Natale
L'amore e l'odio non sono ciechi, bensì accecati dal fuoco che covano dentro.
Friedrich Wilhelm Nietzsche
Quando mi risveglio, il mattino seguente, la tormenta di neve ha ricoperto ogni angolo e anfratto di New York. La città è molto simile a una palla di vetro. Nulla è più visibile da questa altezza, a eccezione dei grattacieli e dei palazzi di media altezza, ma d'altronde oggi è Natale ed è tradizione che nevichi.
"Bonjour " mi saluta, Madame Lafayette.
"Buongiorno. - dico, voltandomi verso di lei - A quanto sembra ha smesso di nevicare, ma le strade sono completamente ricoperte di bianco."
"Speriamo di arrivare in tempo per la festa di questa sera" aggiunge lei.
"Me lo auspico."
"Buongiorno, signorina Black, Madame Lafayette" annuncia una voce alle nostre spalle.
Entrambe ci voltiamo, solo per constatare la presenza di Benjamin, il maggiordomo e autista della famiglia Jackson. L'uomo, con indosso i suoi abiti da lavoro, ci saluta, toccandosi il cappello nero e rivolgendoci un caloroso sorriso, che mette in risalto le sue fossette e la sua età avanzata.
"Come mai sei già qui, Benjamin?" domando con una certa confusione.
"Il signorino Jackson mi ha chiesto di accompagnarvi direttamente a villa Jackson, in modo da evitare spiacevoli inconvenienti o ritardi in caso di una nuova tormenta."
Sentitosi chiamato in causa, Jason compare alle spalle del maggiordomo con indosso dei vestiti casual, una camicia bianca e un paio di jeans, che mettono in risalto e definiscono la sua fisicità. Questa mattina sembra più disinvolto del solito, forse per la conversazione avuta ieri sera con me e Madame Amandine o forse è semplicemente l'atmosfera del Natale a rendere tutti più felici.
"Partiamo adesso?" domando, rivolgendomi a Jason.
"Sì" risponde, infilandosi il cappotto e aiutando Madame Amandine con il portabiti e il suo bagaglio.
"Va bene. - dico, con un certo sfarfallio nello stomaco - Lascio del cibo in più per Becky e arrivo subito."
"Non è necessario. La porteremo con noi, dato che resteremo da mio padre per qualche giorno" mi comunica, dirigendosi fuori dall'appartamento e senza darmi il tempo di replicare.
Nei minuti successivi raccolgo tutte le mie cose e quelle di Becky, sistemando quest'ultima all'interno del suo trasportino. Con l'aiuto di Madame Amandine, porto fuori dall'appartamento i regali destinati alle mie amiche e alla famiglia di Jason, caricandoli in auto insieme a tutti gli altri pacchi. Una volta finita la pesante attività, saliamo tutti sull'automobile e partiamo per villa Jackson.
"Grazie mille per il prezioso aiuto, Madame Amandine" dico con sincerità, rivolgendomi alla mia compagna di viaggio.
"È stato un piacere" replica, accarezzando il musetto di Becky attraverso le griglie della sua gabbietta in bilico sulle mie gambe.
"Con il traffico e il ghiaccio dovremmo impiegarci un'ora in più del previsto" ci comunica un Jason preoccupato dalla parte anteriore della macchina.
"Non si preoccupi, signorino Jackson. Arriveremo in tempo a casa di suo padre" lo rassicura Benjamin, destreggiandosi tra le vie di New York.
Confortati in parte dalle parole dell'autista, trascorriamo il resto del viaggio in tranquillità e silenzio. Mentre lasciamo alle nostre spalle il mondo moderno e tecnologico della città di New York, l'ambiente verde e impervio della città di Wood Town ci accoglie con calore e vitalità.
Un'unica strada collega Wood Town e Creek Point al mondo esterno, costeggiata su entrambi i lati da abeti - ora ricoperti da uno strato di neve fresca - che rendono il paesaggio selvaggio e misterioso. Immense distese di alberi a perdita d'occhio circondano queste due città - o cittadine - quasi a voler simboleggiare un distaccamento, una separazione dalla società e dal mondo esterno. Un mondo a parte fatto di insidie e misteri nascosti. Tutti sanno, ma nessuno dice.
Sorpassiamo Wood Town, per proseguire il nostro viaggio verso Creek Point e finalmente la scorgo la piccola città incastonata nel verde incontaminato della costa occidentale, che tanto tempo fa ha riaccolto mia madre e adottato me. Attraversiamo il centro antico e raggiungiamo la nostra destinazione. I cancelli neri in ferro battuto di villa Jackson si aprono davanti a noi, consentendoci di entrare all'interno di un luogo magnifico e senza tempo. La dimora è circondata dai suoi colorati e profumati fiori, alcuni dei quali molto rari da trovare in questa zona dell'America. La macchina si ferma di fronte all'antico portone d'ingresso, dove una schiera di cameriere e camerieri ci accolgono, dandoci il buongiorno con elegante compostezza e decoro.
Mentre Benjamin scarica le borse e i pacchi, io, Jason e Madame Amandine entriamo nel ventre dell'imponente casa, lasciandoci avvolgere dall'aria e dalla bellezza che impregna ogni singolo angolo della villa.
"Jason, Emily, Madame Amandine" ci saluta Polly, correndo giù per le scale verso di noi.
"Ciao, sorellina" ricambia, Jason, abbracciandola e facendola volteggiare in aria, prima di riportarla sulla terra ferma.
"Buongiorno, Emily" dice, rivolgendosi a me dopo essersi distaccata dal fratello.
"Buongiorno, Polly" ricambio.
Restiamo nella hall a discutere con Polly degli eventi, che caratterizzeranno la serata o il party di Natale. Non avrei mai immaginato che una festa richiedesse un mese di preparativi, ma forse per le famiglie ricche e altolocate come quella di Jason le regole sono diverse. Io, solitamente, per organizzare il tutto impiego tre giorni, compresa la corsa al supermercato per acquistare gli ingredienti del mio piatto speciale il Tacchino arrosto ripieno di castagne, accompagnato da verdure, puré e salsa di mirtilli. Un'attività meno faticosa rispetto a quella dei Jackson.
Durante la conversazione, Polly, ci mette al corrente delle ultime modifiche e delle varie fasi del programma della festa.
"Ho affidato a ognuno di voi le ultime cose da fare, prima dell'arrivo degli altri ospiti. Per adesso potete andare a sistemarvi nelle vostre stanze" dice, prima di rivolgersi a una delle cameriere.
Io e Jason saliamo l'ampia scalinata di pietra bianca per andare nella nostra camera. Quanto suonano strane e sbagliate queste due parole, ma allo stesso tempo paiono giuste e perfettamente coordinate nella loro unicità, perché io e Jason non siamo nulla l'uno per l'altra, se non due persone adulte che si scontrano, litigano e riappacificano in un modo singolare e fuori dagli schemi. Non c'è nessun nostro o per sempre. Chissà un giorno capiremo il motivo di questo nostro continuo scontrarci e riavvicinarci e forse quel giorno non è poi così lontano. Appena varchiamo la soglia della camera, una sensazione di familiarità invade tutto il mio essere e dei flashback compaiono davanti ai miei occhi: io sdraiata sul letto, io seduta sul divano a sorseggiare un tè. Tutto si spiega ora.
"Di chi è questa stanza?" domanda, rivolgendomi all'unico interlocutore presente nella camera.
"È la mia" risponde, incrociando le braccia al petto e appoggiandosi allo stipite della porta.
"Perché non me l'hai mai detto prima?"
"Non lo ritenevo importante" afferma, scuotendo le spalle e avanzando all'interno.
"Davvero?"
"Sì - risponde, sincero - Quale differenza potrebbe fare?"
"Non s-"
Il nostro discorso viene interrotto dall'arrivo di un cameriere, che deposita le valigie e la gabbietta di Becky all'ingresso.
"Grazie mille."
"Grazie, Robert" dice Jason al maggiordomo, prima del suo congedo.
Una volta defilato e chiusa la porta, rivolgo tutta la mia attenzione e concentrazione su Jason per conoscere la sua storia e, naturalmente, approfondire il suo passato tormentato.
"Quindi...Hai trascorso qui la tua infanzia?"
"Sì" risponde, sedendosi stancamente sul divano.
Lascio scorrere lo sguardo su tutto l'ambiente che mi circonda, questa volta con molta più attenzione rispetto alla precedente. Tuttavia non scorgo nulla che colleghi questo luogo con la sua infanzia e con il suo passato, quasi come non fosse mai esistito. Non ci sono foto od oggetti legati ai suoi giorni da bambino. È tutto così spoglio e arido, privo di qualsiasi riferimento.
"È molto anonima" constato.
"Certo, dopo la morte di mia madre non ho più sentito di appartenere a questo luogo" confessa con triste sincerità.
"I primi anni dopo la sua morte, ogni sera scappavo per andare al cimitero e stare accanto a lei. Per sentirla ancora vicino a me" continua.
Nella mia mente vedo un bambino corre e fuggire lontano da casa sua, per cercare in qualche modo di avere accanto a sé qualcuno che non c'è più.
"Mi dispiace così tanto" dico, avvicinandomi con cautela a lui e accarezzandogli la spalla per dargli conforto.
Fa un respiro profondo prima di volgere il capo altrove.
"Perché non iniziamo a fare i nostri compiti?" dico per distrarlo dal suo lento affondamento nei ricordi del passato.
"Certo."
Dopo aver sistemato le nostre poche cose e Becky, usciamo dalla camera per adempiere all'incarico che Polly ci ha affidato. Ripercorriamo il tragitto a ritroso dal corridoio sino all'ampia scala di pietra bianca, per raggiungere lo spazio antistante la porta d'ingresso, dove troviamo Benjamin intento a parlare con gli altri camerieri.
"Noi usciamo" comunica Jason a Benjamin.
"Certo, signorino Jackson e buona giornata" replica l'anziano signore, aprendoci la porta per consentirci di andare fuori dall'antica e maestosa villa Jackson.
"Vieni. Andiamo da questa parte" dice Jason, esortandomi a seguirlo e proseguendo verso destra rispetto alla tenuta.
"Va bene."
Mentre cerco di non affondare all'interno dei cumuli di neve fresca, per stare dietro alla mia guida, osservo il mutamento subito dal giardino ricolmo di fiori profumati e colorati. La maggior parte delle piante è ricoperta da un lieve strato di brina, rendendole quasi statiche e immutate rispetto allo scorrere del tempo. È come se il freddo avesse voluto intrappolarli nel loro momento più bello e rigoglioso, permettendo loro di sopravvivere il più a lungo possibile e di mostrare la loro rara bellezza in un momento così poco pieno di vita.
Superati il giardino e la villa, sopraggiungiamo al limitare del bosco, dove si staglia un grande capanno di legno.
"Siamo arrivati" annuncia Jason.
Con una poderosa spinta, fa scorrere la spessa porta, rivelando l'interno dell'abitacolo. Si tratta di un deposito per macchine.
"Aspetta qui. Prendo le chiavi e torno subito."
Resto sulla soglia, battendo i piedi sul posto per riscaldarmi. Poco dopo ritorna con le chiavi tra le mani.
"Andiamo."
Saliti sulla Jeep Renegade total black con tanto di vetri oscurati, ci dirigiamo verso la prima tappa: il Yi Shu. Per spezzare il silenzio all'interno della macchina, accendo la radio, sintonizzandola su una stazione qualsiasi. Mentre le note di Highway to Hell riempiono l'atmosfera, guardo la lista degli ordini da ritirare, che Polly mi ha inviato sul telefono poco prima di partire. Scorrendola noto che oltre al negozio di articoli orientali, faremo tappa anche in altri due: una pasticceria polacca Cukier suszony e una distilleria russa Glaz Nikoly. Tutti e tre situati nel quartiere etnico di Rayway.
"Qual è la nostra prima tappa?" chiede Jason senza perdere di vista la strada.
"Il Yi Shu. Dobbiamo ritirare le lanterne."
"Perfetto" dice, poco prima di superare l'insegna verde con la scritta bianca di Wood Town e proseguire verso la nostra destinazione.
Finalmente raggiungiamo il centro città e dopo aver svoltato in una stradina laterale entriamo nel quartiere etnico. Parcheggiamo l'auto e proseguiamo a piedi fino a sopraggiungere di fronte al Yi Shu. Da quando abito a Creek Point sono state poche le volte in cui mi sono sorpresa o affascinata da qualcosa e una di queste è stata la prima volta in cui ho visitato il quartiere etnico di Rayway.
Dato che nessuno della mia famiglia ha mai potuto permettersi un viaggio all'estero, per assaporare o ascoltare i suoni e i profumi di altri luoghi, durante l'estate - invece di andare in campeggio - abbiamo trascorso interi week-end tra i vicoli e la magia del quartiere etnico.
È come fare un viaggio intorno al mondo senza spostarsi da casa. Puoi immergerti nell'atmosfera del bazar turco e contemporaneamente gustare del saké caldo importato direttamente dal Giappone oppure andare in un negozio indiano e farti un tatuaggio con l'henné prima di gustare una Pavlova australiana. È incredibile, come in una città così piccola possa essere sorto un luogo così pieno di profumi, colori e sapori.
L'entrata del Yi Shu è costituita da una arcata tonda di legno, al cui centro risalta una piccola porta rettangolare, su cui è apposto un lucente e ipnotico campanellino con tre sonagli.
"Entriamo" dico.
Spinta dalla curiosità di scoprire ciò che si nasconde dietro il velo, sospingo la porta verso l'interno facendo tintinnare le tre palline d'argento. Davanti a noi appare una scala di legno, che conduce al piano inferiore. Percorriamo velocemente i gradini, finché un odore di tabacco misto a thé non offusca il nostro olfatto. Superato l'ultimo scalino, ci ritroviamo all'interno di una stanza simile a una biblioteca.
Un corridoio centrale separa gli scaffali posti in file orizzontali, etichettati con ideogrammi, in cui sono riposti oggetti di ogni genere e tipo: recipienti ricolmi di foglie di thé, stoffe di pura seta e biglietti di auguri contenenti origami. Insomma, di tutto e di più.
"Oh! Buongiorno, signor Jackson!" ci saluta una donna asiatica, sbucando dal retro di uno scaffale situato nella parte opposta del corridoio.
"Buongiorno, signora Lin" ricambia Jason, raggiungendola.
"Avete fatto buon viaggio?" domanda al mio accompagnatore.
"Sì, nonostante la tormenta di ieri sera" risponde lui, rivolgendole un sorriso gentile.
"Bene" commenta.
I suoi occhi nocciola si spostano su di me, scrutandomi con evidente interesse.
"Il signor Jackson non mi ha mai detto di avere una compagna" afferma, sistemandosi i piccoli occhiali tondi sul naso.
Alle sue parole le mie guance si surriscaldano istantaneamente, gettandomi in uno stato di totale imbarazzo. Perché tutti continuano a scambiarmi per la sua compagna?
"Perché non lo sono" replico, ma nel momento esatto in cui pronuncio queste parole, il mio compagno mi avvolge con il suo braccio in una stretta possessiva.
"Diciamo che siamo in una fase di stallo" interviene Jason, lanciandomi uno sguardo penetrante e profondo.
"I miei occhi non saranno più quelli di una volta, ma voi due non siete di certo in una fase di stallo" conclude con un sorriso.
" Bene, gēnzhe wô. Il vostro ordine si trova da questa parte" dice, voltandosi.
Mentre seguiamo la signora dalla vista acuta e dalla treccia bianca e lunga, ripenso alle sue parole. Non possiamo considerarci una coppia, ma nemmeno due estranei indifferenti l'uno all'altro. C'è qualcosa. Una forte attrazione che ci spinge a stare insieme, a ritrovarci sempre e in qualunque momento, tuttavia quanto può contare una passione bruciante e bollente di fronte a incertezze e paure?
Ciao cara lettrice e caro lettore!!!
Se ti è piaciuto il capitolo, fammelo sapere nei commenti!!!
A presto e alla prossima!!!
:D :D :D
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro