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Nell'abbraccio della follia

C'era una volta, tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, una donna di nome Heria.

La sua bellezza era straordinaria quanto la sua bontà d'animo; chiunque le stava intorno ne subiva il fascino e ne ammirava l'eleganza; era gentile e ben voluta da tutti.

Un giorno, mentre era nei campi, incontrò Amir, un giovane forte e laborioso.

Mentre passeggiava nel grano, Heria rimase colpita dal colore, nero come l'inchiostro, dei capelli di Amir: lucidi e setosi, sembravano risplendere in quel mare dorato.

L'uomo, dal canto suo, vide avvicinarsi questa bellezza dalla pelle così chiara e così in contrasto con la sua, che era abbronzata dal duro lavoro, e ne rimase affascinato.

I due si parlarono e incantarono col suono delle loro voci, armoniose insieme, come un canto celestiale.

Fu così che i loro incontri diventarono più regolari e sempre più frequenti, momenti in cui mettevano a nudo le loro anime e scoprivano l'uno i sogni dell'altra, provando, magari un giorno, a realizzarli.

Una mattina, Heria venne avvicinata al mercato da un uomo di nome Lefam: «Buon giorno, mia signora.»

Heria sussultò, poiché il saluto era giunto improvviso alle sue spalle: «Buon giorno.»

Provò a scostarsi attraverso la folla per guardarlo meglio: sapeva chi era e tante erano le voci sul suo conto, ma la donna aveva sempre provato ad avere fiducia nel prossimo e a non basare il proprio giudizio su quello degli altri.

Eppure quegli occhi la scrutavano in un modo che la faceva sentire inadeguata, mentre la calca costringeva l'uomo a starle troppo vicino per farsi ascoltare.

Le stava dichiarando il suo amore, la sua devozione, ma ciò che Heria sentiva era solo il suo alito addosso, come la polvere mista al sudore, qualcosa che voleva togliersi dalla pelle quanto prima.

«Sposami e sarai la donna più potente del paese.»

«Non è il potere ciò che bramo» ribatté lei, incamminandosi verso casa.

«Sposami e ti ricoprirò di ogni dono, ori e sete per adornare la tua bellezza.»

«Ciò che desidero ricevere è solo amore.»

Il passo sempre più affrettato, il fiato sempre più corto, ma Lefam non demordeva: «Sposami e ti darò tutto l'amore di cui sono capace.»

La donna si fermò per affrontarlo e chiarire: «Mi dispiace, mio signore, ma a quel punto sarei io a farvi un torto, poiché il mio amore è destinato a un altro uomo.»

Lefam serrò la mascella e diventò paonazzo in viso: quella donna stava rifiutando il suo rango, i suoi averi e persino il suo amore. Come poteva, quella sfacciata?

«Tu... tu non sai quel che dici, altrimenti la tua scelta sarebbe un'altra.»

Ma gli occhi verdi che lo fissavano erano fermi, sicuri, senza nessuna esitazione o vergogna. Quella donna l'aveva sfidato e ormai non avrebbe potuto sopportare l'onta di quel gesto.


Col passare del tempo, Heria e Amir coltivavano il loro amore in quel campo, proprio come le spighe di grano, ignari però di ciò che Lefam stava tramando: non tutti in paese infatti sapevano che l'uomo era un lontano discendente di uno stregone, che gli aveva lasciato in eredità libri di incantesimi oscuri e pozioni pericolose.

Fu così che una notte accadde l'epilogo di questa triste storia.

Mentre Heria aspettava il suo amore nel campo, arrivò con passo lento, ma sicuro, Lefam.

«Cosa fai qui?» Fu la prima domanda che le venne in mente di porre, sentendo dei brividi percorrerle la schiena e il cuore accelerare i battiti.

L'uomo rise di una risata inquietante: «Sono io che dovrei chiederlo a te.»

Il suo sorriso era sghembo e gli occhi vitrei.

La donna indietreggiò, ma lo stregone fu più veloce e allungò la mano ad accarezzarle il viso: «Così morbido, così caldo...»

Ancora quel disagio, ma ancora una volta Heria si sentì paralizzata dalla paura. Per questo non si mosse quando lui fece scorrere il palmo verso il suo seno, arrivando a stringerlo e a chinare il viso per baciarlo.

Una lacrima brillò nella notte.

«Fermo!» La voce di Amir lo bloccò per un istante. Lefam si voltò lentamente per guardare il suo avversario. «Sta' lontano da lei!»

Lo stregone valutò la minaccia: era un uomo forte, certo, e in un combattimento corpo a corpo avrebbe sicuramente perso; ma lui aveva la magia dalla sua, perciò allungò un braccio e lo immobilizzò contro il tronco di un albero, grazie a una strana forza che gli bloccava anche il respiro.

«È lui? È questo il vincitore del tuo succulento trofeo?» le chiese con voce disgustata. «Non posso averti, non posso toccarti, eppure lui può tutto, non è così, miserabile sgualdrina?»

Heria ricominciò a piangere: ogni parola era una ferita nel petto, la consapevolezza che non ci sarebbe stata salvezza per lui.

«Non posso ordinare al mio cuore chi amare.»

La voce della donna si insinuò nelle crepe aride del suo cuore, percorrendole e allargandole: «Allora, se non potrai essere mia, nessuno potrà averti!»

L'urlo che seguì sprigionò una sfera di luce che avvolse la ragazza, la sollevò in alto nel cielo e la portò all'interno della luna, dove sarebbe rimasta imprigionata da lì all'eternità.

Amir gridò. Gridò tutto il suo dolore, mentre guardava inerme il suo amore abbandonare questa terra.

Lefam rise. Rise tutto il suo male; si voltò verso colui che ormai non rappresentava più una minaccia: «Non disperare, essere insulso. Sarò magnanimo con te e farò in modo che tu possa vederla ancora.»

Ma era solo un altro trucco, un altro modo per suscitare sofferenza in Amir, poiché lo trasformò in un lupo.


E fu così che da quella notte la luna risplende di un candido chiarore, bello e puro come la bella Heria, e che il lupo canta il suo dolore alla luna, perché lì è custodito il suo vero amore, ormai perduto.

Nessuno sa che fine abbia fatto Lefam, ma alcune voci dicono che abbia lasciato il paese e che viaggi solo di giorno, mentre di notte rimane rintanato in qualche locanda, mantenendo le finestre ben serrate, per non far entrare spiragli di luna.

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