{31° Capitolo}
[Capitolo trentuno]
Londra, Inghilterra•20 Ottobre 2011
La grande auto nera dai finestrini oscurati, proveniente dal centro di Londra, si fermò in prossimità di un grande fienile abbandonato, dopo un tragitto di appena venti minuti. Dalla vettura, scese una ragazza, avvolta nel suo cappotto, che iniziò a squadrare la facciata dell'edificio, con un strano senso di confusione. Poi chiuse la portiera, con un gesto indeciso, si girò di nuovo verso la struttura in lamine d'acciaio e, sistemandosi meglio la borsa sulla spalla, entrò. Sapeva bene chi l'aspettava, lì dentro; meglio di quanto lui potesse immaginare.
Il fienile si trovava in un campo aperto, poco fuori la capitale, ed era abbandonato da non si sa quanto tempo. Gran parte del tetto era crollata rovinosamente, lasciando che i raggi del sole si insinuassero all'interno del fabbricato. C'erano perdite d'acqua ovunque, quel che rimaneva dei box per gli animali, pezzi di legno marcio sparsi qua e là, mattoni sbriciolati sul pavimento... Insomma, quel posto era la rappresentazione fisica della rovina. E, a quanto pareva, anche il luogo perfetto per un incontro a sorpresa.
«Giornata meravigliosa, non crede?» disse una voce davanti a lei. «Perfetta per una passeggiata in campagna»
«Sì, direi anch'io» rispose la ragazza, dopo qualche secondo di silenzio. «Ma allora perché ci troviamo in un fienile che puzza di muffa?»
«Precauzione, signorina Aldernis. Precauzione»
Jane osservò attentamente l'uomo che si trovava in piedi davanti a lei, che la osservava con uno strano sorriso dipinto in faccia. Si appoggiava ad un ombrello, ma non sembrava avere le gambe stanche o affaticate. Probabilmente era solo un fattore estetico.
«Si starà chiedendo chi io sia e come faccia a sapere il suo nome»
«Errato» disse Jane, ricambiando beffardamente il sorriso. «So perfettamente chi è lei, signor Holmes»
L'uomo abbassò lo sguardo e scosse la testa, deluso. «Dovrei impedire al dottor Watson di pubblicare su quel suo blog. Certi segreti dovrebbero rimanere tali»
«Oh, non lo faccia» replicò la ragazza. «Altrimenti non avrei niente di interessante da leggere»
Mycroft Holmes ritornò a fissarla: i suoi occhi erano ridotti in due fessure e sembrava scrutare nella mente di Jane, fino al più profondo dei suoi pensieri.
«Prego, si accomodi» la invitò poi, accennando ad una sedia pieghevole frapposta tra i due.
La ragazza, anche se con titubanza, accettò, avvicinandosi di più all'uomo che, nonostante non lo desse a vedere, le incuteva un certo timore. «La ringrazio» disse, semplicemente.
I due si scambiarono un lungo sguardo, che sembrava non finire mai, con i secondi che non passavano, e il tempo che si era bloccato.
«Cosa ci faccio qui?» chiese lei, infine, incrociando le braccia.
«Dovrebbe saperlo, signorina Aldernis»
«Jane»
Mycroft Holmes sorrise. «Deve odiare davvero tanto suo padre, non è così?» disse. «È comprensibile, dato che l'ha abbandonata quando aveva appena tre anni»
«Vedo che lei e Sherlock avete parlato»
«Non ho una conversazione di piacere con mio fratello da molto tempo, ormai» ribatté l'altro.
«Quindi l'ha... Intuito?»
«Ovviamente»
Jane sorrise, facendo un cenno di compiacimento con il capo. «Davvero ben fatto» si congratulò. «Ma adesso basta divagare. Cosa ci faccio realmente qui?»
«Volevo solo avvertirla di stare lontana da Sherlock Holmes»
Jane aggrottò la fronte, confusa. «E perché?» domandò. «A parer mio, dovrebbe farle piacere che suo fratello abbia delle relazioni sociali. A meno che lei non sia introverso e odi le persone come lui» aggiunse, ripensando alle parole che il detective le aveva detto.
"Io, per quanto possa assomigliargli, non sono lui"
«Mi dica,» cominciò l'uomo. «quanti amici crede che Sherlock abbia?»
«Abbastanza» rispose lei. «O, almeno, così credo»
Mycroft Holmes si lasciò sfuggire una risata sarcastica: quella ragazzina stava cercando di ribaltare la situazione, ma non ci sarebbe riuscita. Nessuno ci era mai riuscito.
«Me li elenchi» la sfidò.
«Beh, c'è John, poi Molly, l'ispettore Lestrade, la signora Hudson...» obbedì Jane, contando con le dita.
«Sono solo colleghi e la padrona di casa. Niente di più» replicò Mycroft. «È ovvio che abbia dei contatti con loro»
La ragazza richiuse le dita in un pugno, che riappoggiò sulla gamba, dandosi un leggero colpo. «Allora mi consideri solo come la vicina di casa di suo fratello»
«Sappiamo entrambi che non è così» ribatté lui. «Si guardi: mio fratello le chiede di aiutarlo in un caso di omicidio, e lei non si lascia sfuggire l'occasione. I vicini di casa non si comportano così»
Non sapeva come replicare, cosa dire, in che modo avere l'ultima parola. «Cosa vuole da me?» domandò, infine. «Non chiedermi di spiare suo fratello, presumo. Sarebbe un trucco già usato»
«No, non ho intenzione di chiederle quello» rispose. «Ma solo di stare alla larga da Sherlock»
«Questo me lo ha già detto» disse Jane. «Ma non mi ha ancora spiegato...» Si bloccò, capendo all'improvviso il perché di quel colloquio. «Oh, ma certo! Lei è preoccupato» disse, socchiudendo gli occhi. «Preoccupato per le persone che lo circondano. Pensa che nessuno sia alla sua altezza, non è vero?» Poi scosse il capo, alzando un angolo della bocca. «Non deve essere stato molto facile, per voi due geni» continuò. «Crescere in mezzo a tutti quei bambini più stupidi di voi. L'uno aveva solo l'altro con cui integrarsi, con cui sapeva stare a proprio agio» Poi storse le labbra di lato, in un'espressione pensierosa. «Scommetto che si è sentito molto in colpa, quando lo ha lasciato solo. Di quanti anni è più grande di lui? Sei, forse sette?»
Mycroft la guardò, accigliato. «Non l'ho chiamata qui per parlare dell'infanzia mia e di Sherlock»
Accidenti: quella ragazza stava davvero ribaltando la situazione!
«Ma perché non vuole che si affezioni? Non credo neanche che ne sia capace»
«Oh, si stupirebbe delle cose di cui è capace mio fratello»
E allora, di punto in bianco, a Jane fu tutto più chiaro. Capì che Mycroft Holmes stava cercando di proteggere Sherlock, il suo unico punto debole, da qualcosa che, però, lei ancora non sapeva.
«Lei tiene davvero molto a lui, non è vero, signor Holmes?» disse. «Qual è il punto debole di suo fratello, quello che non vuole far conoscere a nessuno, per non farlo soffrire ancora?»
Lui la fissò, nascondendo in maniera magistrale il suo stupore. «Lui non ha punti deboli»
«Sono coloro che credono di non avere punti deboli che ne hanno più di tutti» rispose Jane. «E poi sa meglio di me che lui ne ha. Altrimenti non mi avrebbe portata qui, non trova?»
Mycroft restò in silenzio per qualche secondo, valutando bene quali parole utilizzare. Poteva fidarsi di quella ragazza che suo fratello conosceva a malapena? Poteva rivelarle che aveva ragione, che Sherlock aveva davvero un punto debole?
«Prometto che non lo utilizzerò contro di lui» aggiunse la ragazza, alzando le mani in segno di innocenza. «Ed eviterò di parlarne, per quanto possibile»
Mycroft aspettò qualche decina di secondi per accettare. «Si chiamava Barbarossa, era il nostro cane»
Jane sbiancò: quella rivelazione le arrivò dritta come un pugno nello stomaco, così forte da non volerci neanche credere. «Un... Cane?»
«Credo che fosse il suo migliore amico» confermò Mycroft, annuendo.
«Cosa gli è successo?»
«È stato soppresso quando Sherlock aveva appena dieci anni. Ne ha sofferto molto. E da lì che ha iniziato ad essere più freddo. Ma nonostante tutto, parlare di lui continua a fargli male. L'ho notato spesso.»
«Non vuole che gli succeda ancora di rimanere da solo, vero?»
A Mycroft scappò una risata amara. «Più solo di quanto già non sia?» disse, per poi scuotere il capo. «No, voglio solo che non si illuda di nuovo sulle persone. Ho tentato, all'inizio, di convincere il dottor Watson a stargli lontano, senza riuscirci. Adesso sembra essergli fedele, amici inseparabili, ma cosa accadrà, quando lui deciderà che sia giunta l'ora di formare una famiglia? Non troverà più tempo per le vecchie avventure, e allora Sherlock si ritroverà deluso di nuovo, molto di più di quanto già non sia» Poi sospirò, lentamente. «Lei sembra essere una ragazza intelligente, signorina Aldernis. Abbastanza da saper tener testa a mio fratello che, inevitabilmente, sarà incuriosito dai suoi modi di comportarsi. E allora non ci sarà più niente da fare: nel suo cervello si riaccenderà una nuova, minuscola scintilla di speranza, che lei deluderà come hanno fatto tutti gli altri. È così che funziona, sempre»
Jane lo guardò dritto negli occhi, poi si alzò dalla sedia, fronteggiandolo. «Non accadrà, signor Holmes» disse. «E le dirò anche perché: io sono come suo fratello. Sono delusa dalle persone, dai miei amici, dall'umanità in genere. Non credo che potrei comportarmi nel modo in cui loro si sono comportati con me»
Si girò, attraversando la grande sala in decadenza, diretta verso l'uscita e l'auto nera.
«È tutto da vedere, signorina Aldernis!» le gridò Mycroft, dietro di lei, perché sapeva che non avrebbe resistito: alla vendetta non si può proprio fare a meno. E, di certo, quella ragazza non aveva nessuna voglia di rinunciarci.
Jane non si voltò, continuando a camminare imperterrita. Una volta tornata all'aria aperta, salì subito nell'auto e disse l'indirizzo: 222B di Baker Street. E, mentre si lasciava andare sullo schienale del sedile, promise a sé stessa di non deludere le aspettative di Sherlock Holmes. Perché anche lei, proprio come il detective, era stanca di sperarci ancora.
Motorway A24, direzione Horsham, Inghilterra•25 Dicembre 2011
Jane
«Spiegami di nuovo perché lo stiamo facendo»
«Perché è scritto nel biglietto»
«Nel biglietto è scritto "Comincia facendo un passo indietro" e non "Torna ad Horsham perché è lì che si trova la chiave"»
«È scontato»
«Non è vero!»
Sherlock sbuffa, continuando a tenere gli occhi fissi sulla strada. «Non è colpa mia se ti fai sfuggire i dettagli più ovvi, Jane»
«Le domande alle quali è più difficile rispondere sono quelle la cui risposta è più ovvia»
«Ancora con questa frase?»
«È la mia preferita»
Lui sorride. Un sorriso strano, ma pur sempre una smorfia che gli somiglia. Questa situazione delle chiavi lo ha subito intrigato tantissimo, e non ha voluto perdere tempo. Aveva persino intenzione di partire ieri notte, ma John glielo ha fermamente impedito, quindi ha dovuto accettare il compromesso di muoversi questa mattina presto. Sono a malapena le nove, e abbiamo già superato il casello che collega l'autostrada alla piccola cittadina.
«Cercherò di formulare meglio la domanda» riprendo. «Perché stiamo tornando ad Horsham?»
«Dobbiamo cercare la chiave. Te ne sei già scordata?»
«E perché dobbiamo cercare la chiave?» domando ancora. «Non sarebbe più semplice tagliare con delle tronchesi il lucchetto?»
«E dove sarebbe il divertimento?» replica lui, quasi stupito. «Inoltre, sarebbe impossibile»
«Impossibile?» ripeto, inarcando le sopracciglia.
«Cosa potrebbe contenere una matrioska inviataci da Moriarty?» mi chiede, sbuffando.
Osservo la bambola, alta circa trenta centimetri e larga dieci, che tengo tra le mani, stretta come una reliquia. La parte superiore e quella inferiore sono unite tra di loro in maniera inscindibile da due occhielli, dentro i quali passa un lucchetto in acciaio. Deve essere stata fatta a mano da un complice: non credo che Moriarty si dia alla carpenteria, o ai lavori manuali in genere.
«Esplosivo?» propongo, alla fine.
«Cos'altro potresti aspettarti da un ex-dinamitardo?» dice lui, con tono ovvio. «Osserva bene il lucchetto: se lo tiri leggermente, noterai che l'arco è cavo, e al suo interno ci sono dei fili collegati all'occhiello superiore, anch'esso cavo, che entra all'interno del corpo della bambola. Se tagliamo i fili, la bomba all'interno esploderà»
«E non potresti passarla ai raggi X?» chiedo. «Potrebbe essere solo un modo per depistarci»
«Già fatto» risponde prontamente lui. «Perché credi che sia scappato così all'improvviso, ieri?»
«Pensavo ad una fuga d'amore con Molly...» mormoro, e poi scoppio a ridere.
Lui sospira, alzando gli occhi al cielo, come per tentare di calmare i suoi nervi che sto per fargli saltare in aria. «In ogni caso, avevo ragione» continua. «Quindi, spiacente, ma la tua idea è pessima»
«Certo che Moriarty non poteva proprio fare a meno di complicarci la vita...» bofonchio, mentre con il dito scorro lungo i disegnini in vernice blu che decorano la matrioska.
«È un sistema geniale» dice lui. «Ci sta costringendo... Aspetta, "ci"?» si interrompe, all'improvviso.
«Sei stato tu a chiedermi di venire, non dimenticarlo»
«Solo perché la signora Leigh ti conosce già. Si fiderà di te»
«Pensavo che potessimo considerare la faccenda di Tia Barnes chiusa»
«Lo pensavo anche io. Ma, a quanto pare, Moriarty non è della nostra stessa opinione» Poi si tira il messaggio fuori dalla tasca del cappotto e lo tende verso di me, mentre con la mano libera continua a tenere il volante. «Prova a capire perché»
Prendo il foglietto di carta con l'indice e il medio, lo apro e rileggo velocemente le poche righe. «Quindi... Con "un passo indietro" intende la nostra precedente indagine»
«Esattamente»
«E con "solo il perché ti porterà al tuo fine", invece?»
«Cerca di capirlo da sola»
«E perché?»
«Voglio essere certo che tu sia pronta per Moriarty» dice, con fermezza. «Questa faccenda è molto pericolosa, e tu hai a malapena risolto un caso»
Ha ragione. Detesto doverlo ammettere, ma ha ragione: devo dimostrargli che so usare la mia logica, e che sono adatta per questo lavoro, che Moriarty non mi fa paura. E, dopotutto, è vero: lui non mi spaventa.
Torno a studiare il biglietto, con molta attenzione, concentrandomi principalmente sull'uso delle parole.
"Solo il perché ti porterà al tuo fine": meglio cominciare con un'analisi. Con il "fine" potrebbe riferirsi alle chiavi, ovviamente, oppure al "problema finale" di cui parlava a Baker Street. Ma il fatto che possa riferirsi al "problema finale", implica che si riferisca alle chiavi, perché come dice il biglietto, questi aiuti servono per capire qual è il piano di un ex-dinamitardo con la passione per furti impossibili in luoghi impossibili. La domanda, ora, è: "il perché" di cosa? Deve riferirsi sicuramente a qualcosa su Tia Barnes, dato che stiamo tornando ad Horsham e, in particolare, dalla signora Leigh: ciò significa che si tratta di qualcosa che riguardava la ragazzina in maniera privata, tanto da tenerla in casa. E allora, qual è la risposta a quel dannato "perché"? A cosa allude?
«Il movente!» esclamo, alla fine, rialzando gli occhi dal biglietto. «Si tratta del movente!»
«Complimenti, Jane: ci hai messo solo cinque minuti e tredici secondi» dice lui, lanciando una veloce occhiata al suo orologio da polso. «Ma potresti fare di meglio»
«Tu hai fatto di meglio?»
«Ho impiegato solo due minuti e quattro secondi» mi schernisce, per poi tornare immediatamente serio. «Comunque, in meno di dieci minuti saremo a casa Barnes, e dobbiamo cercare una cosa»
«La foto» rispondo. «Uno dei moventi della morte di Tia»
«Esattamente. Ovunque si trovi la foto, c'è la chiave»
«Ovvero il nostro fine» annuisco. «E come pensi di fare, per trovarla?»
«Dobbiamo chiedere alla signora Leigh di entrare nella camera della figlia e perquisirla»
«Che idea geniale» mi fingo essere d'accordo. «Peccato che non possiamo utilizzare la scusa delle indagini, dato che il caso è stato dichiarato chiuso più di due mesi fa. E a meno che non ti lasci carta bianca perché sei riuscito a portare giustizia alla figlia, dubito che ti lascerà mettere a soqquadro la sua stanza»
«Facciamo una scommessa»
«Mi dispiace, ma sono contro il gioco d'azzardo»
«Se hai ragione tu, e la signora Leigh si rifiuta categoricamente di farci perquisire la camera di Barnes, ti lascerò venire a cercare il resto delle chiavi e ti assicuro un posto in prima fila sulla scena del prossimo crimine» propone, come se il fatto che le scommesse siano contro la mia etica morale non gli importasse minimamente. «Se, invece, vinco io, tu mi dirai come hai conosciuto mio fratello»
Cavolo: mi sarei dovuta aspettare che mi chiedesse qualcosa del genere. Non avrei dovuto menzionargli Mycroft e Barbarossa, avrei dovuto sapere che si sarebbe fatto delle domande. È solo che... Sapere di non essere l'unica persona al mondo affezionata ad un animale, molto più che alle persone che mi circondano, mi ha fatto sentire meno strana, meno sola. Mi sono lasciata sfuggire di mano la situazione e, adesso, devo pagarne le conseguenze.
«Accetto»
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