{29° Capitolo}
[Capitolo ventinove]
Jane
Dicembre, fuori dalla finestra, si fa sentire: le persone che sfilano per i marciapiedi sono coperte con gli abiti più caldi che si possano immaginare, mentre gli ultimi residui di una giornata di pioggia evaporano al calore del sole. Nel 221B di Baker Street, l'aria è tesa e pesante. Il tempo scorre, piano, e le lancette continuano a muoversi senza mai fermarsi, con il loro regolare ticchettio che va a tempo con il mio cuore.
Sono rannicchiata sulla poltrona di John, con le ginocchia al petto e il mento appoggiato su di esse. Sherlock, invece, è seduto sul divano, con gli occhi persi nel vuoto, segno che è tutto preso dai suoi pensieri, e che provare a porgli domande sarebbe totalmente inutile.
Oggi è il giorno del verdetto del caso Moriarty. Oltre ai giornalisti, ovviamente, anche Sherlock è impaziente. Molto impaziente, ma non lo dà a vedere: è semplicemente ammutolito. John e Amy sono andati in tribunale al posto suo, dato che il nostro caro sociopatico è stato esonerato per aver ostentato la sua intelligenza davanti a tutta la corte. Aspettiamo una loro telefonata da quasi un'ora, in attesa di sapere se questa vittoria è di James Moriarty oppure nostra.
Con "nostra" mi riferisco a noi della parte "buona" del mondo, naturalmente. Non a noi di Baker Street o qualcosa del genere.
«Che ore sono?»
Quasi sobbalzo, nel sentire la voce di Sherlock risuonare nel silenzio, come un tuono improvviso.
A quanto pare, non c'era bisogno che fossi io a fargli delle domande.
«Ehm... Quasi le cinque» rispondo, lanciando una veloce occhiata al mio orologio da polso.
«Avranno quasi finito...» mormora lui, dopo un attimo di pausa.
Espiro, in modo piano e profondo, poi alzo la testa e distendo le gambe fino a toccare terra. «E cosa hai intenzione di fare, dopo il verdetto?»
«Non credo possa fare più di tanto» borbotta lui. Poi mi fissa un secondo. «Devo entrare nel mio palazzo mentale»
«Il tuo che cosa?» ripeto, allibita.
«Leggi il blog di John: sicuramente ne avrà parlato in uno dei suoi racconti» brontola.
«Sì, ma...» cerco di obiettare, ma è troppo tardi: sta di nuovo pensando, con lo sguardo perso nel vuoto. E quando pensa, niente può riportarlo indietro contro la sua volontà.
«Signore e Signori della Giuria» comincia a recitare a memoria, con parole esatte e senza la minima esitazione, la formula del giudice. «James Moriarty viene accusato di numerosi reati di furto con scasso, crimini che, se dichiarato colpevole, porteranno ad una lunga condanna e una dura reclusione. Eppure il suo team di legali ha deciso di non offrire alcuna prova della sua innocenza. Mi ritrovo nella scomoda e insolita posizione di raccomandare senza riserve un verdetto. Giudicate Moriarty colpevole» Poi chiude gli occhi, e attende un paio di attimi. «Colpevole» sentenzia con forza, quasi con rabbia.
So che vuole che questo sia il verdetto. Lo vorrebbe davvero tanto.
E poi rimane così, non so neanche per quanto tempo: sembra tanto tranquillo. Ma i grandi geni non sono mai tranquilli, non hanno mai pace: devono sempre lottare contro le proprie tempeste, il proprio modo di essere, i propri rapporti con gli altri.
Abbozzo un sorriso triste e mi alzo dalla poltrona. Poi, comincio a girovagare per il salotto, lanciando occhiate ai mille fogli gettati alla rinfusa sul tavolo, alle lettere infilzate con un tagliacarte sulla mensola del caminetto, allo smiley dipinto sul muro con la vernice gialla, e alla carta da parati bucherellata da... Colpi di proiettile?
Sorrido, credo con un po' di malinconia: il suo è proprio un vizio. E pensare che è tutto cominciato proprio a causa di due pallottole volanti e la nera rabbia di Amy. E ora mi ritrovo qui, ad ascoltare e condividere i deliri di un detective psicopatico che si professa sociopatico iperattivo. Io, che volevo una vita normale dopo la mia adolescenza turbolenta.
Prima di trasferirmi a Londra, conoscevo il nome di Sherlock Holmes solo per sentito dire, in particolare dopo la cattura di Peter Ricoletti e le prime foto con il berretto da caccia. Adoro quel cappello: dovrei chiedergli di farmelo vedere, un giorno.
Il cellulare di Sherlock squilla, e quel suono lo fa uscire dal suo "palazzo mentale", come lo ha chiamato lui.
«Sono passati meno di dieci minuti» dico, perplessa.
Scorre il pollice sullo schermo e lo avvicina all'orecchio.
«Non colpevole. Giudicato non colpevole» Riesco a sentire la voce furiosa di John, che sprizza fin troppa irritazione, dal tono velenoso delle sue parole. «Nessuna difesa e Moriarty ora è libero» Sherlock abbassa il cellulare, senza rispondere né chiudere la chiamata. «Sherlock, mi stai ascoltando?» continua John, mentre il detective si alza, in silenzio. «È fuori, lo sai che verrà a cercart...»
La telefonata viene bruscamente interrotta, senza che il detective lasci il tempo al suo amico di finire e si avvicina lentamente alla cucina.
«Che significa che verrà a cercarti?» gli domando, guardandolo mentre si muove per il salotto.
«Niente di cui dovresti interessarti» replica, glaciale.
«Come scusa?» ribatto, irritata. «Ti ricordo che c'è un motivo per cui sono qui»
«Ed è lo stesso motivo per cui deve andare via» risponde, mentre riempie la brocca del bollitore elettrico.
«E credi che Moriarty mi faccia paura?»
Sherlock punta i suoi occhi freddi ed impenetrabili su di me, e sembra trafiggermi lentamente, mentre riduce le palpebre in due fessure. «Va' via, Jane»
«Ma Sherlock...»
«Ho detto: va' via» ripete, con tono calmo ma altamente convincente, con ogni parola ben scandita.
Okay, sto reprimendo l'impulso di dargli un calcio in bocca, ma non è proprio il momento adatto. Quindi, mi limito a ripescare la mia giacca e il mio cellulare e a lanciargli un'occhiata truce, magari persino delusa.
Esco per le scale e scendo i primi gradini, fino al pianerottolo che divide la prima rampa dalla seconda. Lì, mi fermo e mi guardo alle spalle, mentre un'idea improvvisa balena nella mia testa: potrebbe essere la mia occasione perfetta, o un'azione perfettamente stupida. Forse entrambe. Mi sfilo velocemente le scarpe da ginnastica, cercando di fare il meno rumore possibile, e poi, neanche fossi una scassinatrice, risalgo le scale in punta di piedi, maledicendo ogni gradino scricchiolante.
Arrivata di nuovo davanti alla porta del salotto, non entro, ma continuo a salire, fino al piano dove si trova la camera di John. Ed è lì che poso le scarpe e la giacca, dove mi siedo sul primo gradino e aspetto.
Riesco a sentire Sherlock che prepara il vassoio per le tazzine da tè, o ogni altra cosa, con meticolosità per l'arrivo del suo atteso ospite. Riesco persino ad immaginarmelo, con indosso il suo completo nero, che sistema i cucchiaini sul piattino, in modo che tutto sia completamente simmetrico.
Spero solo di riuscire a sentire anche i loro discorsi... D'altronde, è per questo che sono rimasta qui, per cui volevo rimanere qui.
Poi, ad un tratto, sento le note di un violino riecheggiare nell'aria: sono dolci, malinconiche, veloci. Non avevo mai sentito Sherlock suonare, ma ne rimango estasiata. Mi lascio trasportare dalla melodia, e non mi accorgo degli altri rumori in sottofondo fino a quando la musica smette.
«Si bussa di solito» dice Sherlock, e solo ora capisco che lui è qui. «Ma tu non sei una persona comune, in effetti. Il tè è pronto»
Nessuno risponde. Solo io che, con il mio respiro affannoso di chi sta commettendo un atto quasi illegale, dovrei avvicinarmi di qualche gradino al salotto, senza farmi vedere o sentire, per riuscire ad origliare meglio. Perché è proprio quello che sto facendo, origliare, anche se sono stata costretta.
«Johann Sebastian sarebbe impallidito» risponde un'altra voce, che non avevo mai sentito prima: sembra calma, ma, sicuramente, la persona a cui appartiene non lo è affatto.
Si dicono qualcos'altro, qualcosa che potrebbe essere importante o stupido, ma che non saprò mai perché non sono riuscita a sentire.
Accidenti, devo avvicinarmi di almeno tre gradini, a meno che loro non alzino la voce. Ma non ne avrebbero motivo, dato che non sanno che c'è una malata a spiarli. Devo agire io.
«Sai, sul letto di morte,» continua Jim Moriarty, mentre io inizio lentamente ad alzarmi dal gradino. «Bach sentiva suo figlio al piano suonare una sua... Composizione. Ma il ragazzo si fermò prima della fine»
«E Bach, in fin di vita, uscì dal letto, corse al pianoforte e la terminò» finisce Sherlock al suo posto, mentre io comincio a posare il piede sinistro sulla moquette, facendo il più piano possibile.
«Non sopportava le melodie incompiute» dice Moriarty, con naturalezza.
«Nemmeno tu, infatti sei qui»
«Sii sincero: non sei un po' compiaciuto?»
«Di che, del verdetto?»
«Di me» ribatte l'altro. «Sono di nuovo libero. In tutte le fiabe c'è bisogno di un vero cattivo»
Sono arrivata a destinazione. Più o meno...
«Hai bisogno di me, o non sei niente» riprende Moriarty. «Perché io e te siamo molto simili... Però tu sei noioso. Tu sei dalla parte degli angeli»
«Sei arrivato al cuore della giuria» replica Sherlock, cambiando discorso all'improvviso.
«Sono entrato nella Torre di Londra e non riesco ad insinuarmi in dodici camere d'albergo?»
«La tv via cavo» dice il detective, con tono ovvio.
«Ogni stanza dell'hotel ha una tv personalizzata, e ogni persona ha il suo punto debole, qualcuno che vuole proteggere...» spiega, abbassando a mano a mano la voce, Moriarty. E poi mormora qualcos'altro, ma con tono tanto affievolito che non riesco a sentirlo.
«Come vuoi procedere?» dice Sherlock, seguendo subito il suo modo smorzato di parlare. «Bruciandomi?»
«Oh, è questo il problema. Il problema finale. Hai già capito qual è?»
Si fermano per qualche attimo, mentre io vengo assalita dal panico: colpo di starnuto.
Mi porto entrambe le mani, una sopra l'altra, contro la bocca, cercando di attenuarlo il più possibile.
Miseriaccia, ma proprio adesso dovevano venirmi gli attacchi di allergia alla polvere? Questo posto ne è pieno!
«Qual' è il problema finale?» ripete l'altro. «Te l'ho suggerito, ma tu non ascolti»
Altra pausa. Chissà quali sguardi di fuoco si staranno lanciando... Quanto vorrei poterli vedere!
«Quanto ti è difficile dire "non lo so"?»
«Non lo so» risponde Sherlock, immediatamente.
«Ah, furbo, molto furbo, tremendamente furbo» dice Moriarty, con tono soddisfatto. «Parlando di furbizia, lo hai detto ai tuoi amichetti?»
«Dirgli cosa?»
«Perché sono entrato in quei posti senza rubare niente»
«No»
«Ma tu lo hai capito?»
«Ovviamente»
«Parla pure»
«Vuoi che ti dica quello che già sai?»
«No, voglio che mi dimostri di saperlo»
«Non hai preso nulla perché tu non ne hai bisogno»
«Bene»
«E non avrai più bisogno di prendere niente»
«Molto bene. Perché..?»
«Perché non c'è nulla, nulla, nella banca d'Inghilterra, nella Torre di Londra, nella prigione di Pentonville che abbia un valore paragonabile alla chiave che hai tu»
Incredibile, il loro botta e risposta immediato, degno di un film. Dopotutto, l'uno è l'opposto dell'altro, e le loro frasi vengono sempre replicate da chi sta loro di fronte. Sono fatte così, le nemesi. Dovrei imparare qualcosa da Jim: magari, riuscirei a tener testa a Sherlock più di quanto già non faccia.
«Posso aprire qualsiasi porta, ovunque, solo con qualche stringa di codice di un computer. Non esiste più un conto in banca privato: sono tutti miei. Non c'è segretezza, io sono la segretezza. Codici nucleari? Potrei far sparire le nazioni NATO in ordine alfabetico» continua, senza esitare neanche un istante. «In un mondo di porte chiuse, l'uomo che possiede le chiavi è il re, e vedessi come sto bene con la corona»
«Sei andato al processo per farti pubblicità, mostrando al mondo di cosa sei capace»
Oh... E io che pensavo che volesse farla a Sherlock.
«Tu mi hai dato una mano» dice l'altro. «Ho tanti clienti: governi canaglia, agenzie di Intelligence, cellule terroristiche. Tutti mi vogliono, e ora sono mister Sesso»
Modesto il tipo. Me lo immaginavo più... Diabolico. E forse lo è, ma si nasconde dietro questo tono da innocente egocentrico.
«Entri in tutte le banche: cosa ti importa del miglior offerente?»
«Niente, è che mi piace vederli competere: "papà vuole più bene a me". La gente comune non è adorabile?»
Mi correggo: di diabolico ha davvero qualcosa.
«In fondo, tu hai John. Forse dovrei trovarne anch'io uno...»
«Ma perché fai tutto questo?»
«È così divertente»
«Tu non vuoi né soldi né potere, non è vero?» ribatte Sherlock. «Il tuo scopo finale»
«Voglio risolvere il problema. Il nostro problema. Il problema finale» dice Moriarty, poi si blocca, seppur per poco. «Comincerà molto presto, Sherlock... La caduta. Ma non temere: cadere è come volare, ma una volta arrivato non cambi destinazione»
Ancora silenzio. Li odio, questi momenti in cui potrebbe succedere tutto o niente, in cui inizio a pensare che il mio respiro possa essere sentito anche a mille chilometri di distanza.
«Non amo gli indovinelli» dice il detective, infine.
«Abituati, perché ti devo una caduta, Sherlock. Te ne devo una»
Il loro colloquio finisce così: Jim Moriarty è riuscito ad avere l'ultima parola su Sherlock Holmes.
Okay, e adesso? Dovrei aspettare che l'ospite chiuda la porta d'ingresso e poi scendere lentamente, cercando di non farmi vedere.
«Oh, e un'ultima cosa, Sherlock» Risento la sua voce, rifarsi più forte e meno seria. «La prossima volta che ci vediamo, assicurati che non ci sia nessuno a sentirci»
'Oh, no'
Mi copro il viso con le mani, in preda alla delusione. Avrei dovuto capire che lo avrebbe scoperto: lui è James Moriarty, in fondo.
Bene, adesso posso anche muovermi senza il timore di venire scoperta, dato che il mio piano è andato in fumo. Riprendo le mie scarpe da ginnastica e le indosso velocemente, infilo la giacca e inizio a scendere le scale, verso il salotto.
Arrivata all'ultima rampa, incontro gli occhi glaciali di Sherlock che mi fissano con rabbia. Moriarty non c'è.
«Ti avevo detto di andartene» mi rimprovera.
«E credi che ti avrei dato retta?» rispondo, acida. «Certo che per essere un genio, sei alquanto stupido»
Lui sospira. «Moriarty è troppo pericoloso per te»
«E da quando in qua ti interessa cosa è o non è pericoloso per me?!»
«Lo faccio per John, che cadrebbe in depressione se Amanda cadesse in depressione se tu facessi di testa tua. E io ho bisogno del mio blogger»
Lo fisso per qualche secondo, per poi distogliere lo sguardo verso terra e continuare a scendere le scale, verso l'ingresso.
«Stammi bene a sentire, Sherlock Holmes» gli ordino, continuando a dargli le spalle, dopo essersi fermata su un gradino. «Sarai anche dalla nostra parte, ma non credere di essere uguale a noi» dico. «Pensi nello stesso modo del miglior criminale di tutti i tempi, ed è per questo che sei così geniale, che risolvi tutti quei casi impossibili» Mi volto verso di lui, anche se solo con la testa. «Quindi, se non ho paura di te, perché dovrei avere paura di Moriarty, dato che siete identici?»
[Spazio Autrice]
Non userò grandi giri di parole, né qualcosa di simile, ma vi dirò solo che mi avete fatto davvero felice. Siamo arrivati a 20k visualizzazioni, ed oggi è il giorno del mio quindicesimo compleanno (che stranamente non avrei mai voluto compiere, ma vabbè ahahah). Non potevate farmi regalo migliore, davvero.
Vi ringrazio.
Se potessi, vi abbraccerei uno ad uno ❤
Il prossimo capitolo sarà un altro Special di Natale (quindi preparatevi). Non vedo l'ora di farvelo leggere!
Un bacione a tutti quanti.
~Maddy❤
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