{35° Capitolo}
[Capitolo trentacinque]
Jane
Londra vista da un taxi è tutta un'altra cosa. Non so di preciso per quale motivo, ma è diversa da come l'ho sempre vista dalla mia Ford Anglia. Magari, è proprio perché sto viaggiando in un taxi londinese per le strade londinesi, mentre cabine telefoniche e bus londinesi ci passano accanto che rende questo momento così suggestivo.
«Se ti piace così tanto viaggiare in taxi, perché non lo fai più spesso?»
Distolgo gli occhi dal finestrino, per puntarli su Sherlock, alla mia destra. «Come?»
«Non hai fatto altro che guardare fuori dal finestrino, tutta sovrappensiero»
Mi stringo nelle spalle. «I taxi costano molto» rispondo. «Ho una macchina apposta»
«Quell'auto è vecchia di almeno quarant'anni»
«Era di mio nonno» dico, stringendomi nelle spalle. «Me l'ha regalata per il mio diploma»
«Ah» fa lui, dopo una pausa brevissima. Sicuramente pensava che l'avessi rubata, o qualcosa del genere. «Capisco»
E mentre vedo Londra, con le sue strade e la sua gente, scorrermi sotto gli occhi, prendo un respiro tanto profondo da darmi l'impressione di esplodere, trattengo l'aria per qualche attimo e poi la lascio andare, lentamente.
«Ehm... A proposito di regali...» balbetto, frugando all'interno della mia borsa. «Questo... È per te»
Allungo verso di lui un pacchetto, avvolto da carta da regalo blu scuro, tentando di mantenere la mia mano ferma e far tornare il battito del mio cuore ad un ritmo normale.
Sherlock inizia a passare freneticamente lo sguardo da me al pacchetto, e viceversa, con espressione smarrita.
«John mi ha detto che l'altro ieri era il tuo compleanno» spiego.
«Ah, sì» fa lui, come se lo avesse dimenticato. «E... Quindi...» Osserva ancora il piccolo involucro, studiandolo con attenzione, e solo ora capisco quanto sia inutile la carta da regalo: sono certa che ha già capito di cosa si tratta. «Grazie... Credo...» dice infine, prendendolo con una mano.
«Aprilo quando non ci sono: potrebbe essere imbarazzante»
«Per me o per te?»
«Per entrambi» rispondo, sorridendogli in modo piuttosto impacciato. «Non sono molto brava con i regali...»
Lui sospira, mentre si mette il pacchetto nella tasca interna sinistra del cappotto. «Ricordami di uccidere John, quando torno a casa»
Sorrido sommessamente, e ho quasi l'impressione che questo atto di gentilezza da parte mia lo abbia quasi spiazzato. Io non sarò brava a fare regali, ma di certo lui non è per niente bravo a riceverli.
Quando arriviamo sulla scena del crimine, dopo non aver spiccicato parola per tutta la durata del viaggio, un po' per imbarazzo, un po' perché Sherlock è di poche parole di suo, riesco subito a vedere, non appena scesa dal taxi, le volanti della polizia, i furgoncini della scientifica e l'ambulanza per trasportare il cadavere, e all'improvviso mi sento catapultata all'interno di un film. Sherlock mi scorta in silenzio verso il luogo del ritrovamento, passando tra questi numerosi magazzini costruiti con pannelli di plastica bianca, contenenti chissà cosa.
«Ho visto che sei andata abbastanza sul classico» Sherlock si avvicina ad un tavolo, poco lontano dai poliziotti, e prende un paio di guanti in lattice da un contenitore poggiato su di esso, sul quale ci sono anche tutte le attrezzature della scientifica, come tute, copriscarpe, tamponi, valigette...
«Intendi per il regalo?» chiedo, imitandolo. «Beh, direi di sì, visto che non sapevo cos'altro comprare»
Prendo una tuta azzurrognola, impilata su delle altre, e la infilo velocemente.
«E come fai ad essere sicura che quel libro mi piacerà?»
«Semplice: perché a me è piaciuto»
Lui aguzza gli occhi, mentre mi osserva depositare la borsa in un box porta-oggetti poggiato sul tavolo, indossare i copriscarpe, i guanti e prendere una mascherina da chirurgo. Poi si avvicina all'entrata di un capanno, dove stazionano alcuni agenti.
«Non deve essere un libro molto famoso...»
«Non tantissimo»
«Ma ti è piaciuto lo stesso»
«Aveva una bella trama»
Si ferma, si volta verso di me e mi sorride beffardamente. «Mi sembra ovvio che sia un thriller»
«È sleale giocare con te» sospiro.
«Non è colpa mia se ho un'intelligenza fuori dalla norma»
Alzo gli occhi al cielo: sembra proprio che sia tornato in sé.
«Salve, geniaccio»
Non appena ci vede arrivare, il mio "alter-ego", l'agente Sally Donovan, alla quale ho rubato il nome per il caso Barnes, saluta Sherlock con un sorrisetto.
«Lestrade mi ha invitato, quindi non fare storie»
«Invitato? Pensi che sia una festa?» replica la donna, con una faccia innervosita.
«Se è un caso difficile... Direi di sì»
Lei sospira, per poi mormorare qualcosa ad un trasmettitore che tiene in mano. «È una fortuna per te, perché questa volta sembra davvero impossibile»
«Finalmente qualcosa di interessante» dice Sherlock, entrando nel magazzino, e io lo seguo in modo meccanico.
L'agente Donovan mi ferma, bloccandomi per una spalla. «Mi dispiace, ma questa è una scena del crimine. Chi è che l'ha fatta entrare?» fa poi, lanciando una strana occhiata al detective.
«Lei è con me» annuncia lui, indicandomi.
La donna mi fissa, e solo ora si rende conto di avermi già incontrata. «Noi due non ci siamo già viste?»
«Nel caso della Torre di Londra» rispondo, sorridendole in maniera forzata.
«Anche lei si è messa a seguirlo, invece di trovarsi un hobby normale?» chiede, guardandomi basita.
Faccio spallucce, sorridendo imbarazzata. «È divertente, questa roba»
Mi osserva ancora per qualche secondo, le sopracciglia inarcate. «Oh, Signore: abbiamo una nuova psicopatica!»
Scoppio a ridere. «È un piacere rivederla, agente Donovan»
Alla fine mi lascia passare: d'altronde, è Lestrade che comanda, e lui ha dato carta bianca a Sherlock. Quindi...
L'interno del capanno è solo un enorme rettangolo vuoto, il pavimento senza piastrelle, le pareti senza finestre, solo qualche grande apertura stretta e lunga, poste in alto. L'odore del sangue è talmente forte da stordirmi e nausearmi allo stesso tempo. Per un momento rimango ferma, e cerco di abituarmi velocemente a quest'aria stantia e fredda, prima di raggiungere il cadavere e averlo per la prima volta sotto agli occhi.
«Chi è?»
«Non lo sappiamo» dice Lestrade, senza perdere tempo a salutare Sherlock. Deve essersi abituato anche lui al suo modo di fare. «Non aveva il portafogli, né cellulare o una tessera del supermercato... Niente di niente»
«Da quanto è qui?»
«Secondo il medico legale, da quasi otto ore, ma è stata trovata da una quarantina di minuti, grazie ad una chiamata anonima da un telefono pubblico qua vicino»
Il corpo della donna giace a terra in una pozza di sangue denso e scuro, con indosso solo una canottiera bianca, totalmente macchiata di rosso, un paio di pantaloncini e delle infradito. È stesa supina, gli occhi serrati, e i capelli castani tagliati a caschetto in disordine intorno alla testa.
«Ci sono trenta tagli in tutto, distribuiti sull'addome, sulla schiena e sulle spalle. Non erano tanto profondi, ma la quantità e le mancate cure hanno decretato la morte della donna»
Sherlock prende dalla tasca del cappotto un piccolo oggetto di forma rettangolare, e lo tira, facendolo diventare leggermente più lungo. Si accovaccia accanto al corpo e inizia a studiarlo attentamente, passando gli occhi frenetici da un lato all'altro. Schiva il sangue in maniera automatica, e nel frattempo osserva ogni minimo dettaglio, dalla punta dei capelli, alla marca dei vestiti, al più piccolo lembo di pelle, rimanendo sempre con uno sguardo impassibile.
«E lei chi è?»
Giro la testa verso l'ispettore, che mi sta osservando spaesato con i suoi occhi grigi.
'Adesso se n'è accorto?'
«Oh, sono Jane» dico, tendendogli la mano. «Ci siamo incontrati alla Torre di Londra, qualche mese fa»
Si vede che a Scotland Yard hanno tutti una memoria molto breve.
«Ah, giusto» fa lui, stringendola. «E come mai è qui?»
«Avevo bisogno di una pausa» rispondo, con un sorriso vago.
Intanto, Sherlock smette di studiare il corpo e si alza lentamente, rimettendo a posto la sua lente e poi si toglie i guanti con un gesto secco.
«Allora?» chiede Lestrade, impaziente.
«È appena tornata da una vacanza in un posto freddo, dato che è abbronzata ma solo sul viso e ha le mani leggermente screpolate, quindi escludo la montagna» comincia il detective, indicando man mano le parti del corpo. «Ha grande cura si sé: pelle liscia, senza nemmeno una ruga, capelli tagliati perfettamente, nessuna doppia punta, unghie curate... Probabilmente aveva un bel po' di soldi da spendere, dato che ha dei vestiti di marca, ma potrebbe anche darsi che sia stato il suo lavoro ad imporlo»
«Perché è vestita così?»
«Semplice, perché l'assassino ha pensato bene di trovarsi un piano B: se non fosse morta per dissanguamento, lo sarebbe stata di certo per ipotermia»
«Furbo, non c'è che dire...» mormoro.
«Quindi, ricapitoliamo» dice Lestrade, avvicinandosi a Sherlock. «Stiamo parlando di una donna che è appena tornata da un viaggio in una città fredda, che tiene molto al suo aspetto esteriore, forse a causa del suo lavoro, e che guadagna molto»
«C'è un problema, però» dice il detective, girandosi verso di me. «Potrebbe essere chiunque: non ha neanche un particolare bracciale dal quale poter risalire a lei, o un determinato tipo di vestiti. Dobbiamo aspettare che qualcuno reclami il corpo o la riconosca»
«Quindi siamo bloccati al punto di partenza!» sbotta l'ispettore.
«Questo assassino è stato davvero intelligente...» mormora Sherlock, sorridendo compiaciuto. «Amo le persone intelligenti»
«Ma non sappiamo da dove cominciare» dico io, rovinandogli il momento di gioia. «Quindi cosa facciamo, ora? Aspettare e basta?»
«Per adesso non possiamo fare più di tanto» dice Lestrade. «Speriamo solo che qualcuno ci dica chi è...»
«E se non dovesse succedere?»
«Sarà ancora più intrigante! Oh, aspettavo un caso del genere da mesi!» dice Sherlock, euforico.
«Ti ricordo che non abbiamo neanche un punto di partenza» ripete l'ispettore, irritato.
«Come no? Abbiamo il corpo!»
«Non è abbastanza»
«Ma andiamo, è ovvio!»
«In cosa è ovvio? Non ha neanche un nome!»
«Credo che si riferisca al modo in cui è stata uccisa» azzardo, indicando il corpo, dopo averlo studiato per qualche attimo. «È stata letteralmente seviziata, quindi chi le ha fatto questo voleva che soffrisse»
«Perciò... Un maniaco o un amante geloso?» dice Lestrade, incerto.
«O il marito»
«Ma non ha una fede. Come facciamo ad essere sicuri che fosse sposata?»
«Perché le è stata tolta» spiego. «Come tutti gli altri gioielli. Il fatto che una donna che ha così tanta cura del proprio aspetto non porti neanche una collana è altamente improbabile, quasi impossibile» Poi mi volto verso Sherlock, per avere una specie di appoggio da parte sua. «O sbaglio?»
Sul suo volto si dipinge un sorriso soddisfatto, che non mi rivolge direttamente, ma ho come la sensazione che sia per me. Non l'ho mai visto sorridere in questo modo...
«Però c'è una cosa che non capisco...» mormora l'ispettore, pensieroso. «Ovvero: se il colpevole è così palese, perché sei tanto euforico? Non è un caso troppo semplice, per te?»
Sherlock si volta per fissarlo con uno sguardo stupito e confuso insieme, come se non riuscisse a credere che glielo abbia chiesto. «Non c'è nessun indizio» risponde poi. «Niente di niente. Non abbiamo l'assoluta certezza che sia stato l'eventuale marito, o fidanzato che sia. L'assassino è stato maledettamente furbo, e non si lascerà incastrare facilmente» dice, tutto eccitato. «Oh, quanto amo i criminali intelligenti!» aggiunge, portandosi le mani, con le dita tese, ai lati della testa, e poi si fionda fuori dal magazzino.
«Sherlock!» urlo, precipitandomi fuori, dietro di lui. «Sherlock, dove stai andando?!» grido ancora, ma sembra talmente preso da questo nuovo, geniale assassino che le mie parole non sono altro che un ronzio. «Sherlock, aspetta!»
«Fa sempre così» dice Lestrade, accanto a me. «Si esalta per un nuovo caso e corre via, senza spiegare niente»
Lo guardo andarsene con le mani unite sotto al mento e il cappotto che ondeggia ai suoi lati, e mi rendo conto che raggiungerlo e fermarlo per attirare la sua attenzione sarebbe del tutto inutile. Grandioso.
«Se vuole le chiamo un taxi»
«No, non si disturbi» dico, voltandomi verso l'ispettore. «Faccio da sola»
«Come vuole» fa lui, sorridendomi gentilmente, poi mi tende la mano. «È stato un piacere rivederla»
«Tutto mio» rispondo, stringendogliela.
Poi ritorno al tavolo della scientifica, dove mi tolgo i guanti e mi sfilo la maschera, la tuta e i corpiscarpe, per poi gettare tutto in un enorme sacco nero. Riprendo la mia borsa dal box portaoggetti e controllo che al suo interno non manchi niente, con una calma che quasi non mi appartiene.
«Se n'è andato, eh?»
Alzo lo sguardo dalla borsa verso l'agente Donovan, alla mia destra, che mi osserva con una specie di sorrisetto derisorio.
«Mi hanno detto che lo fa spesso...» mormoro, continuando a controllare se ho ancora le chiavi.
«Lo sta proteggendo?» ribatte lei, divertita.
«No, affatto» replico, fredda. «Ma so che è difficile perdere le cattive abitudini, e dato che lui è piuttosto cocciuto, credo che sia meglio lasciarlo perdere»
Non lo penso davvero del tutto, è solo che Sherlock sta sulle scatole a fin troppe persone, e non vorrei aggravargli ulteriormente questa sua situazione.
«Il fatto che consideri gli omicidi degli hobby è una cattiva abitudine» dice Donovan. «Dovrebbe stargli alla larga: non è esattamente una persona amichevole»
«Lo aveva detto anche al dottor Watson»
«Ma lui ha scelto di non darmi ascolto»
«Perché io dovrei?»
«Perché lei ha tutta l'aria di essere la classica ragazza che vuole avere una vita normale»
Sorrido appena, perché ha ragione, in un certo senso, ma da quando ho capito che ci sono mille modi diversi di vivere normalmente, senza dover essere necessariamente uguale agli altri, ho cambiato idea.
«Prenderò in considerazione il suo consiglio» dico, mettendomi la borsa sulla spalla sinistra e tendendo il braccio verso di lei.
L'agente si passa la radiolina da una mano all'altra e stringe la mia. «Spero di non rivederla»
«Lo stesso» rispondo, poi mi volto ed esco dal piccolo agglomerato di magazzini.
Quando arrivo sulla strada principale, prendo un taxi e mi faccio portare direttamente a Baker Street, evitando i vari cambi di linea ferroviaria che dovrei fare se prendessi la metro. Durante il viaggio, estraggo dalla mia borsa il libro dell'università, giusto per far passare il tempo, ma non appena vedo la copertina, inizio a pensare che, forse, non avevo davvero bisogno di una pausa. Le distrazioni non sono ammesse, per nessun motivo, e io ho sempre rispettato questa mia condizione, fino ad oggi. Non riesco a capire cosa mi abbia fatto cambiare idea: forse il fatto che fossi stanca di leggere sempre lo stesso paragrafo, o che non avessi voglia di tornare a casa, oppure la proposta di Sherlock che mi sembrava troppo allettante, o tutte queste cose insieme, hanno fatto sì che mi alzassi dalla panchina del Regent's Park per seguirlo, fidandomi totalmente di lui. Io, che ho sempre dubitato di tutti, mi affido ciecamente al giudizio di un sociopatico iperattivo che conosco a malapena, e decido sempre di seguirlo. Non credo che ne capirò mai la ragione, ma penso sia solo perché lui sa essere sempre così convincente, e io dovrei soltanto imparare a non dargli retta ogni volta.
Quando arrivo di fronte casa mia, dopo aver letto di nuovo le solite due pagine per almeno tre volte, scendo dal veicolo e pago velocemente il non economico conto al tassista. Non prenderò mai più un taxi in vita mia...
«Avevo dimenticato che questa era la tua prima scena del crimine» mormora una voce alla mia sinistra, che riesce a spaventarmi, tanto è improvvisa, ma cerco di non darlo a vedere. «Pensavo che ti saresti sentita male nei primi cinque minuti, invece...»
«Non mi impressiona vedere un cadavere» lo interrompo, avvicinandomi alla porta senza degnarlo nemmeno di uno sguardo. «È solo un involucro vuoto» Mi fermo sul marciapiedi per cercare le chiavi di casa nella borsa. «Però mi ha impressionata che tu ti fossi dimenticato che io ero lì con te»
«Mi succede spesso, quando comincio un caso» si giustifica lui, con fare indifferente, come se questa sua ragione basti a motivarlo.
«Sì, ma non farlo mai più!» urlo, alzando di scatto la testa e puntando i miei occhi furenti in quelli glaciali di Sherlock. «Vado nel panico, se vengo lasciata sola in un contesto che non conosco, e inizio ad essere paranoica. Mi sale l'ansia per ogni più piccola cosa, e ho come l'impressione che tutti mi fissino»
Lui mi guarda con la fronte aggrottata e un'espressione confusa. Troppo confusa, per il suo viso sempre così inespressivo e distaccato. «Stai bene?»
«Sì, certo, benissimo» rispondo, con tono isterico. «Però non farlo mai più, mi sono spiegata?!»
Si ferma un secondo: posso notare il suo cervello andare in tilt, davanti a questa scenata, e lui che non sa cosa fare, come reagire, in che modo rispondere.
«Con John lo faccio spesso...»
«Ma io non sono John!» sbotto, urlando, senza che riesca a trattenermi. La rabbia che mi bolle dentro è più forte di me. «Okay? E questo lo si può ben intuire anche senza il tuo cervello da genio. Non sono paziente come lui, e non voglio essere usata solo come un'assistente che fa la bella statuina. Mi hai chiesto di seguirti, e io ho accettato. Quindi, essendo una squadra o un duo investigativo o quello che vuoi, bisogna condividere ogni maledetta scoperta, perché anche io ho una testa che pensa e che ragiona. Magari è più lenta della tua, ma so cose che tu non sai, tipo che la Terra gira intorno al Sole e che Cameron è il Primo Ministro. Non pensare di essere intelligente, solo perché hai scoperto che non ho un padre, che mio fratello era uno scavezzacollo da adolescente e che la vittima aveva un sacco di soldi da spendere. Ci sono cose che non sai»
Sherlock mi osserva attentamente, con lo sguardo ancora corrucciato ma gli occhi ridotti a due fessure, come per sminuire la sua perplessità. «Ti ho già detto che devi migliorare il tuo modo di minacciare?» dice, con sguardo serio.
«Non è una minaccia, ma un consiglio. Sappi che non ci metto nulla a lasciarti indagare da solo, e non dire che non te ne frega niente, perché se mi hai chiesto di venire, tu che non chiedi mai aiuto a nessuno, è perché ti servo. Quindi fammi il piacere di fare poco il misterioso, che di misteri ne abbiamo fin troppi»
Il mio flusso di pensieri improvvisi è tanto veloce, immediato e senza interruzioni che me ne stupisco anche io, ma divento così, quando sono davvero arrabbiata e confusa, e non riesco mai a fermarmi in tempo.
«Okay» risponde semplicemente lui.
«Bene» sentenzio, prima di abbassare lo sguardo e voltarmi nuovamente verso la porta. «Ci vediamo, Sherlock»
Mi richiudo l'uscio alle spalle con un tonfo, salgo le scale di corsa e, non appena entro in casa, mi getto sul divano, con la borsa ancora in spalla e il cappotto abbottonato. Ma non passa neanche un minuto che la suoneria del mio cellulare mi annuncia l'arrivo di un nuovo messaggio. Infilo una mano nella tasca, lo prendo e sblocco.
"Dovrei chiederti una cosa, ma sei corsa via. S"
Alzo gli occhi al cielo, prima di cominciare a digitare velocemente sulla tastiera.
"Cosa vuoi?"
"Per quale motivo mi hai fatto un regalo?"
"In che senso?"
"Non sono un bambino, e sai che considero del tutto inutile fare dei regali"
Arriccio le labbra, pensierosa, perché in effetti neanche io so per quale ragione gli ho comprato quel libro. Mi è venuto spontaneo, direi.
"Ricevere dei regali fa sentire apprezzati, di solito" finisco col rispondere, anche perché non so cos'altro dire.
"Rimane una cosa inutile"
Sbuffo, infastidita: è incredibile quanto sia capace di farmi perdere la pazienza anche quando non è presente del tutto.
"Al tuo prossimo compleanno mi ricorderò di ignorarti"
Lancio il cellulare dall'altra parte del divano, ma si vede che oggi Sherlock non ha proprio intenzione di lasciarmi in pace: d'altronde, adora quando mi arrabbio per cose stupide. Mi metto seduta per poi allungarmi verso il telefono, ma non posso fare a meno di sorridere quando leggo il messaggio: non cambierà mai.
"Indaghiamo, stasera?"
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