Curtis
Lasciate che vi racconti un po' di Curtis.
Curtis non era un inserviente come gli altri, questo lo avevamo capito fin dal primo momento.
Quel giorno me lo ricorderò sempre.
Era un mercoledì (me lo ricordo perché il mercoledì ci davano sempre la pizza a pranzo e, quando succedeva, Jamie era troppo di buon umore per picchiarmi) ed era Agosto inoltrato.
Ero seduto sulla scalinata che metteva in comunicazione il giardino con le cucine e stavo leggendo "Piccole Donne". Non che fosse granché come libro, ma era un modo come un altro per passare il tempo.
Ad un certo punto vidi tutto un via vai di suore che camminavano dentro e fuori dal giardino. Tutti si erano fermati per capire cosa succedesse. Jake si avvicinò a me, dopo aver passato una buona mezz'ora ad insultare Eddie in diciassette lingue diverse perché lo stava sfottendo sulla sua altezza (Jake non è mai stato molto alto: quando aveva dieci anni era un metro e trenta. Poi, in terza media, ebbe una specie di botta ormonale che lo fece crescere di quarantacinque centimetri nel giro di un'estate, e da allora non crebbe più) e, nel vedermi, cambiò immediatamente il suo sguardo accigliato in uno più rilassato.
Si sedette comodo vicino a me.
"Che leggi?"
"Piccole donne."
"È da femmine."
"È meglio di quanto credi."
Sbirciò nel libro e lanciò un verso di disgusto, buttando la testa dall'altra parte come se dovesse vomitare da un momento all'altro. Si girò di nuovo verso di me.
"Hai visto quante suore?"
"Mhm" risposi, facendo un cenno del capo.
"Chissà perché tutto questo movimento."
"Vagliato a chiedere, no?"
"Ma ti pare?!"
E rimase lì seduto, a fissare il vuoto.
Poi eccolo.
Una figura nera, con un cappello nero e gli occhiali da sole.
Portava un borsone di pelle marrone, come quello dei Marines.
La Pinguina si affiancó alla figura.
"Cazzarola, la Pinguina!" Fece Jake, con un tono stupito.
"Dev'essere roba grossa." Dissi.
La Pinguina, una suora ben piantata e coi toni e i modi di fare di quella rude gentilezza campagnola che difficilmente ti scordi, ci radunò intorno a lei e alla figura, come una mamma chioccia chiama i suoi pulcini.
"Allora, bimbi, lui è il nostro nuovo inserviente: Curtis!"
Lo prese per le spalle con gentilezza e lo spinse davanti, in modo che tutti potessero vederlo.
Lui si tolse il cappello e, con un sorriso malconcio ma amichevole, rispose con un semplice "Salve" e un mezzo inchino.
"Curtis" riprese poi la Pinguina, "si occuperà della manutenzione dell'orfanotrofio."
"Quindi il calorifero del bagno del Capitano verrà aggiustato?" Disse una voce femminile.
"Verrà aggiustato, sì."
Ne fummo tutti felicissimi.
Il bagno del Capitano, dovete sapere, è il bagno che sta alla fine del corridoio del piano dei dormitori. Comodissimo d'estate, ma gelido d'inverno. E questo era un problema. Lo chiamavamo "il bagno del Capitano" perché una volta un bambino, si chiamava Chris, chiamato anche "Capitano", una volta ci aveva vomitato l'anima dentro, l'ultima notte prima di essere preso in custodia dalla famiglia adottiva, per una congestione.
Almeno se n'era andato con stile.
Una delle suore fu incaricata di accompagnarlo nello scantinato, dove avevano sistemato una brandina con delle lenzuola e un cuscino, vicino alla caldaia.
"Secondo te cosa tiene in quel borsone?" Chiese mio fratello, in preda alla curiosità.
"E io che vuoi che ne sappia?!"
"Andiamo a trovarlo nello scantinato?"
"Ma che sei, scemo? Le suore non vogliono che ci spostiamo da qui!"
"Sarà una toccata e fuga, non se ne accorgerà nessuno, te lo garantisco!"
O era lui che aveva strane capacità di persuasione, o ero io che ero facilmente condizionabile.
Di nascosto dalle suore, entrammo in orfanotrofio e scendemmo le scale.
Lo vedemmo che sistemava delle pile di dischi e un giradischi a lato della stanza.
"Guarda, Jake! Dischi!"
"Fooorte! Di cosa?"
"Boh...un attimo che cerco di vedere..."
Mi sporsi un po' troppo e, dallo stipite della porta dalla quale sbirciavamo, caddi di faccia per terra.
Curtis si girò e sorrise "Tranquilli, alla Pinguina non lo dico."
La calma.
La calma con cui si esprimeva.
Mi fece sentire a casa.
Jake mi raggiunse.
"Sono dischi quelli?"
"Certo!"
"Figooo" risposi, ammirato.
"Volete ascoltarli?"
Ci mettemmo a saltellare in giro dalla gioia.
Non capitava spesso che ascoltassimo musica, in orfanotrofio.
"SÌ SÌ SÌ!"
Lui ridacchiò, e mise su un disco.
La musica che ne usciva era strana.
Mi piaceva.
Iniziai a battere il piede per terra.
"Mi piace" disse Jake, che stava battendo il pollice sulla gamba per tenere il ritmo.
"Si chiama Blues," rispose Curtis, con il suo solito tono amorevole "vi piace?"
Tutti e due annuemmo energicamente.
"Volete che vi insegni un paio di cosucce?"
"Sì, la prego signor Curtis!"
"Diamoci del tu, mh?"
Si mise comodo sul letto, accese un sigaro, e iniziò a raccontare.
Raccontare storie di menagrami: criminali redenti, prostitute esauste, vecchi stanchi...bambini orfani.
Proprio ciò che eravamo noi.
"È questo il motivo per cui il Blues piace alla gente: è il genere musicale più inclusivo, onesto e crudo che potreste mai trovare in giro."
"Curtis" dissi.
"Sì, piccolo?"
"Voglio imparare a suonare Blues."
"Anch'io anch'io anch'io!" Disse Jake, emozionato.
Poche volte l'ho visto così contento.
Curtis sorrise e ci porse due oggetti dal suo borsone: un microfono e un'armonica.
Io presi l'armonica di scatto, ad istinto.
Ad essere onesto, neanche sapevo cosa fosse un'armonica, al tempo.
Jake prese il microfono, lo soppesò e guardò Curtis.
"A cosa ci servono?"
Lui sorrise.
"Domani lo scoprirete. Ora su, andate! Non vorrete far spaventare le suore!"
Facemmo per andarcene.
"Oh, aspettate! Prima che ve ne andiate, ho un'altra cosa da darvi!"
Ci porse due cappelli e due paia di occhiali da sole.
"Sono i miei ricambi. Non perdeteli e trattateli con gentilezza!"
Prendemmo i regali, lo ringraziammo di cuore e scappammo di sopra.
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