{Epilogo 3° - Fine terza parte}
[Epilogo terzo – Fine terza parte]
Baker Street, Londra·24 dicembre 2024
Ultimo tocco di colore alle labbra, capelli tenuti insieme da un fermaglio, la frangetta scompigliata sulla fronte, poi Jane si tira indietro per osservare meglio il suo riflesso limpido che le sorride da dentro la cornice dello specchio.
«Aden?»
Scende le scale velocemente ed entra in cucina, dove l'odore di zucchero si mescola a quello del prosciutto arrosto. Seduto al tavolo, Aden scribacchia degli appunti su un bloc-notes, con un libro di letteratura aperto davanti a sé.
«Zio John e Rosie saranno qui a momenti»
«Finisco il tema e tolgo tutto»
«Non puoi finirlo dopo?»
«Mi scappano le idee dalla testa»
Jane sospira, rimanendo in piedi alle sue spalle, e lancia automaticamente un'occhiata alle righe d'inchiostro blu che escono dalla punta della penna che Aden ha in mano.
"TEMA: È vero che il fine giustifica i mezzi? Esponi la tua opinione riguardo questa famosa citazione di Niccolò Machiavelli.
SVOLGIMENTO: Sebbene non sempre sia un processo democratico, a volte è necessario impiegare metodi che limitano le libertà individuali per quei soggetti considerati a rischio, specialmente per la società. Infatti..."
«Aden?»
«Mh?»
«Ti sei fatto aiutare da papà per questo tema?»
«Perché?»
Aden smette di scrivere e torce la testa in direzione dello sguardo indagatore di sua madre alle sue spalle. «Mi sono soltanto fatto dare qualche idea»
Jane sospira, scuotendo la testa lentamente. «Sherlock?» grida. «Puoi venire qui un attimo?»
Una porta si apre, passi nel corridoio, poi Sherlock entra in cucina, sistemandosi la giacca del completo nero.
«Cosa?»
Jane indica il libro aperto davanti ad Aden. «Gli hai detto tu cosa scrivere?»
Sherlock e Aden si lanciano uno sguardo fugace. Breve, brevissimo, attraverso cui però passa una conversazione intera.
«Gli ho soltanto dato qualche idea»
«Sta usando termini che un undicenne non userebbe mai»
«Dodicenne» ci tiene a precisare Aden.
«Compi dodici anni tra un mese»
«I miei compagni di classe usano ChatGPT per fare i temi e i professori nemmeno se ne accorgono!»
La conversazione viene interrotta dall'improvviso trillo del campanello dal piano di sotto ad annunciare l'arrivo degli ospiti.
«Ne parliamo dopo»
Jane esce verso le scale, seguita da Sherlock che scambia un'altra conversazione visiva col figlio prima di sparire al piano di sotto. Quando la raggiunge, Jane ha già aperto la porta con un sorriso sgargiante.
«Ciao a tutti!»
Saluti e auguri volano tra la strada e l'uscio, mentre i due ospiti entrano nell'ingresso e iniziano a spogliarsi dei loro cappotti, e sciarpe, e guanti e cappelli.
«Nevica già fuori?» chiede Jane a Rosie, prendendole dalle mani una cesta di Christmas crackers.
«No» risponde svelta la ragazzina. «Ma spero che inizierà presto, almeno domani possiamo usare lo slittino!»
«Dai miei ha già nevicato, tra l'altro» Sherlock alza lo sguardo dalla bottiglia di vino che John gli ha appena consegnato e lo rivolge a lui. «Fortunatamente domani non sei di turno in ospedale»
John sorride, scuotendo la testa. «Non sai che fatica ho fatto per convincere i colleghi!»
Salgono nel salotto, dove li attende Aden seduto sulla poltrona del padre, le ginocchia contro il petto. Saluta i nuovi arrivati con un cenno della mano e un mormorio senza entusiasmo.
«Tutto bene?» chiede John, allarmato.
«È arrabbiato perché non mi è piaciuto il suo tema» spiega Jane, con un sorrisetto canzonatorio mentre posa la cesta di crackers in cucina.
«Tu non apprezzi la mia arte!» risponde il figlio, alzando il tono della voce.
«Oh, Aden, non puoi pretendere che tua madre capisca l'arte solo perché è la persona più emotiva in questa stanza!»
La battuta di Sherlock fa sorridere Aden e sospirare Jane la quale, per cambiare subito argomento, invita tutti a sedersi a tavola. John conta velocemente i piatti e si rende conto che stasera saranno solo in cinque.
«Molly non viene?» chiede.
«Ha chiamato per dirci che passerà la serata con Sam» risponde Jane dalla cucina, tirando fuori il prosciutto dal forno.
«E Lestrade?»
«Vacanza all'ultimo con la famiglia»
«Quindi siamo solo noi»
Jane posa la teglia proprio al centro del tavolo e sorride, togliendosi i guanti. «Solo noi»
E tanto basta, in fin dei conti, per sentire che tutto è finalmente al posto giusto. L'atmosfera, e il calore, e gli odori, e le luci, si mescolano tra loro per creare la magia perfetta, la perfetta atmosfera. Per cui tutti si siedono attorno al tavolo, pronti a passare un'altra vigilia serena. Mangiano, e scherzano, e ridono, e da fuori sembrano la famiglia normale e felice che ogni giorno si impegnano ad essere. Brindano agli assenti e ai perduti, alla loro memoria, ai cari e a loro stessi che sono sopravvissuti, rimanendosi vicini in ogni circostanza. La sera trascorre come una parentesi di pace e spensieratezza che riunisce tutti e cinque, coloro che contano davvero, in un angolo condiviso lontano dal mondo e dai suoi problemi. Aden e Rosie si addormentano sul divano, l'uno accanto all'altra, e i loro genitori continuano a parlare attorno al tavolo, finché non arriva la mezzanotte e John, prendendo Rosie tra le braccia, la porta al piano di sotto, dove una volta era l'appartamento della signora Hudson e che adesso, dopo la scomparsa della padrona di casa, è diventato un rifugio per lui e sua figlia in occasioni come questa, quando il giorno diventa notte troppo presto e un caso non è stato ancora risolto.
«Noi andiamo a dormire» annuncia. «A che ora partiamo domani per andare dai tuoi?»
«Pensavamo per le nove» risponde Sherlock, prendendo anche lui in braccio Aden.
Si salutano, uno verso il piano di sopra e uno a quello di sotto.
«Cresce in fretta il marmocchio...» mormora il detective, mentre lo mette nel suo letto.
«Dopotutto fa dodici anni il mese prossimo»
Jane lo aiuta a mettersi il pigiama, muovendo i gesti assonnati del figlio, mentre Sherlock vigila dalla soglia della porta. Lei gli sistema le coperte, lui chiude la porta, ed entrambi scendono al piano di sotto, per mettersi ad aspettare sul marciapiede gelido che, come ogni anno, arrivi la neve.
Sherlock si accende una sigaretta, Jane lo imita, suscitando come sempre la sorpresa del detective, che ancora non riesce ad abituarsi a vederla fumare. Jane, d'altronde, non fuma quasi mai, se non in occasioni come questa, in cui tutto sembra allinearsi e la nostalgia per quando passerà la assale prima che il momento finisca. Restano in silenzio, ad osservare la notte che scende sulla città, il fumo che esce dalle due code di cenere.
Poi Jane parla.
«Senti, gli hai davvero soltanto dato qualche idea per il tema? Sii sincero, me ne accorgo quando vi mettete in combutta contro di me»
Sherlock alza gli occhi al cielo, sbuffando con veemenza. «Sì» risponde semplicemente.
«E che idee gli hai dato?»
«Ha chiesto la mia opinione sulla consegna del tema e lui ha rielaborato»
«Quindi gli hai fatto una disquisizione filosofica sulla correttezza etica del sistema carcerario?»
«No, gli ho detto che la frase è vera in alcune circostanze» Tira via qualche centimetro dalla sigaretta e, prima di buttare via il fumo, dice: «Gli ho parlato di Eurus»
Quando hanno scoperto della sua esistenza, Jane e Sherlock hanno a lungo evitato di parlare della terza sorella Holmes, più per una questione di riservatezza che per cercare di dimenticarla di nuovo. In realtà, Sherlock è andato spesso a trovarla, una volta riportata a Sherrinford, e quando si è sentito abbastanza sicuro l'ha presentata a Jane. Un solo incontro, durante il quale Eurus non si è minimamente sbilanciata riguardo l'esistenza della ragazza, se non per un singolo commento, rivolto a Sherlock: «Anche lei ha i capelli rossi»
Jane tossisce, sconvolta. «Gli hai detto di Eurus?!»
«Prima o poi doveva succedere, e questa mi sembrava una buona occasione»
Jane vorrebbe replicare, ma si trattiene dal farlo, tappandosi la bocca con il filtro della sigaretta. Ormai da tempo ha smesso di discutere le scelte genitoriali di Sherlock, specialmente perché lui riesce sempre a giustificarle con una logica inattaccabile. E poi, non hanno mai messo in pericolo la salute psico-fisica di Aden, per cui Jane ha sempre fatto meno fatica ad accettarle.
Sospira, fiato assieme a fumo. «Credi che io sia troppo protettiva, vero?»
Una cosa che le piace del modo di Sherlock di fare il padre è che non cerca mai di mettersi in una posizione di vantaggio nei confronti di Aden. Lo tratta con la consapevolezza che lui sarà in grado di capirlo, non lo tratta da stupido, ma da ragazzino intelligente e capace, cosa che spesso risulta difficile a Jane che vorrebbe invece mantenerlo per sempre piccolo.
«Dovresti lasciarlo essere sé stesso» le risponde lui.
«Lo lascio essere sé stesso»
«Non gli permetti mai di dimostrare quanto è intelligente»
«Non è vero. Voglio solo che sia come tutti gli altri»
Sherlock si volta a guardarla, ma non incontra i suoi occhi. «Ma lui non è come tutti gli altri»
Jane tira una boccata dalla sigaretta, nervosa, e la lascia andare via velocemente. «Aden non è solo intelligente, Sherlock. È gentile, generoso, empatico, e... Insomma, non voglio che si senta definito solo daciò che sa fare, ma da ciò che sente. Sono quelle le cose che gli permettono di creare dei legami» Jane sospira, prendendo fiato dopo la corsa di parole. «Non voglio che si senta diverso come ci siamo sentiti noi alla sua età»
Sherlock ascolta, tenendo a lungo la sigaretta tra le labbra, poi distoglie lo sguardo e soffia via il fumo che sale, e sale, come nebbia.
«Secondo me non sarebbe una cosa negativa» dice, facendo cadere la cenere con un colpetto delle dita. «Dopotutto, essermi sentito diverso mi ha permesso di non accontentarmi mai della gente che mi circondava. Mi ha spinto a cercare persone davvero simili a me» Si gira di nuovo verso Jane, che già lo guarda. Le sorride, tra le ombre non raggiunte dalla luce dei lampioni. «Credo che anche per te sia stato lo stesso »
Jane scuote la testa, tirando un'altra boccata dalla sigaretta quasi terminata, gli occhi distolti verso la strada deserta. «Vorrei solo evitargli inutili sofferenze»
«Lo so» risponde Sherlock. «Lo vorrei anch'io. Ma mi rendo conto che sarebbe impossibile, oltre che dannoso. Non ci saremo per sempre per toglierlo dai guai»
Jane sbuffa via una risata, insieme all'ultimo soffio di fumo, poi spegne la sigaretta sul marciapiede e si accovaccia su sé stessa, stringendosi le ginocchia con le braccia.
«Sì, forse hai ragione»
Da quando sono diventati genitori, Jane e Sherlock sembrano essere diventati più saggi, il che si può ben notare dal tono serio delle loro conversazioni o dai temi dei loro SMS, anche se da fuori potrebbero sembrare essere rimasti gli stessi da più di dieci anni.
Bisticciano cole al solito, e parrebbe che siano rare le volte in cui riescono ad andare d'accordo su qualcosa. Non è del tutto vero, ovviamente: Jane e Sherlock, semplicemente, si comportano come una vecchia coppia sposata da tempo, tra cui c'è intesa e rispetto ma assai poca pazienza. Infatti, nemmeno vivono insieme, il che non li rende esattamente una famiglia "normale". Nonostante questa distanza interposta, Jane sa che a Baker Street ci sarà sempre posto per lei e suo figlio, specialmente in occasioni come questa, e Sherlock sa che per lui è lo stesso a casa di Jane, vicino al tribunale dove ora lavora. Per un periodo si sono domandati se questa ambiguità che li fa funzionare tanto bene non fosse in realtà deleteria per Aden, ma lui non ha mai dato segni di non apprezzare la situazione, quindi l'hanno semplicemente resa la loro normalità. Aden sembra capire che è meglio che le cose stiano così, specialmente perché sa che i suoi genitori si vogliono più bene di quanto dicano. Lo vede negli sguardi che si lanciano, la complicità, la comprensione che esprimono attraverso i loro occhi. Aden è cresciuto in mezzo a questo amore qui, che lo ha sempre fatto sentire amato a sua volta.
Jane e Sherlock si amano, anche se non se lo sono mai esplicitamente detto, come accade invece nella maggior parte delle coppie, ma in fin dei conti anche questo viversi senza dirsi nulla li definisce.
Jane, l'amore, lo aveva provato solo in maniera vicaria attraverso il dolore di sua mare e la superficialità di suo fratello, tanto che aveva a lungo sperato di essere in grado di nascondersi dentro ad un'armatura per evitare di doverne soffrire, un giorno. Non se n'era mai davvero occupata, mai avvicinata, se non attraverso qualche sogno ad occhi aperti di una relazione idilliaca e impossibile.
Sherlock invece non era mai stato innamorato, ne aveva la più assoluta certezza. Nel corso degli anni non si era mai neanche preso quella che viene comunemente definita "cotta", e aveva persino iniziato a credere che non avrebbe mai provato quel sentimento che John gli descriveva con tanto entusiasmo ogni volta che parlava di una sua nuova fiamma. Usava sempre gli stessi aggettivi: "bella, fantastica, sveglia, arguta...". Aggettivi che mai si sarebbe sognato di usare lui stesso.
Eppure, da quando aveva conosciuto Jane, qualcosa in lui era cambiato. E anche in Jane qualcosa era cambiato, nell'incontrare Sherlock. Aveva iniziato a provare fiducia nei suoi confronti perché lo trovava così simile a sé, un essere ridotto al fare, all'etichetta attaccatagli addosso dagli altri e non dalle proprie intenzioni, dal proprio io. Nonostante questo, lui riusciva sempre a rimanere coerente con sé stesso, non cercava mai di cambiare aspetti di sé che potessero dar fastidio agli altri, non soffriva la loro disapprovazione. Questo era ciò che attraeva Jane, che considerava Sherlock la persona più brillante che avesse mai avuto la fortuna di conoscere. Dopo aver lungo sofferto per non essersi mai sentita davvero come tutti gli altri, da quando era entrato nella sua vita aveva avuto l'occasione per rendersi conto di essere davvero una persona normale, perfettamente normale, perché esisteva al mondo qualcuno come lei, con il quale vivere la propria stranezza senza doversi sentire addosso il giudizio di nessuno.
Per Sherlock, ovviamente, il processo fu più lento. Si sentiva attratto da Jane perché la trovava una persona interessate, una specie di eccezione alla regola. Bella, pur senza capire perché. Lui, che non aveva mai usato lo stereotipo della bellezza, trovava che una ragazza fosse "bella", sebbene non sapesse sul serio cosa quell'aggettivo volesse significare.
«Ecco... Qualcosa è bello quando ti piace» gli aveva detto una volta John. «Un po' come tu trovi i tuoi casi»
Esattamente. Sherlock credeva che Jane fosse bella come un ottimo caso: intrigante, intricata e difficile da risolvere. Intelligente ed emotiva, ma comunque funzionante, e per questo tremendamente interessante. Sherlock trovava Jane fantastica, una delle persone più fantastiche che avesse mai conosciuto, col suo carattere testardo capace a volte di metterlo in difficoltà. Gli piaceva il suo modo di stringere gli occhi quando rideva, di rifarsi sbrigativamente la coda, di abbassare lo sguardo quando pensava, di storcere le labbra quando era insicura o quel suo modo di alzare le sopracciglia, quando s'irritava, il suono della sua risata sbuffata.
Gli piaceva praticamente tutto di lei, e forse per questo Jane lo amava: perché lui la trovava intelligente, fantastica, sveglia, arguta, dalla mente geniale. Jane lo amava, e lo ama, perché Sherlock l'amava, e l'ama. Perché a volte basta solo che qualcuno ami la nostra interezza per essere in grado di amare a nostra volta.
Ora Sherlock spegne la sigaretta sotto la suola della scarpa, chiede a Jane se ha freddo, e in una qualsiasi altra notte, lei risponderebbe di no, ma non questa notte.
Annuisce. «Un po'» risponde, e si avvicina a lui, gli poggia la testa sulla spalla, lui le cinge le sue con un braccio. Restano in attesa di vedere la neve iniziare a cadere, lenta, piccoli, pallini opachi posarsi sui loro cappotti. Restano in attesa di guardarla cadere morbida sulle auto in sosta e sulla strada sui tetti. Restano in attesa che uno dei due si alzi e trascini l'altro dentro, al caldo.
Non avviene. Restano in attesa nel loro stesso calore, a godersi un momento solo loro senza l'imbarazzo di un romanticismo forzato e da altri preteso. Restano in attesa, insieme, anche se senza uno scopo, anche se la neve non dovesse cadere, questo Natale, privandoli del suo conforto. Non importerebbe, resterebbero comunque in attesa, la sua assenza non sarebbe un problema.
Non fino a quando resteranno in attesa insieme.
"Whatever souls are made of,
His and mine are the same."
-Emily Brontë, "Wuthering Heights"
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