57. Heart
Avvertimenti:
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Il Dottore si muoveva in silenzio tra i corridoi deserti del suo Tardis. I motori erano spenti e fuori dalla cabina c'era solo l'immenso vuoto dello spazio; non si sentiva un rumore se non i passi lenti e cadenzati del Signore del Tempo.
Indossava i soliti alti stivali e non sapeva bene da quanto li aveva indosso, ma gli stavano comodi. Camminava senza una meta precisa, con la testa vuota e il capo chino. Le mani erano cacciate nelle tasche del cappotto aramanto che ora gli cadeva addosso più grande del solito; aveva perso peso, ma non aveva nessuno intorno che glielo facesse notare.
Passò davanti a vecchie stanze vuote, senza riuscire a ricordare le facce di chi le avesse abitate, anni prima.
Molti erano solo ombre oscure nella sua memoria e le immagini un poco più nitide erano senza un nome. Una ragazza mora sembra sorridergli con un'infinità dolcezza e lasciarlo da solo con il medesimo sorriso. Un'altra, bionda, ha negli occhi più anni di quanti ne dimostri e sembra ricordargli nel suo silenzio nebbioso che, in fondo, non erano fatti per stare a lungo insieme.
Dov'era, ora? Dov'era Romana, mentre lui diventava sempre più vecchio, più stanco, più freddo nella propria solitudine?
Continuò a camminare e senza pensarci raggiunse la sala comandi, immersa completamente nel buio, salvo qualche led qua e là che dimostrava che almeno il Tardis non era morto.
Che si potesse dire lo stesso del Dottore, non era altrettanto ovvio.
C'era una sedia nell'angolo, che trovò anche nell'oscurità e si lasciò cadere lì, come una marionetta senza fili. Dopo momenti d'immobilità (Secondi? Ore? Giorni?) si portò una mano sulla faccia e realizzò che faceva fatica a riconoscersi sotto i suoi stessi polpastrelli.
Sentiva su tutta la pelle una ragnatela di rughe che non avrebbe mai immaginato che potesse trovare il tempo di farsi strada sulla sua fronte e intorno agli occhi.
Le guance erano scavate e coperte da una lunga barba bianca che gli ricadeva disordinata sul petto.
Che anno è? Dove sono? Chi sono?
La mano scese sul collo. Sentiva freddo senza la sua sciarpa, ma non ricordava dove fosse e non aveva intenzione di spostarsi dalla sedia molto presto.
Il cappotto era largo, la camicia era larga e l'orologio da taschino pesava nei pantaloni come un macigno. Lo controllò nell'oscurità e si accorse che le lancette erano immobili. Le quattro e mezza di un giorno passato.
Pensò che quell'apatia sarebbe finita prima o poi, o almeno una minuscola parte di sè - nascosta in qualche remoto non-luogo del suo cervello - lo stava sperando con tutta se stessa. Con un'eccessiva vecchiaia e un digiuno fuori da ogni logica, sarebbe presto sopraggiunta la rigenerazione e forse un nuovo sè - più giovane, magari - si sarebbe rialzato da quella sedia e avrebbe ripreso il suo viaggio infinito nelle stelle.
Ma non ora. Ora era ancora troppo presto e allora rimase lì, immobile.
Fu il Tardis a muoversi da solo, come se avesse una propria opinione riguardo la situazione. Con tutta probabilità era abbastanza vivo da avere qualcosa di più di un'opinione, visti i non rari casi in cui aveva fatto di testa sua e il Dottore, incolsapevole burattino della sua stessa macchina del tempo, si era trovato nel luogo giusto al momento giusto.
All'inizio non si accorse di nulla, perché era tutto buio e concentrarsi su qualcosa gli costava una certa fatica, ma poi sentì il rumore della materializzazione farsi sempre più forte; stava atterrando da qualche parte, senza che lui avesse avuto voce in capitolo.
- Non uscirò da qui! Loro non mi hanno fatto uscire e non ci riuscirai di certo tu!
Silenzio, ancora. Si stava bene, in fondo, solo, nella vecchia cabina della polizia.
Nessuno a dirti che dovevi salvare questo e quel pianeta, nessuno a riporre tutte le proprie speranze in te, nessuno a dirti che sei la migliore cosa che sia capitata nelle loro effimere vite.
Qualcuno bussò alla porta della cabina blu. Il Dottore fece finta di non sentire, bloccato da qualche forza ignota o che si rifiutava di riconoscere.
Quel qualcuno non si arrese e continuò a bussare senza esitare e il Dottore cominciava a perdere la pazienza. Per prima cosa afferrò con le mani scheletriche i braccioli della sedia e cercò di tenere lontani dalla sua testa quel rumore, il Tardis e tutto il resto. Era sicuro che la meditazione fosse compresa nelle lezioni dell'Accademia, su Gallifrey, ma non riusciva a ricordarsi granché e il bussare si faceva sempre più insopportabile.
- Via! Andate via! - urlò, sul punto di scoppiare a piangere. - Lasciatemi solo!
- Possiamo stare soli insieme, se vuoi. - gli rispose debolmente una vocina da fuori. Il Dottore la ignorò e poi quel qualcuno ricominciò a bussare.
- Basta! Basta! - urlò, portandosi entrambe le mani tra i capelli, ormai bianchi. Si alzò dalla sedia e raggiunse ad ampie falcate le porte, che aprì giusto lo spazio per mettere la testa fuori e niente più.
Sembrò che il Tardis avesse scelto, per chissà quale ragione, di atterrare in una discarica. Il Dottore non seppe dedurre nell'immediato l'ironia della situazione.
C'erano cumuli di rifiuti ovunque, per miglia e miglia fino a dove gli occhi stanchi e spenti del Signore del Tempo potevano spingersi. Davanti a lui c'era un bambino che gli arrivava a malapena al fianco, vestito di stracci e con una cassetta piena di rifiuti appesa al collo.
- Ciao, mi chiamo Dug. - disse, con un grande sorriso e gli avvicinò la cassetta.
- Ciao. - rispose meccanicamente il Dottore - Smettila di bussare.
- Perchè? - chiese il piccolo, inclinando di lato la testa.
- Perchè sì.
- Stavi dormendo?
- No. - il Dottore era restio a richiudere le porte e a portare il Tardis in qualche altro posto remoto e isolato, perfetto per un eremita degno di questo nome, eppure non lo fece. Sarebbe stata una cosa sensata, dopotutto.
- Allora perchè non dovevo bussare? Vuoi comprare qualcosa? Un soldo per pezzo, è un affarone!
Il Dottore calcolò mentalmente l'età della creaturina davanti a lui: umano, senza dubbio, se non addirittura terrestre. Comico come finisse sempre per incappare nelle stesse stupide e stupende civiltà. Finì il calcolo e risultò 8 meravigliosi anni sprecati in un posto terribile.
Allora fece scendere lo sguardo sulla sua mercanzia. Nella cassetta c'erano diversi bulloni, qualche fusibile, tre cacciaviti con il manico colorato, qualche buccia di frutta e un sasso.
- Cosa ci fai in un postaccio del genere?
- Potrei chiedere la stessa cosa a te! - esclamò, allegro, spostando il peso da un piede all'altro. Si sentiva molto intelligente a parlare con un adulto che gli desse ascolto. - Ho sentito un gran rumore, sei stato tu?
- No, la mia nave - rispose il Dottore, dando qualche colpetto alle porte di legno della sua cabina blu, senza staccare gli occhi dalla cassetta del bambino.
- Questo te lo posso dare gratis, se stai da solo insieme a me.
Il bambino non solo si sentiva Intelligente, ma lo era davvero. Aveva notato con grande acume come lo sguardo del Dottore si fosse fermato con insistenza su un sasso grigiastro che aveva una strana forma, quella di un cuore. L'adulto lo prese tra le dita, per guardarlo da vicino.
- Ho cuori a sufficienza. - disse, con un debole sorriso, senza riuscire a convincere neppure se stesso.
- Tutta la cassetta e stiamo da soli insieme. - ripeté il bambino, deciso a non retrocedere di un solo passo.
Il Dottore non poté che ridacchiare. Gli disse di lasciar perdere la sua stupida cassetta e si seguirlo all'interno. Mentre il bambino osservava meravigliato gli interni più grandi del Tardis, ora illuminato a giorno, il Dottore si appoggiò ai comandi, con stanchezza.
Lasciò il cuore di pietra proprio sopra al pistone trasparente al centro dei comandi, che si alzava e abbassava come il petto di una creatura antichissima. Intanto, qualcosa nel petto del vecchio Signore del Tempo tornava a vivere, al suono della risata cristallina di un bambino in fuga dalla propria solitudine.
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