Brusco risveglio
-Ti farò un indovinello. Stai aspettando un treno, un treno che ti porterà molto lontano. Sai dove speri che questo treno ti porti, ma non puoi averne la certezza. E non ha importanza. Come può non avere importanza dove ti porterà quel treno?
-Perché saremo insieme.
Inception, Christopher Nolan
Faccio spesso un sogno - quando la mia mente non è turbata dagli incubi del passato - in cui cammino per i campi di grano o di fiori. I palmi delle mie mani sfiorano le spieghe o gli steli e le piante dei miei piedi sprofondano nel terriccio morbido. Le sensazioni, che provo, sono contrastanti: calma, tranquillità e quiete. I raggi del sole sfiorano il mio viso e riscaldano la mia pelle, facendomi sentire serena e senza alcun peso. In questo viaggio onirico non mi sento persa o sola, ma sicura. Sembra strano, vero? Immaginare di andare in giro senza ascoltare alcuna voce umana per miglia e miglia, ma percepire solo il suono del silenzio. Un profondo e assordante silenzio.
Molti hanno paura di restare da soli o di sperimentare la solitudine, ma io no. Ho sempre ricercato l'isolamento, per trovare una serenità, che mi è stata negata per tanto tempo. Ci sono giorni in cui - quando non mi va di corre - faccio lunghe passeggiate nel bosco di fronte a casa mia. Cammino per miglia e miglia, poi mi fermo e mi siedo ai piedi di un albero, chiudo gli occhi e ascolto il suono del silenzio. In quei momenti mi sento più leggera di ogni preoccupazione o paura. Forse un giorno raggiungerò una quiete definitiva e sarò finalmente libera.
Quando mi rianimo dal mio stato di torpore, il mio corpo viene bombardato da tantissime sensazioni contrastanti: caldo, freddo, dolore e piacere.
Muovendo le braccia e le gambe, capisco di non essere più sul duro e gelido pavimento, ma su qualcosa di più morbido e confortevole. Socchiudo prima una palpebra e poi l'altra. In quell'istante le mie supposizioni diventano realtà. Non sono più nello studio, ma accovacciata all'interno di un enorme letto e avvolta da una pesante coperta invernale. Con gesti rallentati, mi giro in posizione supina e nel momento in cui lo faccio, vedo la stanza vorticare intorno a me. La fitta alla testa è talmente lancinante da impedirmi di alzarla, anche solo per controllare se c'è qualcuno accanto a me. Tuttavia non voglio arrendermi, così sollevo di qualche centimetro il capo. I miei occhi vagano, nella penombra della camera, alla ricerca di una fonte di vita.
La camera da letto è spaziosa e accogliente. Anche se poco illuminata, riesco comunque a distinguerne i colori: beige e crema. Alla mia destra, un'ampia vetrata contornata da tende color panna si affaccia - almeno suppongo - sul giardino. Poco più avanti, un ingresso a volta, corredato da due colonne bianche, dà spazio a una stanza più piccola in cui si trovano uno scrittoio, una vetrinetta e un grazioso sofà in stile retrò. I miei occhi si soffermano proprio su quest'ultimo oggetto. Non per la sua particolarità, ma per l'uomo che vi è abbarbicato sopra: Jason. Sembra assorto nella lettura di un libro di cui non riesco a distinguere il titolo.
Dato che non voglio arrendermi all'idea di scendere dal letto, provo a sollevarmi, utilizzando gli avambracci fino a raggiungere una posizione semi-eretta. Ancora un piccolo sforzo e finalmente potrò sgusciare fuori. Con movimenti cauti, sposto la calda coperta ed estraggo le gambe, poggiandole sul tappeto persiano. Vorrei abbassarmi per indossare gli stivaletti, ma se lo facessi , otterrei solo un'altro giramento di testa. Così cerco un'altra soluzione, che non tarda ad arrivare. Accanto a me un antico comodino di legno completo di lampada Tiffany, mi fornisce il supporto per alzarmi. Con passo incerto e instabile, trascino il mio corpo lungo il perimetro del materasso, sino ad arrivare a una delle colonnine, intarsiate con fiori e radici rampicanti, del giaciglio. Ai piedi del letto, trovo un piccolo pouf, dove mi siedo per riposare qualche secondo.
Chissà che cosa è successo, mentre ero svenuta? Il mio corpo era talmente a pezzi, da non essere riuscito a reggere tutte le emozioni negative ed è inevitabilmente crollato.
Prima di soffermarmi sulla figura aggraziata di Jason, il mio sguardo vaga ancora un po' per la stanza. Noto altre due finestre sul lato sinistro della stanza e un paio di quadretti contenenti delle piante essiccate al sole, poi - con un certo sforzo - piego la testa all'insù per osservare il soffitto. Esso richiama i colori della camera, ma ciò che lo rende intrigante è la sua conformazione. È stato realizzato in modo da dare origine a una scala all'ingiù o conica. Sembra quasi di poterci camminare sopra.
Un lieve principio di dolore alla testa, mi costringere a fermare la mia attività di esplorazione, sicché mi dedico a un'altra non meno importante, ovvero interpellare la figura maschile seduta sul divano.
"Jason" lo chiamo con voce impastata.
Lui lascia il libro sul divano. Con passo veloce e misurato mi raggiunge, guardandomi con rimprovero e disapprovazione.
"Non dovevi alzarti dal letto" mi ammonisce scuro in volto.
"Non sono una bambina, Jason. Non ho bisogno del tuo permesso e poi ho attraversato situazioni ben peggiori di questa" concludo in tono deciso.
"Hai avuto un forte attacco di stress e sei svenuta. Devi riposare e recuperare le forze" afferma, incrociando le braccia sul petto.
Non ha intenzione di cedere e se per questo nemmeno io. Non voglio dipendere da qualcun altro, soprattutto in momenti come questi.
Non posso mostrarmi debole e indifesa.
Non posso farmi vedere come una facile preda, perché non lo sono e non lo sarò mai.
Quindi continua a sfidarmi, Jason, perché alla fine sarò io a vincere.
"No" dico, incrociando - a mia volta - le braccia sul petto.
"Sei proprio cocciuta, quando ti ci metti" sospira, scuotendo la testa.
"Sì" asserisco con orgoglio.
Non mi arrenderò. Né ora, né mai.
Mi alzo di scatto dal pouf, ma, nel farlo, mi rendo conto di aver commesso un terribile errore, perché dei punti neri cominciano a formarsi nel mio campo visivo e un forte calo di tensione, mi costringono a ritornare al punto di partenza.
"Dannazione!" esclamo con frustrazione.
"Che cosa ti avevo detto, Emily? - Jason prende posto accanto a me e con il palmo della mano, mi accarezza la schiena - Devi riposare."
"Non voglio" ribatto con maggiore nervosismo.
Jason non sembra molto contento della mia risposta, ma neanche deluso. L'espressione del suo volto mi trasmette più della curiosità. In un certo senso, si potrebbe dire che è attratto dal mio coraggio.
"Va bene, Emily. Fai come vuoi. Ma ricordati che tutto quello che dico è solo per il tuo benessere e non per controllarti" dice in tono serio, ma con occhi tristi.
Si alza per andare via, ma prima che possa allontanarsi, afferro la sua mano e la stringo con forza per fermarlo. Lui mi guarda in attesa di una spiegazione e io non lo faccio attendere più del dovuto.
"Lo so che lo fai solo per il mio bene, tuttavia non mi piace essere controllata o che mi si dica quello che devo o non devo fare, soprattutto da un uomo. Io voglio essere libera di condurre la mia vita come mi pare e piace" affermo, guardando le nostre mani intrecciate.
Lui si inginocchia per raggiungere il mio stesso livello e volge il suo sguardo su di me con una intensità mia vista prima. Con i palmi delle sue mani avvolge le mie, poggiandoci un bacio. Il suo profumo fresco mi travolge come un'onda e inebria i miei sensi.
"Io non voglio sottometterti, controllarti o soggiogarti. Io non ti farei mai del male, perché non sono come tuo padre, Emily. Lo capisci?" chiede.
Non c'è traccia di falsità nella sua voce, ma solo pura sincerità e una piccola parte del mio cuore, gli vuole crede. Perché dopo tutto quello che è capitato nella mia breve esistenza, ho bisogno di trovare un po' di serenità.
"Sì"
I suoi occhi si illuminano di una nuova luce, regalandomi un calore mai provato prima. Forse ho preso la decisione giusta o forse no, ma adesso non importa. Voglio vivere il presente e goderne finché posso, poiché non sò che cosa il futuro ha in serbo per me.
"Sono molto contento di sentire queste parole - dice con un sorriso radioso - perché non ci spostiamo di là? Così stiamo più comodi."
"Va bene."
Lui si alza dalla sua posizione e si allontana, andando a riaccomodarsi sul sofà. Io lo seguo a ruota, ma questa volta mi sollevo con più calma e quando sono sicura di non perdere l'equilibrio, mi incammino per raggiungerlo.
Come avevo notato prima, si tratta di un divano risalente all'inizio del ventesimo secolo. Di fronte a esso, c'è un tavolino rotondo apparecchiato con tutto il necessario per servire un perfetto tè in stile inglese: una teiera e due tazzine di porcellana dipinte con dei fiorellini, un porta-pasticcini ricolmo di ogni tipo di leccornia - tramezzini, scones, custard cake, torta Battenberg e focaccine - e, naturalmente, l'immancabile lattiera.
Prendo posizione vicino a Jason, appoggiando la testa sul suo bicipite e sbirciando il libro tra le sue mani.
"Che cosa leggi?" domando con curiosità.
"L'interpretazione dei sogni di Freud. L'hai mai letto?" chiede, guardandomi da sopra la sua spalla.
Scuoto la testa.
"Per Freud il sogno rappresentava la via principale verso l'inconscio. Egli credeva che, attraverso l'attività onirica, si potesse raggiungere l'appagamento di un desiderio. È un po' come dire che: se non puoi avere una cosa nella vita reale, puoi ottenerla sognandola" asserisce.
"Io penso che i sogni siano un modo per scappare dalla realtà di tutti i giorni, per evadere dalle proprie paure o preoccupazioni" concludo, versandomi del tè nella tazzina di porcellana e prendendo un tramezzino al prosciutto.
"Sì, sostanzialmente il fine del sogno è proprio quello di fuggire o di cambiare qualcosa. A volte, chiedo ai miei pazienti di parlarmi dei loro incubi, per ricercare l'origine del loro trauma. Solitamente, c'è sempre una figura o un luogo, che li costringe a rivivere l'evento negativo più e più volte. La loro mente è come un loop, un circuito chiuso e senza fine" dice in tono malinconico.
Chiude il libro e lo sistema sul bracciolo del divano, accanto a sé.
"Ma ora basta parlare dei miei pazienti, perché ho una sorpresa per te"
Le sue parole mi prendono alla sprovvista, tanto che per evitare di rovesciare il contenuto della tazzina, la stringo con forza tra le mani.
"Una sorpresa? Riguardo a cosa?" domando con titubanza.
"Lo scoprirai molto presto" risponde con un ghigno.
Riuscirò mai a sopravvive alle follie di Jason?
Ciao cara lettrice e caro lettore!!! ;-)
Se ti è piaciuto il capitolo, fammelo sapere nei commenti!!!
A presto ^^
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