Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

{34° Capitolo}

[Capitolo trentaquattro}

Jane

Capodanno è già passato da più di una settimana: l'aria di festa sta lentamente scomparendo e già immagino tutte le lucine, gli alberi o le decorazioni venir riposte nelle terrazze e nelle cantine tra pochissimi giorni, così da mettere fine al periodo natalizio. Non che mi dispiaccia, dato che il Natale è diventato solo un'altra causa di enorme stress, ma tra qualche settimana avrà inizio il mio incubo peggiore, e io non posso fermare il tempo con uno schiocco di dita: la sessione di esami è ormai alle porte.

In un periodo come questo, ho davvero bisogno di prendere più ansiolitici del solito, per non farmi prendere dal panico ogni volta che, mentre studio, idee su come potrei miseramente fallire si fanno strada nella mia testa. E dato che devo mantenermi lucida, così da ricordare ogni singola virgola del mio libro di testo, oltre alla mia pillola di Oxazepam, andare al Regent's Park mi aiuta moltissimo: a meno di dieci minuti da casa, aria fredda per tenermi sveglia e panchine su cui mettermi a studiare, con il fruscio rilassante delle foglie e il vento che soffia leggero. Insomma, il posto perfetto per non farsi venire un attacco d'ansia improvviso.

Sono seduta davanti al laghetto dei giardini reali da tutta la mattina, con le cuffie nelle orecchie che riproducono sonate e notturni per pianoforte e pagine su pagine lette, studiate, memorizzate. Sono quasi diventata un tutt'uno con il libro, e la cosa è strana ma anche piacevole.

Okay, dopo questa considerazione, posso ritenere il mio cervello del tutto andato.

Quando anche il Quinto Notturno di Field termina, mettendo fine alla mia ennesima playlist, prendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni per vedere quanto tempo ho passato a studiare, isolata dal resto del mondo, e, dopo aver premuto il pulsante di sblocco, trovo una notifica non letta: un messaggio da Sherlock.

Interessante: non mi rivolge la parola da giorni, e alla fine viene a cercarmi. Deve essere davvero disperato.

Non so se esserne felice oppure no, perché sicuramente io non avrei mai avuto il coraggio di riprendere in mano un discorso con lui, dopo quel pranzo di Natale che è stato un vero disastro...

Baker Street, Londra, Inghilterra•25 Dicembre 2011

«Neanche una?»

«Neanche una»

«Non dirò niente di offensivo»

«No, Sherlock: devi tenere a freno la lingua e basta» ribatté Jane, in tono fermo e autoritario. «Non voglio che tu faccia una cattiva impressione. Voglio che si illudano che abbia dei vicini normali»

«E perché?» chiese il detective, con fare stizzito. «Non mi interessa di fare una buona impressione alla tua famiglia»

«Non lo faccio per te, genio, ma per me, perché se mia madre e mio fratello si rendono conto che ho un vicino ancora più strano di quanto abbia raccontato loro, mi riportano a Nottingham con la forza»

«Come sei noiosa...» borbottò Sherlock, roteando gli occhi.

«Faccio parte di una famiglia noiosa che viene da una cittadina noiosa in una noiosa parte del paese» disse la ragazza, muovendo l'indice da destra a sinistra. «La noia fa parte della mia natura»

«Eppure non vedevi l'ora di andartene via dalla noiosa cittadina»

«Io sono quella diversa, ricordi? Per quanto possa assomigliare alla mia famiglia, non sono come loro»

Sherlock aggrottò la fronte e storse le labbra, in un'espressione falsamente pensierosa. «Mmh... Questa l'ho già sentita, da qualche parte»

«Mi piacciono le citazioni» rispose Jane, stringendosi nelle spalle. «Persino le tue»

Sherlock alzò gli occhi al cielo e poi fece manovra per parcheggiare la Ford Anglia della ragazza, spense il motore e strinse il volante con entrambe le mani.

«Niente di niente?»

«Certo che odi proprio non avere ragione su qualcosa» sospirò Jane, slacciandosi la cintura, ma non riuscì a trattenere un sorriso. «Dipende dal tipo di deduzione» disse poi, aprendo la portiera e scendendo dall'auto.

«Cose importanti, come tuo fratello che ha cominciato a farsi di ecstasy» rispose il detective, seguendola.

«Mio fratello non è il tipo, ti assicuro»

«E tu davvero credi a quello che ti dice?»

«Mi fido ciecamente di lui»

«Non dovresti»

Jane, mentre apriva il portone principale con la sua chiave, sorrise di nuovo. «Sai, potrei usarti come spia personale» disse, tenendo aperto per far entrare Sherlock nell'ingresso.

«Si dice informatore»

«Gli informatori sono per la polizia, e io non sono la polizia» replicò la ragazza, con sguardo beffardo, prima di cominciare a salire i gradini.

In quel momento, Jane ebbe la sensazione che le scale non le fossero mai sembrate così infinite, nonostante dovesse percorrere solo due rampe. Avrebbe persino detto che aveva paura di arrivare davanti alla porta e capire di aver fatto un terribile, maledetto errore. Ma cosa aveva nella testa, quando si era azzardata ad invitare Sherlock a pranzo, per giunta con la sua famiglia? Sapeva bene che avrebbe rovinato tutto, che non sarebbe riuscito a trattenersi dal mettere in mostra la sua intelligenza, perché lui era fatto così, e Jane non poteva più tirarsi indietro, non poteva mandarlo via.

«Sherlock, davvero, battute idiote a parte: cerca di trattenerti» gli chiese ancora una volta, fermandosi sul pianerottolo.

Lui, dopo averla raggiunta, la osservò per un paio di attimi e aprì la bocca, pronto a parlare, ma Jane fu più veloce.

«Sì, lo so, la tua intelligenza non ha l'interruttore, ma sforzati di trovarne uno» lo supplicò. «È una cosa importante» aggiunse, e persino lei stessa si stupì di quanto la considerasse tale.

Lui la guardò di nuovo, con gli occhi socchiusi, come se cercasse di capire quanto fosse realmente rilevante per lei illudere la sua famiglia. «Farò del mio meglio...» brontolò poi, con un sospiro.

Jane gli sorrise, grata per il suo sforzo che sembrava quel che di più vicino era la gentilezza, per lui. Prese un respiro e girò la chiave nella serratura, ripassò velocemente la scusa che si era inventata per giustificare la presenza di Sherlock e spinse la porta.

Nessuno della sua famiglia sapeva che aveva di nuovo seguito il detective ad Horsham, perché anche loro avrebbero sicuramente pensato che si fosse presa un'infatuazione, dopo aver passato tutta la vita a ripromettere che non si sarebbe mai innamorata. Avrebbe raccontato che, dopo aver portato a termine il suo impegno di cui non aveva specificato il genere, aveva incontrato Sherlock sotto casa e che lo aveva invitato a pranzo, dato che lui non aveva programmi. Iniziò a chiedersi se sarebbe sopravvissuta...

«Sono arrivata!» urlò, posando il mazzetto di chiavi sul tavolino all'ingresso.

La madre di Jane, Eveline, fece capolino dal corridoio con impresso sul volto un sorriso smagliante. «Tesoro!» urlò, gettandosi verso la figlia e stringendola in un forte abbraccio. «Oh, quanto mi sei mancata!»

«Sì, anche tu» mormorò Jane, ricambiando il gesto anche se in modo un poco più freddo.

«Come stai? Ti vedo dimagrita»

«Oh, sai...» disse la ragazza, stringendosi nelle spalle. «Ho sempre molto da fare. Però mangio a sufficienza, sta' tranquilla» si affrettò ad aggiungere, immaginando lo sguardo di fuoco che Eveline le stava lanciando da sopra la sua spalla.

La donna sciolse l'abbraccio e accarezzò una guancia della figlia, con fare affettuoso. «Io ho i miei dubbi»

Jane alzò gli occhi al cielo, senza smettere di sorridere, poi fece alcuni passi avanti, verso la finestra del salotto che dava su Baker Street. «E dov'è quello scemo di mio fratello?» chiese, mentre passava davanti all'apertura del corridoio, dal quale uscì Alan che afferrò la sorella per i fianchi, sollevandola da terra per farla girare come una trottola.

«Buon Natale, piccola Einstein!» urlò, gioioso.

«Alan!» gridò di rimando Jane, ridendo. «Dai, mettimi giù!»

Lui obbedì, facendola atterrare dolcemente, ma non fece in tempo a guardarla negli occhi che subito si trovò stretto in una piacevole morsa.

«Buon Natale anche a te, pezzo di coccio»

I due rimasero così per un po', come per rimediare a tutti quegli abbracci che non avevano potuto darsi, in due mesi e mezzo di lontananza. Era strano, ma inevitabile, che Jane avesse sentito di più la mancanza del fratello che della madre. E lei non se lo poteva spiegare, come non poteva spiegarsi perché avesse invitato Sherlock a pranzo. Forse, era solo una sensazione...

«Come stai?»

«Come ieri, Al: non mi sono ammalata all'improvviso»

«Tutto può succedere, lo sai»

«Mi stai lanciando una maledizione?»

«Può darsi...»

«Sei un cretino»

«Ragazzi!» li riprese Eveline, severamente. «Non davanti all'ospite!»

'Ospite?'

A quella parola, Jane si ricordò all'improvviso che Sherlock era lì, in quella stessa stanza. Sciolse l'abbraccio con suo fratello e si voltò verso il detective che, invece, si stava guardando intorno, totalmente perso nei suoi pensieri.

«Sì, giusto...» mormorò la ragazza, affiancandolo. «Mamma, lui è il mio vicino di casa, Sherlock»

«Oh, è sempre un vero piacere conoscere un amico di Jane» disse gentilmente Eveline, tendendo la mano.

Il detective sembrò non averla neanche sentita, immerso com'era a squadrare il salotto, forse per dedurre qualcosa dello stato della casa.

Dopo essersi beccato una gomitata da parte della ragazza, per attirare la sua attenzione, Sherlock la squadrò per un attimo. «Come?»

«Sì, è il suo modo per dire che è un piacere anche per lui» disse Jane, per cercare di risolvere la situazione imbarazzante che si era creata.

«Davvero?»

«Sta' zitto» gli sibilò poi, prima di fargli un cenno con il capo verso la mano ancora tesa di Eveline, la quale stava guardando Alan con fare confuso.

«Piacere mio» disse allora Sherlock, stringendo la mano della donna e sorridendole in modo forzato, per poi cominciare ad annusare l'aria. «Non sentite anche voi una puzza di bruciato?»

«Oh, mio Dio, il sufflè!» urlò Eveline, scappando in cucina.

Jane sospirò: per fortuna, almeno la madre era dovuta fuggire senza fare domande. Si voltò verso Alan e scoprì che stava fissando il detective con uno sguardo che sembrava dire: "Finalmente ci incontriamo"

«Ehm... Alan, lui è Sherlock Holmes, il detective»

«Lo so bene» rispose il fratello, senza smettere di squadrare l'uomo che, a sua volta, lo stava studiando attentamente.

Si guardavano dritti negli occhi, come per cercare di conoscersi con delle semplici occhiate: per Sherlock era fin troppo facile, per Alan era solo un modo per capire fino a che punto potesse fidarsi di lui.

«Jane mi ha parlato molto di lei» disse, allungando la mano.

Sherlock la guardò per un attimo, prima di stringerla e tornare con gli occhi sul volto di Alan. «Vedo che si è fidanzato di nuovo» osservò, ritirandola.

«Tu che cosa?!» gridò Jane, stupita, voltandosi verso il fratello e trovando il suo sguardo disorientato. «E quando avevi intenzione di dirmelo?»

«Non è niente di serio, davvero. Noi due... Usciamo solo insieme» si protesse lui.

«L'accordo era di dirsi sempre tutto, non appena accade!»

«Beh, anche tu mi hai nascosto delle cose!» rispose Alan, sulla difensiva.

«Questo non è vero!»

«E allora perché non mi hai detto qual era l'impegno tanto importante per cui non potevi stare con la tua famiglia?!»

«Era con me» disse Sherlock, disinvolto. «Doveva aiutarmi per un'indagine»

Jane si coprì il volto con entrambe le mani, come per evitare di guardare in faccia suo fratello, o Sherlock stesso: vide il suo "piano" sfumare completamente sotto i proprio occhi.

«Come, scusi?» chiese Alan, fingendo di non aver capito, solo per avere una conferma di quanto sapeva già.

«Lei era con me. Avevo bisogno di aiuto per un'indagine e lei ha accettato di venire» spiegò il detective, ritenendo la cosa perfettamente normale. Ma quando notò lo sguardo disperato di Jane, gli venne un dubbio. «Sapeva che hai già risolto un caso con me, no?»

«Jane, posso parlarti un attimo in cucina?»

La ragazza sbuffò dal naso e annuì, mentre il fratello l'afferrò per una manica della giacca. «Torno subito. Ehm... Accomodati pure, se vuoi» disse a Sherlock, prima di sparire nel corridoio.

«Ma come hai potuto invitarlo a pranzo, Jane?!» le sibilò Alan, fissandola con aria minacciosa, non appena ebbero varcato la soglia della cucina.

Jane lo guardò stizzita, perché se c'era qualcosa che riusciva ad irritarla per davvero, quella era sicuramente il tono di comando che suo fratello riusciva ad assumere. «Questa è casa mia, e invito a pranzo chi mi pare!»

«Questa tua ossessione per i misteri potrebbe diventare pericolosa!»

«A me quel ragazzo sembrava un po' perso tra le nuvole. Sei sicura che stia bene?»

«Lo fa spesso, è una sua abitudine. A volte si isola dal resto del mondo per pensare» spiegò Jane alla madre, e quasi sperò di ricevere un appoggio almeno da lei.

«È un'abitudine come la droga?» ringhiò Alan.

"Adesso sì che avrò appoggio da mia madre. Davvero" pensò la ragazza, alzando gli occhi al cielo.

«Droga?» ripeté infatti Eveline, con tono pieno di incredulità.

«Fa abuso di cocaina e morfina: mi sono informato su di lui»

«Ne fa uso, non abuso, e solo quando non ha niente da fare»

«Oh, tesoro, potrebbe diventare un soggetto pericoloso, quando è sotto effetto di quelle sostanze!» disse Eveline, cominciando seriamente a pentirsi di aver permesso alla figlia di lasciare Nottingham per una città grande e caotica come Londra.

«È una cosa che riesce a controllare!»

«E tu davvero credi a quello che ti dice quello psicopatico?!»

«Sociopatico iperattivo»

Eveline e Alan fissarono Jane con sguardo confuso, poi si lanciarono una veloce occhiata tra di loro.

«Beh... Non c'è differenza» disse irritato il fratello, anche se non ne era molto sicuro.

«Oh, invece c'è un'enorme differenza» disse la ragazza, più irritata di lui. «E ora, se avete finito di prendere decisioni sulla mia vita, vi chiedo cortesemente di comportarvi bene e di non fare questioni inutili»

Con le braccia incrociate al petto e un'aria arrabbiata, Jane tornò in salotto, lasciando che la sua famiglia potesse sentirsi liberamente in imbarazzo.

Quasi non gli importò che Sherlock potesse fare deduzioni su di loro. Anzi, glielo avrebbe lasciato fare. Almeno avrebbe scoperto particolari che nessuno aveva mai voluto rivelarle.

Regent's Park, Londra, Inghilterra•8 Gennaio 2012

Mi sono messa contro la mia famiglia, pur di proteggerlo, e ne sono rimasta sorpresa più di tutti. Ci conosciamo da pochissimo tempo e già mi atteggio a grande conoscitrice del suo cervello, il che è a dir poco impossibile: bisognerebbe scavare davvero a fondo, prima di riuscire a capirci qualcosa della sua mente. Ma anche essere un'ottima psichiatra potrebbe aiutare. È solo che... Mi irrita il fatto che mio fratello mi consideri ancora una bambina dal carattere fragile e che mia madre tenti di rimediare alla sua depressione, avvenuta in un periodo in cui avrebbe dovuto forgiare la mia personalità. Dovrebbero capire che io so badare a me stessa.

Tocco con il pollice sulla notifica per leggere il messaggio: "Ho un nuovo caso. Vuoi venire? S"

Una cosa che odio degli SMS è non si sa mai che tipo di intonazione viene utilizzata. Però, questa ha tutta l'aria di essere un tono scocciato.

"John è in ambulatorio?"

"Ha detto di volere una pausa. Ancora devo capire cosa volesse intendere. S"

Tutti hanno bisogno di una pausa da Sherlock, dopo un po'. Chissà quanti casi sono riusciti a risolvere, in due settimane...

"Perché io?"

«Perché anche tu hai bisogno di una pausa»

Rimango con la mano che stringe il cellulare sollevata, mentre do il tempo al mio battito cardiaco per stabilizzarsi. Poi prendo un respiro, chiudo il libro dell'università con una botta secca e abbasso la mano, nascondendola nella tasca della giacca.

«Come fai a dirlo?»

«Sono interi giorni che non fai altro che leggere e rileggere quel libro» risponde Sherlock, sedendosi accanto a me sulla panchina. «Devi averlo consumato»

«Ho un esame»

«Sì, lo so, ma alla fine del mese. Un po' di distrazione non ti farà male»

«E da quando in qua ti interessi a cosa mi fa o non mi fa male?» replico, voltandomi verso di lui.

«Da quando ho scoperto che hai davvero una famiglia noiosa»

«A proposito di famiglia noiosa...» mormoro, mettendo dentro la borsa il mio libro. «Mio fratello continua a ripetermi che non vede l'ora che tu faccia un palese passo falso per poterti prendere a pugni»

«Mmh... Gentile da parte sua»

«È iperprotettivo»

«Sì, lo avevo notato»

Arriccio di lato le labbra e rivolgo lo sguardo verso l'alto, per evitare di sentirmi imbarazzata da questo momento. Sono quasi tentata dal rispondergli che sì, ho proprio bisogno di prendermi una pausa e che un caso potrebbe essere il modo perfetto per staccare un po', ma non voglio che sembri una supplica, non voglio che sembri disperata.

«Dove?»

«East End, nella zona industriale: hanno trovato il cadavere di una donna» dice lui, alzandosi in piedi.

«Wow, il mio primo cadavere dal vivo. Sarà interessante» replico, con finto entusiasmo, mentre lo seguo verso l'uscita del parco. «Prendiamo la mia macchina?»

«Il taxi sarà più comodo» risponde lui, voltandosi verso di me per sorridermi appena.

[Spazio Autrice]

Ciao a tutti, Sherlocked! È da un po' che non ci si sente, eh? Avanti, lo so che vi sono mancata :3

Allora, parto subito col dire che questo avviso non sarà inutile come tutti gli altri (dove mi scuso sempre per il ritardo, ma ormai dovreste saperlo che impiego anni a pubblicare ehehe. Però, mi scuso anche questa volta, tanto per non farci mancare niente), ma devo fare un annuncio molto importante: ho intenzione di prendermi una pausa dallo scrivere i capitoli nuovi per poter sistemare quelli vecchi (che fanno un po' troppo schifo, ma dettagli). Quindi, se non pubblico per tipo un mese (o qualcosa di più) non è perché sono stata rapita dagli alieni (anche se non mi dispiacerebbe, in particolare se viaggiano nel tempo e nello spazio con una cabina telefonica blu *.*) ma perché mi sto concentrando sulle correzioni dei primi capitoli. Insomma, era solo per avvertire: non cancellate la storia dalla biblioteca perché io tornerò (come il raffreddore) prima di quanto possiate rendervi conto.

Grazie per aver letto questa nota e niente... Ci rivedremo mooolto presto ;)

Un bacione a tutti voi.

~Maddy♥

P.S. Vorrei anche consigliarvi una storia di una mia amica, che ha da poco pubblicato su Wattpad: è una fanfiction sul manga e anime "Death Note". Vi lascio la trama qui sotto così, quando vi va, potete passare a leggerla sul profilo di @Altair0711. Io la adoro, è davvero fantastica *.*

"Mizuki e Hideki, due liceali al di fuori della norma. Kira e L, due entità opposte che affermano di essere la stessa cosa: la giustizia. Tra strategie, astuzia e sentimenti, inizia la partita di un gioco pericoloso, in cui solo chi fa scacco matto ha il diritto di vivere."

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro