Caleb
Capitolo 24
"Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte".
Edgar Allan Poe
Si allontanarono mano nella mano dalla porta di casa mia mentre lei mi rivolse un ultimo sguardo pieno di terrore nelle sue pupille viola. Era incredula da ciò che gli sussurrai all'orecchio, e forse anche per come persi le staffe con il mio migliore amico.
Non riuscivo a guardare Amelia negli occhi, sapevo che mi stava comunicando tutto il suo sdegno e per quanto cercassi di dare una spiegazione alla perdita di controllo, sapevo che il motivo fosse Lilla.
«Ora tu devi chiedere scusa a Dean per come lo hai trattato!» mi ordinò Amelia con le braccia conserte e un cipiglio nel volto.
«Lui? E Dean invece che ha preferito quella stupida invece del suo migliore amico?» si intromise Messy prendendo le mie difese.
Strinsi con rabbia la mascella mentre mi vidi passare davanti agli occhi tutta la scena di prima e di come quella strega si fosse preparato il terreno per bene per soffiarmi il migliore amico. Se c'era una cosa che non le avrei perdonato mai, era proprio quello.
«Chiudi la bocca Melissa, nessuno ti ha interpellato!», la aggredì Amelia.
«Tu non sei nessuno per dirmi che cosa poss—.»
«Uscite fuori», intervenni apparentemente tranquillo mentre dentro sentivo il fuoco ardere e consumare ogni mio buonsenso. «Voglio restare da solo Melì», rivolsi lo sguardo verso di lei la quale mi guardò con gli occhi assottigliati a lungo.
«Hai bisogno di riflettere!», aggiunse prima di girarsi e uscire dalla porta. «Spero e prego che tu faccia la cosa giusta. Altrimenti dovrai fare i conti anche con questo...»
Messy si avvicinò con cautela sconfortata, aveva quel broncio sulle labbra carnose prima di tentare di abbracciarmi, mi scostai volontariamente. «Anche tu, vattene via.»
«Caleb... ma io...» si allontanò per avermi nella sua visuale aggrottando la fronte ferita.
«Non hai sentito? Voglio restare da solo!», ribadì dandogli la schiena. Sentii i suoi passi veloci allontanarsi verso le scale e dopo poco scese di nuovo, aveva indossato il capotto con cui era arrivata e si fermò appena avvicinandosi per lasciarmi un bacio. Mi scostai di nuovo porgendole la guancia.
«Non preoccuparti Caleb. Tu sei il lupo nero della Little Falls, tutti ti temono. Eppure, tutti vogliono essere te.» concluse uscendo da casa.
«Nessuno vorrebbe essere me, se solo sappessero». Bisbigliai.
Sbuffando andai ad aprire la porta per far uscire i miei animali, come sempre Fifo si avvicinò per farsi accarezzare con Snow a seguito. Il cane mi osservò piegando la testa di lato con le orecchie in su, pure la sua faccia era curiosa di vedermi in quello stato.
Mi sedetti sul divano, con la mascella ancora pulsante dal colpo ricevuto e strinsi con forza i braccioli della poltrona. Il dolore fisico era niente in confronto al tumulto emotivo che sentivo dentro. Dean sapeva benissimo che quella mocciosa era la mia preda speciale, e decise lo stesso di mettermi i bastoni tra le ruote.
Forse le ricordava lei per il modo determinato e quella delicatezza innata che aveva, oppure voleva solo far tacere la sua coscienza che sapevo, non lo lasciava in pace un secondo. Comunque non importava, aveva deciso di andare in aiuto nei suoi confronti mettendosi contro di me e me l'avrebbe pagato.
Vederla uscire con Dean, il mio migliore amico, dopo una discussione così accesa, mi fece sentire tradito, confuso e incredibilmente incazzato. Quella mocciosa non si deve permettere. E si era appena guadagnato il pane per i suoi denti.
L'avrei annientata iniziando dalle persone a lei più care.
«Me lo pagherete entrambi!» sibilai furioso con Dean per avermi colpito solo per difendere una strega come Lilla. «Quella ragazza si sta intromettendo tra di noi e questo non va affatto bene». Sentivo il sangue ribollire e i pugni stringersi involontariamente.
Poi, mentre la rabbia iniziò a placarsi, subentrò la tristezza, conoscevo Dean dai tempi dell'asilo, io e lui eravamo più di semplici amici. Lui c'era sempre stato quando avevo avuto bisogno, e non mi aveva mai rinfacciato nulla. Non come avevo appena fatto io... Sentii un nodo allo stomaco e il petto si strinse appena ricordando il segreto che gli avevo promesso di mantenere fino alla mia morte, questo pensiero mi provocò un dolore sordo, un vuoto che si fece strada nel mio cuore e mi fece sentire l'amico peggiore al mondo.
«Cosa cazzo hai combinato Caleb!» urlai nella casa vuota e buia. La mia voce fece eco nelle pareti e i miei animali smisero di punzecchiarsi guardandomi in silenzio. Estrassi il pacchetto delle sigarette e ne catturai una portandola alla bocca. Tirai fuori l'accendino dalla tasca dei jeans e l'accesi in totale silenzio. Il fumo sprigionato dalla brace era l'unico odore che invase le mie narici frementi.
La confusione fu la terza emozione a farsi strada. Non riuscivo a capire come ci fossimo arrivati a questo punto. Ripensai alla discussione, cercando di analizzare ogni parola, ogni gesto, per capire cosa era andato storto. Mi chiesi se avessi sbagliato qualcosa e ciò che era successo fosse un danno irreparabile. Ogni risposta che tentai di darmi sembrava portare solo a una conclusione.
Lilla Baker.
Mi resi conto che la sua presenza nella nostra vita poteva cambiare per sempre le dinamiche del nostro gruppo, e l'idea per quanto strana mi terrorizzava a morte. Avevo volutamente deciso di sottovalutarla, ma le cose sarebbero cambiate da quel momento in poi. Loro tre erano l'unica famiglia che avevo deciso di concedermi e non sarebbe stato una puttana dagli occhi ingannatori a portarmeli via.
"Puttana che ti fa sangue Caleb".
Grugnii incazzato con me stesso e mandai a fanculo la mia voce interiore. Solo perché era figa e sapeva tenermi testa, non significava che doveva essere necessariamente interessante. Tutto ciò che pensavo di sentire per lei, in particolare attrazione, sarebbe stato facile soffocare e dimenticare. Dovevo solo fare un ultimo gioco. Uno a cui lei non poteva sottrarsi. Si chiamava: Indovina chi è ricco e chi no?
Pensieri macabri si susseguirono nella mia mente e mi sentii sopraffatto, incapace di decidere cosa fare. Ogni emozione sembrava amplificare le altre, creando una spirale di sentimenti che mi lasciò esausto e privo di altre risposte se non quelle che già conoscevo.
Cacciare Lilla Baker una volta per tutte via dalla sua famiglia e dall'intera città. Prima però, l'avrei fatta sanguinare, e sottomettere fino a diventare il suo unico dio.
Accecato dalla rabbia, decisi di lasciarmi guidare da quel sentimento dominante. Misi da parte il dolore e la confusione e feci tacere quella vocina fastidiosa che mi stava comunicando che stavo per fare uno sbaglio enorme; c'era solo il desiderio di vendetta. Ho sempre giocato secondo le mie regole, e non intendevo perdere la partita.
Sogghignai e invia un messaggio sul gruppo degli Wolves.
Black Wolf: A casa mia tra dieci minuti. Dobbiamo mettere in atto il piano di Lenny.
L'idea del "gioco" si formò nella mia mente in modo rapido e preciso. Volevo far soffrire Lilla, farle sentire quello che ho provato io quando mi prese Dean. Volevo che capisse cosa significasse essere traditi e umiliati. E per farlo, so esattamente come manipolare la situazione.
Come sempre il gioco avrà luogo a scuola, un ambiente dove Lilla non potrà nascondersi facilmente e dove avrà un pubblico e subirà il tradimento più amaro della sua vita.
Attesi un'ora buona che i ragazzi mi raggiungessero, una volta a casa mia ci sedemmo nella stanza dei giochi. Sia Eliot che Lenny erano confusi mentre osservavano l'angolo della mia bocca livido. Si stava creando un ematoma.
«E Dean?» domandò Lenny prima di fare un tiro dalla canna appena rollata.
Strinsi forte la mascella per contenere la rabbia che avevo dentro. «Ha deciso di cambiare fazione. Ora si è alleato con il nemico.»
Entrambi i ragazzi mi guardarono confusi. «Cosa? E perché?»
«Perché? È un traditore Lenny!», risposi torvo. La rabbia stava salendo in superficie. Eliot mi osservò in silenzio con quei suoi occhi scuri estremamente profondi e indagativi. «Perché ieri sera non ti sei presentato alla festa? Dov'eri?» mi interrogò curioso.
Feci un respiro profondo prima di voltare il capo a destra nella sua direzione. «Ero a casa mia Eliot!»
Eliot ghignò, come se avesse capito tutto con una sola risposta vaga del cazzo. «Dopo la partita non ti abbiamo più visto Caleb... e non abbiamo nemmeno più visto, Viola.» concluse.
Sospirai cercando di calmare le mie emozioni e pensai che fosse un buon momento per tirare fuori la storia dello sgabuzzino. Non avevo perso di vista che qualcuno aveva deciso di fare uno scherzo al re del gioco. Dovevo scovare quel figlio di puttana e farlo appendere a testa in giù alla diga della città.
«A tal proposito: qualcuno mi ha fatto un scherzo chiudendomi nello sgabuzzino della scuola insieme a quella mocciosa.» dissi a denti stretti stringendo il pugno con forza.
Eliot aggrottò la fronte incredulo mentre Lenny pose la canna sul posacenere. «Qualcuno cosa?» domandò quest'ultimo.
«Cazzo!» esclamò Eliot. «E sai chi potrebbe essere stato?»
Negai con un cenno. «Potrebbe essere stato chiunque.» conclusi.
«Però c'era anche Lilla lì con te. Ciò vuol dire che è qualcuno che conosce le dinamiche tra voi due. Qualche studente magari?» concluse Lenny. Mentre Eliot se ne rimase in silenzio a meditare sui possibili aggressori.
«Tutti conoscono questa storia, anche i professori, pure il preside», disse Eliot guardando in un punto indefinito di fronte e sé. Poi spostò lo sguardo nel mio, era talmente serio che il nero delle sue pupille sembrò inghiottire ogni mio dubbio. «E se ti stesse tenendo d'occhio? E se sapesse ogni tua mossa? E se lui fosse tornato Caleb?»
Capii di chi stesse parlando e fui travolto e consumato da una rabbia cieca, una rabbia che si mescolò con una paura profonda e primordiale di perdere il controllo di me stesso se lui fosse comparso di nuovo. Erano anni che non lo vedevo, per la precisione tre, e al ricordo di ciò che mi aveva fatto la schiena mi bruciò come se fossi appena stato flagellato. Questa miscela di emozioni oscure mi spinse verso una rabbia cieca e un odio a dismisura per me stesso, per ciò che ero e per ciò che sempre sarei stato, per colpa sua.
«Se lui si fa vedere, lo ucciderò.» dissi a denti stretti, ma ero ben consapevole che la mia era solo una fantasia, lui riusciva sempre a vincere.
"Io sono il padrone della tua vita. Tu appartieni a me ora, e per l'eternità"
Il ricordo di quelle parole mi generò uno spasmo alle ginocchia, mi sedetti per attutire le vertigini che mi facevano sentire la testa come se fossi sott'acqua.
«Caleb...», mi chiamò Eliot, avevo lo sguardo perso e accecato dalla rabbia più pura e totalizzante che avessi mai sperimentato fu solo quando udì la voce di Eliot che mi resi conto di aver stretto con forza la canna che Lenny aveva poggiato. La brace mi aveva bruciato il palmo ma non avevo sentito alcun dolore. La mia soglia era sempre stata alta. Poggiai la canna a terra e mi guardai il cerchio che si era formato, lo sfregai con il pollice dell'altra mano in un fallito tentativo di farlo scomparire, ma essa diventò ancora più rosso.
«Questo vuol dire che lui sa di Lilla.», commentò Lenny.
Il cuore mi balzò in gola, e mi trovai incredibilmente sorpreso quando temetti per la sua incolumità. Patetico, ero patetico quando io ero un pericolo costante per lei. Eppure, all'idea che si poteva trovare nel mirino di Trevor War, mi si congelò il sangue nelle vene. Quella ragazza era testarda e ingenua, ma era anche il mio trofeo. Non avrei mai permesso a Trevor di toccarla con un dito. Avrebbe dovuto passare sul mio cadavere.
«Se prova a toccarla è morto!» esclamai di getto ricevendo in cambio delle occhiate piene di curiosità dai miei amici. «Lei è la mia preda.» conclusi calmando i loro animi.
Eliot sorrise, un sorriso da squalo senza il coinvolgimento degli occhi, e distolse lo sguardo, per non abbatterli nei miei, anche perché avrebbe ricevuto in cambio un ammonimento silenzioso.
«Quindi il piano? Di che si tratta?» intervenne Lenny.
«Ho voglia di iniziare a fare sul serio con lei. Finora mi sono trattenuto, ma ora basta.» gli dissi alzandomi dalla poltrona. I ragazzi mi guardarono confusi.
«Dove stai andando?» domandò Eliot alzandosi a sua volta.
Sorrisi dicendo: «Andiamo a fare visita a una persona. Qualcuno che doveva aver già dato la risposta all'enigma che li feci un paio di giorni fa.»
Entrambi i ragazzi si alzarono e mi seguirono in silenzio, Lenny aveva quel sorriso da deficiente in volto di chi non vedeva l'ora di fare un po' di casino. Eliot invece, lui restò in silenzio mettendo su la sua solita faccia da poker. Ma conoscevo il mio amico, sapevo che le rotelle nel suo cervello stessero girando alla velocità della luce e come me era pieno di aspettative. Trovai la felpa nero con il cappuccio in corridoio e me lo misi.
Una volta nel cortile, ci avviammo verso la Porche di Lenny in silenzio. «Sei sicuro Caleb? Io capisco che tu sia incazzato per via di Dean, ma non è meglio parlarne con più calma stasera al Wolves?» disse Lenny facendo retromarcia e uscendo dal cancello in direzione della Little Falls basso.
«Sono sicurissimo. So cosa sto facendo.» mi giustificai.
Eliot dietro rise leggero. «No che non lo sai, ma va bene. A volte servono gli scleri mattutini, ti aiutano ad affrontare la giornata nei migliori dei modi.»
Sospirai alzando gli occhi al cielo. «Voglio solo dargli un avvertimento ragazzi. Ho bisogno di sfogare un po' di stress e toccare quella strega in un punto dove so che gli farà male.»
Eliot si sporse in mezzo ai sedili anteriori e sorridendo disse: «Strano che ultimamente ruoti tutto intorno a lei Caleb... ti sei reso conto che oltre ad essere uno stronzo sei diventato pure uno stalker? Almeno l'hai scopata? Sarebbe la cosa migliore per placare quella tua anima infuocata.»
Strinsi la mascella voglioso di dargli un pugno nei denti. «Ieri sera l'ho toccata», gli raccontai di getto. Strinsi gli occhi pentendomene ma ormai non potevo farci nulla. Entrambi i ragazzi restarono muti come un pesce. Con la confessione gli presi alla sprovvista. Poi entrambi scoppiarono a ridere.
«Cazzo, dici sul serio? Ha ceduto?» domando Lenny.
Presi un respiro profondo negando con il capo, voltai lo sguardo verso la finestra e ammirai il panorama, la pioggia cadeva leggere sul suolo e il vento smuoveva le piante e gli alberi che circondavano i parchi della città. «Non esattamente... ma ho preso ciò che volevo.» risposi criptico, anche se sapevo benissimo che avessero intuito la situazione.
«è per quello che Dean ti ha dato quel pugno in faccia?», domandò Eliot.
Sentii la gola stringersi in una biglia mentre lo stomaco mi si appesantì come un macigno. Cosa sarebbe successo se avessi raccontato ai miei amici che stavo per confessare un segreto a cui tutti e tre avevamo giurati di non menzionare mai?
«No! Non è stato per quello.», la mia voce fu tagliente e nessuno dei due cercò di indagare oltre.
Una volta fuori dal cancello della casa di Shon attendemmo di vederlo uscire, era una casa di due piani ben delineata di un colore bianco perla e con un ampio giardino davanti, la sua nuova macchina era parcheggiato nel cortile, una Camaro blu scuro. L'abitacolo era piombato nel silenzio mentre nella mia testa si arrovellavano le mille idee che avevo per mettere in atto il mio piano.
«Quella checca non uscirà di casa senza un motivo.» spezzò il silenzio Eliot.
Sia io che Lenny ci voltammo nella sua direzione confusi. «Checca?» domandai confuso. Non avevo mai sentito Eliot parlare in questo modo. Non sapevo nemmeno fosse omofobo.
«Sì, non vi siete mai accorti che è gay?», sputò acido come se la cosa lo toccasse particolarmente e avesse una vera e propria insopportazione verso quella scelta di vita.
«Eliot, amico... che ti prende?» gli domandò Lenny con la fronte aggrottata. «Da quando a te interessano gli orientamenti sessuali delle persone?»
Eliot strinse con forza lo schienale del sedile fino a sbiancare le nocche mentre il suo volto diventò una lastra di ghiaccio incolore.
«Infatti, non mi interessano» rispose burbero.
«Non si direbbe, dal tuo comportamento», rispose Lenny aggrottando la fronte. «Non c'è nulla di male ad essere gay, pure James lo è, eppure gioca nella nostra squadra ed è uno dei migliori in capo.»
«Basta!» esclamò Eliot infervorito, rivolsi uno sguardo di stupore a Lenny che si strinse nelle spalle. «Chi se ne frega, era solo un insulto.», si giustificò Eliot. «Non fatevene un dramma!»
Restammo zitti, se c'era qualcosa che avevamo imparato dalla lunga amicizia con Eliot, era proprio quello di non mettere il dito nella piaga. I problemi di Eliot non erano compito mio e con tutta la sincerità del mondo, poco mi importava delle sue idee o delle sue convinzioni.
«Ho un idea,» bisbigliò Eliot aprendo la porta. «Restate qui e aspettatemi, ma tieni la macchina accesa.» disse a Lenny prima di sgattaiolare fuori dalla macchina, attraverso correndo in due falcate la strada e si arrampicò sopra il cancello facilmente sbucando subito dopo dall'altra parte.
«Che cosa ha intenzione di fare?» domandò Lenny guardandomi negli occhi, entrambi eravamo confusi e senza parole.
A volte le follie di Eliot non avevano un freno, e di sicuro intrufolarsi nella casa degli Adams era una di quelle.
«Non ne ho idea amico, ma la cosa per quanto elettrizzante non mi sta piacendo affatto.»
«Quel coglione finirà per rovinarci i piani!» sibilò a denti stretti sbuffando come se fosse in agitazione.
Risi ironico, l'adrenalina nel mio corpo correva veloce, un po' per l'ansia che qualcuno dei famigliari di Shon poteva beccarlo, un po' perché sapevo che avrebbe fatto in modo di terrorizzare il ragazzo.
«Non ci resta altro che aspettare amico.» sussurrai estraendo una sigaretta dal pacchetto di Marlboro che c'era sul cruscotto.
Aspettammo per più di venti minuti che tornasse, e quando lo fece, correva impazzito, vidi Eliot scavalcare di nuovo il portone e raggiungere l'auto velocemente. Una volta dentro, rise con il suo solito ghigno malvagio e guardandoci negli occhi disse: «Parti!»
Noi ci guardammo, Lenny mi stava comunicando tutta la sua perplessità, e a nessuno dei due sfuggì il fatto che Eliot aveva quel luccichio perverso negli occhi.
«Allora Eliot? Che cazzo hai combinato?» gli domandai una volta per strada verso il ponte della Little Falls in direzione ss153 verso il capannone di Rob.
«Gli ho detto che deve convincere la rossa a capire chi è che comanda!» rispose rollando una canna dietro con un sorriso circospetto.
Alzai un sopracciglio. «Tutto qui?»
Eliot rise. «Non esattamente...»
Aggrottai la fronte voltandomi verso di lui perplesso. Se conoscevo Eliot, ero al cento per cento convinto che aveva terrorizzato quel ragazzo.
«Eliot!», esclamo Lenny guardandolo dallo specchietto retrovisore con serietà.
«Gli ho detto che se non conovince la sua amica a fare ciò che gli è stato ordinato, maltratteró lui e Caleb farà in modo di licenziare suo padre e rovinare la sua famiglia.» concluse accendendo la canna con una luce tetra nei suoi occhi neri.
Aggrottai la fronte incredulo sbattendo le ciglia un paio di volte confuso. «Cosa?», domandò Lenny, togliendomi le parole di bocca. «Ma ti ha dato di volta al cervello? Sei diventato pazzo?», esclamò incredulo il nostro amico mente io rimasi ancora più confuso, alla ricerca di una frase sensata da formulare.
Cioè che era sicuro, rimase il fatto che Eliot aveva giocato duro. E aveva fatto una minaccia che andava oltre a tutte le mie idee. Sapevo che il padre di Shon aveva a che fare con l'azienda di famiglia, ma non mi ero mai spinto così in là. Mi resi conto che sta volta avevamo tirato troppo il guinzaglio e nessuno dentro la macchina, sapeva quante quelle parole sarebbero state pericolose.
Sapevo bene che aveva esagerato, ma chissà per quale motivo, la cosa mi elettrizzava e mi rabbrividiva. C'era una voce nella mia testa che mi diceva che forse quello che stavamo per scatenare era molto, molto, sbagliata eppure, decisi di tacerla e continuare per la mia strada.
Sospirai, rivolgendo lo sguardo verso il finestrino passandomi le mani fra i capelli.
«Ottimo lavoro Eliot.», dissi assottigliando lo sguardo mentre catturavo il paesaggio che mi sfrecciava davanti. Il ponte era deserto, e il fiume correva veloce, l'acqua si era innalzata di parecchio ed era tutta scura amalgamata con il fango dalla pioggia di ieri sera.
Decisi di non guardare nessuno dei due, e pensai che il piano in un modo o nell'altro avrebbe funzionato.
C'era qualcosa in quella mocciosa che mi faceva impazzire. A volte volevo sbranare il suo corpo con i morsi e con lunghe leccate. A volte volevo punirla per ciò che riusciva a fare alla mia mente precaria e instabile.
"Metà angelo e metà strega".
Ma ciò che era sicuro, l'altra metà era da perdere la testa.
«Se la strega vuole la guerra. È ciò che avrà una volta per tutte.»
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