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{28° Capitolo}

[Capitolo ventotto]

Jane

Sono sei settimane che l'intera Gran Bretagna è in subbuglio, che si parla solo della stessa cosa. Sono sei settimane che la gente non riesce a pensare ad altro. E, per una volta, persino Sherlock Holmes si conforma ai loro pensieri.

«Aileen Hickey, del Daily Express, scrive: "Ladro di gioielli sotto processo al Bailey"» comincio a leggere, spiegando il giornale sulle mie ginocchia. «"Il ladro dei gioielli della corona verrà messo alla prova all'Old Bailey e Sherlock Holmes è nominato come testimone per la persecuzione. Il maestro criminale Moriarty ha schernito Holmes con il suo graffito 'Tocca a Sherlock' sulla scena del crimine, che sta attirando anche a livello internazionale. Il genio..."»

«No, no, non leggere quella parte» mi ferma Sherlock, agitando la mano. «Salta al capoverso seguente»

«Anche tu detesti il tuo soprannome da tabloid, eh?»

«Perché? Anche tu ne hai uno?» mi domanda, voltandosi appena verso di me.

«Fortunatamente no» ridacchio. «Ma Amy mi ha detto che John detesta il suo»

Lui si rimette comodo sul divano dove è sdraiato e chiude di nuovo gli occhi. «Va' avanti»

«"Le folle si sono riunite ieri per quello che viene definito 'Il processo del secolo'» finisco di leggere. «E poi c'è la lunga e risaputa descrizione su come il Parlamento sia scioccato del fatto, eccetera»

«Mmh... Leggi cosa dice il The Guardian, invece»

Poso il Daily Express a terra e prendo l'altro giornale, spiegandolo per leggere meglio la prima pagina. «Allora, Janette Owen scrive: "Detective amatoriale chiamato come testimone esperto"»

Sherlock lascia sfuggire tutto il suo sdegno, interrompendomi. «"Detective amatoriale", come no...»

Nascondo a malapena la mia irritazione, schiarendomi la gola per attirare di nuovo la sua attenzione, prima di riprendere a leggere. «"Scotland Yard chiama il 'detective preferito della nazione' per il processo di Moriarty - In una svolta degna di una novella di Conan Doyle, il signor Sherlock Holmes è stato rivelato essere un testimone esperto per il processo di 'Jim' Moriarty"»

Lui si mette a sedere e mi fissa. «Cosa ne pensi?» chiede.

«Parlano tutti della stessa cosa» rispondo, posando il quotidiano a terra, accanto all'altro. «Direi che Moriarty ti sta facendo una grossa pubblicità, in questo modo. Dovresti ringraziarlo»

«Magari lo farò, un giorno» dice, facendomi alzare gli occhi al cielo. «Ma adesso passiamo alle cose importanti: cosa è sfuggito a tutti loro?»

Assumo un'aria pensierosa, mettendomi a guardare verso l'alto. «Che non sei un detective amatoriale?»

Lui mi guarda, con disappunto.

«Cosa vuoi che ne sappia?» sbotto, allargando le braccia.

«Andiamo! Non vorrai mica conformarti al loro modo di pensare, vero?»

«Sei tu quello che si distingue, non io»

«Sei tu quella che si isola dal resto del mondo perché si considera diversa, non io»

Sospiro e distolgo lo sguardo, verso i giornali. «Azzardo la mia ipotesi» comincio. «Non è scritto il perché»

«Di cosa?»

«Perché Moriarty si è fatto arrestare» rispondo. «Da quel che ho letto, è un genio del male brillante, e non capisco perché non sia semplicemente fuggito con tutti quei soldi o quei gioielli»

«E questo implica che...»

«Che lui voleva essere preso, e a tutti questo è sfuggito» termino la sua frase, lasciata a metà. «Beh, tutti a parte te, altrimenti non mi avresti chiamata qui, vero?» Mi acciglio un secondo, e mi metto a squadrarlo, sospettosa. «Ma perché avresti dovuto dirlo a me? Insomma, c'è John»

«John è uscito» dice. «O almeno è quello che mi ha detto la signora Hudson...»

«C'è sempre il tuo amico teschio»

«Ma il mio "amico teschio", come lo chiami tu, non può rispondermi»

«Che ti importa? A te piace parlare da solo»

«Non questa volta» replica, freddo. «Quando mi è venuta in mente quest'idea, John era già andato via. E non posso discutere la mia teoria da solo»

Inarco le sopracciglia, per tentare di nascondere la mia espressione stupita. «Volevi dirla a me?» domando. «Sul serio?»

«La signora Hudson lo spiffererebbe ai quattro venti»

«Non puoi aspettare che John torni?»

«Non sono una persona paziente, dovresti saperlo»

Già, lo so eccome. O almeno, per quel poco che conosco di lui, posso dire di saperlo.

«E cosa hai intenzione di fare?» gli chiedo. «Vuoi dirlo a Scotland Yard, o ai giornalisti?»

«No» dice, quasi sdegnato. «Sarebbe un gesto terribilmente stupido» Scuote la testa, per poi alzarsi. «Devo accertarmi di una cosa, durante il processo»

«E poi?»

«Valuterò come agire» risponde, togliendosi la vestaglia azzurrognola, che poi getta sulla sua poltrona. «Tu non vieni oggi, vero?»

Gli sorrido, beffarda. «Per tua sfortuna, ho un altro impegno. Non mi vedrai tra gli spettatori della tua deposizione, purtroppo»

«Oh, che peccato» dice, falsamente dispiaciuto.

«Sì, lo so che non vedevi l'ora di liberarti di me» Mi alzo, per poi avvicinarmi. «Sicuramente anche John ti farà questo discorso, ma vorrei avere l'esclusiva» gli dico, guardandolo. «Non fare il sapientone, okay? Ci saranno un giudice, due avvocati e dodici giurati, e tu non ti guadagnerai la loro fiducia di testimone se esponi la tua intelligenza con fare superiore»

Sherlock, essendo più alto di me di abbastanza centimetri, il che non è molto piacevole, mi guarda dall'alto verso il basso, e questo non fa che accentuare la sua aria da presuntuoso. «Non posso essere me stesso?»

«Per una volta, no» rispondo. «Non mi sarei mai aspettata di dire una cosa del genere, ma no: non essere te stesso, e per quanto potrebbe risultare difficile, provaci» Poi volto la testa e sorrido. «Altrimenti sarai denunciato per oltraggio alla corte, e John sarà costretto a pagarti la cauzione»

«Non arriverò fino a questo punto!» protesta.

«Fidati: succederà» Prendo la borsa e la mia giacca con cappuccio, che indosso velocemente. «Io vado» annuncio. «Se mi trovano un soprannome da tabloid, sarà tutta colpa tua»

Non aspetto neanche una sua risposta, che subito volo giù per le scale.

«Ehi!» mi ferma, facendomi voltare. «Non vuoi sapere perché si è fatto arrestare?»

Mi stringo nelle spalle. «Aspetto che tu lo dica prima a John. È lui il tuo assistente, no?»

Continuo a scendere, quando, sull'ultima rampa, incontro la signora Hudson che va a buttare l'immondizia.

«Buongiorno» la saluto, educatamente.

«Oh, ciao cara» mi risponde lei, con fare un po' distratto. «Credi che ci siano altri giornalisti lì fuori?» mi domanda, indicando la porta.

«Oh, spero di no» dico, ridacchiando.

La donna si stringe nelle spalle e fa dietrofront. «Butterò la spazzatura più tardi...» mormora, più a sé stessa che a me.

La guardo rientrare in casa sua, mentre io mi alzo il cappuccio sulla testa. Poi prendo dalla borsa a tracolla un paio di occhiali da sole scuri, li indosso e apro la porta, dopo aver preso un respiro, per poi fiondarmi a capofitto in strada. Attraverso velocemente i venti metri che separano casa mia dal 221B e, arrivata sotto al portone, infilo la chiave nella serratura ed entro, velocemente. Tiro un sospiro di sollievo: per fortuna, non ci sono ancora giornalisti appostati in Baker Street. Spero solo che John ritorni prima del loro arrivo. Inizio a salire le scale, lentamente, mentre la mia testa non fa che pensare a quello che mi ha detto Sherlock.

Quindi... C'è un motivo per cui Moriarty ha fatto quel che ha fatto. Non perché è psicologicamente messo male, ma per qualcos'altro. Solo, non so cosa. Lo ammetto, avrei tanto voluto saperlo, ma far aspettare Sherlock è il minimo per irritarlo, dopo tutte le volte che quel detective da strapazzo mi ha fatta imbestialire.

«Sono tornata!» urlo, entrando in casa.

«Che voleva?» Amy mi raggiunge in pochi attimi, piantandosi davanti a me. Poi mi squadra da capo a piedi, confusa. «Perché ti sei vestita come se fossi una star del cinema che deve scappare dai paparazzi?»

Mi sfilo gli occhiali. «Pensavo ci fossero i giornalisti» spiego, togliendomi anche il cappuccio. «E non volevo che si montassero la testa con qualche "gossip" assurdo, quando magari ero solo il fattorino delle pizze» borbotto, mentre mi tolgo la felpa e mi avvicino a passi svelti alla finestra. «Deve essere stressante per loro, dover sempre scappare dai fotografi...»

«Jane, ho bisogno di un consiglio» dice Amy, che, a quanto pare, era sparita in camera da letto, senza dare minimamente importanza a quel che le stavo dicendo, per poi riemergere in salotto con due stampelle. «È meglio la blusa nera o quella grigio fumo, per andare oggi in tribunale?» mi chiede, alzando prima l'una poi l'altra gruccia.

«Finalmente si sono decisi a denunciarti per quel furto nel negozio di caramelle quando avevamo nove anni!»

«Idiota, è per il processo a quel Meriarty»

«Moriarty» la correggo. «E comunque è meglio il grigio fumo»

Lei sorride, osservando il vestito. «Sì, lo penso anche io» E poi ritorna in fretta nella nostra stanza.

Io la seguo, con la fronte aggrottata. «Vuoi davvero andarci?»

«Perché, tu non vieni?» fa lei, posando la maglia sul letto.

«Amy, sai che devo studiare»

«Ma tu studi sempre!» sbuffa, alzando la testa al cielo, esasperata. «Cioè, il tipo che ti piace va in tribunale per...»

«Il tipo che mi che cosa?!» la blocco, con un tono di chi spera di non aver capito bene. «A me non piace! Pensavo che almeno tu lo avessi capito!»

«Andiamo! Puoi mentire a tutti, ma non a me» replica. «Ti chiede di seguirlo in un paesino sconosciuto, e tu accetti; si propone per darti lezioni di chimica, e tu accetti; ti invia un messaggio, dicendo che deve parlarti urgentemente, e tu ti fiondi a casa sua...» elenca, contando sulla punta delle dita. «Dimmi tu se questo non è un interesse»

«No, non lo è» ribatto, infervorata. «Primo: ho accettato di andare a Horsham solo per interesse personale e per salvaguardarti la macchina, nient'altro. Secondo: è stato John a dirmi che avrei preso lezioni da Sherlock, sebbene lui fosse contrario, e mi sembrava sgarbato rifiutare il suo regalo di compleanno. E terzo: non mi sono precipitata a casa sua perché è stato lui a chiedermelo, ma perché, altrimenti, avrebbe cominciato a elencarmi tutte le azioni della mia giornata, dove sono andata, quando, perché e come» termino, per poi buttandomi sul letto, accanto alla blusa di Amanda. «Sa essere più rompiscatole persino di Patrick Jane...» Osservo l'espressione sbigottita della mia amica, e sospiro, lasciando andare la testa all'indietro. «Ah, lascia perdere...»

•••

«Torre di Londra, Banca di Inghilterra, Pentonville: tre dei posti più sicuri del nostro paese. Sei settimane fa, Moriarty fa irruzione...»

«Tu cosa ci fai qui?!»

Alzo lo sguardo, dal libro di chimica in cui mi ero immersa, sdraiata sul divano, per puntarlo su Sherlock, che mi fissa ad occhi spalancati. «Vi stavo aspettando, mi pare abbastanza ovvio»

«Oh, ciao Jane» mi saluta John, che ho bruscamente interrotto, mentre stava facendo il riepilogo della situazione.

Lo ricambio, con un gesto della mano. «Amy mi ha detto che ti hanno arrestato, per oltraggio alla corte» dico, mettendomi a sedere. «Esattamente come avevo detto io»

«Ti aveva già avvertito anche lei?»

«Te l'ho già detto: la mia intelligenza non ha l'interruttore!» protesta Sherlock.

«Io lo sapevo...» mormoro, scuotendo la testa. «Lo sapevo che ti saresti lasciato prendere un po' troppo la mano. Lo sapevo eccome» Chiudo il libro di chimica, seccamente, e lo poso accanto a me. «Ma ormai hai già fatto il danno, e non si può risolvere»

«Non è un danno!»

«Oh, sì che lo è» mi dà ragione John, sorridendo.

«Comunque, ti sei accertato di quella "cosa" di cui mi hai parlato?»

«Ovviamente» mi risponde Sherlock, come se la risposta fosse scontata.

«E...» lo incito.

«E Moriarty non sta preparando nessuna difesa. Lui sceglie di stare lì»

«Perché mai dovrebbe?» domando. «Il fatto che sia uno psicopatico quasi quanto te, e infatti non mi stupisco che sia la tua nemesi, non è una motivazione valida»

«Nemesi?» ripete. «Questo non è un romanzo giallo, Jane»

Rimango in silenzio, con gli occhi leggermente spalancati, e non perché la sua frase è riuscita a zittirmi, o a lasciarmi senza una battuta pronta. Ma perché lui lo ha fatto. E, a quanto pare, sono l'unica ad accorgermene.

«Ma perché continuare?» continua John «Significa che il rimanere in cella fa parte del suo "piano"?»

«Sì» risponde Sherlock, unendo le mani sotto al mento. «Dobbiamo solo capire che cosa prevede»

«Scoprire il piano di un grande genio del crimine?» faccio. «Non mi sembra una cosa da poco» Poi sorrido, alzandomi, e prendo il libro di chimica. «Ma, per fortuna, c'è il nostro grande genio della deduzione, ad occuparsene»

Lui ricambia, stranamente, il sorriso, alzando appena un angolo della bocca.

Lo ha fatto. Lo ha fatto davvero. Ci avevo quasi perso la speranza. Ma, d'altronde, lui è sempre capace di sorprendere chiunque. Ma lui... Mi ha chiamata per nome.

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