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Caleb

Capitolo 20

L'odio è un veleno prezioso più caro di quello dei Borgia; perché è fatto con il nostro sangue, la nostra salute, il nostro sonno e due terzi del nostro amore.

CHARLES BAUDELAIRE

Baciarla è stato come bruciarsi nelle fiamme dell'inferno per poi elevarsi al paradiso in un attimo. Una sofferenza in loop a cui non avevo mai saputo come sfuggire finché non ho toccato le sue labbra e poi mi sono catapultato nei cancelli del paradiso. Lei è una strega dai tratti ammalianti.

È una fenice che brucia senza accorgersene e rinasce quando mi mostra la sua bellissima rabbia, mi ha destabilizzato, mi ha soggiogato.

Assaporare le sue labbra è stato caotico, eppure essenziale. L'avevo premuta al mio corpo, sentita sciogliersi nelle mie mani, sentire le sue mani toccarmi, le sue labbra che premevano contro le mie con la stessa intensità mi ha generato una sensazione di benessere che non avevo mai sperimentato prima di allora. Ma altrettanto mi ha messo in crisi.

Io non dovevo permettere a quella mocciosa dagli occhi ingannatori di avere potere su di me, non dovevo in alcun modo volerla bramare come se fosse il mio fottuto paradiso. L'unica cosa a cui pensavo da quando avevo infilato la lingua dentro la sua bocca era stato quello di volerla assaggiare ancora e ancora fino a consumarmi. Desideravo entrare dentro di lei, farla mia, e volevo che restasse mia.

Non si poteva negare che era estremamente bella, una bellezza tutta da sbocciare e volevo essere io a condurla nei sentieri della conoscenza del piacere assoluto. Quello carnale.

L'avevo lasciata di sopra, in camera mia a farsi una doccia calda dopo averla minacciata di volerla sculacciare con, o senza il suo consenso, e me l'ero fatto anch'io di sotto. Il cazzo mi pulsava teso ogni volta che chiudevo gli occhi e pensavo alle sue labbra, o ai suoi capezzoli turgidi attraverso quella maglietta trasparente. Dio, si vedeva addirittura il colore rosa dell'aureola.

Avrei tanto voluto salire su, spalancare la porta e sprofondare dentro di lei con una velocità assurda per portarla nelle vette più alte di sempre, eppure non feci nulla. Per il momento, ovviamente.

Quello che feci fu mettermi ai fornelli mentre attendevo la sua comparsa. Avevo bisogno di mettere qualcosa sotto i denti, in più cucinare mi aiutava a schiarire le idee. Anzitutto non mi ero sentito con nessuno dei ragazzi, per assurdo avevamo appena vinto la prima partita del campionato con una vittoria schiacciante e benché avessimo deciso di festeggiare al Wolves, con il tempo fuori, sapevo che era tutto chiuso e probabilmente Lenny o uno dei ragazzi aveva spostato la festa da qualche altra parte.

Decisi di inviare un messaggio sul gruppo dei lupi senza leggere tutta la sfilza di messaggi che mi avevano mandato.

Black Wolf: Sto bene, ma resto a casa.
Ci sentiamo domani o lunedì.

Chiusi la chat e misi il cellulare silenzioso per non essere disturbato. Avevo intenzione di giocare con la mia piccola Viola, e niente e nessuno avrebbe interrotto ciò che avevo in serbo per lei. Perché diciamocelo, quando mi sarebbe capitata un'altra occasione di averla in carne e ossa a casa mia?

Con un ghigno malvagio mi avviai al frigo ed estrassi l'insalata di chinoa che mi aveva preparato la domestica, lo misi su una teglia e lo riscaldai, tagliai del formaggio e presi il pane per il toast, estrassi il pomodoro il prosciutto e presi anche del cetriolo. Tagliai tutto e riscaldai la piastra, misi su i due toast e tirai fuori due piatti depositandoci l'insalata di chinoa e i toast appena erano pronti.

Versai un po' di whisky preso dal cassetto degli alcolici, su un bicchiere e lo brevetti, il sapore mi bruciò la gola ma fu allora che sentii i suoi passi, erano leggeri come una piuma invisibile che fluttuava sopra l'oceano per poi depositarsi nell'acqua, impossibili da cogliere per un orecchio inesperto.

Sorrisi a mezza bocca e mi appoggiai al bancone.

Fece capolino bussando sulla parete, aveva addosso la mia maglietta e i miei pantaloni. Sembrava talmente buffa con quegli indumenti che la seppellivano, che mi scappò un sorriso dalle labbra.

I capelli erano umidi e quegli occhi grandi e magici mi guardarono preoccupati prima di posarsi sul piatto.

«Tu cucini?» domandò di getto sorprese.

«A volte sì», risposi con un'alzata di spalle.

Si avvicinò appena sedendosi sullo sgabello di fronte a me e avvolse le braccia al petto.

«E dimmi, lupo nero dei miei stivali, non hai una maglietta, o sei troppo egocentrico per non mettertene una?»

La sua faccia estremamente seria era troppo divertente e l'immagine di lei che mi sfiorava il torace con le sue piccole mani prese forma nella mia testa.

«Ce l'ho, ma mi piace stare così quando sono a casa. E no, non sono così tanto egocentrico.» le dissi.

Lei alzò le sopracciglia come in un muto sdegno.

«Certo, tu non sei arrogante come io, infatti, sono la regina d'Inghilterra.» mi canzono.

«Mia la casa, mie le regole Violetta.»

Lei sospiro alzando gli occhi al cielo.
«Fai un po' come vuoi.»

«Che c'è? Hai perso la voglia di ribattere? Oppure ti distrae troppo il mio petto nudo?» la provocai.

Vidi le sue guance tingersi e prese un lungo respiro muovendo in dissenso la testa.

«Tenta ancora.» disse stizzita.

«Oh, non vorresti per caso negare che sono bello?»

Rise di gusto acchiappando il toast farcito. «E poi mi vieni a dire che non sei un presuntuoso del cazzo.», bisbigliò

Risi anch'io e feci la stessa cosa. Mangiai la metà quando risposi.
«Non sono presuntuoso, sono semplicemente coerente. Bisogna dare a Cesare ciò che è di Cesare, rossa.»

Masticò alzando le spalle e fece un verso sfiancato prima di buttare giù il boccone.

Risi ancora e mangiammo in silenzio. Dopo aver finito, tolsi i piatti che misi subito nella stoviglia e la invitai nella stanza dei giochi per vedere un film.

Insomma, ero consapevole che era assurdo, questa situazione ma era andata così. Una volta nella stanza si sedette il più lontano possibile da me e si appoggiò al bracciolo della penisola.

«Posso farti una domanda?» domandò dopo lungo tempo di silenzi.

Deglutii. Odiavo le domande che iniziavano già di per sé con una domanda.

«Dipende dalla domanda.» risposi freddo.

Facendo il punto della situazione, e avendo l'idea di dove voleva andare a parare, volevo già troncare ogni parvenza di conversazione con lei.

Perché ero consapevole di averla baciata e di volerla baciare ancora, ma eravamo pur sempre in guerra. Questo era una tregua temporanea.

«Se si chiama domanda è una domanda no!» Rispose torva.

«E io ho risposto; dipende dalla domanda. Comunque, dimmi, che cosa vorresti sapere di me che non ti è chiaro?»

Si voltò e mi piantò i suoi due ametisti che aveva come occhi addosso prima di fare un lungo respiro.

«Ecco, oggi, nel... ripostiglio tu...»

Deglutii al ricordo di ciò che era accaduto. Un brivido freddo mi serpeggiò lungo la colonna vertebrale, presi la felpa nera di Lenny depositata lì all'angolo e me la misi per sfuggire al suo sguardo indagatore.

«Tu hai paura dei tuoni, io non sopporto gli spazzi stretti. Non c'è altro da aggiungere.» risposi perentorio.

La vidi con la coda dell'occhio annuire in silenzio. Si stava torturando il pollice con l'unghia in un gesto nervoso.

«Insomma, io non sono una tua amica, e nemmeno una tua conoscente che sia chiaro. Sono la tua... com'è che lo chiami? Ah sì, "la designata della fottuta Dalia Nera"», mimò le virgolette con le dita. «Ma comunque sia, so come ci si sente, io lo provo sottopelle ogni volta che sono fuori dal mio letto. È corrosivo, radicato nei meandri del cervello. Posso però dire, che tu sei un coglione con le palle, e prima o poi ne uscirai.»

Sospirai, avevo il respiro bloccato in gola, cercai di deglutire la pallina che mi impediva di prendere ossigeno, ma sentii bruciarmi l'esofago.

«Tu non sai niente.» bisbigliai in trance.

Il dolore sulla pelle, le urla nella testa, il formicolio di chi voleva urlare a squarciagola ma non poteva mi si amalgamarono insieme e crearono l'ira, o meglio, l'armatura perfetta di cui mi cibavo.

«Va bene, non m'importa in realtà. Cioè insomma, se tu ne vuoi parlare io ti ascolto.» rispose curiosa. Lo vidi nei suoi occhi viola.

Mi appoggiai con la nuca sul poggiatesta e presi il pacchetto che era sul tavolino, estrassi una sigaretta e l'accesi subito dopo inspirando la nicotina.

«Non voglio parlarne, ma anche se avessi voluto farlo, di certo non ne parlerei con te.» puntualizzai sbuffando il fumo in alto.

«Hai ragione. Allora parliamo di quel gioco di merda che stai facendo con me. Puoi piantarla per favore?»

Cazzo. Sembravamo una brutta coppia degli anni Cinquanta alle prese con i problemi giornalieri. Lei non si rendeva conto di essere qui solo per mia grazia? Si era scordata la promessa che le avevo fatto solo un'ora fa?

Cercai di arrabbiarmi, ma non scorsi nessuno screzio di nero, e questo mi generò una vertigine. Persi un battito rendendomi conto che avere vicino quella strega mi svuotava da tutti i mali che portavo dentro.

«Scopa con me» buttai fuori di getto guardando il soffitto, come se fosse stata una semplice affermazione senza penso.

Non mi accorsi delle sue mimiche facciali, ma presupposi che avesse la bocca spalancata, e forse mi stava anche guardando male.

«Io non scopo con nessuno solo per il gusto di scopare Caleb.» mi parlò piano.

Voltai lo sguardo verso di lei e incontrai I suoi occhi grandi e lucidi.

«Per me il rapporto ha un significato stupido idiota. Non è solo un meccanismo per voi uomini di svuotare le palle.» aggiunse acida.

Assottigliai lo sguardo. «Lo sai di essere parecchio volgare vero?» sospirai studiandola. Aveva le gote rosse, gli occhi lucidi e si stava mordendo l'interno della guancia. «E comunque non so con chi hai scopato tu che non ti abbia soddisfatto, ma il sesso è bello, non si tratta solo dell'uomo, è una sensazione di simbiosi. Tutti e due le parti creano la chimica giusta per soddisfare l'un l'altro.»

Deglutì in soggezione e abbassò lo sguardo. «Tornando a noi. La smetti con quel gioco infantile o dopodomani ti devo prendere a calci in culo?» cambiò discorso.

Risi divertito, mi ero appena reso conto che parlare di sesso la rendeva a disaggio più del dovuto. Spensi la cicca nel posacenere e la fissai.

Oh, quanto mi sarebbe piaciuto continuare a stuzzicarla con quell'argomento. Ma sapevo che l'unica cosa per vederla bruciare era farle vedere e sentire quelle sensazioni.

«Che guardi.» mi aggredì.

«Ho una vaga idea Violetta, ma non so se l'argomento possa fare per te. Temo tu ti arrabbi.»

Rise ironica, «Mah, che novità. Fammi pensare quando tu non mi hai mai fatto arrabbiare? Ah già, mai.»

Lascia stare. Era la cosa più ovvia da fare. In più si mise a sbagliare per diverse volte. Erano solo le otto di sera ma dopo tutto ciò che era successo oggi, la capivo.

Misi su una puntata dei Griffin e chiusi gli occhi a mia volta.

«Sappi che la prossima volta che cercherai di prendermi in giro davanti a tutti ti rovinerò la macchina o la moto, dipende con quale mezzo verrai a scuola.» disse con gli occhi chiusi.

Aprii subito le palpebre, e mi irrigidii.

Cosa stracazzo mi aveva detto?

«Non ti devi azzardare di toccare la mia macchina o la mia moto altrimenti sarà guerra Violetta.» la minacciai freddo.

«Perché non lo è già?» domandò pacata.

Mi alzai di scatto e le torreggiai di fronte, lei seduta all'angolo del divano mi sembrò un cucciolo umano. Era talmente piccola. Mi guardò dal basso con i suoi occhi che mi fecero perdere un battito.
Mi piegai su di lei invadendo il suo spazio e le parlai a fior di labbra.

«Non pensarci nemmeno piccola. Non ti deve in alcun modo, e dico in alcun modo passare per quella piccola testolina di toccare i miei mezzi» sibilai.

«Altrimenti che cosa mi fai? Un altro dei tuoi scherzi del cazzo?» mi provocò.

Iniziai a scaldarmi, il sangue mi giunse alla tempia che la sentii pulsare.

«Viola!» lo ammonì.

«Non mi chiamo Viola cazzo.» disse a denti stretti sostenendo il mio sguardo.

«Io ti chiamo come mi pare e piace strega. Ti ho avvisata.» Conclusi.

«E chi se ne frega dei tuoi avvisi!»rispose in tono di sfida.

Come cazzo era possibile che voleva sempre avere l'ultima parola?

Inspirai con le narici frementi e il profumo di agrumi mi giunse nel cervello, il respiro mi si tagliò di netto nel sentire le mie note sulla sua pelle. Dio! Le stava così bene. Era tutta mia, aveva addosso ogni mia traccia.

«Chi se ne frega dei miei avvisi?» domandai alzando le sopracciglia e ghignando appena. «Ne sei sicura? Mi pare di doverti una sculacciata Viola. Ora è arrivato il momento di tenere fede alla promessa che ti ho fatto!», ghignai scrutandola a lungo. Viola sgranò gli occhi, le sue gote si colorarono e raccolse le mani a pugno appiattendosi ancora di più contro lo schienale del divano.

«C-caleb...», mi pregò, la voce le tremava appena. Aveva appena compreso di aver esagerato con le sue promesse stupide e soprattutto vane.

Risi torreggiandole di fronte. In un momento di totale sicurezza mi avvicinai a fior di labbra, occhi negli occhi. Ghignai quando la sentì trattenere il respiro e le catturai quel labbro pieno fra i denti. Lo morsi piano, graffiandolo appena, il suo sospiro mi arrivò come un segnale d'urgenza, di chi era talmente rapito dal mare, nonostante non sapesse nuotare. Glielo succhiai, il sapore era sublime, sembrava il frutto del paradiso,  qualcosa che non avevo mai provato prima  e ne rimasi ancora affamato quando mi staccai.

«Tutto questo», le rivolsi uno sguardo da sottinsù catturando la sua attenzione. «Questo corpo e queste labbra...», sospirai facendo diversi passi indietro senza mai lasciare i suoi occhi curiosi e increduli per sedermi sulla poltrona di fronte a lei. «...saranno mie e mie soltanto.», con il pollice mi sfiorai le labbra facendo un mezzo sorriso mentre tutto in lei si mise in allerta.

«Le morderò, le succhierò e le catturerò ogni volta che voglio. Perché tu piccola Viola, mi lasceresti fare di tutto». Sentenziai divaricando le gambe.

Il suo viso diventò pallido, le labbra erano serrate, mentre nel suo cervello si stavano affollando le mille risposte spinose che sicuramente aveva pronte.
Lo sapevo che se l'avessi lasciata parlare avrei spezzato l'intensità del momento, perciò, senza ombra di dubbio, continuai.

Aprii le braccia subito dopo, in un modo ovvio enfatizzando le mie parole: «Sono il tuo fottuto lupo nero in questo momento cappuccetto rosso, non ce via di scampo per te, perché l'ironia della favola, sono anche il tuo fottuto cacciatore. Sta a te decidere quale dei due ti divorerà tra poco».

«N-non puoi essere s-serio!» la sua voce fu un sibilo appena udibile, il suo cervello stava rifiutando la realtà dei fatti, ma non mi fregava un cazzo di ciò che lei voleva o meno.

Avevo il bisogno di stabilire il mio fottutissimo dominio. Doveva capire chi avesse il controllo e chi credeva di averlo.

Misi le mani suoi braccioli, come a invitarla di venire da me di sua spontanea volontà.
Ero una brava persona infondo, avevo optato per la libera scelta. Lei poteva decidere chi scegliere tra i due, come si sarebbe concluso poi la vicenda, era un'altra questione.

Si guardò a destra e a sinistra, probabilmente alla ricerca di una via d'uscita che non avrebbe trovato poiché avevo chiuso la porta a chiave.

«Se corri e poi ti prendo, non mi fermerò a cinque, voglio che tu lo sappia», la minaccia perentorio.

Viola schiuse le labbra ancora incredula a giudicare dalle pupille dilatate dei suoi occhi ingannatori.

«Non voglio farlo! Tu sei pazzo!», si destò.

Ghignai guardandola da sottinsù: «Vieni qui e piegati».

Un'ondata di calore mi si sprigionò dalla base dello stomaco fino ad arrivare alle mie parti basse, solo all'idea di ciò che stavo per farlo mi si gonfio il cazzo che dato il movimento dei suoi bellissimi occhi nemmeno a lei sfuggi il mio rigonfiamento. Continuai a osservarla lasciando a lei il controllo. Era rischioso, perché conoscendola avrebbe comunque tentato di scappare, ma il sadismo mentale mi piaceva, sapeva anche che se l'avessi presa, le avrei fatto di peggio. 

E io l'avrei presa. 

CONTINUA...

Spazio Autrice 

Ci sarà tanto da parlare; e lo faremo nel prossimo, ve lo prometto.

Come sempre ci tengo a ricordarvi, che potete trovarmi su instagram come:

Kappa_07_author

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