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La clinica


Ma l'amore è cieco e gli amanti non possono vedere le piacevoli follie che essi commettono.

Il mercante di Venezia, William Shakespeare 


Mentre il pomeriggio cede il posto alla sera, il mio buon umore viene sostituito da un lieve tremolio d'ansia. Nella mia testa iniziano a frullare una miriade di domande, ma solo una prevale su tutte le altre, ovvero: Che cosa farò, quando lo incontrerò? .

Nel proseguire il viaggio verso la mia destinazione e la mia tortura interiore, la zona boschiva e impervia di Creek Point e Wood Town si dirada sempre più, dando spazio ai grattacieli e alle luci di New York, la città che non dorme mai. Detto decisamente azzeccato, per una metropoli così movimentata e piena di vita. 

L'intenso traffico newyorkese rallenta l'andatura della mia guida verso il centro, ma con un paio di scorciatoie studiate ad arte, riesco a uscire dalla colonna di macchine e a evitare ulteriori ingorghi stradali. Finalmente dopo tre isolati, il mio navigatore annuncia l'arrivo a destinazione. Parcheggio l'auto a poca distanza dalla struttura, per poi dirigermi al cancello d'ingresso. Anche se l'illuminazione è scarsa e dei muri d'erba coprono quasi del tutto la visuale, posso comunque  distinguere alcuni dettagli della struttura e ciò che la circonda. Un edificio di fine Ottocento immerso in un parco, in cui sono disseminate delle panchine di legno. A prima vista il luogo sembra trasmettere calma e tranquillità, una sorta di pace mentale e serenità. 

Da lontano scorgo alcune luci - forse provenienti dalle stanze dei pazienti o dagli studi dei dottori -, prima di schiacciare il pulsante del citofono posto vicino al cancello e sentire una voce metallica gracchia qualcosa.

"Clinica privata Black Hill, come posso aiutarla?"

"Cerco il dottor Jason Jackson" rispondo.

"Ha un appuntamento?"

"No, ma ho urgente bisogno di parlare con lui. Mi manda sua sorella, Polly Jackson" dico con il battito cardiaco ormai alle stelle.

"Attenda, prego"

Con un click il cancello si apre, consentendomi di entrare all'interno. Mentre attraverso il viale, osservo il paesaggio notturno attorno a me, notando una vasca di pietra in cui solitamente galleggiano i pesci Koi. Le ho sempre trovate bizzarre, ma allo stesso tempo affascinanti. La combinazione del fondale scuro con il verde delle piante acquatiche e i pesci rossi-bianchi crea un effetto ipnotico. Sembra quasi di poter sprofondare in un altro mondo. 

Le porte antiche si aprono in automatico, grazie all'utilizzo di una tecnologia moderna. Qualche passo e raggiungo la reception - o qualcosa di simile -, costituita da un'elegante scrivania in noce massello, dietro cui siede una signora afro-americana dalla fisionomia rotondetta e i capelli castani raccolti in una piccola crocchia sulla sommità della testa. I suoi grandi occhi nocciola contornati da una sfumatura di ombretto celeste, mi scrutano dall'alto in basso, studiandomi con sospetto. Come biasimarla dato che sono le nove passate e fuori è buio pesto.

"Salve" la saluto, avvicinandomi a lei.

"Buonasera. Posso saper il motivo della sua visita, signorina...?" domanda, sporgendosi di poco con il busto fasciato da un cardigan borgogna.

"Black. Emily Black. Come le ho detto poco fa, sono venuta per conto della sorella del dottor Jackson. È un'emergenza" dico, sottolineando l'ultima parola.

La segretaria mi guarda con aria perplessa e diffidente, prima di parlare di nuovo.

"Non ho ricevuto nessuna telefonata da parte della signorina Jackson" 

"La prego, signora. - dico, in tono quasi frustrato e poggiando le mani sul ripiano della scrivania -Non sono una mitomane. Le sto dicendo la verità e il dottor Jackson mi conosce perfettamente, quindi, per favore, mi faccia parlare con lui."

La donna sembra indecisa tra il credermi oppure no, ma alla fine - sospirando - decide di dare credito alle mie parole. 

"Attenda qui e soprattutto non vada in giro a curiosare" mi ammonisce, lanciandomi un'occhiata  intimidatoria all'Octavia Spencer e salendo le scale alle sue spalle.

"Va bene" dico, accomodandomi a uno dei divanetti.

In attesa del suo ritorno, sfoglio qualche rivista, senza però dare molta importanza al contenuto, perché più si avvicina il momento e più la tranquillità viene meno, cedendo il posto alla paura. Aspettare non è mai stato difficile come in questo momento.

Dopo un tempo quasi infinito, sento un brusio di voci e dei rumori di scarpe farsi sempre più vicini. Il mio cuore salta un battito a ogni passo e quando finalmente vedo il suo volto dai lineamenti duri e la sua figura modellata da un camice bianco, non posso fare a meno di ammettere la cruda verità. La lontananza tra di noi ha scavato una profonda buca nel mio petto.

I suoi occhi verdi mi scrutano in modo spietato e famelico, mentre la tensione tra noi cresce di minuto in minuto. Senza staccare lo sguardo, si muove lento e deciso nella mia direzione e quando è a pochi centimetri dal mio corpo, i muscoli delle sue spalle si flettono dall'impazienza di toccarmi. Solo la vicinanza della collega gli impedisce di compiere il gesto.

La segretaria si schiarisce la voce, attirando la mia e la sua attenzione.

"Lei conosce questa ragazza, dottor Jackson?"

"È tutto a posto, Claire. Lei è la mia fidanzata. - risponde tranquillamente Jason - Puoi andare, ti ringrazio."

Che cosa ha appena detto?

Rapidamente qualsiasi emozione di comprensione nei suoi confronti, viene spazzata via da una cortina di freddo e rabbia.

"Come mi hai chiamata?" sibilo sottovoce.

Con la coda dell'occhio vedo la signora Claire allontanarsi con un sorriso stampato in volto e ritornare alla sua postazione.

"Allora?" insisto, scoccandogli un'occhiata truce.

Con un sorriso malizioso - che non promette nulla di buono - mi incita a seguirlo al piano superiore, dove si trova il suo ufficio. Sospiro rumorosamente, prima di incamminarmi dietro di lui su per le scale. Vederlo con il camice bianco indosso, mi ha fatto un certo effetto. Mi ha ricordato di tutte quelle volte, in cui io e mia madre siamo andate al pronto soccorso, a causa della violenza di mio padre. 

Ogni violenza è stata più terribile dell'altra. Il labbro spaccato. L'occhio nero. Gli schiaffi. Ho visto mia madre cadere e rialzarsi molte volte, soprattutto in quelle occasioni e quando lei ha detto basta, abbiamo vissuto il nostro momento, la nostra libertà finché è durata.

"Accomodati" mi dice, invitandomi a entrare nel suo studio.

La stanza è completamente diversa da come l'ho immaginata ovvero bianca, neutra e asettica. Sembra molto più simile al suo studio a villa Jackson - a eccezione del caminetto e del divano che mancano -.

"Che cosa ti porta da me, Emily?" domanda, chiudendo la porta.

Puntandogli un dito sul petto, lo trafiggo con lo sguardo, ma lui non da minimamente l'impressione di essere intimorito.

"Non provare a cambiare discorso. - lo minaccio - Perché le hai detto che sono la tua fidanzata?"

"Sei proprio carina quando ti arrabbi con me" sussurra, portandosi le mie dita alla bocca.

Le sue grandi pozze verdi mi catturano, mentre bacia i polpastrelli e il palmo della mia mano, facendo galoppare il mio cuore sempre più forte. La sua esplorazione diventa più approfondita e  sfacciata, scendendo verso l'interno del polso.

"Sei agitata, Bunny?"

Le sue parole mi danno la forza necessaria a staccare il mio arto dalla sua bocca famelica e a frapporre tra noi una certa distanza di sicurezza. Pochi passi e raggiungo una delle sedie vicino alla scrivania, urtandola con la schiena. Con un bel respiro profondo riprendo il controllo su me stessa e sulla situazione generale.

"Ti ho detto di non cambiare discorso e ora rispondimi" gli intimo in tono serio.

Con il camice bianco, Jason sembra acquisire una certa aria di professionalità e autorità, tuttavia  non riesce a nascondere il suo lato più oscuro e intimidatorio, quasi letale. La sua figura alta e muscolosa avanza verso di me, in modo sicuro e fiero, mentre cerco di spostarmi verso il ripiano della scrivania. Solo allora mi rendo conto di essermi creata la trappola perfetta e senza vie di uscita. Consapevole della sua vittoria, con una espressione carica di lussuria, aumenta la sua andatura fino ad annullare qualsiasi possibilità di fuga da parte mia. Con le braccia mi avvolge in una presa di ferro, posando la mia testa sul suo petto ampio e possente. Il suo respiro caldo sfiora i miei capelli, provocandomi dei brividi mentre le sue mani scorrono lungo la mia schiena. 

Quando mi sono svegliata questa mattina, ho pensato a molte cose. Forse troppe. Tuttavia quella che ha prevaricato sulle altre, è stata l'assenza di Jason e lo spazio vuoto nel mio petto. E ora mi ritrovo tra le sue braccia con un fossa riempita, ma piena di rabbia.

"Jason" sibilo contro il suo petto.

"In questi giorni ti ho pensato spesso, molto spesso, tanto che ho cercato di chiamarti molte volte, ma senza successo. Perché ho voluto rispettare la tua decisione di restare separati" sussurra, stringendomi a sè.

Non riesco a ragionare, a respirare stretta tra le braccia del mio spietato dottore. Lui continua imperterrito a far uscire dalla sua bocca peccaminosa la verità e io resto immobile davanti alle sue parole.

"Forse all'inizio è stata attrazione fisica, però adesso non è più solo questo. Mi piace sentire il suono della tua voce, quando sostieni con tanto fervore un concetto. Mi piace ascoltare ogni pensiero o parola che esce dalla tua bocca. Mi hai completamente stregato, Emily Black."

Le sue braccia scivolano lungo i miei fianchi, liberandomi dalla sua morsa e facendomi respirare a pieni polmoni. La rabbia covata nel mio petto si è un po' affievolita, ma non tanto da permettermi di dimenticare, così scaglio su di lui la mia amarezza. Uno schiaffo di rancore e risentimento in pieno volto. Mentre la sua guancia si colora di un rosso appena accennato, Jason non mostra alcuna sorpresa, ma resta impassibile dinnanzi al colpo subito.

"Questo è per come mi hai trattata al ballo, in ufficio e quella mattina al cottage" dico, avvicinandomi di nuovo a lui.

Lui piega la testa verso di me, mostrandomi i suoi magnifici occhi verdi, mentre una ciocca scura ribelle ricade sulla sua fronte alta. Se il suo volto non rivela alcuna espressione, le sue pupille dicono tutto, oscurando quasi totalmente la foresta amazzonica.

"Mentre questo è perché mi sei mancato" confesso. 

Alzandomi in punta di piedi, poso le mie labbra sulle sue e con delicatezza lascio dei piccoli baci pieni di passione. Non passa molto tempo prima che le nostre bocche inizino a scontrarsi e le nostre lingue a cercarsi in modo disperato. Le sue mani avvolgono le mie guance, mentre io affondo le mie nei suoi capelli setosi, avvicinandomi di più. 

C'è tutto nella nostra unione: rabbia, disperazione, dolore e passione.

Jason spinge entrambi verso la scrivania e con forza tira via il mio cappotto, gettandolo a terra, mentre continua ad approfondire il nostro bacio feroce e passionale. Sollevandomi per i fianchi, mi fa sdraiare di schiena sul ripiano e con la rapidità di un animale selvatico in procinto di sbranare il suo cibo preferito, dopo un lungo periodo di digiuno, slaccia i bottoni dei miei jeans,. Con il respiro corto e il cuore a mille, vedo le sue mani calde e forti abbassarmi i pantaloni fino alle caviglie, impedendomi di aprirle più dello stretto necessario. Solo un unico e piccolo indumento resta a coprire la mia intimità, che lui pensa bene di strappare via - e quando dico strappare, intendo ridurre a brandelli -. 

Si concede qualche minuto, per osservare il piccolo triangolo rosa tra le mie gambe, prima di farsi completamente assalire dal desiderio. Il palmo della sua mano non affonda subito nella zona pulsante, ma esplora il mio corpo, scomparendo sotto il sottile strato del mio maglioncino di cashmere, dove afferra a coppa il mio piccolo seno sinistro, stuzzicandolo e torturandolo. Un leggero gemito sfugge dalle mie labbra, mentre Jason pizzica tra indice e pollice il capezzolo turgido. Le mie braccia si protendono in alto - verso il bordo della scrivania -, in cerca di un appiglio innanzi a questo attacco così pieno di peccaminosa lussuria.

Mentre mi sevizia con le sue dita esperte, io osservo l'espressione compiaciuta dipinta sul suo volto, dove trovo due occhi verdi ricolmi di una feroce passione. La sua mano abbandona la zona tormentata per scorrere lungo l'addome e tuffarsi tra le pieghe morbide e calde del mio sesso voglioso. Con i polpastrelli crea dei cerchi, stimolando il clitoride e facendomi atterrare in uno stato di estasi totale. Le mie cosce si stringono intorno a lui, bramose del suo tocco e di ricevere il piacere da cui sono state private per tanto tempo. Mi sollevo, m'inarco verso di lui per chiedere di più.

All'improvviso Jason allontana le sue dita dal mio centro ultrasensibile, provocando la mia frustrazione. Il mio respiro segue lo stesso ritmo frenetico del bocciolo rosa, in attesa di scoprire la prossima mossa del folle dottore. Lui non si scompone, ma anzi si prende il tempo necessario per ammirare il bellissimo disastro che ha combinato. Nuda dalla vita in giù davanti a questo essere umano oscuro e spietato, non mi sento debole ma voluta e desiderata seppur in un modo complesso e strano, diverso e fuori dai canoni.

"Jason" farfuglio.

"Sei sempre così impaziente. - dice, accarezzando il mio ventre con il palmo - Dimmi, Emily. Vuoi la mia bocca tra le tue cosce?"

La sua richiesta sporca e provocatoria riscalda ogni zona del mio corpo e non per l'imbarazzo, ma per l'aspettativa di vedere la sua proposta messa in atto, di sentire le sue labbra e la sua lingua baciare il mio sesso sensibile. Jason non si muove e non fa nulla per alleviare la tensione, che ha scaturito nel mio basso ventre, ma con tutta calma attende la mia risposta. 

Annuisco, ma lui scuote la testa contrariato.

"Voglio sentirtelo dire" esordisce con voce roca, stringendo il mio fianco destro con possesso.

L'insoddisfazione cresce con il passare del tempo, quindi non posso fare altro che concedergli il mio assenso.

"Sì"

Quell'unica parola scaturisce in Jason un istinto primordiale, quasi animalesco. Un ringhio basso e gutturale nasce dal profondo del suo petto, facendogli dilatare le pupille e aumentare il respiro, mentre s'inginocchia sul pavimento dello studio per affondare il volto tra le mie cosce. Il suo ingresso non avviene in modo avventato, ma delicato come se volesse gustarsi ogni singola parte.

Le sue mani tengono saldamente aperte le mie gambe, intanto che con le labbra bacia il mio sesso bagnato e scivoloso, prima di inabissare la sua lingua esperta al suo interno. Lecca e succhia il clitoride come un orso farebbe con un vasetto di miele, facendomi inarcare la schiena e roteare gli occhi.

Non riesco a trattenere un urlo, quando la sua lingua s'immerge ancora di più, esplorando e provocandomi una potente scossa. Tuttavia Jason non sembra molto contento e mi tira una sonora pacca sul gluteo sinistro, causandomi delle lacrime di dolore. Solleva la testa, mostrandomi gli zigomi arrossati e le morbide labbra ricoperte dai miei umori, mentre due pozze verdi mi osservano con spietata autorità.

"Non urlare. - mi dice con un sorriso malizioso - Non vorrai che Claire venga qui a controllare."

Come può chiedermi una cosa del genere, se è lui stesso l'artefice delle mie urla di piacere?

Il mio corpo trema tra le sue mani, mentre viene attraversato da intensi spasmi di calore.

A malincuore accetto la nuova condizione - o piuttosto la nuova costrizione -.

"Ci proverò" farfuglio.

"Brava ragazza" mi loda e io gli lanciò uno sguardo di rabbia, che lui ignora ritornando a gustare il suo squisito banchetto. 

A ogni nuova leccata serro sempre di più le mie cosce attorno al suo capo, intanto che le mie dita attraversano le sue folte ciocche scure, spingendolo verso di me. La tensione nel mio corpo è così alta e il mio bisogno è così intenso da farmi contorcere le viscere. Non resisterò per molto sotto la spietata tortura di Jason. La sua lingua spinge sul piccolo e stretto ingresso, spostandosi poi sul bocciolo rosa turgido, mentre la sua barba ruvida sfrega contro la mia pelle, creando la giusta frizione. Sdraiata sul ripiano di legno della scrivania e aggrappata saldamente al suo capo, esplodo in un orgasmo silenzioso, riversando i miei umori nella sua bocca. Per tutto il tempo non faccio altro che mordermi le labbra per trattenermi ed evitare ripercussioni indesiderate. In tanto che la mia vista viene offuscata da tanti puntini bianchi, Jason non si ferma, ma continua a lambirmi fin quando gli spasmi del climax non scompaiono del tutto. 

"Sei dolcissima come sempre, Emily" ammette prima di alzarsi e ripulirsi le labbra con la lingua.

Mi prendo qualche minuto, prima di sollevarmi per mettermi in posizione eretta e sistemare i jeans - e non solo quello -. Un po' scombussolata dagli eventi delle ultime ore e ancora traballante per l'intenso calore provato, mi accomodo sulla sedia e cerco di dire qualche parola, ma soprattutto di concentrarmi sul motivo per cui mi trovo a New York.

"Devo dirti una cosa molto importante, Jason" esordisco in tono serio.

Lui si gira in tutta la sua altezza e sfoggia uno dei suoi sorrisi tristi.

"Lo so già. Benjamin mi ha informato di quello che è accaduto al cottage poco prima che tu arrivassi."

Inizialmente lo guardo confusa, poi dopo qualche secondo di riflessione e collegando tutti i punti, capisco ogni cosa. Polly e Ben devono essere giunti alla villa prima del mio arrivo alla clinica e devono aver informato la loro famiglia dell'accaduto, tuttavia c'è ancora una notizia molto spiacevole che devo assolutamente comunicargli.

"Il baule è scomparso" dico di punto in bianco.

Lui fa un respiro profondo e aggira la scrivania, sedendosi sulla pesante poltrona di pelle.

"No, è al sicuro nel mio appartamento. - replica, osservandomi dalla sua posizione - Comunque, devo ringraziarti."

"Per cosa?" domando sorpresa.

"Per esserti preoccupata per me" sorride, rigirando una penna a sfera tra le dita.

"In realtà ti sbagli. Ho fatto solo un favore a Polly, dato che tu non le rispondevi al telefono" lo rimprovero. 

Deposita la penna sulla scrivania, congiungendo le mani sul grembo. Non mi abituerò mai a vederlo con indosso quel camice bianco. Forse troppo professionale per la sua natura selvaggia.

"Ho molti pazienti di cui occuparmi" si giustifica.

"Non è una buona scusa per ignorare tua sorella" dico, lanciandogli un'occhiataccia.

Non capisco questo suo comportamento schivo. Lui ama sua sorella e suo fratello, quindi perché  evitarli e ignorarli? Non ha alcun senso. Certo, non va d'accordo con la loro madre, ma questo non è nulla in confronto al suo affetto fraterno. Deve esserci sicuramente qualcosa sotto.

"Non li sto ingnorando, ma proteggendo."

"Come? Evitando di incontrarli e respingendo le loro chiamate?"

Infuriata per il suo atteggiamento da cinico, passeggio per la stanza in modo da calmarmi ed evitare di tirargli un altro schiaffo. Accostandomi alla finestra, mi siedo sul piccolo bordo bianco. Sembra tutto molto tranquillo e quieto nel giardino al di sotto di noi. Nessun ombra, suono o segno di vita. Come i suoi abitanti anche la struttura, pare riposare nella notte scura e nuvolosa di New York. Tuttavia questo vale solo per la clinica, perché al di là del cancello le luci dello skyline della city sono vive più che mai. Volgo di nuovo lo sguardo verso Jason, pensando a quanto le nostre esistenze siano più simili al paesaggio notturno dell'ospedale, che a quello della città. Il dottore sospira e alzandosi dalla sua postazione, mi viene incontro. 

"Sì - risponde senza mezzi termini - anche se, a quanto sembra, non è servito a nulla."

"Che cosa vorresti dire?" domando.

Con entrambe le mani infilate nelle tasche del camice e la postura eretta, Jason si accosta ancora di più a me fin quasi a toccare le mie spalle.

"Ricordi quando quella mattina ci siamo lasciati?"

Annuisco. Come potrei dimenticarlo.

"Prima della nostra discussione, ho chiamato Will Santos, un mio amico e detective privato, per chiedergli di indagare sul biglietto e la figura incappucciata. È stato lui a consigliarmi di andare via da Creek Point e non dire nulla alla mia famiglia" conclude.

"Che cosa ha scoperto?"

"Per il momento poco o niente. Non ci sono impronte o segni particolari che possano condurre all'autore del biglietto."

Scuote lievemente il capo amareggiato e impotente di fronte alla crudele realtà. Mentre osserva con poco interesse il paesaggio esterno attraverso il vetro ricoperto da una sottile brina, i suoi occhi verde smeraldo riflettono la sua ira nei confronti di questo sconosciuto, che minaccia lui e la sua famiglia.

"Capisco" dico, non sapendo come altro aiutarlo in questo momento così difficile.

"Domani lo incontrerò di nuovo per mostrargli l'altro biglietto" annuncia, prima di sfilarsi il camice e riporlo sullo schienale della poltrona, spogliandosi di tutta la fragilità provata pochi attimi prima e riacquistando la sua sicurezza e la sua indole autoritaria.

Con un gesto elegante infila il suo cappotto di alta sartoria e porgendomi la mano, m'invita a seguirlo. Infilo il cappotto e accetto - con una certa titubanza - la sua offerta verso una destinazione sconosciuta.

Quando siamo a pochi metri dal cancello, l'interpello cercando risposte sulla nostra meta.

"Dove andiamo?"

"A casa mia. Al mio appartamento" precisa, notando la mia confusione.

Ed eccomi di nuovo al punto di partenza, ma con più consapevolezza sulla natura dell'uomo che mi stringe la mano e verso una nuova e sconosciuta tana.


Ciao cara lettrice o caro lettore!!! ^^

Se ti è piaciuto il capitolo, fammelo sapere nei commenti!!!

A presto con un nuovo e scoppiettante capitolo della storia di Emily e Jason!!!

:-) :-) :-)

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