Giorni senza fine
Non cercare l'impossibile in questo mondo di pazzi, non vi è luogo dove tu possa rifugiarti, ma se trovi qualcuno che ami tienilo stretto perché ricorda: si nasce e si muore soli... tutto il resto è niente.
Jim Morrison
È trascorsa una settimana da quando ho lasciato Jason e lui è ritornato a New York. Riprendere la mia solita routine non è stato difficile. Sono stata più che felice di ricominciare a lavorare alla biblioteca, circondata dai miei amati libri e dagli utenti, che la frequentano ogni giorno. Anche il ritorno a casa non è stato arduo, specialmente grazie all'aiuto di Polly, che mi ha aiutata con il recupero di Becky e della mia valigia - dato che Jason ha lasciato a lei la gestione del cottage tramite l'intercessione di Benjamin -. Non ha ancora ricevuto notizie da suo fratello, ma non ha perso la speranza di poterlo incontrare e parlargli.
"Mi manca" ha detto con tristezza, quando ci siamo incontrate.
In quell'istante ho avuto un piccolo spasmo nel petto, perché anch'io - seppur in modo diverso - sento la sua assenza. Lo so. Sono stata io a prendere la decisione di allontanarmi da lui e troncare la nostra cosiddetta relazione atipica, perché mi sono sentita un po' spaurita. Non solo per quello che è capitato mercoledì mattina, ma anche per il suo modo impositivo e da maschio alfa. Sono perfettamente consapevole che Jason non è uguale a mio padre, ma comunque non posso accettare il modo autoritario con cui mi tratta, prendendo decisioni alle mie spalle e senza consultarmi. Più ripenso a questi aspetti di Jason e più monta la rabbia dentro di me. Quanto vorrei schiaffeggiare quel suo bel faccino per rimmetterlo in riga.
Becky spinge la sua testolina pelosa contro la mia gamba, miagolando rumorosamente in cerca di attenzioni e di coccole. La sollevo, con cautela, tra le braccia per accarezzarle il folto pelo scuro sul dorso e la piccola coda mozzata - tipica della sua razza e da cui deriva il suo nome inglese -. Lei ricambia le mie cure, facendo le fusa sempre più forte.
"Hai fame, piccola Becky?" le domando, strofinando le nocche sul suo musetto.
Lei mi risponde semplicemente con un miao, guardandomi con quei suoi occhioni verdi. Tenendola in braccio, afferro la sua ciotolina argentata e il suo cibo preferito - bocconcini di pesce in salsa gourmet -. Solo il meglio per la mia piccola amica. La poso a terra con la sua cena e in pochi secondi inizia a spiluccare con la sua linguetta rosa i cubetti morbidi.
"Che cosa farei senza di te, Becky?"
Lei alza il suo musetto e rivolgendomi un'occhiata appena accennata, mi lancia un miao e ritorna a concentrarsi sul suo pasto.
"Sì, hai proprio ragione, sarei completamente persa" le dico, lasciandola mangiare tranquillamente.
Faccio una rapida doccia, prima di andare a dormire e quando mi infilo sotto le coperte per ripararmi dal gelido freddo, Becky va ad appollaiarsi sul cuscino, colmando lo spazio vuoto accanto a me. Il mio sonno irrequieto, pullula di sogni oscuri e privi di senso, mischiando immagini della vita reale con quelle del mio subconscio e quando il mattino seguente mi preparo per andare al lavoro, mi sento più stanca che mai.
"Buongiorno, Emily. - mi saluta Catherine - Hai qualche libro nuovo da consigliarmi?"
"Credo di sì"
Catherine ha un paio d'anni in più di me e la fisionomia di un'atleta professionista. È un'assidua frequentatrice della biblioteca, nonché presidentessa del circolo di letteratura per i giovani di Creek Point - con il benestare della direttrice Schulzmann -.
"Giusto la settimana scorsa abbiamo ricevuto delle nuove edizioni dei libri di Kant e Nietzsche" dico, estraendo i tomi dallo scaffale.
"Perfetto! - esclama, prendendo i libri tra le sue piccole mani - Le nostre lettrici ne saranno entusiaste. Non dimenticarti di passare al circolo, ci manca la tua voce cristallina per la lettura dei romanzi" conclude, prima di ritornare con me all'info Point per segnare il prestito.
"Non mancherò" le dico, prima di vedere la sua folta coda di cavallo castana, scomparire dietro l'angolo. Trascorro le ore successive ad aiutare gli altri utenti e a sistemare i libri nei loro appositi spazi. Verso l'ora di pranzo, il mio telefono comincia a vibrare a intervalli costanti, segnalando l'arrivo di una chiamata e di un messaggio da parte di un unico mittente: Polly Jackson.
- Dobbiamo vederci. Riguarda Jason -
Perché mai ho pensato, che la giornata sarebbe finita in un altro modo?
- Va bene. Quando e dove? -
- Oggi. 6 p.m.. Al cottage. -
- Ci sarò -
Tutto ciò non promette nulla di buono.
Con un brutto presentimento in corpo, prendo borsa e cappotto per dirigermi alla sala mensa e consumare il mio pranzo. Mentre spilucco la mia insalata, il mio pensiero continua ad andare alle parole contenute nel messaggio di Polly. Che cosa c'è di così urgente da coinvolgere anche me? In fondo io non sono nient'altro che un'estranea per lei e la sua famiglia, no?
Con queste domande che aleggiano nella mia testa, termino solo a metà il mio pasto, prima di ritornare al lavoro e trascorrere le ore, che mi separano dall'incontro con Polly, con una certa angoscia. A fine giornata esco dalla biblioteca, scontrandomi con il freddo di Dicembre e senza perdermi d'animo punto direttamente alla mia auto. È strano come il tempo passi in fretta, solo un mese fa io e lei mie amiche abbiamo organizzato il Thanksgiving a casa mia e adesso ci stiamo preparando per il Natale. Mancano solo tre giorni e devo ancora incartare i regali o per essere precisi devo ancora acquistarli. Ogni anno diventa arduo individuare il cadeux perfetto e se il tempo andrà peggiorando - date le fitte nevicate di questi giorni -, sarò costretta ad arrangiarmi con il fai da te.
Esco dal parcheggio, imboccando la strada principale e la percorro per qualche miglio, fino a raggiungere la zona in cui si trova la casa di Jason. Con le mani ben salde sul volante della mia Mustang cambio direzione, prendendo la strada sterrata che conduce al cottage e abbandonando quella asfaltata. La boscaglia diventa sempre più fitta a mano a mano che mi appropinquo alla mia destinazione, con i sempreverdi che si estendono su entrambi i lati, creando un gioco di luci e ombre con i raggi pomeridiani del sole ormai calante. Dopo pochi minuti scorgo in lontananza la figura minuta di Polly Jackson insieme a quella di Ben Jackson.
È passata poco più di una settimana, da quando ho percorso questa via per allontanarmi da Jason e il cottage. Nulla sembra più come prima. Osservando i volti dei due fratelli, mi rendo conto che la situazione è più seria di quanto pensassi. Deve essere molto grave ciò che è successo.
Parcheggio la mia macchina a poca distanza dalla loro e con un certo timore mi avvicino ai due gemelli.
"Ciao Polly. Ben. Che cosa succede?" chiedo, guardando prima l'uno e poi l'altro.
I due si scambiano un'occhiata furtiva prima di parlare.
"Vieni te lo mostriamo" dice Ben, incitandomi con la mano a seguirlo dentro al cottage.
Fin da subito capisco che qualcosa non va, perché la serratura dell'ingresso è completamente divelta. Ben spinge la porta ormai scardinata verso l'interno e ciò che compare davanti ai miei occhi, mi lascia senza parole e inorridita. Tutti i mobili sono stati buttati a terra o vandalizzati con una forza brutale e devastatrice. Quello che un tempo è stato un divano, adesso è solo un cumulo di tessuto e piume, così come la cucina e il tavolo completamente distrutti. È come se un uragano o uno tsunami fosse passato di qui e avesse spazzato via qualsiasi cosa o presenza esistente nella dimora. Scioccata guardo i due gemelli.
"Che diavolo è successo qui?" domando tra shock e incredulità.
"Ci siamo posti la stessa domanda, quando siamo arrivati questa mattina" risponde Polly, cercando di evitare i vetri rotti della lampada.
"Come lo avete scoperto?"
Polly rivolge lo sguardo verso il fratello.
"Mostraglielo."
Ben estrae dalla tasca della sua giacca una piccola busta nera e me la porge. Nel momento in cui questa è tra le mie mani capisco subito di cosa e di chi si tratta. La figura incappucciata ha inviato un altro messaggio. Con mani tremolanti apro la lettera per leggerne il contenuto e il sangue mi si gela nelle vene, quando scorro con gli occhi le parole scritte sul pezzo di carta ingiallito dal tempo.
Io non dimentico.
- Il passato
Rileggo più e più volte la frase per trovare un senso in quelle poche parole, prima di sollevare gli occhi dal foglietto e chiedere spiegazioni ai gemelli.
"Dove lo avete trovato?"
"Qualcuno lo ha lasciato ai piedi della porta d'ingresso" risponde Ben.
Sempre la stessa modalità, ma perché mettere a soqquadro la casa?
"Manca qualcosa?"
"Non credo" dice Ben, prendendo il biglietto dalle mie mani e mettendolo di nuovo in tasca -come se fosse la cosa più naturale del mondo -.
Non convinta della risposta di Ben, do un'occhiata in giro, in cerca di un oggetto assente tra i relitti sparsi per i vari angoli della casa, poi salgo le scale per controllare la camera da letto al piano superiore. Quando giungo innanzi a essa, la mia mano esita sulla maniglia gelida. È ironico pensare, come il freddo metallo mi ricordi un po' la ferita subita da questo magnifico piccolo angolo di felicità e dall'assenza del suo folle padrone. Nel spingere la porta verso l'interno di quella che una volta è stata la stanza del mio dolore, ma anche del mio piacere, essa produce un lieve cigolio come di un qualcosa ormai vecchio e morente. Al centro dell'ambiente, il letto king-size è ridotto a un ammasso di gomma piuma deforme e il resto del mobilio sembra aver subito lo stesso trattamento. I miei occhi fanno razzia di tutto ciò che mi attornia, per trovare un elemento assente o indizi ed in quel momento mi rendo conto di un enorme e ingombrante mancanza piena di cimeli e oggetti preziosi. La cassapanca è scomparsa.
"Polly, Ben venite qui!" urlo.
Il rumore dei loro passi affrettati, riecheggia all'interno della dimora, rendendola sempre più triste, spenta e solitaria.
"Che cosa hai trovato, Emily?" domanda Polly in preda all'ansia.
"In realtà che cosa non ho trovato. Manca il baule di Jason" dico, indicando lo spazio vuoto tra me e il letto - o quello che ne resta.
"Questa non ci voleva" commenta Polly, amareggiata dalla scoperta.
"Magari l'ha portato via lui, quando è tornato a New York" interviene Ben.
"Può darsi, ma può darsi anche di no" dice la sorella, lanciandogli un'occhiata perplessa.
Mentre i due discutono, apro la borsa e scavo al suo interno per cercare il telefono. Appena lo trovo, digito il 911, avviando la chiamata.
"Che cosa fai?" sibila Ben.
"Chiamo la polizia"
Lui mi strappa l'apparecchio di mano e chiude la chiamata.
"Hey! Sei impazzito per caso?"
"Niente polizia" dice a denti stretti.
Lo guardo allibita e allo stesso tempo scioccata dalla sua affermazione senza senso. Ha appena scoperto che la casa di suo fratello è stata saccheggiata e non vuole informare le autorità? Non ha alcuna logica. Il volto di Ben sembra una maschera priva di emozioni. Più il suo sguardo si fa serio, più i lineamenti del suo viso si accentuano, evidenziandone i punti duri e spigolosi.
"Perché?"
"Non vogliamo altri problemi" dice con espressione granitica.
"Non capisco"
"Come potresti? Tu non hai dovuto affrontare la stampa e le dicerie della gente per anni e anni, non hai dovuto difendere la tua famiglia da commenti sgradevoli."
Nell'esprimere tutta la rabbia e il risentimento repressi, il tono della sua voce si abbassa di un'ottava - quasi al limite dell'udibile - e i pugni si stringono fino a sbiancare le nocche.
"Lei vuole solo aiutarci, Ben. Non puoi incolparla per questo. - sostiene la gemella, strappandogli il mio telefono dalle mani e restituendomelo - Per il momento l'unica cosa da fare è chiamare Jason e informarlo dell'accaduto."
Alle parole chiamare e Jason il mio cuore comincia a martellare nel petto in preda all'ansia. La possibilità di poter risentire il suono della sua voce - dopo tanto tempo -, mi provoca così tante emozioni contrastanti da estraniarmi dalla realtà che mi recinge. Una volta al piano terra, Polly esce fuori a recuperare il telefono in macchina. Pochi secondi dopo la sua figura minuta, fa capolino davanti alla porta d'ingresso. Più il momento si avvicina e più il ronzio nelle mie orecchie non accenna a diminuire.
"Metto in viva voce, così potete ascoltare anche voi" dice, cliccando sul contatto di Jason.
Bene, posso ufficialmente morire.
Tu Tu Tu
Tum Tum Tum
Tu Tu Tu
Tum Tum Tum
I minuti passano e il rumore sordo nelle mie orecchie non si appresta a cessare, finché il suono della chiamata in corso si ferma, spegnendo ogni mia paura.
"Non risponde"
Polly emette un respiro frustrato, prima di riporre il telefono nel tascone del suo parka verde militare, esprimendo il suo malumore per la situazione critica. Non sembra stare molto bene. Un lieve bordo scuro alla base dei suoi occhi fa risaltare - in modo triste - il colore azzurro della pupilla, evidenziando lo stress degli ultimi giorni. Sentire la mancanza di una persona a cui vuoi bene, deve essere lacerante, soprattutto se non hai notizie da parte sua. Posso capirla benissimo, perché ho provato la stessa apprensione molto tempo fa.
Le sue palpebre contornate da sottili ciglia scure sbattono qualche volta, prima di arrestarsi del tutto a causa di un rasta biondo ribelle. Se la sorella sembra sinceramente provata dagli eventi degli ultimi giorni - cosa non da poco per una persona come Polly Jackson -, il fratello affronta tutto con una certa freddezza e distacco. Dicono che i gemelli abbiano una profonda connessione tra di loro, ma per loro due questa legge pare non valere, neanche lontanamente. Entrambi forti di carattere, ma in modo nettamente diverso.
Ben si accende una sigaretta, rivolgendo la parola alla sorella.
"Che cosa proponi di fare?" domanda, soffiando fuori dalle labbra il fumo tossico.
"Dobbiamo incontrarlo di persona" risponde secca la sorella.
"Scordatelo" dice Ben, portandosi di nuovo la sigaretta alla bocca e facendo un ultimo tiro prima di spegnerla contro una delle pietre del caminetto.
"Perché? Hai di meglio da fare?" sibila Polly, sfidandolo con uno sguardo di ghiaccio.
"Devo consegnare un nuovo dipinto entro la settimana prossima e per arrivare a New York ci vogliono due ore di auto" risponde il fratello.
"Jason ha appena subito un furto da parte di uno psicopatico e tu pensi a uno stupido dipinto!" urla la gemella.
I toni della discussione tra i due gemelli si fanno sempre più accesi e infervorati, tanto che mi tocca intervenire per separarli e portarli alla calma. Sono più feroci di due Grizzly , quando litigano.
"Basta! - esclamo, allontanandoli l'uno dall'altro - Andrò io a parlare con lui"
"Davvero?" domanda con espressione dubbiosa Ben, corrucciando le sopracciglia scure.
"Sì" rispondo in tono serio.
"Bene"
Solo quando sono al volante della mia auto, prendo coscienza di ciò che ho promesso di fare: incontrare Jason.
"Dannazione!" esclamo tra me e me.
La figura alta e statuaria di Ben si avvicina alla mia macchina. Mi invita ad abbassare il finestrino, battendo due colpi con le nocche.
"Che cosa c'è?" domando, in tono leggermente stizzito.
"Prima che tu vada da mio fratello, vorrei chiederti un altro favore" afferma, sporgendosi verso l'interno dell'abitacolo.
"Quale?" domando confusa dalla sua richiesta.
"Saluta Sam da parte mia" dice con un sorriso malizioso sulle labbra.
"Va bene" affermo, alzando il vetro del finestrino.
Mentre vedo Ben allontanarsi, nella mia testa cerco di elaborare tutte le informazioni delle ultime ore: il cottage distrutto, il biglietto e il mistero Ben-Sam.
Mi chiedo quanti altri misteri mi toccherà ancora risolvere.
Ricordo che durante una delle nostre conversazioni serie, Jason mi ha parlato della clinica privata di New York, dove presta servizio, descrivendola come un luogo all'avanguardia nella cura di pazienti con disturbi mentali. L'utenza che accoglie è varia, nel senso che tutti possono accedervi, anche coloro senza assicurazione sanitaria o con un salario medio-basso - questo grazie alle donazioni di privati e filantropi -.
"Lavorare in clinica, mi offre la possibilità di affrontare sempre nuovi casi e aiutare più persone possibili" ha confessato Jason una sera.
Sul navigatore imposto il percorso da seguire per raggiungere Black Hill e in pochi secondi una linea azzurro chiaro appare sullo schermo, indicandomi la strada da percorrere. Metto in moto la Mustang e sulle note di Moonlight Sonata di Beethoven mi avvio verso la clinica.
Ciao cara lettrice e caro lettore!!! ;-)
Se ti è piaciuto il capitolo, fammelo sapere nei commenti!!!
A presto e alla prossima avventura!!!
^^ ^^ ^^
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