Caleb
Capitolo 35
"Nell’incubo senti che hai smarrito il codice della vita,
che hai demolito il nucleo della sicurezza,
che stai precipitando nel vuoto.
E chiedi soltanto una cosa: di essere risparmiato".
Fabrizio Caramagna
Dio, avevo il cuore che mi scoppiava nel petto e la rabbia grondare nelle vene. Come cazzo gli era venuto in mente di fargli quello scherzo a Eliot e Lenny? E perché cazzo non avevano fermato il caos e gli aggressori di Lilla?
Gli avrei presi a calci, quella era una promessa, ma non potevo fermarmi, dovevo portarla in ospedale, era messa piuttosto male. La tenevo stretta fra le braccia a peso morto. L’avevano massacrata di botte.
«Figli di puttana!» esclamai a denti stretti camminando verso la mia moto. Cazzo ero in moto!
Una sensazione di malessere mi si diffuse nel petto, mentre la osservavo inerme. Aveva un sopracciglio spaccato, li sanguinava ancora, chiusi gli occhi impossibilitato a trattenere il disgusto per quelle persone e verso me stesso.
Me l’avrebbero fatta pagare. Lei stava sanguinando, per un loro capriccio, e per il mio...
Le labbra erano leggermente schiuse e anche lì all’angolo c’era del sangue che copriva una ferita, l’avevano picchiata. Merda.
Sentivo l’ira ribollire dentro e scalciare come un animale rinchiuso in gabbia per uscire in superficie e fare una strage. Volevo solo tornare indietro e ucciderli tutti, compreso i miei due migliori amici che non avevano mosso un dito prima per fermare il caos.
«Ho la macchina! Sali!», urlò Shon dentro un Audi poco più distante. Non ci pensai due volte, il cuore mi scoppiava. L’amico della piccola rossa, uscì ad aprire le portiere posteriori. Mi fiondai dentro insieme a Lilla.
«Va, direzione ospedale» gli dissi, ma non aveva bisogno di avere conferma. Partì con una sgommata. Lo vidi osservarmi dallo specchietto retrovisore in silenzio, aveva le mani che le tremavano sul volante, per poi distogliere gli occhi e fissarli sulla strada. «Starà bene vero?» balbettò rivolgendomi un'altra occhiata.
Lo fissai serrando forte la mascella. Non riuscivo a rispondergli, ma in cuor mio, sapevo che non c'era posto per un'idea negativa. Non mi sarei mai capacitato immaginarla stare male. Peggio di quello che già era.
«Starà benissimo. Ho un debito con lei. Deve strapparmi il cuore dal petto prima.» risposi sussurrando, carezzandole la guancia.
Osservai di nuovo Lilla. La sua testa era poggiata sulle mie cosce. Il corpo rannicchiato. Respirava con affanno. Dio che cosa le avevo fatto? Ero sconvolto e pieno di collera, vederla così mi aveva bruciato ogni stronzata che le avevo fatto fino a quel momento. Vederla soffrire per colpa mia, mi aveva annientato in meno di un secondo.
Sentivo il bisogno di picchiare altra gente. Dove cazzo era Dean quando serviva?
Feci un lungo respiro e le spostai una ciocca rossa dal viso. Un ematoma le si stava formando sulla guancia destra. Le tamponai con le dita il sopracciglio e senti ogni tendine del braccio vibrare al contatto col suo viso, alla sensazione scivolosa del sangue a contatto con le mie dita callose. Deglutii per riacquistare la calma.
Il sangue mi macchiò il pollice. Feci scivolare lo sguardo sul suo corpo, e notai la caviglia gonfia. Strinsi a forza i denti. Le mani a pugno. Avrei fatto subire il triplo delle torture a colui che l’aveva colpita lì. Notai i pantaloni strapparti sul polpaccio sinistro.
Deglutii. Dio, non riuscivo a vedere oltre. Avevo una nube nera che mi copriva gli occhi ero riluttante e in collera. Lilla fece un rantolo di dolore, e il mio cuore si fermò, restai immobile Shon guizzò gli occhi di nuovo nello specchietto.
«Ehi, ci siamo quasi, vedrai che starai meglio.» Le dissi abbassando il collo e sussurrandole all’orecchio.
I suoi occhi si aprirono di scatto. Mi mise a fuoco e aggrottò la fronte. Le accarezzai di nuovo il sopracciglio spaccato, sentivo il suo dolore come se fosse mio, capivo la sensazione di essere stata un animale braccato per poi fatto a pezzi, e l'ondata di repulsione per me stesso, mi generò la pelle d'oca. Ero stato io a permetterglielo di far del male alla mia piccola occhi viola.
«Tranquilla» le sussurrai sospirando.
«C-caleb», soffiò dalle labbra. Sembrava non avere voce. Non aveva voce. La gola era secca, deglutii di riflesso.
«Shhh, tranquilla, ci sono qui io adesso» bisbigliai
«Resisti Lilla. Ci siamo quasi» disse Shon. Ma non riuscii a staccare gli occhi da lei, dal suo volto fine, e quelle lentigini che sembravano che qualcuno le avesse messo lì sparpagliate in quel modo meraviglioso come le stelle nel cielo, e i suoi occhi, quegli occhi che mi tormentavano l'anima e la mente giorno e notte. Le bellissime labbra a forma di cuore erano talmente strette che non mi sfuggii il rantolo che stava trattenendo. Il cuore mi era finito nello stomaco, era stata tutta colpa mia. Avevo permesso che le facessero del male a una persona meravigliosa che non centrava nulla con me. Forse era proprio per quello che la odiavo nel profondo. La odiavo perché io la invidiavo, avrei così tanto desiderato essere quanto un terzo di lei. Spensierata, dolce con il prossimo e buona. Ecco, io la invidiavo, e la desideravo, e la volevo tutta per me.
Era tutta colpa mia e non ci pioveva.
Cercai di deglutire, ormai avevo la gola secca come le dune del Sahara, e non c’era nulla che poteva tranquillizzarmi.
Era tutta colpa mia. E lo sapevano tutti. Anche lei.
Una volta in ospedale, i medici del pronto intervento la ricoverarono subito, ma per mia sfortuna nessuno volle dirmi nulla. Mi sedetti su una poltrona, con le mani che mi tremavano. Avevo ancora il suo sangue sulle dita, guardavo quelle chiazze secche come se fossero la risposta di ciò che mi tormentava.
«Sua zia sta arrivando.» disse Shon seduto di fronte a me. Alzai lo sguardo su di lui. Era un bel ragazzo dopotutto, fissa i suoi occhi marrone scuro a mandorla, sembrava spossato.
«Da quanto tempo è che ce li hai?» gli chiesi, osservando quegli occhi a mandorla con le occhiaie, le guance scavate.
Shon mi fissò e deglutì in silenzio. «Sua zia sta arrivando, e sarebbe meglio che tu te ne vada in fretta.»
Strinsi i denti. «Io non scappo mai Shon.» la mia voce era decisa, e per quanto mi sentissi stanco morto, perché questa giornata di merda era stata davvero piena, non avrei mai lasciata Lilla su un letto d’ospedale da sola.
Sentii il telefono vibrare nella tasca dei pantaloni, ma non me ne preoccupai. Probabilmente erano i ragazzi.
«E tu?», mi chiese Shon dopo un po’ alzai di nuovo lo sguardo su di lui. «Da quant’è che li hai?»
Serrai la bocca di scatto e alzai gli occhi al cielo. «Più o meno da quando ho compiuto sei anni.»
Shon restò muto. Ma il suo sguardo perplesso trasformò i suoi occhi scuri in due fessure. Due paia di passi mi riempirono le orecchie e voltai lo sguardo di scatto alla mia destra.
Shannon Baker stava correndo con appresso Rob.
Alla fine erano una coppia quei due.
«Dov’è?» chiese a un’infermiera che stava passando in corridoio. «Lilla Baker dove si trova. Sono sua zia!» la voce le tremava, e stringeva forte la borsa a tracolla che aveva addosso.
Sospirai rumorosamente: «I medici la stanno medicando», le dissi deciso, anche se il cuore mi rimbombava bel petto. Shannon rivolse la sua attenzione verso di me, e i suoi occhi verdi, si incupirono, stava trattenendo l’impulso di- probabilmente- uccidermi.
E avrebbe avuto ragione.
Si diresse coi passi decisi verso la mia persona. Aveva addosso un paio di stivali alti col tacco che ticchettarono come un orologio deciso sul pavimento immacolato di ceramica. Gonfiai il petto, e strinsi forte le mani a pugno, pronto per subire tutta la sua rabbia. Me lo meritavo.
Rob mi osservò con la fronte aggrottata e gli occhi azzurri oscurati dalla delusione. Mi dispiaceva deludere l’unica persona al mondo a cui importava di me, ma non potevo cambiare le cose. Non potevo cambiare me stesso.
«Che cosa le hai fatto!» esclamò Shannon con la voce greve. Era incazzata nera. Aveva una vena sul collo che sottolineava il grado di rabbia che atava contenendo nel corpo.
Restai zitto.
Per una volta, decisi di non interromperla. Il gioco che avevo condotto, l’aveva mandata in ospedale, per quanto ce l’avessi con lei, ora che avevo raggiunto il mio scopo, mi sentivo vuoto e insipido. Avevo un gusto amaro sulla lingua. Il cuore batteva fortissimo nel petto.
«Lui non gli ha fatto nulla.», disse Shon dietro le mie spalle. Strinsi forte I denti. Non avevo bisogno che lui mi difendesse. Ero perfettamente in gradi di tenermi le mie responsabilità. Shannon non distolse mai lo sguardo dal mio. E Rob strinse gli occhi restando muto come un pesce.
«Sono disposto a pagare per tutto quello che le ho fatto» risposi col tono deciso.
«E lo pagherai!» mi minacciò Shannon a denti stretti. «Non ti voglio mai più vedere a gironzolare intorno a mia nipote, altrimenti prenderò altri provvedimenti io stessa. Quindi sparisci subito dalla mia vista, ora!» mi minacciò con le sopracciglia aggrottate, le spalle tese e la mascella stretta. Era ovvio che avrebbe reagito in quel modo. D’altronde mi aveva sempre odiato. Aveva sempre odiato la mia famiglia. E non la biasimavo. Eravamo delle persone di merda.
Alzai il collo e gonfiai il petto, sospirando. Non avevo paura delle sue minacce. Ne avevo ricevute di peggiori e non mi ero mai piegato. «Non me ne vado finché non saprò che starà bene».
Shannon sgranò gli occhi in collera. Ma fu Rob a parlare.
«Caleb, vieni con me subito.» mi disse avvicinandosi. Guardò la sua fidanzata e gli fece un cenno. «Ci penso io, va a vedere come sta tua nipote.»
Shannon fissò Rob a lungo, poi rivolgendomi uno sguardo sprezzante gli disse: «Tienilo lontano dalla mi vista, oppure non risponderò delle mie azioni.»
Ghignai, e lei se ne accorse. Mi leccai le labbra per trattenere la voglia di risponderle a tono: «Non. Me. Ne. Vado»
Shon si avvicinò a Shannon. «Andiamo a trovare Lilla. Non vincerai mai contro di lui. Nessuno ci riesci» le sussurrò guardandola negli occhi.
«Si può sapere che cosa vuoi da mia nipote? Le fai del male, le gironzoli attorno, la bullizzi? Che cosa vuoi da lei?»
«Non ti piacerebbe saperlo.» Shannon diventò un pomodoro, stava fumando di rabbia. Le sue spalle tese ne erano la prova il respiro irregolare.
Si avvicinò, gonfiando il petto e buttando fuori l’aria che aveva fra i polmoni. Il mio cuore rimbombava nel cranio. «Tu provaci a metterle le mani di dosso, e io ti giuro sulla tomba di mia sorella che ti faccio fuori con un colpo soltanto.» la voce greve e minacciosa mi fece correre un brivido di adrenalina lungo la schiena. Sbattei le palpebre.
“Forse erano vere le voci che giravano sul suo conto”.
«Aspetto di morire da molto tempo. Quindi accomodati quando avrai deciso.»
Shannon restò impassibile, ma vidi benissimo una luce curiosa attraversare le sue iridi. Senza degnati di uno sguardo, si volse e imboccò la porta della stanza dove si trovava Lilla.
Rob mi si parò di fronte. Pure lui stava trattenendo la rabbia nel corpo. Rob non mi aveva mai messo le mani addosso ma a giudicare di come stringeva i pugni e fletteva la mascella, era prossimo a prendermi a calci. Non che io glielo avrei permesso, ma non l’avevo mai visto così.
«Vi lascio soli», disse Shon capendo la situazione. Si avviò anche lui verso la stanza dove c’era la bambina dagli occhi Viola.
«Fuori. Adesso!» esclamò Rob, dandomi la schiena e incamminandosi verso l’uscita.
Mi passai le mani sul volto, imprecando e lo seguì. Una volta in cortile, vidi la sua schiena curva, si vedevano i muscoli tesi anche attraverso il maglione blu scuro che aveva addosso.
«Che cazzo ti dice il cervello?» mi aggredì voltandosi di scatto. «Come cazzo ti è venuto in mente fare uno scherzo del genere a una ragazza Caleb? Non hai capito che la violenza porta altra violenza, e in ugual modo ti trasforma in un mostro?» stava urlando.
Deglutii in silenzio. Strinsi forte I pugni lungo I fianchi.
Rob stropicciò gli occhi con le dita. «So bene che c’è un mondo di cattiverie e di sofferenza nascosto dentro di te. Ma speravo che tu non ti comportassi come lui! Quante volte sei venuto da me piangendo e sanguinando Caleb? Eh? Migliaia. Ogni dannato giorno venivi da me perché subivi sulla tua pelle le angherie che tu stai facendo subire a quella ragazza lì dentro!» il suo volto era una lastra di ghiaccio, gesticolava con le mani, era furioso.
La e mi bruciò: «Non volevo…» gli dissi con le spalle ricurve. Stavo impazzendo.
«Non volevi?» alzò le sopracciglia e si allontanò col Busto incredulo. «Eppure lo hai fatto deficiente! Hai fatto sì che venisse picchiata e maltrattata proprio come te!» sbuffò, le mani ora poggiate ai fianchi. «Sai che ti dico? Sei licenziato. Non ti voglio più vedere al salone e non ti voglio più intorno. Continua pure a comportarti come un bambino di merda, nonostante sia adulto. Continua a vivere nel passato, continua a diventare ogni giorno, tanto e uguale a lui» sputò acido.
Fui pervaso da una sensazione di caduta libera. Allo stomaco si creò un vuoto e deglutii per inumidire la gola secca. «Che cosa? No! Non sono come lui, non volevo farle del male. Cazzo! Mi è sfuggito tutto di mano. Stavo in prigione per colpa sua!» cercai di arrampicarmi sugli specchi. Ma ormai il dado era tratto. Anche l’unico adulto a sopportarmi, non c’è l’aveva fatta più.
Mi odiavano tutti. E io odiavo me stesso.
«Rob…» bisbigliai come se le forze mi avessero abbandonato con un groppo in gola. Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi.
Rob si avvicinò coll’indice in su. «No, ascoltami Caleb. O vai in terapia, e ti sfoghi con uno strizzacervelli per ciò che porti dentro, oppure fammi il favore e sparisci dalla mia vista. Hai esagerato. Questa volta hai superato il segno. E io non posso fare più finta di niente davanti alla rua autodistruzione.» con queste ultime parole, mi sorpassò e imboccò di nuovo le porte dell’ospedale.
Respiravo con affanno, la rabbia e la frustrazione mi avevano afferrato il petto generando acido dentro di me. Sentivo la bocca insipida, la rabbia continuava a montare sempre più veloce nelle mie vene e l’unica cosa che volevo fare era prendere il mondo a calci.
Girovagai a piedi per più di due ore fino ad arrivare al parco, avevo addosso l’ombra di me stesso che mi afferrava il petto come un fantasma minaccioso. La voglia di correre di nuovo a scuola e uccidere quelle persone che le avevano fatto del male mi bruciava le vene del sangue, ma non feci nulla. Avevo perso ogni cosa. L’amicizia con Dean, l’amicizia con Rob.
Avevo perso lei.
Davanti agli occhi avevo il suo sguardo di dolore, la disperazione di essere stata una preda per colpa mia, d per quanto in genere questo mi facesse un ottimo effetto, mi sentivo spezzato.
Mi fermai al parco, quando sentì miagola un gatto vicino all’albero di pioppo, era il suo gatto.
«Cazzo!», esclamai passandomi le mani sul volto e mi avvicinai, il gatto mi guardò circospetto, mi abbassai e venne da me subito dopo, penso in cerca di cibo, o forse voleva solo delle coccole.
Le accarezzai la testa e iniziò a fare le fusa. All’improvviso sentii piangere dei gattini, era una flebile cantilena. Mi alzai in piedi e procedetti in avanti, all’angolo dell’albero c’era una casetta di legno.
Lei aveva costruito una casa a dei gatti randagi e il cuore mi scoppiò nel petto. Vidi i piccoli gattini, erano dannatamente carini, la loro madre si avvicinò e si sdraiò al loro fianco, i gatti si avventarono su di lei per sfamarsi.
Dentro la cuccia, notai il cibo e l’acqua, era fresco, qualcuno era passato a dargli da mangiare e bere.
Restai lì per un paio di minuti, accarezzai di nuovo i gattini prima di andarmene.
Una volta a casa, vidi il cancello aperto, la mia moto, che avevo lasciato a scuola era parcheggiata fuori, c’era pure la moto di Lenny e la Dodge Challenger SRT8 nera con le strisce gialle sul cofano di Eliot. Appena varcai il cancello notai i ragazzi seduti in giardino con la testa bassa. Stavano discutendo.
«Potremmo mandarle un mazzo di fiori. Alle donne fanno sempre piacere i fiori.» Disse Lenny.
«Che cazzo stai dicendo! Pensi che dei merdosi fiori possano cancellare tutto? No amico io dico di restare nell’ombra, siamo già stati sospesi tutti dalla scuola ecco la sua rivincita.» rispose Eliot fumando una sigaretta.
Strinsi forte I pugni, volevo farli a pezzi, ma a chi volevo darlo a bere, avevano fatto ciò, perché io volevo fare ciò.
«Eliot! È in ospedale per colpa nostra! E sinceramente a me dispiace, quella ragazza, alla fine è brava, e non ha fatto nulla di male.» Lenny non era per nulla d’accordo col non fare niente di Eliot.
Il lupo pazzo scosse la testa. «Va bene, fai come vuoi.» gli rispose secco.
All’improvviso si zittirono, entrambi mi osservarono come un cane bastonato. Il petto mi si alzava e abbassava di scatto, avevo pochissimo ossigeno nei polmoni, ero incazzato nero.
«Caleb» disse Eliot osservandomi da sotto le ciglia. Era in attesa di una mia reazione.
«Amico, stai bene? Ci dispiace cazzo!» aggiunse Lenny avvicinandosi. Strinsi forte i pugni.
«Andatevene!» esclamai deciso, ma senza alzare la voce. I ragazzi mi fissarono.
«Caleb, noi non pensavamo–»
«Via! Ora, non vi voglio vedere. Andatevene!» gli dissi ancora.
Eliot annuì facendo un tiro senza dire più nulla si avviò alla sua macchina. Invece Lenny, mi guardava incredulo.
«Eliot cazzo torna qui! Non possiamo lasciarlo in queste condizione, sa già che cosa farà!» gli disse Lenny con la fronte aggrottata. Eliot aprii la portiera.
«Sì amico, so cosa si, farà. Ma mi sono rotto di vederlo ridursi a merda. Vieni, oppure no?» rispose l’altro mio amico. Strinsi la mascella, la rabbia che bolliva sotto la mia pelle.
«Caleb io non ti lascio!» Lenny alzò il mento e gonfiò il petto parandosi di fronte a me. «Non puoi prendere delle colpe che non sono tue. Non voglio. È qualcosa che abbiamo fatto noi perché pensavamo fosse stata lei a denunciarti.
Quindi ci siamo presi le nostre responsabilità. Il preside ci ha sospesi per una settimana, perché il padre di Eliot fece pressione altrimenti ci avrebbe espulso sull’immediato.»
Stavo osservando le mie scarpe, mi accorsi che sui jeans avevo una macchia scura, era il suo sangue.
Strinsi forte le mani a pugno. Non volevo mostrare ai miei amici quanto cazzo ero patetico e debole anche se la voglia di rompergli I denti mi bruciava il petto come cera sulla pelle.
«Vattene anche tu. Voglio restare da solo.»
Lenny esitò, scosse la testa e si sedette di nuovo sulla poltrona. «No!» rispose deciso.
Sospirai dal naso, ero stanco, e non volevo continuare a chiederglielo, Eliot chiuse la portiera della macchina e tornò al posto di prima.
«Non ce ne andiamo ho cambiato idea», disse pure lui sedendosi vicino a Lenny.
Senza degnarli di uno sguardo mi avviai verso casa. Chiusi la porta con un sonoro tonfo dietro di me, la rabbia in circolo, volevo scaricare la frustrazione.
Pogai la testa sulla porta respirando a fatica e poi sbattei un pugno fortissimo contro. Il dolore mi si riverberò dalle nocche al polso fino alla spalla ma volevo sentire sempre più dolore. E continuai. Presi a pugni la porta sempre più forte, ancora, sentì il vetro crearsi, ma non mi fermai, le nocche erano piene di sangue, le avevo screpolate, e il sangue pungente mi otturò le narici, ma non mi fermai lo stesso. Continuai e continuai fino a non sentire più il dolore al braccio.
I suoi occhi mi tormentavano, erano pieni di sofferenza e delusione. I suoi occhi viola piangevano per colpa mia, perché avevo fatto in modo di umiliarla.
«Ora basta!» esclamò una voce dietro di me. Mi voltai di scatto. Dean aveva le mani strette a pugno, la camicia bianca era stropicciata, i capelli in disordine. Stava respirando a fatica. Anche Lenny e Eliot erano entrati in casa dalla porta sul retro e mi fissavano senza dire nulla. Il sangue mi imbrattò le dita, sentivo il liquido viscido come un guanto.
Poi all’improvviso vidi la sua ombra, si avvicinò con una tale rabbia che non intervenni nemmeno per difendermi.
Dean mi diede un pugno con tutte le forze che aveva allo stomaco, mi piegai su me stesso, il bruciore allo stomaco mi fece mancare il fiato e strizzai gli occhi per calmarmi. Ma lui non si fermò, mi prese per le spalle, mi raddrizzo e continuo a darmi un gancio destro in piena mascella, la testa mi girò di scatto dall’altra parte e vidi le pagliuzze nere accecarmi, altro dolore si mischio.
«È questo che vuoi Caleb? Vuoi che qualcuno ti picchi? Vuoi che ti maltratti? Vuoi soffrire fisicamente perché non riesco a sopportare l’idea che ti importa una persona?»
Vidi distrattamente Lenny e Eliot avventura su Dean Per trattenerlo, ma tossii e mossi il capo.
“Sì, era esattamente quello che volevo.”
«Lasciatemi! Ne ho anche per voi!» urlò Dean strattonandosi le braccia per liberarsi. I ragazzi lo lasciarono e Dean si avventò di nuovo su di me, mi prese a pugni la faccia, sentii il sopracciglio spaccarsi, la pelle si lascerò e il sangue mi oscurò la visuale, ma non volevo reagire. Ne avevo bisogno. Sapevo che se non avessi subito dolore, mi sarei d’organo fino a consumarmi. Non volevo sentire niente dentro. Volevo solo dolore.
«Cazzo reagisci figlio di puttana! Reagisci come ha fatto lei. Reagisci bastardo!» mi urlò addosso, e vidi una ginocchiata prendermi lo sterno, i polmoni mi si chiusero di scatto avevo vie respiratorie bloccate, il dolore mi fece vedere rosso e mi piegai con le ginocchia per terra in cerca di una posizione comoda per tornare a respirare. Il sangue correva, i battiti del cuore erano a mille e rimbombavano nelle orecchie.
“Di più, ne volevo di più.”
Dean mi prese per i capelli, li strinse forte, sentii la cute bruciare. Eliot e Lenny tentavano di allontanarlo, ma lui li sospinse col braccio. Mi alzò la testa e caricò il braccio teso per darmi un pugno dritto in piena faccia. Chiusi gli occhi. Volevo solo dolore.
«Ma che cazzo!» esclamarono i ragazzi, aprii gli occhi di scatto, il pugno non arrivò mai, riuscivo a vedere solo da un occhio, e notai Eliot sopra Dean e Lenny che lo tratteneva per le spalle.
«Sei impazzito? Vuoi ammazzarlo? Non vedi che non vuole nemmeno reagire?» gli disse Lenny.
«Lasciatemi cazzo! Lasciatemi!» ma i ragazzi non lo lasciavano.
«No cazzo! Gli ha rovinato la faccia!» esclamò Eliot. «È quello che lui vuole Dean. Quindi basta!»
«Se c’è qualcuno che dev’essere punto qui, siamo io e Eliot!» disse Lenny.
«lasciatemi, sono calmo!» Dean respirava con affanno, aveva le mani a pugni e mi teneva sotto tiro coi suoi occhi in tempesta. I capelli erano spettinati dalla furia che aveva addosso. I ragazzi lo lasciarono con le mani in avanti.
«Sei una merda Caleb!» sputò a terra. Si passò le mani sul volto spostando indietro i boccoli dorati. «Io potrei anche aver commesso un terribile errore, ma tu hai lasciato che ti picchiassero la donna che ami».
Il cuore mi scoppiò nel petto, batteva ad un ritmo inimmaginabile mi sentii andare in iperventilazione, i polmoni non mi funzionavano, non incameravano abbastanza ossigeno da permettermi di espirare.
«Oppure non è così. In realtà penso proprio che non sia così. Penso che tu nella tua fottuta vita, non abbia mai amato nessuno. Non sai nemmeno che cazzo vuol dire la parola amore. E ora la rivendico. Lei è mia. E se provi anche solo ad avvicinarti a lei, i lividi che hai in volto ora saranno bazzecole con ciò che ti farò» sputò acido.
Mi veniva da ridere e risi. Una risata egoistica, Tutti volevano minacciarmi oggi.
«Dovrai passare sul mio cadavere», risposi deciso alzando il mento. Sentivo la guancia destra e l’occhio pulsare. Doleva tutto.
«Beh, considerando la tua autodistruzione, non dovrò aspettare poi così tanto» risposi coi pugni serrati e mascella contratta.
Sputai sangue dalla bocca, e trassi un lungo sospiro coi polmoni che bruciavano. «E tu dove cazzo eri? Hm? Dov’eri quando tutta la scuola la stava massacrando di botte? Dov’eri quando i ragazzi hanno messo in atto il piano? Dove cazzo eri!» esclamai alzandomi in piedi
Dean fremette con le narici dilatate, gli occhi a due fessure. «Non c’ero!» Rispose vago.
«No ovvio che non c’eri. Scommetto che eri là vero? Ad osservarla da lontano. A vedere i danni collaterali di ciò che le hai fatto. A vederla arrancare per portarsi il pane in tavola.»
Ero egoista, me ne ero accorto, ma non m’importò a quanto facessi dal male al mio migliore amico. Lui no c’era stato quando lei ne aveva avuto bisogno. E per me questo aveva più importanza di qualsiasi altra cosa.
Dean cercò di nuovo ad avventarsi su di me, ma ormai ero un blocco di ghiaccio, avevo bisogno di fare il punto della situazione. Avevo bisogno di sentirglielo dire.
Gli presi il braccio con cui mi stava per colpire e con l’altra mano gli bloccai il petto. Lo sospinsi, e senza pensarci due volte lo strattonai per il polso girandoglielo al contrario, ovvero dietro la schiena, ci misi pressione, quasi a strapparlo dal muscolo e Dean si inginocchiò a terra coi denti stretti. Lo tenni così, col braccio teso e prossimo a slogargli la spalla.
«Ti avevo già detto che devi stare lontano da lei. Ti avevo avvisato che era mia, ti avevo chiesto esplicitamente di non interferire tra noi. E tu che hai fatto?», tirai ancora e sentii Dean imprecare sottovoce di dolore.
«Caleb, lascialo, gli stai slogando la spalla. Qualsiasi cosa ci sia fra voi due, dovete smetterla» esclamò Lenny incredulo. Eliot si passava le mani fra i capelli sibilando.
«Non è tua, non lo è mai stata, stai esercitando il tuo volere su di lei, il tuo potere e il tuo lato malvagio. Vuoi che ti voglia a tutti i costi. Ma quello che vuole fra i due in realtà sono io», mi provocò Dean. Sentivo il sangue bollire dentro. Volevo rompergli le ossa, perché sapevo, che avesse ragione.
«E io voglio lei Caleb. Quando sto con lei non penso a nulla, non penso a…» sussurrò.
Ebbi una stretta al petto, un groppo mi risalii in gola e per la prima volta in vita mia, mi resi conto che il mio migliore amico aveva vinto.
Dopo oggi, avrei solo potuto prendere con le cattive ciò che volevo, lei non mi avrebbe mai perdonato, Rob, mi odiava, sua zia mi disprezzava. Avevo perso i miei amici perché avevo deciso di giocare a Dalia Nera con una ragazza che non si meritava in alcun modo le pene inflitte. E capii.
Avrei lasciato stare tutti.
Lasciai la spalla di Dean e mi allontani come se fossi rincorso dalla lava liquida sul pavimento.
«Ti fa stare bene?» non era una domanda la mia, era più una vera e propria constatazione. Loro si piacevano. Parecchie volte lei mi aveva confessato di volere Dean. E lui le avrebbe dato tutto sé stesso. Dean annuì, ma vidi i suoi occhi perplessi scrutarmi a fondo.
«Allora, da questo momento in poi, niente Dalia Nera per la futura ragazza di Dean Allen. Niente più scherzi per lei. E niente più attenzioni da parte mia»
Tutti e tre i ragazzi mi osservarono increduli. Ma fu quest’ultimo a rivolgermi uno sguardo di pura delusione che non riuscii a comprendere.
«Quindi a te non è mai interessato lei?» chiese Dean con lo sguardo assottigliato.
Deglutii e strinsi i pugni. «No, se ciò vuol dire interferire con la tua felicità».
“Forse è la sua di felicità che stai cercando di proteggere.”
«Sei un fannullone e un bugiardo Caleb. Sei un cagasotto del cazzo! Non ti fai scrupoli a essere cattivo ma quando si tratta di tenere a una persona... a lei, sei davvero un bambinetto pieno di paure.» esclamò sorridendo in modo ironico leccandosi le labbra.
Strinsi la mascella e ritentai di nuovo a fare un grosso respiro, ma il cuore batteva forsennata nel mio petto perché sapevo che aveva ragione.
«Bene allora. Ti voglio il più lontano da lei. Ora fatti una cazzo di doccia perché puzzi come un cane che è stato appena tirato fuori da una fogna e vestiti. Mio padre ti vuole!»
🐺Spazio Autrice🐺
Ciao, vi chiedo scusa per gli errori che troverete oppure avete trovato nel capitolo, ma non sono riuscita a revisionare.
È stato un mese duro, e jo fatto davvero fatica a finire il capitolo.
Con affetto
💜 Kappa_07 💜
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