𐐪 2. La fine è solo il principio
𝗔 𝗟 𝗧 𝗛 𝗘 𝗔 𝗠 𝗢 𝗢 𝗥 𝗘
Quando finalmente rientro nel nostro appartamento, il silenzio mi congela il sangue nelle vene. La rassicurazione di aver terminato una vacanza che è stata un disastro scompare lasciando il posto alla paura.
Mi chiudo la porta alle spalle, l'ultimo bagliore di lucidità che mi rimane, e corro in camera da letto. Metto a soqquadro la casa, pur di ritrovare anche un solo misero segno della sua presenza.
Mi abbandono a terra dopo minuti interminabili di vane ricerche e d'istinto faccio ciò per cui mi maledirò più tardi.
Un solo suono di attesa anticipa la sua risposta, come se stesse aspettando con trepidazione la mia chiamata. Immagino che non vedesse l'ora di lasciarmi.
«Althea...»
Il mio corpo trema al suono della sua voce.
«Mi merito davvero tutto questo?», a stento mantengo la voce ferma.
«Non poteva continuare» mi risponde, sospirando. «Ci abbiamo provato... ma non è cambiato nulla. Non ho avuta altra scelta.»
«Io ci ho provato con tutta me stessa, non tu. Stavi aspettando questo momento, non è così? I giorni passati all'Avana—»
«Non farlo. L'idea del viaggio è stata tua, ho provato mille volte a farti ragionare. Sono partito perché sei stata tu a chiedermelo, quindi non provare a dire che non ci ho provato.»
Chiudo gli occhi per non far fuoriuscire le lacrime. Cambierebbero tutto: la mia voce, la sua voce, e tutta la sua sincerità.
«Non ho mai voluto che finisse così» prosegue colmando il vuoto di parole che ho lasciato. «Non volevo farti soffrire.»
Lo so. So bene quanto mi voglia bene, quanto mi abbia amata. Forse è proprio questo il punto: non riesco ad accettare che sia tutto scomparso, che faccia tutto parte del passato.
Non ne capisco il motivo.
«Perché lo stai facendo, Brian? Cosa è cambiato?»
«Noi, Aly. Non siamo più le persone che eravamo quando ci siamo incontrati. Dobbiamo andare avanti.»
«Andare avanti» bisbiglio con rassegnazione e incredulità.
So bene di che genere di "andare avanti" sta parlando. Ha un nome e un volto, senza dimenticare il corpo perfetto.
Marie Roux è protagonista indiscussa dei miei incubi da almeno un anno.
Si è insinuata tra noi senza fare il minimo rumore, diventando una presenza costante.
Mi sono sempre fidata di Brian e della passione e professionalità verso il suo lavoro. Ha fotografato centinaia di modelle e nessuna ha mai innescato in me il minimo dubbio... fino al suo arrivo.
Lui lo definisce lavoro, io ci vedo tutt'altro.
Conosco bene lo sguardo e le attenzioni che lei gli riserva. Mi appartengono.
«Perché non dici tutta la verità? Tu e Marie avete già dei progetti per il futuro.»
Il suo sospiro non fa che accentuare le mie certezze.
«Non cominciare con la solita storia. Marie non ha nulla a che fare con quello che sta succedendo tra noi» ribadisce per l'ennesima volta con la fredda voce che è abituato a rivolgermi.
Ho provato a crederci un milione di volte, quando non mi compariva davanti agli occhi con il suo sorriso smagliante, la sua eleganza francese e quella stessa sensualità che Brian un tempo vedeva in me.
«Allora cos'è?», chiudo gli occhi perché in tutta onestà vorrei non avere dei sospetti.
«Althea, lasciamo le cose così come stanno—»
«Dimmelo una volta per tutte» lo interrompo con prepotenza. Voglio che lo dica a voce alta, voglio che mi risuoni nella testa quando sentirò nuovamente il bisogno di sentire la sua voce.
«Non sono più innamorato di te» confessa all'istante.
Sorrido come impazzita.
Ho chiuso gli occhi per così tanto tempo pur di non comprendere che lo stavo perdendo.
Le lacrime che mi scendono sul viso non hanno suono, così come il silenzio che lasciamo intercorrere tra noi.
«Spero che riuscirai a comprendere e accettare la mia scelta... Dobbiamo smettere di farci del male.»
Come se avessi delle alternative.
Come se potessi smettere di soffrire ora che mi è chiaro di essere la sola a provare amore.
Mi chiudo la bocca con la mano per paura che possa percepire la mia sofferenza.
Non ho mai pianto di fronte a lui.
Le lacrime istigano pietà e ripensamenti non lucidi. L'ultima cosa che voglio è condizionare la sua decisione facendo leva sui suoi sensi di colpa.
Brian Doherty può non amarmi, ma non posso negare il bene che prova nei miei confronti.
«Ho capito» mormoro. «Dobbiamo sistemare i documenti per l'appartamento», svio volutamente il discorso per farmi forza.
«L'ho già fatto. È tuo ora» asserisce con fermezza.
Questa volta allontano il telefono premendo la mano sul microfono. Ha risolto anche l'ultima questione che ci teneva insieme, l'ultima possibilità per rivederlo.
Fa tremendamente male.
«Sembra quasi che tu abbia voluto evitare qualsiasi futuro incontro» lo insinuo con tono scherzoso, ma in realtà sono frastornata, fragile come un bicchiere di cristallo.
La pausa che precede la sua risposta ha tutta l'aria di una conferma.
«Vederci non ci aiuterebbe. Ci siamo già passati» precisa.
Ripasso con la mente tutti i momenti simili che abbiamo vissuto e solo ora mi accorgo dei suoi ripensamenti finali. Per qualche motivo alla fine delle nostre conversazioni Brian ha sempre finito per abbandonare la sua decisione di prenderci una pausa di riflessione. Questi tre anni probabilmente ho scelto di non vedere.
«Aly...»
La preoccupazione nella sua voce fa per questo ancora più male.
«Non ti preoccupare, starò bene», cerco di convincere entrambi.
Riaggancio prima di cambiare idea, prima di supplicarlo di ripensarci.
Prima che la parola fine macchi indelebilmente una relazione di tre anni su cui avevo investito tutta me stessa.
È ufficiale. Ho perso il mio equilibrio.
🍒🍒🍒
Mi abbandono tra le sue braccia.
Solo Dio sa quanto ne avevo bisogno.
«Sono felice che tu abbia accettato di stare da me per un po'» sussurra accarezzandomi la testa.
«Solo un paio di giorni. Devo riaprire la pasticceria» brontolo sulla sua spalla.
Due cose mi tengono ancora a galla: il mio lavoro a Cork, e lei. La mia Lia.
Mi sarei gettata sul lavoro, se non fosse stato per la sua proposta di raggiungerla a Milano.
Mi spinge indietro per guardarmi negli occhi. «Prometto che starai meglio. Mi impegnerò perché succeda.»
Potrei osannarla di complimenti, ma nulla le renderebbe giustizia.
Samelia Casati è il prototipo della perfezione. È una bellezza rara sia fuori che dentro, ed è in assoluto la mia fortuna più grande. Sarei una persona diversa se le nostre famiglie non si fossero incrociate tra le stradine di campagna piemontesi. Le estati a casa di mia nonna ad Alessandria sono tra i ricordi che più custodisco gelosamente.
«Però dovrai darmi una mano», mi sorride dolcemente e io ricambio. «Clelia mi sospenderà le provviste se non le riporto in piena forma la sua amata nipote.»
«Puoi stare tranquilla, non c'è nessun pericolo. Non le ho detto nulla di me e Brian.»
Alza un sopracciglio alla notizia delle mie omissioni. «Non che non capisca i tuoi motivi, ma sai anche tu che prima o poi quella vecchia volpe lo scoprirà.»
«Voglio solo aspettare di...», la guardo alla ricerca delle parole giuste. «Sembrare più in salute? Si preoccuperà di meno se mi troverà in buono stato.»
Mi abbraccia una seconda volta, la mia voce tremolante deve avermi tradita.
«Ti rimetteremo in buono stato, allora. Rifiorirai così tanto che stenterai a riconoscerti.»
Nonostante non creda nei miracoli, seguo la sua corrente. Mi lascio trascinare dalla sua energica ed entusiasta scia, incurante di dove mi porterà. Non ho più nulla da perdere.
Durante il tragitto in auto, mi racconta del suo lavoro come fashion designer, delle mille persone pittoresche che ha conosciuto e della vita briosa che sta vivendo da quando si è trasferita a Milano.
È palese che lo stia facendo nel tentativo di distrarmi. La sua voglia di vivere è l'esperienza migliore di questa settimana, colpisce come un raggio di luce le zone d'ombra che mi tormentano.
«Oggi ti concedo un po' di tregua per via delle dieci ore di volo, ma domani sera si va a una festa. Non accetto rifiuti» asserisce lanciandomi uno sguardo complice.
«Sicura che ti va di andare con una guastafeste come me?», camuffo la serietà con un tono divertito.
«Solo se a te va di andarci con una pazza come me» ricambia facendomi l'occhiolino.
Ridacchio, sollevata. «Mi hai appena fatto l'occhiolino?»
«Mi è uscito così male?», ridacchia con me.
Alza il volume della musica appena sente la voce del cantante.
«Questa canzone mi dà i brividi» commenta.
«Allora perché l'ascolti, cambia stazione.»
Accenna un no con la testa e io mi abbandono al suo volere. Rimaniamo in tacito silenzio mentre ascoltiamo il testo crudo di una relazione andata in pezzi.
«Quel che si dice una donna da dimenticare. Una vera Crudelia» prosegue.
«Almeno aveva il controllo» ribatto soprappensiero.
«Puoi cercare di controllare la tua vita se ti fa stare meglio, ma non arrivando al punto di manipolare gli altri.»
«Non mi guardare così, ammiro solo il sangue freddo di questo genere di donne» mi giustifico per sviare la sua attenzione.
Evito di esternare i miei veri pensieri, l'invidia che provo per coloro che riescono a sedurre un uomo a tal punto da influenzarne i sentimenti. Non credo che avrò mai un tale carisma.
Inserisce il freno a mano e si volge verso di me scrutandomi esterrefatta.
«Althea Moore vale dieci mila volte di più di una stronza narcisista che tiene al guinzaglio il proprio uomo» dichiara senza battere ciglio. «Sei d'accordo con me, giusto?»
Faccio si con il capo, sperando che non abbia notato i secondi di esitazione.
Samelia sarebbe capace di trascinarmi a una festa seduta stante se manifestassi il minimo dubbio sul mio valore.
Non esiste coach motivazionale migliore di lei, ma alcune volte i suoi giudizi passano attraverso una lente non del tutto oggettiva e le mie insicurezze hanno la meglio.
La verità è che mi sento sbiadita e banale.
La discreta di turno. La mia mente comprende fin troppo bene il cambio di direzione di Brian, messa a confronto con una modella francese piena di sfumature.
Sono consapevole che non dovrebbe farlo, ma fino ad ora non sono riuscita a impedirglielo.
Passo il resto della serata sul divano a raccontare a Samelia della vacanza a Cuba, con i fazzoletti in una mano e il secondo bicchiere di Gin Rosa nell'altra.
Mi soffermo sull'evento finale, il solo che mi abbia suscitato un sorriso: la rosa ricevuta da uno sconosciuto.
«All'inizio ho creduto che fosse di Brian...», bevo un sorso per annebbiare il ricordo della mia patetica speranza. Come un'ingenua ho creduto che fosse tornato indietro, pentito di avermi lasciato lì da sola. Ero al settimo cielo. «Ma alla reception mi hanno indicato un uomo...»
Ritorno indietro a quei momenti nonostante la mente annebbiata dal gin.
Si è trattato di una manciata di secondi, ma la sua corporatura, le sue spalle larghe, il suo profilo sono bastati a farmi sentire lusingata e imbarazzata.
«Un bel tipo?»
Incrocio le braccia sul cuscino del divano e nascondo un sorriso.
«Aveva quest'aura. Rilasciava feromoni tutt'intorno, ne sono certa.»
Non sono in me, è ovvio.
Sto straparlando.
«Feromoni, non mi dire» commenta Samelia. «Direi che è tempo di chiudere il bar, questo lo finisco io», si appropria del mio bicchiere. Non protesto, è meglio così.
Incrocio le braccia intorno al cuscino e chiudo gli occhi. Sono esausta, sofferente e probabilmente al limite della sobrietà.
«Se n'è andato prima che potessi chiedergli spiegazioni» farfuglio. L'ho visto andarsene con una bellissima donna.
«Forse è stato meglio così. Potrebbe aver solo sbagliato tavolo» mi restituisce poco convinta.
«Sarebbe dovuto essere Brian» è il mio ultimo sussurro prima di addormentarmi.
L'ultima cosa che sento sono le dita di Samelia che mi ripuliscono il viso da una lacrima.
— 𝖢𝖤𝖨𝖫𝖤𝖭𝖠 𝖡𝖮𝖷 —
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Piccolo spazio dedicato alla protagonista,
Althea Moore. Come avrete sicuramente notato c'è molta fragilità in lei; nulla toglie che possa rinascere dalle sue ceneri come una fenice.
Ne vedremo delle belle!
Come avevo anticipato nella presentazione i suoi POV saranno meno frequenti, quindi consiglio di leggerli con attenzione se volete cogliere
le sue sfumature.
Occhio anche a Samelia e Brian che seppur secondari avranno il loro bello spazio.
Vi aspetto nei commenti con dubbi
e/o impressioni.
Ricordate di accendere la stella
prima di andare <3
Love,
Ceil.
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