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Ghiaccio caldo


Dal mio corpo in putrefazione cresceranno dei fiori, e io sarò dentro di loro: questa è l'eternità.

Edvard Munch


"Non vuoi proprio dirmelo?" domando ancora una volta, mentre Jason si mette alla guida della sua auto.

"No - risponde - o non sarebbe una sorpresa."

Usciamo dal parcheggio sotterraneo per imboccare la via che porta verso il centro città. Come ieri sera anche questa mattina le strade di New York brulicano di macchine, taxi gialli e riders - immancabili e indispensabili in una città come questa -. Attraversando la strada principale - traffico permettendo -, rivedo molti dei posti che ho frequentato durante l'università, come la caffetteria, dove io e la mia compagna di stanza abbiamo trascorso molte delle nostre pause pranzo. Un toast alla francese o una crêpes al cioccolato con fragole e panna sono sempre riuscite a ricaricarmi e a riportarmi al buon umore. Con lo sguardo puntato fuori dal finestrino, passo in rassegna tutti gli edifici intorno a noi per trascorrere il tempo.

"Siamo arrivati" annuncia, svoltando e parcheggiando l'auto nell'unico spazio libero a disposizione.

Scendendo dal mezzo, vengo travolta dalla massa dei passanti che, incuranti di ciò che li circonda, camminano spediti verso la loro destinazione. È passato molto tempo dall'ultima volta in cui sono stata a New York e devo dire che nulla è cambiato, tutto è rimasto uguale e immutato. Folle immense e ingorghi interminabili occupano ancora le strade, forse solo i grattacieli e gli edifici sembrano aver mutato il loro aspetto.

"Vieni andiamo da questa parte" esordisce Jason, offrendomi il suo braccio.

Visti dall'esterno sembriamo qualcosa che non siamo: una coppia di fidanzati innamorati e felici.  È questo quello che vedono le persone mentre ci superano in tutta fretta. Nessuna di loro si sofferma a guardare attentamente, preferiscono ammirare la superficie, ma non quello che c'è sotto. Non danno importanza ai dettagli, come il luccichio oscuro nella foresta verde di Jason o il modo possessivo con cui mi stringe accanto a sé oppure la mia paura, la mia sofferenza per questo suo comportamento imprevedibile. Gli altri scelgono di non fermarsi di fronte a queste sottigliezze, preferiscono girare la testa e passare avanti, proprio come i fedeli della comunità di mio padre. Loro sono rimasti cechi e sordi di fronte alle richieste di aiuto di mia madre, perché hanno sempre creduto a ciò che mio padre ha mostrato loro. Solo menzogne su menzogne. Per lui è sempre stato facile ingannare il prossimo, perché nessuno ha mai notato l'odore dell'alcol camuffato dal suo collutorio alla menta, gli occhi rossi mascherati dal collirio e la puzza del fumo coperta dal suo profumo. A volte la gente vuole ignorare piuttosto che osservare.

Ci facciamo largo tra la folla dei passanti fino a raggiungere Central Park.

"Vuoi portarmi a fare jogging?" domando, scherzando.

"Assolutamente no. - risponde di rimando in tono serio, ma allo stesso tempo ironico - Siamo quasi arrivati" aggiunge.

Attraversiamo il polmone verde di Manahttan, godendoci il paesaggio ghiacciato regalatoci dal freddo mese di Dicembre. Raggiunta la parte opposta del parco, saliamo alcune scale e proseguiamo verso destra fino a giungere vicino l'ingresso di un museo, dove Jason si ferma. Varchiamo la soglia. Mentre lui acquista i biglietti, poso lo sguardo sulla locandina della mostra temporanea in corso, scoprendo che si tratta di una esposizione di quadri di Edvard Munch. Rispetto agli artisti del suo tempo, ho trovato lui e le sue opere molto affascinanti, perché ha sempre saputo come rappresentare l'emozione e gli stati interiori dell'essere umano. Non mi riferisco solo al suo più celebre lavoro - l'Urlo -, ma anche a Vampiro e a Amanti in cui ha saputo risaltare l'amore, la morte e l'angoscia. Per chi non sa guardare oltre la superficie, gli sembra di vedere solo la sofferenza nei suoi dipinti, ma in realtà c'è molto di più.

Qualcuno mi tocca la spalla, interrompendo il flusso dei miei pensieri.

"Vieni. Andiamo da questa parte" dice l'uomo dagli occhi verdi e il sorriso malizioso.

Io lo seguo, lasciandomi condurre attraverso le sale del museo fino a quella in cui sono esposte le opere di Edvard Munch. Non ci sono parole per descrivere le emozioni che provo, osservando la profondità e l'introspezione dei quadri di questo artista. La realtà buia e oscura rappresentata in ogni tratto, in ogni pennellata mi trascinano in uno stato di quiete, di tranquillità. Lo so, è strano dire o pensare questo, ma è solo la mia verità. Io non sento dolore o tristezza nello scrutare i suoi dipinti, ma solo un cupo stato di serenità. 

"Quindi non l'hai dimenticato" constato, soffermandomi sul dipinto Madonna.

"Io ti ascolto sempre, Emily" mormora, sfiorando le nocche delle sue dita contro le mie.

"Adesso lo so" replico, intrecciando le nostre dita e alzando gli occhi verso di lui.

"Proseguiamo" dice, rafforzando la stretta - quasi temesse di perdere il contatto -.

All'interno della sala sono presenti solo alcuni dei dipinti del pittore - concessi dal museo Munch di Oslo - tutti di forte impatto, ma d'altronde è questo quello che l'artista ha sempre voluto, mostrare la parte più tetra e oscura dell'essere umano. Amore, morte, passione e dolore sembrano danzare nei suoi quadri in un modo quasi malinconico e statico. Sostiamo e riflettiamo su ogni dipinto, scambiando qualche pensiero tra di noi, poi finalmente - e forse per pura fortuna o caso - vedo quello che più di ogni altro ha segnato la mia vita: Eye in Eye. Due amanti, posti l'uno di fronte all'altro, si guardano non con amore o gioia, ma con un senso di tristezza e sofferenza. I loro occhi non si distinguono sui loro volti, tanto da sembrare quasi sbiaditi o cancellati, ciò mette più in evidenza lo stato di solitudine e di apatia tra i due amanti. Quello che c'è o c'è stato tra loro non è mai esistito o forse è scomparso per sempre. 

È molto triste, ma nella realtà le cose non sempre sono come abbiamo pianificato o programmato. Tutto può cambiare e mutare nel tempo.

"Uno o due giorni a settimana alla clinica facciamo terapia di gruppo. - racconta Jason, ammirando l'opera - Durante una di queste sedute, ho chiesto ai pazienti di rappresentare con uno schizzo il loro stato d'animo in quel preciso momento" dice, facendo una pausa.

"Una ragazza, poco più giovane di te, ha colorato cinque tele interamente di blu e in una di queste ha disegnato al centro un solitario puntino rosa. Le ho domandato il motivo di quella eccezione."

Jason volge il suo viso verso di me, piegando un poco la testa quasi a volermi sussurrare il continuo del suo aneddoto.

"Lei ha risposto che si sentiva di soffocare e sommergere dall'acqua intorno a lei. Ha detto che nessuno avrebbe sentito il suo grido di aiuto. Naturalmente era impossibile che ciò accadesse, perché la ragazza era seduta al sicuro sul prato verde della clinica. Lo stesso giorno, ho chiesto a una collega di illuminarmi sulla situazione generale della ragazza ed è stato così che ho scoperto il motivo alla base del suo disegno. Qualche mese prima, il bambino che portava in grembo è morto per insufficienza respiratoria causata dal cordone ombelicale. La ragazza è ancora in terapia da noi" conclude, guardandomi con occhi tristi.

Non ho l'animo per proferire anche solo una parola. Mi sento come privata della stessa forza vitale, ascoltando questa tragedia. Come si può superare un evento di questa portata? Semplice, non si può. Puoi solo imparare a conviverci per il resto dei tuoi giorni. Essere aiutati da qualcuno serve solo ad alleviare il momento buio e a uscirne fuori, ma mai a dimenticarlo. Quel vuoto resterà sempre lì. Sò, che cosa si prova a perdere una persona amata e le tracce di quella perdita sono ancora attaccate alla mia mente e al mio corpo stanco. Non si può semplicemente spazzarlo via. Possono passare i giorni e gli anni, ma ci sarà sempre il momento in cui ritornerai a pensare a quella persona o a quell'evento.

"Sono sicura che riuscirai ad aiutarla" affermo, poggiando una mano sul suo braccio.

"Farei di tutto per loro, ma soprattutto farei di tutto per te. - dice, scoccandomi un'occhiata profonda e significativa - Lo so, non ti fidi completamente di me, ma non è questo che ti ferma. C'è qualcosa di più. Non è vero, Emily?"

Le sue affermazioni mi spiazzano completamente e la mia mente comincia ad andare in tilt, ergendo barriere e muri impenetrabili, per nascondere ciò che deve assolutamente essere celato al mondo esterno. Avrei dovuto aspettarmelo. Jason è uno psichiatra. È alla base della sua professione dare peso e importanza a ogni minimo dettaglio o gesto dei suoi pazienti - perché quello che non rivelano con le parole, lo trasmettono in un altro modo attraverso sottili e impercettibili segnali -.

"Non andare oltre, Jason, perché potresti pentirti di ciò che scoprirai" concludo.

Mi volto e vado in direzione dell'uscita con passo veloce. Appena vedo l'insegna della toilette, mi rifugio al suo interno. Una schiera di lavandini bianchi rettangolari si estende davanti ai miei occhi. Non appena la porta si chiude alle mie spalle con un tonfo, punto verso il primo disponibile e vi getto sopra la borsa, sbattendo i pugni sui bordi di pietra. Sollevo lo sguardo per osservare il mio riflesso nello specchio. Più bianca della porcellana, la mia pelle rispecchia non solo le mie paure, ma anche il mio precario stato di salute. Affrontare il passato non è semplice, soprattutto uno come il mio. Pieno di orrori, caos e morte. 

Abbiamo promesso di parlare l'uno con l'altro, di aiutarci a vicenda ma non tutto può essere affrontato allo stesso modo. Ci sono dei limiti da non travalicare, linee da non superare. Raccontare a qualcuno ciò che è successo veramente quel giorno, potrebbe compromettere non solo la mia salute mentale, ma anche la mia libertà. Ogni tanto sento ancora le sue urla, il fuoco che divampa e la puzza di carne bruciata. Ogni tanto vedo il corpo di mia madre morente tra le mie braccia. Inspiro ed espiro, cercando di controllare il tumulto in atto nel mio petto e stringendo i bordi del lavandino concentro lo sguardo sulla gocciolina d'acqua, che lentamente scivola in direzione dello scarico.

Non sò per quanto tempo rimango nella stessa posizione, ma di sicuro mi aiuta a evitare di crollare sul pavimento, sulle fredde mattonelle senza odore e colore. Quando ritorno completamente in me e il marcio del passato è stato spazzato via, mi guardo un'ultima volta allo specchio. L'ombra della mia immagine riflessa al suo interno sembra un po' meno spenta, ma sempre triste e priva di vita. Scuoto la testa e afferro la borsa, inforcandola sulla spalla. Mentre mi dirigo fuori dalla zona bagno, vado a sbattere contro qualcosa di duro. Alzo gli occhi solo per constatare che non si tratta di un muro, ma di una persona con due pozze verdi e lo sguardo severo.

"Va tutto bene?" domanda Jason con preoccupazione.

"Sì" rispondo non pensandoci troppo.

Si passa una mano sulla barba sottile e poi tra i capelli scuri senza dire una parola e senza indagare oltre. Mi offre un appoggio e io l'accetto molto volentieri, ringraziandolo mentalmente per non aver chiesto il motivo del mio allontanamento. Nell'ora successiva finiamo di visitare la mostra, parlando tra di noi ed esprimendo dei commenti su alcune delle opere esposte. Non ritorniamo più sull'argomento che mi ha destabilizzato e un po' smorzato l'entusiasmo. Tuttavia sospetto che Jason non si arrenderà tanto facilmente e uno di questi giorni mi chiederà di confidarmi, parlare di nuovo con lui. Non ho idea di come reagirò quel giorno, forse gli confesserò tutto oppure porterò il segreto nella tomba. 

All'alba di mezzogiorno usciamo dal museo, per pranzare in un elegante ristorantino francese. Il maître ci accompagna a uno dei tavolini situati vicino alla vetrata, che si affaccia sulla strada e ci porge i menù. Dopo aver sbirciato tra i vari piatti presenti al suo interno, opto per una semplice Ratatouille, mentre Jason ordina una Bouillabaisse - una zuppa piccante costituita da diverse varietà di pesce, molluschi, pomodori, spezie, senape e tuorlo d'uovo con aggiunta di pane e patate -. Il cameriere corre subito via per portare le comande allo chef. Nell'attesa osservo l'ambiente generale. Ogni dettaglio dai tavolini tondi alle pareti color crema, su cui sono appese delle foto della città di Parigi, riporta agli ambienti dei bistrot tipici della Francia.

"È la prima volta che vieni qui?" domando, rivolgendomi al mio accompagnatore.

"Sì - risponde con un sorriso malizioso - con te, ma molte volte sono venuto da solo."

La sua mano scivola sulla stoffa bianca e inamidata della tovaglia per avvolgere la mia con calore. Lo lascio fare senza ritrarla o protestare per questo suo modo così sfrontato e sicuro. C'è qualcosa, che m'impedisce di provare un odio profondo nei suoi confronti e non si tratta solo dell'attrazione fisica, ma di una cosa più viscerale e intima.

È troppo presto per perdonarlo, ma non escludo di averci pensato e di volerlo fare.

Perché il tempo non è mai clemente e trascorrerlo tra odio e vendetta non conduce mai a nulla di buono.


Ciao cara lettrice e caro lettore!!! ☺️☺️☺️

Che cosa ne pensi? Fammelo sapere nei commenti!!!

Alla prossima con un nuovo capitolo!!!

😜😜😜

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