{11° Capitolo}
[Capitolo undici]
John
«Cari, ci sono due gentilissimi signori che hanno chiesto di voi» cinguetta la signora Hudson, facendo capolino dalla porta. «Mi sembrano un tantino scossi» aggiunge, a bassa voce. «Cercate di essere gentili. Soprattutto tu, Sherlock!»
Si volta e sparisce velocemente, così come era arrivata. Dietro di lei ci sono l'uomo e la donna che avevo notato dalla finestra.
«Buongiorno» mormora lui, con una calma imperturbabile. «Mi chiamo Roy Masting e questa è mia moglie Allison»
«Molto piacere, io sono...»
«Oh, andiamo, John! Sanno benissimo chi siamo!» sbuffa Sherlock, dalla sua poltrona, interrompendomi. «Non perdiamo tempo in inutili chiacchiere»
Rivolgo al mio amico uno sguardo inceneritore, ma ormai ho imparato da tempo a lasciarlo perdere. «Accomodatevi pure» dico, indicando ai clienti due sedie poste alla destra della mia poltrona.
«Grazie...» balbetta la signora Masting.
Ora che sono vicini, posso osservarli bene: lei ha i capelli biondi, raccolti sulla nuca, e gli occhi grigi, da una parte quasi inespressivi, viso sottile dall'aria stanca e provata. Lui ha occhi e capelli castani, un volto alquanto pacato e tranquillo. Sorregge la moglie, come se lei fosse troppo debole persino per stare in piedi, come se fosse talmente tanto scossa da non avere le forze neanche per chiudere gli occhi. Deve essere qualcosa di davvero grave.
Per una decina di secondi, un silenzio opprimente invade il salotto e ci schiaccia tutti con il suo peso.
«Perché siete qui?» chiede Sherlock alla fine, con il suo solito tono freddo.
«Sei un detective. Il tuo compito è quello di aiutare la gente, no?» risponde il signor Masting, a tono.
«Roy...»
«Come siete ordinari» sbuffa il mio amico, interrompendo la donna. «Non siete cambiati affatto da quando eravate solo dei sedicenni»
«Neanche tu, se è per questo» ribatte il cliente. «Cinico e arrogante, come sempre»
Passo velocemente lo sguardo dall'uno agli altri, perplesso. «Voi vi conoscete?» chiedo, ma subito mi rendo conto che non potrebbe essere altrimenti.
'Ma certo che si conoscono, idiota!'
«Sherlock, ancora non ci hai presentato il tuo amico»
«Sapete già chi è, non devo di certo spiegarvelo» risponde il mio coinquilino, sorridendo a sua volta con fare provocatorio.
«Vorremmo solo sapere che ruolo ha lui in questa faccenda» continua il signor Masting. «Sei tu la mente geniale, qui dentro. Non hai bisogno di una spalla»
«Beh, a quanto pare sì» replica l'altro. «John è un veterano della guerra in Afghanistan e si è rivelato utile in molte occasioni»
Il nostro cliente lancia uno sguardo di fuoco a Sherlock che, compiaciuto per essere riuscito a zittirlo, ha un sorrisetto derisorio sul viso
«Comunque sì, John» fa dopo, lanciandomi una veloce occhiata. «Io e i qui presenti Allison Longers e Roy Masting eravamo compagni di liceo»
«Ma non eravamo affiatati come crede lei, signor Watson» aggiunge Roy. «Il nostro caro Sherlock aveva sempre l'aria di chi la sa lunga. Era odiato dalla maggior parte dei nostri compagni di classe»
«Non che adesso sia cambiato...» mormoro, a voce bassa ma udibile ugualmente.
«Continuate ad eludere la mia domanda» continua Sherlock, ignorandomi. «Perché siete qui?»
I due coniugi si lanciano una veloce occhiata, come per intimare l'altro ad iniziare a parlare.
«Si tratta di nostro figlio...» dice infine Allison, facendoci sentire per la prima volta la sua volta la sua voce debole, troppo debole. «Sono quasi due giorni che è scomparso»
«All'uscita di scuola non c'era e la maestra mi ha detto che ieri non è andato a scuola»
«Perché avete aspettato tanto a contattarmi?» chiede loro il mio amico. «Dopotutto è vostro figlio, avreste dovuto venire prima a chiedermi aiuto»
«Non volevamo darti un falso allarme» spiega Roy. «Conoscendoti, avresti potuto risolvere questa scomparsa standotene seduto qui senza muovere un muscolo, se ci fossimo accorti di esserci sbagliati»
«Quanti anni ha vostro figlio?» domando io.
«Simon ha sette anni» risponde la donna. «Li ha compiuti il mese scorso»
Annuisco e annoto tutto sul mio taccuino, visto che avere la memoria di Sherlock è quasi del tutto impossibile.
Mentre scrivo, un leggero silenzio ci avvolge, ma io quasi non me ne accorgo, impegnato come sono ad appuntare tutto quello che hanno detto, il che è relativamente poco.
«Allora?» dice infine Roy, rompendo il ghiaccio.
«Allora cosa?»
«Accetti o no?»
Il mio coinquilino lo guarda, appoggiato con il gomito sul bracciolo della poltrona. «Il bello del mio lavoro è che io posso scegliermi i clienti» replica, infine. «Cosa vi fa pensare che accetti la vostra offerta?»
«Possiamo pagarti bene» dice lei, in tono supplichevole.
Sherlock sbuffa una risata e poi incrocia le braccia al petto. Sembra pensarci un po' su, come per decidere se il caso sia alla sua altezza. Non gli importa niente del denaro, ma sa bene che ci serve.
«Okay, perfetto» dice infine, con tono deciso, alzandosi. «Non accetto il caso»
«Cosa?!» urlo io, mentre Roy assume un'espressione stupita, come se non si aspettasse che avrebbe rifiutato.
Mi alzo anche io e, prendendo Sherlock per una manica della giacca, mi reco, trascinando il mio amico, in cucina. «Vogliate scusarci un momento solo» dico, con un sorriso impacciato.
Chiudo la porta scorrevole e lo guardo con uno sguardo di fuoco.
«Cosa c'è, adesso?» sbuffa lui, quando chiudo la porta scorrevole.
«C'è che non puoi rifiutare»
«Perché no? È il mio lavoro, posso decidere da chi farmi pagare»
Prendo un respiro profondo, per calmarmi e scacciare l'impulso di strozzarlo. «Abbiamo già fatto questo discorso tempo fa, Sherlock, quando Moriarty piazzava bombe umane in giro per Londra. Si tratta di un bambino» Faccio una pausa, come per aspettare una sua risposta. «Un bambino!» urlo, forse perché una parte di me spera che non abbia capito la gravità della situazione.
«Potrebbero chiedere alla polizia. Io non risolvo casi di scomparsa» replica lui.
«Ma è un bambino!» ripeto ancora. «E noi abbiamo bisogno di soldi»
«Ma...»
«Niente "ma", Sherlock» lo interrompo, perdendo la pazienza. «Non hai fatto altro che lamentarti perché non avevi nessun caso e ora ne hai trovato uno. Bene, risolvilo!»
Sherlock scosta lo sguardo verso la porta a vetri colorati della cucina, che fa tralasciare la luce della finestra in salotto, creando un magnifico effetto arcobaleno.
«Sarà fin troppo facile...» brontola, prima di muoversi con passo deciso e ritornare nell'altra stanza.
«Allora? Vuoi lasciar morire qualcuno anche questa volta?» gli chiede Roy.
«Ne ho parlato con il mio collega...» comincia, trascurando quello che ha detto l'uomo. «E abbiamo deciso di accettare il caso»
E a queste parole, un solo, grande sospiro di sollievo si leva nel salotto.
•••
«Cos'era quella storia?»
«Quale storia?»
«Quella a cui aveva accennato Roy»
Sarà passata una mezz'ora da quando i signori Masting hanno lasciato il nostro appartamento di Baker Street, e in questi trenta minuti non ho fatto altro che chiedermi di cosa possa trattarsi.
Sherlock inarca un sopracciglio, anche se so benissimo che ha capito di cosa sto parlando.
«Ha detto "Vuoi lasciare morire qualcuno anche questa volta" o qualcosa del genere» spiego, alzando gli occhi al cielo.
Sherlock sospira, lasciandosi andare con la schiena alla poltrona. «Niente di che...»
«Sherlock, ha parlato di un morto. Deve essere accaduto per forza qualcosa»
Alza la testa verso il soffitto e trattiene il suo sguardo su un punto fisso. Inizio a credere che non abbia alcuna intenzione di parlarmene...
«Avevo sedici anni, John» dice però, alla fine. «Ero al terzo anno di liceo, e avevo iniziato a interessarmi del lato oscuro della natura umana già da un periodo. I peggiori casi criminali di cui trattavano i media erano un vero e proprio passatempo, per me...»
Horsham, Inghilterra•21 Febbraio 1999
Nel piccolo liceo di Horsham il vento soffiava leggero tra i rami degli alberi che facevano ombra sulle panchine. Sherlock Holmes teneva un libro tra le gambe, uno nuovo, diverso da quello del giorno precedente.
I suoi occhi correvano veloci lungo le righe, frettolosi, quasi impazziti. Era l'ennesimo volume sulla criminologia che leggeva, l'ennesimo che rubava tutto il suo tempo. Non gli interessava andare insieme agli altri, in giro per la scuola, o avere dei "rapporti sociali":. voleva soltanto rimanere là, seduto su una delle panchine del giardino, solo con sé stesso.
Londra era scossa da misteriosi omicidi, in quel periodo, e lui si stava interessando in una maniera quasi ossessiva. Ogni volta che a scuola se ne parlava, lui faceva delle osservazioni acute e brillanti che, dopo neanche un paio di giorni, si rivelavano esatte. E tutti i suoi compagni di classe erano sbalorditi da questa sua straordinaria intelligenza. Tanto sbalorditi, fino a diventare addirittura gelosi. Gelosia che, spesso, li portava a mettere alla prova Sherlock.
«Holmes!» urlò una voce, a lui famigliare.
Il ragazzo alzò lo sguardo dal libro e si guardò intorno. Roy Masting, il capitano della squadra di football nonché suo compagno di classe, stava venendo verso di lui, correndo. Sherlock. nel vederlo, sentì un confuso senso di rabbia ribollirgli dentro, perché sapeva che quello era solo un altro dei loro stupidi scherzi. Ed era così che succedeva: uno dei suoi compagni di classe lo fermava durante il tragitto verso casa, lo trascinava in un vicoletto buio e maleodorante, e Sherlock si ritrovava a combattere contro tre o quattro persone pronte a prenderlo in giro, a tirargli addosso offese che lui assorbiva lentamente, per non dare a vedere quanto gli facessero male. Era come una spugna: capace di assorbire sempre più acqua, fino a quando diventa piena e la lascia andare via. Ed è per questo che, tempo dopo, ha iniziato ad essere la persona fredda e acida che tutti avevano imparato a conoscere: perché, in un modo o nell'altro, doveva liberarsi delle ingiurie che lo facevano sentire pesante come un macigno.
Sherlock alzò gli occhi al cielo, per poi tornare con il muso incollato alle pagine del suo libro.
«Holmes» ripeté Masting, con voce affannata, appena fu arrivato davanti a lui.
«Cosa vuoi, Masting?» gli chiese, con tono tagliente, senza staccare lo sguardo dalle parole che faceva finta di leggere.
«Ho un problema...» spiegò Roy, con il fiatone. «La mia ragazza, Tia Barnes, è scomparsa da quasi tre giorni. Io e la sua migliore amica, Allison Longers, siamo molto preoccupati»
«E quindi?» insistette Sherlock, con aria indifferente.
«E quindi? Holmes, c'è stato un rapimento, devi risolverlo!»
«C'è la polizia. Andate a chiedere a loro»
«Ma tu sei l'unico in grado, anche più della polizia!»
«Certo, come no!» rispose il ragazzo, chiudendo con una botta secca il suo libro. «So che è un altro dei vostri scherzi, ed io sono stanco di cascarci!»
«Credimi, questa volta è vero!» continuò Roy, infastidito dall'insolito comportamento del compagno di classe.
Sherlock si alzò dalla panchina e mosse alcuni passi in avanti.
«Stammi a sentire, Masting: puoi anche andare a dire ai tuoi amichetti che Sherlock Holmes non è più disponibile a farsi abbindolare» gli disse con aria minacciosa. «E adesso lasciami in pace»
Il ragazzo se ne ritornò in classe, lasciando Roy fermo, davanti a quella panchina, disperato come non mai.
Il giorno dopo, su tutte le prime pagine dei giornali locali appariva un'unica, scioccante notizia.
"Trovata quindicenne morta sul ciglio dell'autostrada: dramma per la famiglia Barnes"
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