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Città di ghiaccio

Da quando tutto era ricoperto dal ghiaccio, da quando quello della neve era l'unico colore visibile a perdita d'occhio, da quando il freddo era la sola sensazione che si potesse provare, lo scorrere del tempo aveva perso importanza.

Le ore e i minuti non avevano senso; solo la notte e il giorno potevano essere distinti: la prima caratterizzata dal buio totale, un'oscurità che inghiottiva qualsiasi forma; il secondo era al contrario di un bianco accecante, nonostante il sole fosse una pallida imitazione di se stesso, nascosto dietro lo strato perenne di nuvole grigie.

L'elettricità non c'era, perché non c'era nessuno ad alimentarla, così come il riscaldamento o l'acqua corrente.

Imparò a fare tante cose in tutti quegli anni da solo; leggeva e imparava.

Imparò che nessuna pianta era sopravvissuta, o lo avrebbe fatto, a quel gelo; imparò che nemmeno un animale si era salvato dalla morsa del ghiaccio, per poter finire nel suo stomaco; imparò a sciogliere la neve e purificare l'acqua per poterla bere; imparò a suonare la chitarra, perché nessun suono raggiungeva il suo orecchio, se non quello del vento che gli schiaffeggiava il volto e gli crepava le labbra, e non poteva sopportarlo ancora per molto.

Si aggirava per le strade di dovunque, per raggiungere un riparo che potesse scaldarlo, per trovare cibo, accendini, legna, coperte, vestiti, libri.

Eppure viaggiava leggero, si trascinava dietro solo uno slittino in cui aveva riposto qualche coperta, un po' di cibo e l'unico libro che non avrebbe mai abbandonato: "Dieci piccoli indiani" di Agatha Christie. Quel libro gli aveva insegnato che niente è come sembra e, in uno strano ragionamento contorto della sua mente, riusciva in qualche modo a dargli speranza. Di cosa, non gli era ancora ben chiaro.

Con gli occhi si può guardare

Con la mente si può vedere

La realtà per come appare

Ormai ridotta in cenere.

Quelle strane parole sfondarono la sua mente senza alcun preavviso, eppure le lasciò andare, così come erano arrivate.

Si diresse verso il mare: gli era sempre piaciuto il mare, con il suo incedere perpetuo a scandire l'inutilità del tempo.

Lo osservò infrangersi ai suoi piedi, nella sua grigia maestosità, facendo a gara col vento per ottenebrargli l'udito.

Voltò a sinistra, poi vide qualche metro più in là una baracca di legno, costruita su quella che una volta doveva essere stata sabbia. Proseguì il cammino, finché un brivido diverso non gli percorse la schiena: paura mista a eccitazione.

Orme. Sulla neve. Fresche.

Mollò lo slittino e corse, salendo le scalette, seguendo quelle impronte all'interno; spalancò la porta, ma l'unica stanzetta era vuota; il vento fischiava attraverso le assi, il suono delle onde leggermente attenuato dall'ambiente angusto; tornò a guardare fuori, ma non distinse orme in discesa sui gradini.

Che strano... Ma ancora più strano fu l'odore che sentì: profumo di mare, forte e intenso. Ed era strano perché, da quando il gelo aveva ricoperto la Terra, niente più aveva emesso un profumo, neppure il mare che era a due passi da lui. Era come se le alghe, la salsedine, la stessa acqua esistessero solo come ologrammi di ciò che erano stati un tempo.

E invece in quella casupola sentiva l'odore del mare.

Arricciò il naso, inspirò profondamente, quasi si ubriacò di quelle particelle che vagavano nell'aria, finché ne individuò la fonte: appeso a una trave del soffitto c'era un profumatore per auto, un arbre magique. Si sedette a guardarlo e pianse.


Quando si svegliò, tornò fuori, solo per accorgersi della presenza di altre impronte, di nuovo, fresche nella neve. Il cuore batteva forte, il fiato si condensava veloce davanti alla bocca.

Doveva seguirle, doveva sapere chi c'era oltre a lui, dove andava, dove si nascondeva, come spariva.

Arrivavano al suo slittino e tornavano indietro; rientrò anche lui: un altro arbre magique era appeso al soffitto.

Corse sulla spiaggia, urlò la sua esistenza con la gola in fiamme per lo sforzo di abbattere il silenzio, ma nessuno gli rispose.

Passò la notte in quella baracca, aspettandosi di smascherare l'altro umano: uomo o donna? Amico o nemico? Il giorno arrivò senza dargli risposte.


Tutto si ripeté per chissà quante volte: c'erano giorni in cui le impronte lo conducevano in negozi, altre in librerie, una volta persino in una chiesa.

Ma al suo ritorno nella baracca c'era sempre un arbre magique in più. Li contava, a decine, ormai conosceva perfettamente la loro posizione e individuava immediatamente l'ultimo arrivato. Avevano un ché di morboso e inquietante allo stesso tempo, gli ricordavano la scena di un vecchio film su morti ammazzati; lo spaventavano e lo rassicuravano insieme.

L'odore lo pervadeva, aveva imparato a odiarlo così come a desiderarlo; era diventato la sua certezza, oltre il freddo. Quell'essere e le sue impronte da seguire erano il suo scopo ogni volta che metteva piede fuori.

E poi un giorno accadde: lo vide in lontananza, sulla spiaggia, a qualche centinaio di metri di distanza.

Corse, affondando gli scarponi nella neve alta, ma sembrava non raggiungerlo mai.

Corse in direzione della baracca, lo vide salire i gradini malfermi della scaletta, aprire la porta, varcare la soglia e richiuderla.

Corse come non aveva mai fatto nella sua vita, il tonfo delle pedate sul legno attutite dal bianco manto, il respiro corto, gli occhi spiritati, bramosi di sapere.

Schiantò la porta contro la parete e lo vide, finalmente: per terra, rannicchiato su se stesso, avvolto nelle sue coperte, una scatoletta di fagioli, la sua, aperta accanto a lui. Gli dava le spalle, sembrava non l'avesse sentito, sembrava addormentato.

«Ehi!» urlò immediatamente, ma quello non reagì.

«Ehi!» ripeté più forte e si avvicinò per afferrargli una spalla in malo modo e farlo voltare.

L'orrore si impadronì del suo volto.

Spostò lo sguardo sul barattolo di fagioli: erano marci.

Sollevò la testa a contare gli alberelli: ce ne era uno in più.

Tornò a fissare quel viso ai suoi piedi, il suo viso, su un corpo vuoto, abbandonato da un'anima che si ostinava a seguire le proprie impronte su una terra ricoperta di ghiaccio.


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