Fenomenologia delle botte da orbi
Il Fight Club non esiste.
O meglio.
Il Fight Club non esiste se non per quelle cinque ore dalle due alle sette di mattina di ogni domenica in cui ci si ritrova in uno scantinato e ci si prende a scazzottate.
Nessuno dei ragazzi che ci è stato almeno una volta ne è uscito intonso.
Nessuno dei ragazzi che ci è stato almeno una volta prima sapeva che si possono ingoiare uno o due bicchieri di sangue prima di vomitare.
Ora lo sa.
Io lo sapevo già.
Lo so perché lo sa Tyler.
L'abbiamo fondato io e Tyler, il Fight Club.
Abbiamo inziato col picchiarci nei parcheggi, ottenendo sempre più popolarità tra gli avventori dei bar o dai passanti.
Non è una cosa che è stata organizzata. È nato tutto da solo.
Nato dalla rabbia.
Quando ne esci tutto si ridimensiona drasticamente, nulla ti fa più incazzare.
Impari a pensare, prima di agire. Impari a pensare, prima di parlare. Impari a pensare e basta, in certi casi.
Nulla può alterare il tuo stato di pace interiore.
Gli stronzi in macchina che ti tagliano la strada.
I clienti maleducati.
L'amico stronzo.
Il vicino rompicoglioni.
Ti senti un monaco tibetano.
Perfino i combattimenti in TV perdono la propria adrenalina.
Guardare Wrestling dopo essere stati al Fight Club diventa come guardare film porno quando puoi tranquillamente fare dell'ottimo sesso di persona.
Fuori vi vedete, voi, tra membri.
Li riconosci.
Ma non sono la stessa persona.
Facce tumefatte, bende, cerotti, punti e gessi.
Ma quello che vedi è diverso da quello che hai visto.
Prendi il ragazzo che ti sta seduto davanti in metropolitana. Ha il labbro spaccato, l'occhio sinistro gonfio, un cerotto sul naso come Ryan Gosling in Blade Runner e dei punti sullo zigomo destro.
Ha i capelli ricci, scuri, molto belli e ben curati, che contrastano con la tumefazione della sua faccia.
Ha ancora i vestiti che aveva messo al Fight Club l'ultima volta, macchiati di sangue.
Alcuni capelli si sono fusi con le piastrine della crosta delle ferite.
Ora fanno parte dei rimasugli della sua rinascita.
Avrà sulla ventina d'anni.
Tu lo riconosci, quel ragazzo.
Non lo fai vedere, ma lo riconosci.
E lui riconosce te.
Tu sai come si è ridotto così.
Vi fate un cenno con la testa.
Quel ragazzo poco prima di entrare nel club l'avevi sentito lamentarsi, al bancone del bar, del fatto che si sentiva un fallito perché non riusciva più a dare gli ultimi esami per la laurea in medicina.
Troppo stress.
Subito dopo l'hai visto in mezzo alla cerchia combattere come un dio per dieci minuti contro un impiegato della sicurezza informatica della Banca Centrale grosso quattro volte lui.
Anche se andassi a complimentarti con lui, a dirgli che era stato un grande, che ha la stoffa del lottatore, non startesti parlando con la stessa persona.
Anche tu hai segni sulla faccia.
È da ieri che ingoi sangue e puntualmente vomiti.
Senti con la lingua i punti che ti hanno cucito nella bocca perché ti sei squartato la guancia coi tuoi stessi denti mentre ti sbattevano violentemente la testa contro il muro, che ormai si sono allentati.
Lo fai ogni weekend, non puoi farne a meno.
Una stanza in un seminterrato di un bar in cui cinquanta uomini incazzati si pestano senza pietà.
Ogni mattina muori e rinasci.
È così squallido.
Eppure ti senti vivo.
Stai per svenire.
Eppure ti senti vivo.
Provi un dolore peggiore della morte.
Eppure ti senti vivo.
Sputi sangue e denti.
Eppure ti senti vivo.
Tutto perde significato.
L'assicurazione, i cataloghi Ikea, le auto di lusso e i Rolex.
Vuoi che tutto il mondo intorno a te marcisca insieme a te per rinascere di nuovo.
Pensi all'autodistruzione.
Eppure ti sentivi vivo.
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