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Su e giù, sulle montagne russe!

«Signore, siamo pronti.» La voce sommessa del suo responsabile alle comunicazioni lo riportò alla realtà.

Brandon Lafferty aveva passato l'ultima mezz'ora davanti allo specchio, a fissare la sua immagine impeccabilmente perfetta: capelli, pochi, ma ordinatamente pettinati indietro; barba rasata di fresco che lasciava le guance pulite; camicia bianca stirata e abito scuro di sartoria; il nodo della cravatta pareva scolpito sotto al colletto inamidato; scarpe lucide ricoperte dalla morbida piega dei pantaloni.

E gli occhi. Gli occhi erano blu. E lo fissavano, si fissavano nel loro riflesso.

Trenta minuti a valutarsi e ripetersi mentalmente, e non solo, che lui era un grande, lui era potente, lui era arrivato, lui era l'uomo del giorno.

Distolse quegli occhi per puntarli in quelli di Albert, che sembrava nervoso: anche lui aveva sentito la pressione di quella giornata, ma era stato bravo, aveva gestito i suoi rapporti con i media egregiamente e, alla fine della giornata, glielo avrebbe detto, gli avrebbe concesso quel gesto benevolo di apprezzamento, che sembrava cercare ogni volta che si trovava da solo con lui in una stanza.

Ma ora no, non era ancora arrivato quel momento e uscì dalla stanza senza dirgli nulla, sentendo i passi del ragazzo alle sue spalle, più affrettati e irregolari dei suoi, che invece sembravano una marcia, per quanto suonavano cadenzati.

Era quello che faceva la differenza tra Brandon Lafferty e un uomo qualunque: lui era sicuro di sé, delle sue capacità, del suo essere e del suo agire. Nulla l'avrebbe scalfito, ormai. Era arrivato in cima, e non avrebbe dovuto rendere conto più a nessuno. Probabilmente nemmeno più a se stesso.

Varcò la soglia della sala stampa, assorbendo la luce dei flash delle macchine fotografiche, come una sequoia fa con i raggi del sole. Si beava di quello, viveva di quello, aveva vissuto fino a quel momento solo per godere della loro attenzione.

Giornalisti, blogger, reporter, erano tutti lì, solo per lui.

«Buongiorno. Grazie per essere venuti.» Nessuna esitazione, nessuna incertezza nella voce. Lui era Brandon Lafferty, il Presidente.

E la platea si azzittì, registratori attivati, telecamere puntate, penne e matite che si muovevano velocemente, provando a catturare ogni istante di quella giornata così importante.

Il Presidente parlò al Paese come solo un vero leader sa fare, ringraziando i suoi elettori, coloro che gli avevano concesso di essere lì, sulla cima di quella montagna chiamata "Governo"; ringraziò il suo staff e i suoi sponsor, che avevano sempre creduto in lui e nelle sue capacità.

«Ma è solo lavorando tutti insieme che riusciremo a rendere questo Paese una vera famiglia. Sarò in grado di fare il mio lavoro solo perché voi me lo avrete permesso.»

Parole di adulazione, ma anche di minaccia, per gli orecchi più sensibili.

E andò avanti così, per un buon quarto d'ora, seguendo il discorso che Albert gli aveva preparato, senza intoppi, come aveva provato fino a quella mattina, finché giunse il tempo delle domande.

Un giornalista dopo l'altro si susseguiva in futili domande sul suo stato d'animo, su come si sentisse in quel momento, su come la sua famiglia, sua moglie, i suoi due figli, stavano vivendo questa incredibile esperienza; gli chiesero quali sarebbero state le prime misure di sicurezza che avrebbe adottato, cosa avrebbe fatto per la sanità, l'istruzione.

In fin dei conti, volevano sapere quante delle promesse fatte in campagna elettorale sarebbero state mantenute.

«Signor Presidente,» un giovane si alzò per porre la sua domanda, «come ricorda la prima sera in cui è entrato nel mondo della politica? Ricorda, fu la festa per la sua nomina a Sindaco della città.»

Lafferty sorrise, correndo rapidamente a quegli anni in cui era ancora uno sprovveduto, sì, ma pieno di ambizione: «Certo, fu grazie a quelle donne e quegli uomini che oggi sono qui davanti a voi.»

«Ricorda quindi la festa» insistette il giornalista «l'alcol, quelle donne...»

Qualcosa nel tono della sua voce infastidì Brandon, che con la coda dell'occhio vide innervosirsi anche Albert qualche metro in disparte.

«Ricorda Amber Dixon, stagista nel suo staff?»

Brandon sbiancò, provando comunque a non darlo a vedere.

«Ricorda quando si appartò con lei, durante quella serata, per festeggiare la vittoria?» Le domande incalzavano, il busto del ragazzo sempre eretto, il mento sempre alzato. Sembrava stesse puntando un fucile contro l'uomo sul podio, che parve indietreggiare.

E invece no, lui non se lo poteva permettere, lui non poteva permettere a quel moccioso di parlargli a quel modo. «Ragazzo, non so dove vuoi arrivare, perché credo che sia stato male informato.»

«Nessun errore, signor Presidente» era sprezzante, giudicava, l'odio veniva fuori dagli occhi blu di quel giornalista «nessuno, tranne me, forse, dal suo punto di vista. Sono venticinque anni che aspetto questo momento: ammirarti lassù, così in alto, dove oltre non potrai mai arrivare, solo per vederti cadere, sprofondare nella merda che in realtà sei sempre stato.»

Un cenno impercettibile e le guardie del corpo di Lafferty si mossero verso l'insolente in platea. I giornalisti però furono più veloci: si alzarono tutti, sconcertati, frenetici nell'appuntare ogni singola parola proferita dal ragazzo, ma pronti a proteggerlo, vuoi per lo scoop, vuoi per la libertà di parola, vuoi per la verità.

«Mia madre venne da te» nulla ormai lo avrebbe fermato dal parlare «ti disse di essere incinta e tu la mandasti via. "Una cagna" dicesti, fu così che la chiamasti. Non potevi permetterti uno scandalo, no, non allora, certo. Così te lo concedo adesso, papà

Le guardie si fecero spazio con la forza tra la folla, fino a raggiungere quel giovane che non smetteva di parlare, di urlare la sua identità, le sue prove, sventolava fogli, asserendo fossero analisi di DNA, registrazioni telefoniche. Aveva tutto e se anche erano riusciti ad arrivare a lui in quel momento, se anche erano riusciti a trascinarlo fuori con la forza, una massa di giornalisti, blogger e reporter fu addosso al Presidente neoeletto con una valanga di domande, sulla donna, sul ragazzo, sul passato, sulla sua coscienza e la merda che gli era piovuta addosso in soli quindici minuti.


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Questo racconto ha vinto il 1° posto per la quinta prova settimanale del contest.

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