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{14° Capitolo}

[Capitolo quattordici]

Jane

«Fammi capire bene...» mormora Alan, dall'altra linea. «Stai inseguendo il tuo vicino di casa, che è un investigatore privato, perché vuoi sapere come lavora, ma è riuscito a seminarti e adesso vuoi il mio aiuto per rintracciare il taxi sul quale era salito?»

«Esattamente» affermo io.

Subito dopo essermi fermata al semaforo, ho accostato la macchina accanto ad un marciapiede, dove ho trovato un posto miracolosamente libero, e ho chiamato Alan, perché so che mi darà una mano.

«In che modo?»

«Hai un amico vigile. Chiedigli se può rintracciarlo. I taxi avranno un GPS installato, no?»

«Non lo so. Dovrei chiederglielo» borbotta.

«Ti prego, fai più in fretta che puoi. Ne ho bisogno»

«Vedrò quello che posso fare. Gli telefono subito e gli chiedo se può fare qualche ricerca veloce. Ti chiamo appena so qualcosa»

Sorrido. «Grazie, Al. Ti invio un messaggio con il numero della targa»

«Ma la sera non potresti rimanere a casa?» borbotta, sbuffando.

«Stare a casa è noioso. Almeno inizio ad esplorare la città»

«Se lo dici tu...» mormora. «Ci sentiamo più tardi»

«D'accordo»

«A dopo, detective mancata» mi saluta, con un risolino.

«A dopo, calciatore storpio» ribatto, ricambiando il sorriso, poi chiudo la chiamata e poso il cellulare sul sedile del passeggero.

Perché ho deciso di catapultarmi in questa folle idea senza farmi accompagnare da qualcuno? Beh, tutto sommato non avevo scelta: Amy e John avevano un appuntamento, Alan vive a più di due ore di macchina da Londra e qui non conosco nessuno.

Poggio la testa allo schienale e chiudo gli occhi.

È successo tutto in modo maledettamente veloce. Talmente veloce da non darmi il tempo neanche di respirare, di pensare, di fare ordine nel casino che ho in testa.

Prendo un respiro e accendo la radio. Quasi rimpiango di non essermi portata dietro il libro dell'università... La stazione trasmette il ritornello di una melodia che conosco, parole che ho già sentito...

"My shadow's the only one that walks beside me

My shallow heart's the only thing that's beating

Sometimes I wish someone out there will find me

'Til then I walk alone"

È incredibile il modo in cui una canzone può far rivivere ricordi sepolti sotto strati di tempo e polvere. "Boulevard of Broken Dreams", dei Green Day, mi dà quest'impressione, lasciandomi un doloroso sapore amaro in bocca.

Nottingham, Inghilterra•13 Aprile 2011, ore 15.00

«Cosa significa che non andrai ad Oxford?!»

Jane sospirò. «Significa che andrò a studiare giurisprudenza al King's College di Londra. Cosa c'è di strano?» disse a suo fratello Alan, tenendo la cornetta del telefono tra la spalla e l'orecchio, mentre, con la mano sinistra, teneva la lettera di accettazione ad Oxford.

«Cosa c'è di strano?! Jane, ti hanno accettata in una delle università più prestigiose del Regno Unito e tu scegli di andartene a Londra?»

«Non è detto che riesca ad entrare. Dovrei passare un altro test, prima di cantare vittoria»

«Se sei riuscita a passare l'esame di iscrizione, significa che sei in grado anche di studiare lì»

«Oxford è famosa per essere stata frequentata da geni, ed io sono tutto tranne che un genio»

«Ma...»

L'attenzione di Jane passò dalla solita ramanzina del fratello al trillo del campanello di casa, una volta breve e due lunghe: Amanda.

«Al, devo lasciarti. Ti richiamo dopo» lo interruppe, mettendo velocemente a posto le lettere.

«Ehi! Non abbiamo ancora...»

Jane attaccò senza neanche lasciare il tempo al fratello di finire. Corse alla porta e l'aprì. Sulla soglia stava Amanda, con una borsa da palestra sulla spalla e un sorriso triste. Lì per lì, non riusciva a capire perché mai Amanda era andata da lei, dato che non era venuta a trovarla, negli ultimi mesi: con tutti gli impegni per l'università e il suo ragazzo, non aveva di certo avuto tempo per Jane. Ora, invece... Sembrava che fosse come ai bei vecchi tempi, quando facevano un pigiama-party ogni finesettimana, rimanendo sveglie ore ed ore a parlare di progetti e sogni. Ma la faccia abbattuta di Amanda non era quella che, di solito, si ha ad un pigiama-party.

«Va tutto bene?» le chiese Jane, squadrandola da capo a piedi, ma si vedeva benissimo che non era così, e lei lo sapeva. Sapeva cosa le era successo, altrimenti non sarebbe andata a chiederle aiuto, dato che era sempre stata la sua scialuppa di salvataggio di riserva, quella che aveva sempre scelto come ultima spiaggia.

«Posso chiedere asilo sul tuo divano?» le chiese infatti l'amica, con voce leggermente rotta, ignorando la sua domanda.

La prima rimase a fissarla, dritto negli occhi, con la bocca leggermente aperta e la testa che non sapeva cosa pensare. Aveva quasi intenzione di non farla entrare, di inventarsi una scusa e mandarla via, perché, di certo, era stanca di essere interpellata solo quando le faceva comodo. Rimase così per parecchi secondi, ma poi si fece da parte e lasciò entrare l'amica. Amanda si diresse con passo sicuro nel salotto che conosceva fin troppo bene, si sedette sul divano e poggiò l'enorme borsone accanto ai propri piedi.

Jane si sedette accanto a lei. «Va tutto bene?» ripeté, con voce incerta.

Amy alzò gli occhi, incontrando quelli dell'amica. Il verde delle iridi era ancora più accentuato dalle lacrime che sarebbero scese da un momento all'altro. «Mi ha lasciata...» mormorò. «Jane, mi ha lasciata!» Amanda iniziò a singhiozzare senza sosta sulla spalla dell'amica.

«Amy...» iniziò Jane, ma si accorse che non aveva niente da dire. «Amy, va tutto bene»

'Ma che razza di incoraggiamento è questo?!' pensò, maledicendo la sua scarsa fantasia.

«No, Jane, no» continuava a ripetere Amanda. «Ed non mi ama più»

«Amanda, sta' tranquilla» continuò Jane, stringendola più forte, come per farle sentire la sua presenza. «Ci sono io, con te»

I singhiozzi di Amy si calmarono un po'. «Grazie, Jane» balbettò.

«Sono qui a per questo» replicò l'amica. «Vado a farti una camomilla»

Si alzò e corse in cucina, per poi tornare qualche minuto dopo con una tazza fumante dell'infuso preferito della sua amica.

La trovò rannicchiata sul divano, con un auricolare in un orecchio e la faccia nascosta tra le ginocchia. Posò la tazza sul tavolinetto basso accanto al sofà e le si sedette accanto.

«Vuoi parlarne?» le chiese, in tono dolce.

«No...»

Jane rimase in silenzio per qualche secondo. «Vuoi rimanere un po' sola?»

Un altro breve silenzio, interrotto solo dalle note della canzone "Boulevard of Broken Dreams" che uscivano dagli auricolari. «No...» ripeté la ragazza, scoppiando nuovamente a piangere.

Jane si accoccolò accanto a lei, stringendola a sé. E rimasero così, immobili, come se il tempo si fosse fermato. Eppure i secondi scorrevano incessanti, e con esso aumentava anche il dolore che Jane provava a vedere la debolezza della persona più forte che conosceva.

Ore 17.35

«Ecco qui» disse Jane, sistemando le lenzuola sul letto che, una volta, era di suo fratello. «Puoi rimanere quanto ti pare»

«Grazie... Io, davvero, non so cosa dire» balbettò Amanda, guardandosi intorno.

«E allora non dire niente» rispose la ragazza, sorridendo. «Cosa farai, ora?» continuò, sedendosi accanto all'amica.

Amy si strinse nelle spalle. «Credo che andrò a vivere a Londra con i miei genitori e continuerò gli studi lì. Poi non lo so... Credo che mi troverò un appartamento o qualcosa del genere»

Rimasero in silenzio per un po', come se ognuna delle due avesse paura ad aprire un discorso qualsiasi.

«Posso...» accennò Jane, incerta. «Posso chiederti cos'è successo?»

Amy sospirò, e l'amica si accorse che stava cercando di trattenere le lacrime. «Aveva un'altra... Da più di un mese...» bisbigliò, infine.

Jane rimase a bocca aperta. «Stai scherzando?»

L'amica scosse il capo, con fare abbattuto. «Li ho trovati insieme... Sai, a quell'ora sarei dovuta essere all'università, ma abbiamo finito un'ora prima perché un professore mancava... Dio, ancora non posso credere di essere stata così cieca!»

Si nascose il viso tra le mani, pronta a scoppiare nuovamente a piangere.

«Amy, lascialo stare» le disse Jane, passandole una mano sulle spalle. «Andrà tutto bene, vedrai. Senza di lui andrà tutto bene»

«Come potrà andare tutto bene, Jane?» chiese Amanda, con la voce rotta. «Stavamo insieme da otto anni! Avevo intenzione di costruire una famiglia con lui!»

«La vita è fatta così» continuò Jane. «Lo sai meglio di me. Ma non per questo devi lasciarti andare alla disperazione»

«Sai come sono fatta»

«Certo che lo so. Ed è per questo che ti chiedo di cambiare, di andare avanti anche se sembra impossibile»

«Non so se ne sarò capace...»

«Certo che ne sarai capace» disse Jane. «Io credo in te più di chiunque altro»

E lo pensava davvero. Non importava il fatto che Amy l'avesse scaricata non appena aveva conosciuto Ed, non importava che la considerasse la sua seconda scelta, non importava più niente: aveva bisogno di lei, e Jane non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro.

Londra, Inghilterra•27 Settembre 2011

Il cellulare vibra sul sedile del passeggero. Apro lentamente gli occhi e mi volto a guardare lo schermo: Alan.

Mi affretto a rispondere: «Pronto?»

«Sei fortunata: sappiamo dove si è fermato, circa sei minuti fa» dice la voce di mio fratello, senza neanche degnarmi di un saluto.

«Spara»

«All'incrocio tra Jubilee Street e Stepney Way»

«Un incrocio?!» esclamo.

«Ehi, mi hai chiesto di dirti dove si fosse fermato e io te l'ho detto. Più di così non posso fare»

Abbandono la schiena alla spalliera del sedile, lanciando un sospiro di rassegnazione.

«Grazie comunque, Al. Poi ti faccio sapere cosa è successo»

Sto per attaccare, quando la voce di mio fratello mi ferma. «Jane!» urla.

«Dimmi» dico, riavvicinando il cellulare all'orecchio.

«Fa' attenzione»

«Mi sembrava di averti chiesto di non farmi parlare con mamma» rispondo, ironica.

«Sono serio, Jane. Fa' attenzione»

Rimango in silenzio per qualche attimo. «Te lo prometto» dico.

Anche se ho giurato di essere attenta, riesco a sentire la preoccupazione di Alan, e so bene che vorrebbe tanto potermi accompagnare in questa follia, come ha sempre fatto. Ma non può, e io chiudo la chiamata Rimetto in moto e parto verso l'incrocio tra Jubilee Street e Stepney Way, mentre la voce del navigatore mi accompagna per le strade di Londra a me sconosciute. Arrivata a destinazione, accosto in doppia fila per mettermi a pensare e tentare di rispondere alla sola domanda che si fa largo nella mia testa.

'E adesso dove vado?'

Mi porto le mani tra i capelli e appoggio la fronte al volante, cercando di elaborare una possibile soluzione.

'Ragiona, Jane' mi dico. 'Chi potrebbe conoscere il luogo dove si è recato Sherlock Holmes? Chi lo conosce davvero?'

Capisco solo ora che la risposta è un nome, e mi do dell'idiota per non averci pensato prima.

Afferro il cellulare per inviare un messaggio a chi so possa aiutarmi.

"SOS: ho bisogno di sapere dove è andato il tuo amico Holmes. Niente domande: ti ho fatto uscire con Amanda e mi devi un favore"

John mi risponde poco dopo. "Ne so quanto te. È un tipo riservato, quando si tratta di indagare"

Mi lascio andare sul sedile, sospirando con rassegnazione, perché ho fatto di tutto e, forse è meglio rinunciare.

Il cellulare vibra di nuovo. "Però ha il GPS integrato al cellulare. Se ti do il numero, puoi rintracciarlo facilmente"

Le mie dita scivolano velocemente lungo la tastiera, frenetiche. "Lo faresti davvero?"

Il suo messaggio di risposta contiene una serie di cifre. "Vado: comincia il film. Fammi sapere com'è andata"

Sorrido. "Grazie mille, John"

Mi collego subito al navigatore satellitare del mio smartphone, inserisco la mia posizione e il numero di Holmes. Scopro che si sta muovendo a passo d'uomo verso un'autorimessa, a circa tre minuti d'auto da dove sono io. Metto in moto e parto, con una nuova speranza che mi pervade da capo a piedi. Dopo neanche due minuti di percorso a tutta la velocità consentita, mi fermo davanti alla discesa che porta all'autorimessa. È un edificio enorme, con una serranda di ferro che chiude l'entrata per le auto, sulla quale è attaccato un cartello dove è scritto, a caratteri cubitali, "CHIUSO", nonostante siano solo le nove di sera. Decido di parcheggiare qualche decina di metri più avanti, tanto per confondermi tra la gente. Torno indietro a piedi e percorro la discesa, con passo lento e incerto.

Il cuore mi batte a mille, ma cerco di non dargli retta: non è il momento di farsi prendere dal panico.

Arrivata davanti alla saracinesca, mi basta un'occhiata per accertarmi che sia ben ancorata a terra e capire che Holmes non può essere entrato da qui. Deve esserci per forza un altro ingresso, come una porta o una finestra... E infatti, eccola lì, davanti a me: una semplicissima porta di legno chiaro, che non è il massimo della sicurezza, ma non posso mica lamentarmi. È leggermente accostata, segno che qualcuno è entrato.

Mi addentro con passo felpato: un silenzio opprimente mi circonda, ma fortunatamente non è accompagnato dal buio, perché decine di luci al led illuminano una grande sala spaziosa, divisa in posti-auto, molti dei quali occupati.

Muovo alcuni passi verso il centro della stanza, guardandomi intorno con fare sospetto. Il ticchettio delle mie scarpe risuona, ampliandosi e rendendo il tutto molto più inquietante di quanto già non sia. Ho il respiro accelerato e il cuore che tenta di fuggire dalla mia cassa toracica. Un'ombra si muove dietro di me. Mi volto di scatto, ma non trovo nessuno. Non può essere stata la mia immaginazione: sono sicura di aver visto qualcuno che si muoveva.

«Holmes?» mormoro, sperando che la mia voce non venga amplificata, ma l'effetto non è quello sperato. «Holmes, sei tu?»

Passano interminabili secondi di silenzio, durante i quali sento solo il battito del mio cuore che ho paura rimbombi nella sala come una grancassa, facendomi scoprire.

«Holmes, so che sei qui den...»

Una mano coperta da un guanto di pelle nera mi tappa la bocca, impedendomi di finire la frase. «Shh...» mi sussurra una voce nell'orecchio. «Fa' silenzio, prima che ci scoprano»

Mi lascio sfuggire un gemito di terrore.

E ora?

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