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{9° Capitolo}

[Capitolo nove]

John

Il cellulare continua a vibrare, con lo schermo illuminato e quella sottile linea che devo solo ripassare con il dito.

Me la sono proprio andata a cercare, e non ho molta scelta.

Sblocco lo schermo e avvicino il cellulare all'orecchio.

«Pronto?»

«Come hai avuto il mio numero, John?»

«Perché mi sta dando del tu?» le chiedo, muovendo un primo passo verso il gradino successivo.

«La domanda te l'ho fatta prima io. Devi rispondere»

Mi fermo sul pianerottolo. «Jane...» mormoro.

«Lo immaginavo» sospira lei. «Ad ogni modo, ti do del tu perché la serata è finita, e chiamarti in terza persona mi fa sentire una studentessa. Dovresti fare anche tu lo stesso e chiamarmi semplicemente "Amanda"»

Sorrido, arrivando in cucina con passo lento. «Ne sei sicura?»

«Certo, John!» sbuffa lei. «Altrimenti non te lo avrei detto»

«Che cosa ci fai qui?» mi chiede Sherlock, sbucando dalla sua stanza. «Non dovresti essere a dormire?»

Indico il telefono e gli faccio segno di tacere.

«La Sclerotica?» urla lui, quasi per niente sorpreso. Lo ha fatto apposta...

Mi metto il dito indice sulle labbra e gli lancio un'occhiataccia.

«Chi era, John?» mi chiede Amy, dall'altro capo della linea.

«Ehm... Era Sherlock» balbetto, facendo segno al mio coinquilino di andarsene.

«Oh... Capisco. Salutamelo»

«Certo» le faccio. «Aspetta un secondo»

Poso una mano sulla cornetta e mi rivolgo a Sherlock.

«Fuori dai piedi» gli dico.

«Non sei il primo che mi dice così, e di certo non sarai il primo a farmi cedere» ribatte lui, sedendosi di fronte a me.

«E allora impara a perdere» sibilo.

«E perché? Non l'ho fatto neanche una volta nell'arco della mia vita»

«Meglio tardi che mai»

Sherlock inarca un sopracciglio, divertito, per poi alzarsi e tornare in camera sua.

Sussurro un "Ti odio" e torno a parlare con Amy.

«Ci sei ancora?» dico, speranzoso.

«Sì, sono qua. Cos'è successo?»

«Io e Sherlock abbiamo avuto una... Piccola discussione» mormoro.

«Capisco...»

Rimaniamo in silenzio per un po'. Un silenzio che ho l'impressione ci allontani.

«Ehm... Amanda... Che ne dici se...»

«John, prima la signora Hudson mi ha detto che è venuta Pam, per sapere di te» urla Sherlock, dalla sua camera.

Sospiro. «Chi è Pam?»

«Cosa significa "Chi è Pam"?» dice lui, fingendosi incredulo. Si affaccia dalla soglia. «La ragazza con cui sei uscito ieri, ricordi?»

«Non sono uscito con nessuna ragazza che si chiamava Pam!» grido. «A dire il vero, non sono neanche uscito»

«Certo, dici sempre così!»

«Finiscila!» sbraito. «So quale giochetto stai facendo, ma con me non attacca!»

«Vedo che voi due andate molto d'accordo, quasi come me e Jane» dice Amy, ridendo.

Mi porto una mano alla fronte. «Hai sentito tutto?»

«Ovviamente! Ed è stato davvero molto esilarante!»

Rido, in modo impacciato, tanto per non rimanere in silenzio.

«Prima che Sherlock ti interrompesse, volevi dirmi qualcosa, giusto?» dice, infine.

«Sì...» balbetto. «Ehm... Ti andrebbe di andare a fare colazione da Starbucks domani mattina?» chiedo, tutto d'un fiato.

«Dipende dall'ora, perché domani ho lezione all'università» dice. «Va bene lo stesso alle dieci?»

Sorrido, anche se lei non può vedermi. «Sarebbe perfetto»

Amy

Lo Starbucks è pieno fino all'orlo che quasi faccio fatica a trovare John, tra tutti questi visi a me sconosciuti e i rumori che si mescolano tra loro.

Lo trovo seduto ad un tavolino con lo sguardo incollato allo schermo del suo Iphone.

Mi lascio sfuggire un sorriso e mi siedo di fronte a lui.

John alza lo sguardo, che gli si illumina subito, e mi ricambia sorridendo a sua volta. «Pensavo non saresti venuta» dice.

«Pensavo la stessa cosa di te, John»

Lui abbozza un sorriso, mentre abbassa di nuovo gli occhi. «Non sapevo di aver fatto una così bella impressione»

«No, in effetti» rispondo. «Vogliamo ordinare?» balbetto, indicando il bancone con un cenno del capo.

«Già fatto» annuncia. «Jane mi ha detto che prendi sempre un cappuccino al cacao, quando vieni qui. Dovrebbero arrivare a momenti»

«Sai, non sei così stupido come sembri»

«Lo prenderò per un complimento»

La voce robotica dell'altoparlante chiama John al bancone per prendere le ordinazioni, e lui si alza in piedi, lasciandomi con un "Torno subito". Arrivato lì, prende due contenitori color beige e, con un sorriso, torna da me.

«Vuoi... Ehm... Vuoi fare due passi?» dice, porgendomi il cappuccino.

«Con molto piacere!»

Mi alzo sorridendogli e, insieme, ci avviamo verso la porta a vetri.

Londra è illuminata da un sole splendente, mentre un leggero venticello soffia per il marciapiede dove io e John stiamo camminando in silenzio. Sorseggio lentamente la mia bevanda, mentre penso disperatamente ad un modo per tirarmi fuori da questa imbarazzante situazione.

«Quindi...» dice infine lui, a bassa voce. «Vai all'università»

Ecco, l'ha fatto lui, per fortuna.

«Già...»

«E cos'è che studi?» chiede, buttando giù un sorso di quello che, dall'odore, mi sembra un caffè macchiato.

«Ostetricia. Spero di prendere la laurea alla fine dell'anno»

Annuisce e torna a guardare di fronte a sé.

«Tu, invece?»

«Per adesso lavoro con Sherlock a tempo pieno, ma mi piacerebbe aprire uno studio medico» risponde, rigirandosi il contenitore del caffè tra le mani.

«Sei un medico?» chiedo, stupita.

«Un medico militare, per l'esattezza» dice, fiero di sé.

«E dove ti sei arruolato?»

«Esercito, circa quattro anni fa. Si può dire che ho fatto parecchia esperienza sul campo»

«In che senso?»

John sospira, per poi buttare il cartone della bevanda nel primo cestino che gli capita a tiro. «Campo di battaglia, in Afghanistan»

Spalanco la bocca. «Tu... Tu sei stato in guerra?»

«Sono tornato con una pallottola nella spalla e un disturbo psicosomatico alla gamba, ma... Sì, sono stato in guerra»

«A me sembri scoppiare di salute»

«Tutta colpa di Sherlock» dice, sorridendo. «Avrei potuto prendere la pensione d'invalidità»

«Perché?» rido io.

«Può sembrare una cosa strana, ma lui è riuscito a farmi dimenticare tutto facendomelo rivivere. È una teoria assurda, ma... È così»

Sorrido, per poi mandare giù l'ultima sorsata di cappuccino. Getto il contenitore nel cestino dell'immondizia più vicino e mi volto verso John.

«Mi sembra un'ottima cura la sua» gli dico.

Lui si gira e mi sorride a sua volta.

«Fidati: lo è»

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