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Capitolo 4: "Preoccupazioni"

14 marzo 1941
Leah stava finendo di controllare la piantagione, quando udì la voce del militare che disse «È ora di mangiare!»

Si diresse con Noa in fila per prendere il piatto che spettava loro, fortunatamente riuscirono a stare tra gli ultimi.

Leah aveva tra le mani il suo piatto di minestra e si stava dirigendo verso Noa, che l'aveva preceduta; quando un altro ebreo la spinse accidentalmente e lei cadde addosso ad un tedesco lì accanto, rovesciando il cibo sulla sua uniforme.
Subito le arrivò uno schiaffo in pieno viso.
«Sporca ebrea guarda cos'hai fatto!» le ringhiò addosso il soldato, furente «Oggi non mangi, neppure domani, e al posto di riposarti mentre gli altri mangiano pulirai la mia divisa!» le ordinò.
La ragazza annuì con gli occhi bassi, mentre la guancia le bruciava.
Il soldato se ne andò a cambiarsi, non prima di averle dato un calcio.
Noa la raggiunse «Leah, tutto bene?» sussurrò.
«No. Non va affatto bene!»
«Shh, non piangere, su; è quello che vuole ottenere quel bastardo!»
«Hai ragione, scusa.»
«Non preoccuparti, non devi chiedere scusa a nessuno.»
Leah si asciugò il volto, imprecando contro la sorte e il soldato.

* * *

Amos era stato convocato dal generale Barthel; senza una spiegazione. Il ragazzo non sapeva cosa aspettarsi. Era preoccupato che qualcuno lo avesse visto andare da Leah.

Entrò nella stanza, col cuore che palpitava forte nel petto.
Barthel era accomodato davanti ad una scrivania semplice, senza inutili decori, essenziale.
L'uomo era sulla cinquantina, i capelli iniziavano ad assumere una tonalità grigiastra. Gli occhi erano azzurro ghiaccio, duri, che se ti guardavano ti davano l'impressione che due lame ti trapassassero.
«Buongiorno, generale. Mi ha convocato. »
«Buongiorno Amos; volevo parlarti. Suvvia, siediti lì!» esclamò indicando una sedia di fronte a lui.

«Cosa voleva dirmi?»
«Il fatto è che in questi giorni ti ho osservato attentamente. » iniziò il generale.
"Mi ha scoperto. Ucciderà Leah!" fu il primo pensiero del soldato.
«E mi sono accorto che... Beh, in sostanza, ragazzo, non mi sembri convinto di quello che fai.»
Amos si sentì immediatamente sollevato. «Ecco, il fatto è che...»
«Non hai ancora preso dimestichezza con il lavoro, non è vero?» lo interruppe l'uomo.
Il ragazzo annuì «È così infatti.»
«Beh, permettimi di darti un consiglio: non devi pensare agli ebrei come persone. Ti sembrano degni di essere chiamate persone?»
«Certo che no.»
«Ecco. Avresti timore di dare un calcio ad un ciocco di legno?»
«No, certamente no.»
«Di sparare a un uccello?»
«Neppure.»
«Haha! Visto? Non c'è nulla di difficile! Quando gli devi dare un calcio immagini un pezzo di legno, quando devi ucciderli pensi ad un uccello. Del resto, non c'è poi tanta differenza!»
«La ringrazio davvero, i suoi consigli mi saranno sicuramente utili!»
«Eh eh, non ringraziarmi ragazzo, non ce ne alcun bisogno. »

Amos chinò appena la testa a mo' di saluto, poi uscì dalla stanza.
"Che persona spregevole. Pensali non come persone, ma come nulla di importante!" si disse, disgustato dalle parole del generale. "Spero che Leah stia bene."

POV Leah
Era sera, io me ne stavo nel mio letto, aspettando Amos. Gli ero sinceramente grata per quello che aveva fatto per me, insomma, aveva anche rischiato. Finivo il nuovo lavoro comunque molto stanca, ma non distrutta come quando facevo i mattoni.
Inoltre, portarmi del cibo che avrebbe potuto mangiare lui... Era un gesto meraviglioso, che indicava che lui non era affatto come Hitler.
Lo stavo ancora pensando, quando sentii la sua voce bisbigliare «Pss! Eccomi!»
«Oh, ciao!» risposi notando che si guardava intorno nervoso
«C'è qualcosa che non va?» domandai allora.
«No, no, nulla. Tranquilla, nulla» rispose, ma non ero convinta che mi stesse dicendo la verità.
«Come stai? Ancora tutta intera?» domandò poi con gentilezza.
«Insomma... No.»
«Perché? Che ti è successo?»
«Ecco, oggi per sbaglio ho rovesciato la mia zuppa addosso ad un soldato, che mi ha dato uno schiaffo e un calcio. Inoltre non ho potuto mangiare, e neppure domani lo farò, perché al posto di sfamarmi dovrò lavargli l'uniforme.» sospirai.
«Oh no... Avrai molta fame. Ma dove ti ha colpito quel porco?»
«Qui» dissi indicando la guancia «E qui» continuai mostrandogli la gamba.
«Mi dispiace un sacco veramente...» esclamò Amos abbracciandomi. Dapprima restai stupita dal suo comportamento, ma poi mi abbandonaii a quelle braccia forti, che ti consolavano e ti facevano sentire bene.
«Grazie ancora. Davvero» sussurrai piano. Lui non rispose, forse non aveva neppure sentito.
«Ora vado. Ti lascio qui il cibo. Domani te ne porterò più del solito, sarai sfinita immagino.»
Questa volta non risposi io, assaporando quel semplice momento. Io e lui. Lui ed io; e non desiderai di essere con nessun altro al mondo. Perché c'era lui; e lui bastava.

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