo.
Per tal motivo il suono che riecheggia nella stanza lo coglie un briciolo impreparato:
Are we out of the woods yet?
Are we out of the woods yet?
Are we out of the woods yet?
Are we out of the woods?
Are we in the clear yet?
Are we in the clear yet?
È musica che proviene da un cellulare, non è nemmeno tanto alta, ma sufficiente a farlo sobbalzare, a farlo tirare su soltanto per notare la figura di Simone poco oltre la soglia della porta, che tiene a mezz'aria il telefono, con un mezzo sorriso stampato in faccia.
Manuel non sa che provare: se l'impulso di prenderlo a pugni, se quello di baciarlo, se quello di non dire e fare niente e capitombolare a terra per l'emozione.
Vince un miscuglio delle tre, frattanto che si alza in piedi e barcollando lo raggiunge; nel frattempo, la canzone continua ad essere riprodotta.
Gli giunge abbastanza vicino da poter far battere i palmi sul suo petto e spingerlo all'indietro, rischiando di fargli perdere l'equilibrio. «Che cazzo ce fai qui?» sbotta.
Simone rimane calmo, abbozza un sorriso. «Anche io sono contento di vederti, amore».
«Non me chiamà così» Manuel sa che sicuramente non è la reazione consona alla prima volta che l'altro usa un simile appellativo, ma è così arrabbiato da sorvolare su un simile particolare. «Che– Che ce fai qui?» ribadisce.
A tal punto, Simone abbassa il volume della canzone e mette giù lo smartphone, rigirandoselo tra le dita. «Ho pensato– Ai messaggi che ti ho mandato e tutto e ho capito che... Boh, non aveva senso quel che ho fatto e detto e allora...».
«E allora sei un cojone».
«Eh» concorda e si morde piano il labbro inferiore. «T'avevo promesso d'essere qui a Natale, ma non ci sono riuscito. Nel senso, non c'erano più treni e il primo libero era stamattina alle cinque, ho pure fatto un'ora di ritardo».
«Te sta quasi bene» Manuel incalza. In realtà non sa manco cosa lo stia trattenendo dal non baciarlo - freme per farlo.
Dall'altra parte, Simone incassa anche quello. Poi prosegue: «Però, del resto— Natale è per tutti il giorno per rivedersi, magari... Magari per noi può esserlo santo Stefano. Potrebbe— Diventare questo il nostro giorno speciale».
Di fronte a tale frase, Manuel un po' cede - soltanto un po'. Il petto gli trema. «Sei un paraculo» commenta.
Simone appoggia il telefono sul tavolino accanto al divano, senza premere pausa sulla riproduzione della musica che continua a risuonare nell'ambiente. «Un po' sì» sussurra e gli deposita un rapido bacio sulla punta del naso. «E t'ho portato anche un regalo».
«Pure?».
«Pure».
Manuel rimane immobile quando Simone scompare per un attimo nell'ingresso più all'oscuro e fa il suo ritorno premendo l'interruttore della luce e con una scatola incartata di azzurro quadrata, con un fiocco verde sopra. «Aprilo» suggerisce, porgendo il pacchetto all'altro ragazzo.
Manuel esita per una frazione di secondo a raccattare l'oggetto. Poi compie quel gesto, rompe la carta per scoprire l'oggetto nascosto. «Hai— Comprato 'na macchinetta pe' le polaroid?».
Simone annuisce. «Per fare le polaroid ogni 26 Dicembre» spiega e dalla tasca interna della giacca marrone che ha addosso tira fuori un pennarello indelebile nero. «Ogni 26 Dicembre, nel nostro giorno, per il resto della vita».
«Quindi— Usamo 'sta cosa 'na volta all'anno? Non è molto utile così, 'o sai, sì?» Manuel lo prende in giro.
Lui con i grandi e plateali gesti d'amore non ci va d'accordo, pensa siano più importanti quelli piccoli, nel quotidiano - una delle ragioni per cui soffre di più per la distanza, solo che non lo ammetterebbe mai ad alta voce. Tergiversa nonostante quello, di gesto, lo abbia apprezzato parecchio.
Lo ha apprezzato pure troppo, tanto da voler urlare - perché nessuno lo ha mai trattato in quel modo, a parte Simone.
Ma Simone rappresenta anche tutte le sue prime volte, in ogni situazione, per cui non lo sorprende.
Ed è quest'ultimo che poi rotea gli occhi e abbozza una risata, gli sfila con delicatezza la macchinetta color verde acqua dalle mani, dopo lo affianca. «Mi fai un sorriso o no?» dice, mentre si prepara per scattare, sollevando l'oggetto con entrambe le braccia.
Manuel lo pizzica piano su un fianco. In seguito si alza sulla punta dei piedi per poter posare il mento sulla sua spalla.
Sorride.
Lo fanno entrambi, nel loro primo 26 Dicembre.
4 Ottobre 2025
«Allora? Giudizio allo spritz, se è sotto al nove, ci offendiamo».
Manuel non ha capito bene il perché la personalità di ogni veneto che ha incontrato da quando è lì giri attorno a quella bevanda alcolica: ne avrà bevuti quattro in poche ore.
Non che gli dispiaccia, ma si chiede se ci sia altro - che è come andare a Roma e mangiare solo la carbonara, ecco.
Ad ogni modo, per quieto vivere e per non sorbirsi di nuovo elogi inutili ed esagerati di cui farebbe volentieri a meno, si limita ad annuire, sorridere ed esclamare: «Ah, da dieci de sicuro!».
Sono in quattro, seduti ad un tavolo rettangolare in legno color noce, su delle panche del medesimo materiale - un briciolo datate, considerando che scricchiolano ad ogni loro movimento.
Lui ha accanto Simone, mentre i due amici - Giorgio e Davide, gli pare si chiamino - sono di fronte a loro. Hanno entrambi i capelli corti ai lati e più lunghi sul davanti, come se ciò fosse un tratto distintivo di quella città.
Che poi a Manuel sembra di essere atterrato in un altro mondo, nonostante Padova sia in Italia. Si sente fuori luogo, inadatto e poi— Come cazzo parlano tutti quanti? Comprende una parola su tre, se è fortunato.
Perlomeno Giorgio e Davide si sforzano di usare un italiano comprensibile, nonostante lo spiccato accento veneto.
Nel complesso, la serata dura due ore e cinquantasei minuti - non che Manuel abbia scandito il tempo (lo ha fatto).
Tornano all'appartamento di Simone che è l'una passata: di quel bilocale, occupa solo una stanza; ha un coinquilino, si chiama Umberto ed è di Catania, ma è presente poco a casa, quindi pure in quei giorni possono avere l'abitazione soltanto per loro - Manuel ringrazia.
È una casa tranquilla, al secondo piano di un palazzo di quattro: c'è il parquet a terra nelle stanze, che scricchiola sotto il peso di chi ci passa sopra, un arredamento datato, tanto che in cucina è caduta un'anta della dispensa e manca sempre l'acqua calda. Però Simone se la fa andare bene poiché vicino all'università e comoda per ogni altra evenienza.
«Giuro che se me nominavano n'artra volta 'o Spritz me facevo esplodere a' testa» esclama Manuel, ricadendo di peso seduto sul divano di finta pelle marrone, che ha i cuscini sfondati e graffiati. Ha ancora il bomber verde addosso, lo toglierà dopo.
Simone, invece, si toglie il cappotto nero e lungo che porta e lo appoggia con fare distratto sulla spalliera della sedia di legno a ridotto di un tavolo quadrato. In seguito, prende posto al suo fianco. «Sono un po' fissati» commenta.
«Un po'?».
«Eh, un po'. Come te co' la carbonara».
«Carbonara batte Spritz dieci a zero».
«Non te allargà».
Manuel sbuffa una risata e gli tira un colpo leggero a pugno chiuso sull'avambraccio.
Ride anche Simone, per un attimo, ma torna serio quasi subito, lentamente, mordendosi piano il labbro inferiore. «Con tua madre com'è finita?» chiede.
L'altro scrolla le spalle e si sbilancia di più all'indietro, finendo sdraiato in parte sdraiato su quel divano scomodo. «Che ha discusso di nuovo co' tuo padre» spiega. «Sarà er terzo cambio de serratura che facciamo in manco du' mesi. Je ho pure regalato 'n pupazzetto a forma de ippopotamo pe' non scordarsene ed è riuscita a perde pure quello».
«Sarà stressata per il ristorante» tenta Simone. Da un paio di mesi, Anita ha dato il via ai lavori in un locale che si è messa in testa di aprire, basata sulla sua esperienza decennale di cameriera e capo sala; il figlio ha provato a spiegargli la differenza tra il lavorare in un ristorante ed esserne il proprietario, ma lei non ne ha voluto saperne.
«De sicuro è così» attesta Manuel, socchiudendo le palpebre. Piega il capo su di un lato e osserva di sottecchi il fidanzato. «'O sai che non só venuto qua pe' parlà de mi madre, mh?».
Lo sa.
Certo che Simone lo sa. Difatti, un nuovo sorriso si apre sulle sue labbra. Torce il busto e si sporge in avanti quel che è sufficiente per essergli sopra, senza gravargli troppo col proprio peso addosso. Gli lascia un bacio lieve sulla punta del naso. «Così meglio?» soffia.
Manuel fa cenno di no con la testa, mentre si indica con un dito la bocca. Non dice nulla, è una richiesta silenziosa che il compagno capisce. In tal modo, il bacio ora Simone glielo deposita sulle labbra, dapprima lieve, poi approfondisce il contatto.
«Me piace de più Padova così» biascica Manuel.
Ma gli piacerebbe di più qualunque città, così.
26 Dicembre 2025
Simone torna a Roma per Natale.
Da Ottobre, hanno dovuto cambiare la serratura di villa Balestra altre due volte: Dante ha urlato, Anita si è scusata, Manuel ha alzato gli occhi al cielo, il tutto durante la sera della vigilia.
Ma tanto non è quello il giorno importante.
«La facciamo davvero 'sta cosa?» domanda Manuel, con tono biascicato - ha sonno, anche se sono le nove di sera ed è relativamente presto.
È seduto sul divano in salotto e osserva Simone che torna nella stanza con in mano la macchinetta verde acqua per fare le polaroid. «Certo» risponde quest'ultimo. «Ogni 26 Dicembre, nel nostro giorno...». Lascia la frase in sospeso e prende posto accanto al compagno.
Manuel sospira. «Per il resto della vita».
Scatto.
15 Marzo 2026
«Vabbè, me fai sapè? Se ce sta bisogno, prendo er primo treno e scendo, okay? Chiamami. Okay, ciao».
Manuel chiude la chiamata con Dante con le mani che un po' gli tremano. È nervoso ed essere lontano da Roma non lo aiuta.
Anche se dovrebbe essere più contento di essere a Padova. È in piedi sul piccolo balcone che si affaccia sul cortile del condominio dell'appartamento di Simone. C'è persino un vaso con dei gerani rossi che avrebbero bisogno d'acqua, ma a quanto pare nessuno ci pensa.
«Tutto okay?» la voce del fidanzato lo fa sussultare. Con la coda dell'occhio, lo vede varcare la soglia della portafinestra.
Lui sospira sommessamente. «Non lo so» risponde ed è sincero: non lo sa e la preoccupazione lo sta mangiando vivo. Sbatte rapido le palpebre e guarda in alto per evitare che qualche lacrima che sente sta per sopraggiungere esca fuori. Non vuole piangere, sarebbe stupido.
Simone posa le mani sui suoi fianchi, fa aderire la sua schiena al proprio petto e gli deposita un fugace bacio sulla guancia, stringendolo a sé. Non dice nulla: ha imparato che, certe volte, il silenzio è migliore.
Funziona meglio da quando hanno iniziato a capirsi pur restando muti.
Io non parlo, ma tu sai e va bene così.
Manuel si lascia stringere, preme i palmi sui suoi avambracci. «C'ho paura, Simó» confessa, con voce rotta. «Perché prima erano— Le chiavi, adesso se scorda la strada de casa, non...».
«Lo so» Simone lo interrompe e gli dà un secondo bacio, vicino ad un orecchio. «Andrà tutto bene» sussurra, per quanto possa magari essere una bugia. «Quando ha la visita?».
«Domani» Manuel tira su col naso. «Vorrei sta' là».
«Puoi ripartire, se vuoi. C'è un treno alle cinque, ho controllato».
«No, era— Dovevamo sta' insieme, non ce vediamo da tre mesi» scuote il capo e scioglie l'intreccio tra loro, così da poter compiere mezzo giro su sé stesso ed essere faccia a faccia. «Dovevamo esse io e te».
«So pure questo» insiste Simone e sforza un sorriso privo d'entusiasmo. Con una mano gli accarezza una guancia e sfrega il pollice sul suo zigomo. «Però si tratta di tua madre e sei in ansia. Sei qui, ma— È come se non ci fossi e va bene. Io non mi muovo, t'aspetto qui, t'aspetto sempre».
Col sempre, Manuel ha un cattivo rapporto: gli sembra qualcosa di troppo grosso, di immenso, di spaventoso.
Ci ha creduto poco per tutta la vita.
Con Simone, quel concetto perpetuo sta pian piano mutando il suo significato.
«Sei sicuro?» biascica.
L'altro fa cenno di sì con la testa. «T'accompagno in stazione».
26 Dicembre 2026
«Che ore sono?».
«Le 23 e 50».
«Avemo tempo?».
«Se corro, sì».
«E corri».
Simone rischia di far cadere il telefono a terra per muoversi il più velocemente possibile sulla scala mobile. Ha un borsone pieno che pesa parecchio, però cerca di non badarci troppo.
La stazione di Roma Tiburtina pare un labirinto in quel momento, senza una via d'uscita. Sbaglia pure quella, si ritrova al punto di partenza e sbuffa sonoramente.
Ha perso due treni quella mattina, per sciopero. Per arrivare lì ne ha presi tre facendo dei cambi.
Ma non importa perché quel giorno lui deve essere a Roma.
Riesce ad uscire dalla stazione inciampando sugli ultimi gradini delle scale di marmo che conducono in strada. Accenna una corsa quando in lontananza scorge Manuel, con la macchinetta delle polaroid in mano; alle sue spalle, Dante e Anita si stringono le dita, ridacchiando.
Simone sorrise, copre gli ultimi metri di distanza che lo separano dal fidanzato. Getta il borsone a terra quando gli è di fronte e «Le 23 e 58» soffoca, a corto di fiato. Manuel non aggiunge altro: solleva la macchinetta e scatta loro la polaroid nel loro terzo 26 Dicembre, con Roma Tiburtina nello sfondo e il rumore dei clacson nell'aria.
21 Giugno 2027
Forse sta facendo una cazzata.
Anzi, sicuramente sta facendo una cazzata. Glielo hanno detto tutti.
Gliel'ho ha detto persino Simone che mollare la facoltà di filosofia ad un passo dalla laurea per iscriversi a medicina è una follia.
E questo Manuel lo sa. Lo ha saputo per tutto il tempo passato sui manuali per prepararsi al test di ammissione, lo sa quando l'ansia di non farcela lo divora.
«Sei sicuro?» quella domanda gli viene posta per l'ennesima volta da Simone, mentre sono seduti ad un tavolo di legno, uno di fronte all'altro, nella veranda di villa Balestra, con un caldo atroce che fa stare entrambi in pantaloncini e canottiera.
Ha quel cazzo di manuale davanti e fatica a memorizzare i concetti. «Só sicuro» ribadisce.
Simone sospira. «È che— È difficile. Lo sarebbe normalmente e...».
«'O sai perché lo faccio, Simó» sentenzia Manuel, lanciandogli un'occhiata tagliente.
«Lo so, ma...».
«Ma só indietro de almeno tre anni, se non quattro e me sto a imbarcà in 'na cosa più grande de me. Me l'hai già detto».
«Sì, ma...».
«Me dovresti appoggià invece de romperme er cazzo, te che dici?» alza il tono della voce. Risulta pungente, irritabile, come sempre in quell'ultimo periodo.
E Simone incassa, in silenzio.
Adesso l'assenza di suono non riesce tanto a decifrarla: è confusa e sconnessa.
Si limita ad annuire. «Ti lascio studiare» conclude e si alza, abbandonando la panca su cui si è accomodato.
Manuel lo osserva allontanarsi. Una parte di lui vorrebbe fermarlo e scusarsi.
Però vince l'altra.
12 Dicembre 2027
Il battito del cuore di Simone lo rilassa.
Pelle contro pelle, il calore del suo corpo sa di casa e sicurezza.
Sono in un letto ad una piazza e mezza, nella vecchia stanza del ragazzo a villa Balestra, che è rimasta intatta negli ultimi tre anni - un po' per scelta, un po' no.
Simone è sdraiato in posizione supina, mentre Manuel gli è addosso, con la testa appoggiata sul suo petto e una mano che gli sfiora un lato del collo.
Sono nudi, con un lenzuolo bianco e sgualcito che ricopre i loro corpi dalla vita in giù.
C'è silenzio intorno. Nessuno dei due ci prova a decifrarlo. Suona quasi come una punizione.
«Simo...» sussurra Manuel ad un tratto.
«Mh-m?». Simone tiene un palmo sulla sua schiena, fermo e aperto, si muove poco. L'altro ragazzo solleva di poco il capo: ha gli occhi lucidi. «Me sei mancato» biascica. «In 'sti mesi, dico».
Quei mesi che sono stati una corsa contro il tempo.
Quei mesi in cui si sono visti soltanto per due volte, sentiti dieci.
Quasi come due sconosciuti.
Ma loro sono Simone e Manuel, non possono esserlo.
Sconosciuti.
Il primo sospira sommesso. Si è sforzato di mantenere un'espressione seria per tutto il tempo, sebbene abbia ceduto ai baci e alla loro onnipresente attrazione fisica - come un pianeta e la sua stella.
Però non emette fiato, si limita a scrutarlo, stanco.
«Me só comportato un po' da stronzo ultimamente» insiste Manuel ed è a tal punto che il compagno abbozza una risata, a tratti isterica e «Un po'?» borbotta.
«Un po' tanto, okay?» è la replica. «Stavo a svalvolà pe' il test, poi le lezioni, er ragazzo mio che sta a Padova e non qui».
Simone manda giù a fatica della saliva. Comprende tutto, lo fa per davvero, nonostante abbia passato quel periodo in uno stato di angoscia, che si è tramutato presto in apatia. «Magari dell'ultima cosa non devi più preoccuparti».
Pare quasi una sentenza, quella. Lo sembra così tanto che il cuore di Manuel perde un battito e lui si sente morire. «Me vuoi lasciá?» soffoca.
Segue una risata, buffa e cristallina. «No, scemo» dice Simone e scuote il capo. «Pensavo di tornare a Roma» sospira. «Mi só informato, posso— Fare domanda per finire di studiare qua. Si può fare, cioè— È 'na roba un sacco burocratica e...».
Il suo flusso di parole viene frenato da Manuel che, con uno scatto lo bacia sulle labbra. È un gesto dapprima fugace, poi più approfondito, e lui tiene gli occhi aperti come per accertarsi sia reale.
È reale.
Simone ride. Ora il corpo del compagno lo ricopre del tutto, sono cuore contro cuore e battono entrambi eccessivamente forte, da rimbalzare contro lo sterno.
«Quindi, approvi l'idea?» esclama.
«Che, me 'o chiedi pure?».
«Perché pensavo ad un'altra cosa».
«Me vuoi fa' venì n'infarto oggi, mh?».
Torna più serio, gli passa una mano tra i capelli, spostando i ricci spettinati all'indietro e scoprendogli la fronte. «Pensavo che quando torno qui, potremmo...» biascica. «Io e te, no? Potremmo...».
«Sì» Manuel lo precede e dunque «Non sai manco che dovevo dire» puntualizza l'altro ragazzo.
No, tecnicamente non lo sa.
Però ha decifrato quell'attimo di silenzio e lo ha capito.
«Ce vengo a vive co' te, Simó. Ce vengo».
26 Dicembre 2027
«Viè qua, ce sta 'na bella luce». Manuel è fermo davanti alla finestra che si affaccia sulla strada di villa Balestra, in camera da letto. Simone lo raggiunge, posandogli le mani sui fianchi.
Lo abbraccia da dietro, facendo aderire il proprio petto alla sua schiena. «È una luce de merda» sussurra ad un suo orecchio e gli sfugge una risata.
Quello Manuel lo sa: ce n'è forse troppa, un sole eccessivamente forte per quella stagione.
Fa finta di nulla. Tiene la macchinetta delle polaroid in mano, la solleva con entrambe le braccia.
Simone posa le labbra sulla sua guancia.
Ed è il loro quarto 26 Dicembre.
18 Maggio 2032
Vivono in un appartamento nel quartiere Tuscolano.
È un bilocale piccolo, con le pareti arancione tendente al salmone che devono ridipingere da almeno tre anni, ma non trovano mai il tempo.
Simone è davanti ai fornelli. Ha messo sul fuoco, in una padella antiaderente, delle carote surgelate tagliate a rondelle - ed è certo che il compagno avrà da ridire sui surgelati, ma tant'è. Le gira di tanto in tanto con un cucchiaio di legno.
Manuel avrebbe dovuto rientrare almeno da un'ora.
Cerca di non farci caso, si è inevitabilmente abituato ai ritardi e quindi, quando due ore dopo il previsto arrivo l'altro ragazzo rientra all'appartamento, conosce a memoria il copione: «Scusa, dovevo finì 'na roba a tirocinio, me sta a ammazzà».
Succede anche quella sera. Eppure Simone lo accoglie con un sorriso, con le carote cotte nel piatto e della carne alla griglia.
Perché i ritardi capitano, in particolar modo per un aspirante medico piuttosto ambizioso.
Capitano e Simone lo capisce e lo ama così tanto che quelle cose le scivolano addosso.
Continua a cucinare quei surgelati, a comprarne tanti da far scoppiare il freezer.
E va bene così.
26 Dicembre 2032
È il loro nono 26 Dicembre.
Sono nell'appartamento dalle pareti arancione, un albero spelacchiato in un angolo con le decorazioni blu e argento e le luci bianche.
Ci sono i surgelati anche quella sera, il che potrebbe persino risultare triste sotto certi punti di vista.
Simone è seduto sul divano di finta pelle beige a due posti. Manuel gli è accanto; ha lavorato a più non posso negli ultimi due giorni ed è così stanco che si addormentato prima di toccare cibo. Gli ha appoggiato la testa sulla spalla, calando le palpebre.
Simone non lo sveglia. Piuttosto afferra la macchinetta delle polaroid che ha già preparato in precedenza e scatta la loro foto rituale.
30 Marzo 2035
I colleghi di lavoro gli hanno organizzato una festa.
Simone vorrebbe dire a sorpresa, ma ha scoperto tutto un mese prima, quindi non lo è.
Ma non importa, forse è troppo grande per le feste a sorpresa o magari non c'è un'età per questo.
È felice di avere attorno amici - vecchi e nuovi - insieme ai colleghi di lavoro. C'è persino suo padre, insieme ad Anita.
Ci sono tutti, tranne ci vorrebbe davvero.
È incredibile come ci si senta irrimediabilmente soli in mezzo ad un mucchio di persone quando manca un tassello del proprio essere.
È come un puzzle privo di colore.
Simone regge in mano un calice di spumante che non ha ancora bevuto. Osserva la gente in quella grande sala con luci viola, festoni di buon compleanno e palloncini argento con un tre e uno zero.
Li vede mentre chiacchierano tra di loro, sebbene alle sue orecchie sopraggiunge un brusio indistinguibile.
«Oh, Simó! Auguri, fratè!» Matteo gli si avvicina insieme a Chicca, tenendosi per mano. Loro fanno parte degli amici vecchi, quelli che ci sono sempre stati sin dal liceo e che, probabilmente, non se ne andranno mai. Stanno insieme da anni, sono prossimi al matrimonio e, anche se lei tenta di nasconderlo, anche un figlio.
Quasi in maniera inconscia, Simone si ritrova a pensare che Manuel odierebbe quel discorso perché a lui non piacciono i bambini e non è loro intenzione averne uno.
Come se adesso quell'argomento fosse importante.
«Grazie» replica, con un mezzo sorriso di circostanza che non arriva affatto ai suoi occhi.
«Ma Manuel?» domanda la ragazza e alza un po' la voce per farsi sentire. Si porta una ciocca dei lunghi capelli scuri dietro ad un orecchio e il suo vestito di paillettes scintilla sotto le luci viola.
«Arriva più tardi» Simone mente: non sa quando e se il compagno arriverà. È probabile non lo faccia.
Di sicuro non lo farà.
Perché avrà un turno che si prolungherà troppo in ospedale.
Perché delle analisi sono arrivate tardi.
Per qualcosa di imprevisto che capita sempre e di continuo.
«Spero presto che só finite tutte le pizzette» commenta Matteo, cercando di smorzare la tensione. Chicca annuisce «E poi trent'anni si compiono 'na volta sola nella vita» aggiunge.
Simone vorrebbe dire meno male, però si trattiene. Butta giù un sorso di spumante.
Nella mezz'ora successiva, se ne versa altri tre bicchieri.
Poi quattro.
Manuel non arriva a quella festa, nonostante lui stia lì ad aspettarlo finché il locale non chiude.
Esce da quel posto che è da solo, sotto la pioggia e senza ombrello.
26 Dicembre 2035
Simone ha preparato la cena a regola d'arte. Si è impegnato, non ha usato cibi surgelati.
Manuel gli ha detto che finisce il turno alle sette, quindi può essere a casa per tempo.
Finalmente.
Ha cucinato l'arrosto al latte, le patate al forno, ha fatto persino la torta di mele perché sa che al compagno piace. Ha imbandito la tavola con una tovaglia bianca di lino e persino acceso due candele rosse e profumate al centro.
Versa in due calici di vetro del vino rosso - non se ne intende, ma al negozio gli hanno detto che è la migliore annata e si è fidato.
È in quel momento che il cellulare vibra: lo ha abbandonato sul divano, ma lo sente lo stesso. Con ancora la bottiglia in mano, lo recupera. Legge distrattamente il nome sullo schermo e risponde: «Amore, ho già messo l'arrosto nei piatti. Stai parcheggiando?».
Gli causa sempre uno strano effetto chiamare Manuel in quel modo, ma gli è uscito spontaneo qualche mese prima dopo una discussione molto accesa, nel momento in cui hanno fatto pace e la cosa gli è rimasta.
Dalla parte opposta della cornetta, sopraggiunge dapprima un lungo silenzio. Poi «Ohi, no, cioè— Non me riesco a liberà stasera. Ce sta il pronto soccorso pieno, sto dando 'na mano».
Il sorriso che Simone si è sforzato di tenere sul volto per tutto il giorno svanisce in seguito a quelle parole. La delusione lo pervade. «Stai scherzando» sussurra, mentre i suoi occhi si fanno vitrei. Dovrebbe essere una domanda, eppure non suona come tale.
Non lo fa poiché, purtroppo, conosce la risposta.
«Scusami, famo n'artra sera, mh?».
C'è un attimo di esitazione durante la quale Simone deglutisce a fatica. «È il 26 Dicembre, Manuel» biascica. Lascia in sospeso tale affermazione, come un muto ribadire è il nostro giorno, per il resto della vita e un altro giorno non sarebbe lo stesso.
Perché non lo capisci?
Perché non ci sei?
Il problema è che Manuel non c'è mai.
Né quel giorno, né negli altri.
«'O so, non me dì niente. Famo domani, mh? Mó devo annà. Buonanotte pe' dopo». Riattacca.
Ma domani non è lo stesso.
Simone rimane immobile, con il telefono ancora attaccato all'orecchio e la bottiglia di vetro che gli scivola dalla mano, cade a terra e il suo contenuto si riversa sulle mattonelle bianche.
E a lui non sembra importare di quel disastro.
Del resto, è una devastazione simile che si è aperta al centro del suo petto.
21 Febbraio 2036
Sono le quattro di mattina quando Manuel rientra a casa, a seguito dell'ennesimo doppio turno in ospedale. È decisamente stanco, quasi non si regge in piedi. Ha tagliato i capelli nell'ultimo periodo: adesso li porta corti ai lati e appena più lunghi sul davanti e questo ha sacrificato un po' la forma dei suoi ricci castani.
Ha ancora indosso la divisa di lavoro, un camice azzurro con maglia e pantalone, ha soltanto messo una giacca nera con imbottitura sopra. È la stessa che rimuove non appena varca la soglia dell'appartamento, cercando di fare il minor rumore possibile.
Risulta, ad ogni modo, uno sforzo vano poiché, quando accende la luce dell'ingresso living, trova Simone seduto immobile sul divano, col busto sporto in avanti e i gomiti poggiati sulle cosce.
Un briciolo sussulta e «Oh, ma che ce fai ancora sveglio?» domanda e smorza una risata su l'orlo dell'isterismo.
Simone non risponde. Piuttosto, gli riserva un'occhiata fredda, glaciale.
Da quando si conoscono, lo sguardo di Simone non è mai stato così e questo Manuel lo vede; sarebbe impossibile non farlo. Muove qualche passo nella sua direzione, trascinando la suola delle scarpe sulle mattonelle.
Non dice nulla e persino il suo silenzio è micidiale.
Si ferma soltanto quando è di fronte al compagno, tenendo le braccia lungo i fianchi. «Hai fatto tardi» biascica. «Di nuovo».
Manuel è un po' stranito dalla sua espressione, dai suoi occhi spenti, ma forse la stanchezza fa più rumore e a ciò dà meno peso. Abbozza una finta risata. «Seh, t'ho avvisato» si giustifica. «Potevi annà a dormire, eh. Domani lavori».
«Domani non lavoro» attesta Simone, con tono piatto. «Come non ho— Fatto nell'ultimo mese, ma dubito tu te ne sia accorto».
È come un fulmine a ciel sereno che porta Manuel a spalancare gli occhi e «Che stai a dì?» biascica. «T'hanno detto che sei uno dei più bravi allo studio tuo, te volevano da' la promozione e...».
«E poi hanno fatto dei tagli e hanno deciso che non andavo più bene» sentenzia l'altro ragazzo e sorride amaramente. «È un mese che esco di casa e fingo di stare da qualche parte per otto ore e magari tu— Magari te ne saresti accorto se m'avessi chiesto per una sola volta come stavo».
A Manuel esplode la testa. Si porta due dita nello spazio tra gli occhi, ci preme medio e pollice come se ciò servisse a radunare pensieri coerenti e avere una giusta reazione - sempre che esista.
Ma lui è impulsivo, non dà retta alla logica in quei casi e vede l'ultima frase come un preciso e diretto attacco.
«Stavo a lavorà, Simó» si giustifica. «Non in giro a divertirme. Me sembrava tutto a posto e...».
«Te sembrava».
«Sì, perché se ce stava questo grande problema, me lo dovevi dì subito».
«Quando?» Simone, adesso, caccia un urlo. «Quando che non ci sei mai? E quando ci sei, sei troppo stanco e dormi. Quando dovevo dirtelo?».
«Me stai a rinfaccià er lavoro mio, Simó?» Manuel sostiene duramente il suo sguardo. «'O sai perché lo faccio, non ce prova' a—».
«Il lavoro tuo ha smesso d'essere un lavoro già da un pezzo!» sbraita Simone e allarga le braccia, esasperato. È come una bomba pronta ad esplodere. Perché ha trattenuto tanto e per troppo tempo.
Ed è arrivato ad un limite.
Succede a tenersi tutto dentro, a sotterrare ciò che fa male nella speranza che il dolore si attenui un po'.
Ma è un rimedio momentaneo, non destinato a durare.
E difatti, non dura. Non resiste.
«Lo fai per tua madre» continua Simone. «E io ti ho appoggiato, sempre. Sempre! Anche quando medicina mi sembrava una follia, anche quando eri insopportabile perché non ci capivi niente di anatomia e t'hanno bocciato all'esame. Ti ho appoggiato, ci sono stato perché, cazzo, ti amo e con le persone che si amano si fa questo. Ma tu— Tu hai smesso di esserci».
Un leggero singhiozzo si mescola alle sue parole e scopre i suoi occhi che si son fatti lucidi.
«Da quando tua madre ha avuto la diagnosi dell'Alzheimer, il tuo unico scopo è diventato trovarne un rimedio e vedi solo quello».
Manuel cerca di non farsi scalfire da tali accuse, fa un passo indietro e abbozza una risata sull'orlo dell'isterismo. «È mi madre, Simó» sbotta. «Non te mette in competizione perché non—».
«Cosa? Non vincerei?» Simone lo interrompe. «Certo che non vincerei. Non vinco mai. Non vinco contro i turni in ospedale, non vinco con il collega che ti chiede di fare a cambio con la notte, non—». Fa un'altra breve pausa, tirando su col naso.
«Io sono diventato un fantasma per te» biascica. «E non voglio esserlo. Io voglio che tu mi veda, io ho bisogno di qualcuno che mi veda».
Manuel scuote il capo vigorosamente. È stanco e quella discussione gli pare surreale. «Stai a dì 'na marea de stronzate» sbotta. «C'avemo trent'anni, Simó! 'Na casa insieme, 'e bollette, le spese. E tu stai a perde tempo pe' questo?».
Non hai capito.
Simone trattiene un singhiozzo, si passa una mano sul volto, stanco e afflitto.
Non hai capito.
Non hai capito.
Non hai capito.
«Sto a perde tempo» gli fa da eco. «Evidentemente sì».
«Meno male che 'o sai».
Non lo so.
Simone si morde piano il labbro inferiore. «E forse ne ho perso pure parecchio».
«Che vor dì?».
«Che non ci posso stare con una persona per la quale io manco esisto».
Per te non esisto.
Di nuovo.
Manuel rimane inerme. Non sa come sentirsi, non sa ancora come reagire. Fa un passo indietro, osservando poi Simone che raccatta un borsone nero da accanto il divano e che, in precedenza, lui manco ha notato.
«Stai a fa' 'na cazzata» è l'unica frase che gli esce fuori di bocca, soffocata, a stento percettibile e allora «Stai a fa' 'na cazzata!» ripete, più forte quando il compagno lo ha superato, scavalcato e si appropinqua alla porta.
Una parte di lui vorrebbe urlare di aspettare, che ne possono parlare, che possono trovare una soluzione insieme - che loro esistono solo insieme.
Eppure quella sorta di guerra improvvisa la vince un pezzo della sua anima troppo iracondo, troppo pieno di rancore.
E dunque «Sei un cazzo di bambino, Simó!» gli grida alle spalle. «Cresci un po'! Che se cresci 'ste cose le capisci!».
A ciò, Simone non reagisce. Si ferma davanti alla porta, con le dita strette alla maniglia.
Perché non mi fermi?
Ma Manuel, invece, lo spinge via.
Lo caccia, come la notte fa con il giorno.
He stayed the same
All of me changed like midnight
10 Giugno 2043
Simone vive a Milano. Ha trovato lavoro quattro anni prima dopo una estenuante ricerca, come impiegato in una casa editrice.
Non è il posto per cui ha studiato, ma ha una buona paga, un contratto a tempo indeterminato e quindi va bene così.
Condivide l'appartamento con Samuele: è un ragazzo carino, simpatico, biondo con gli occhi verdi; ha solo un anno più di lui e fa il commesso in un negozio di abbigliamento. Si sono trovati in sintonia sin da subito e sono una coppia stabile da due anni.
Hanno due lavori ordinari, basilari, eppure Simone crede di non essere mai stato meglio.
Perlomeno, è tranquillo.
Torna a casa ogni sera, lui e Samuele si alternano a preparare la cena.
Mangia ancora una quantità spropositata di surgelati.
Quella sera ha messo in padella dei broccoli verdi, che ora fanno rumore mentre l'olio scoppietta.
La casa è davvero piccola: ha un ingresso living sulla cucina con mobili verde menta, una camera da letto matrimoniale e un bagno quadrato con le mattonelle turchesi.
Simone aspetta Samuele, che dovrebbe rientrare da un momento all'altro. Il rumore della tv accesa gli fa compagnia. Non la guarda spesso, utilizza più Netflix o Prime Video la sera, quando non ha troppo mal di testa.
Ciò nonostante, in quell'istante, mentre prepara la cena, la voce della telecronista del tg gli arriva alle orecchie quando la sente pronunciare un nome fin troppo conosciuto.
Lancia un'occhiata rapida allo schermo appeso alla parete sopra al tavolo con una staffa di metallo.
Non si preoccupa di alzare il volume, gli basta leggere le scritte che scorrono sotto le immagini che ritraggono il suo volto, il suo sorriso e i numerosi premi per la ricerca contro l'Alzheimer che ha conquistato.
Non regge per molto, perché all'ennesimo dottor Manuel Ferro che viene detto, lui vorrebbe urlare.
Afferra con uno scatto il telecomando e spegne tutto.
Perché pensa che quei traguardi li ha raggiunti solo dopo che la loro relazione è tracollata.
Pensa che, forse, lui era il problema, l'ostacolo che gli impediva di spiccare il volo.
E di sentirsi in colpa per ogni cosa non gli va.
Non ce la fa.
Preferisce non sentire e proseguire quella vita più tranquilla che si è scelto.
Con i giorni tutti uguali e nessun 26 Dicembre.
25 Dicembre 2043
Manuel vive da solo, a Roma. Ha una casa enorme, con un salotto che contiene una grande libreria angolare, i cui scaffali sorreggono premi di medicina, targhe di riconoscimento in tale ambito - una somma rappresentazione di tutti quei successi che ha raccolto negli anni.
È solo, non ha frequentato nessuno dopo di lui.
Forse non ne ha avuto il tempo, forse non ci ha nemmeno mai provato ad averlo.
Ora è seduto in quel grande salotto, su una sedia di finta pelle marrone. L'albero di Natale che spicca in un angolo lo ha allestito Stefania, che è una donna di cinquant'anni che va a fare le pulizie nel suo attico tre volte a settimana.
Lui non avrebbe voluto fare nulla perché quella festività ha smesso di celebrarla da tempo, da quando sua madre è ricoverata in una clinica di lunga degenza e non ha letteralmente più nessuno con cui trascorrere quei giorni.
Regge un bicchiere di vino rosso in mano. Se ne versa uno ogni sera, anche se, alla fine, non lo beve mai - non tutto.
Nell'altra, tiene il cellulare.
Ha ancora il suo numero.
Non lo ha mai cancellato e lui non l'ha mai cambiato.
Ogni tanto controlla la foto profilo che tiene su WhatsApp: c'è il suo viso sorridente, con un accenno di barba brizzolata sulle guance, insieme ad un uomo dai capelli biondi e occhi chiari.
Assomiglia ad un loro 26 Dicembre, quell'immagine.
In testa gli vorticano mille pensieri.
Come ad esempio l'ho trattato così male da spegnerlo, l'ho talmente dato per scontato che si è dissolto.
Che lui voleva solo una vita insieme e io gli ho dato la solitudine.
Che è la stessa dove, adesso, son piombato io.
Pensa che Simone è felice, senza di lui.
Pensa che, forse, gli ha fatto un favore a lasciarlo andare.
Ha questo impresso nella mente digita rapidamente qualcosa in quella conversazione vuota ormai da anni:
Domani è il 26 dicembre.
Ti penso in questo giorno,
ogni giorno,
per il resto della vita.
Poi preme invio.
(Edit by @/melindamiyy)
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