3. 𝙇𝙖 𝙁𝙖𝙢𝙞𝙜𝙡𝙞𝙖 𝙃𝙚𝙢𝙞𝙣𝙜𝙬𝙖𝙮.
1 Settembre 2024.
𝙄 𝙎 𝙆 𝙍 𝘼
𝙄skra si era alzata così presto quella mattina per andare all'università che la stanchezza la stava accogliendo da ormai ore.
Le occhiaie le coprivano la parte inferiore dei suoi grandi occhi scuri come due cerchi ad occupare la zona sottostante.
Le guance non avevano come sempre quel tocco di rosso ma era bianche come la sua carnagione diafana.
Si aggiustò il colletto della camicetta nera e pulita, dopo aver chiuso l'armadietto, sopra aveva una pelliccia del medesimo colore che la faceva risultare ancora più minuta di quello che era.
Quel bastardo le aveva lanciato addosso il suo stupido caffé e Iskra ancora sembrava sentirlo.
Odiava il caffé, non capiva perché la gente ne andasse così tanto matta erano molto meglio le tisane, il té o la cioccolata calda.
La caffeina non la faceva neanche dormire la notte ed aveva un così disgustoso sapore che le veniva da vomitare al solo pensarci.
Per un momento si domandò chi fosse l'uomo appena entrato nell'ufficio del professor Kayer, che lei denominò come "il bastardo", non seppe neanche perché non si fermò ad insultarlo o imprecare.
Si pietrificò avanti a quegli occhi blu così tanto da non riuscire più a proferir parola.
Sbuffò, facendo schioccare la lingua contro il palato.
Avrebbe dovuto pensare all'esame, prima l'avrebbe dato prima se lo sarebbe tolto di torno.
In più, Noire Kayer era felice di quella tesina, il che la spingeva ancor di più a godersi lo studio.
Sarebbe dovuta tornare a casa per il fine settimana, il che voleva dire anche che si sarebbe dovuta muovere a studiare almeno la prima parte.
Il casino delle altre sue due sorelle, per non parlare della madre...
Pensandoci, non sarebbe mai e poi mai riuscita anche solo a leggere.
Da lontano, osservò per qualche istante il giardino dell'università, brulicava di studenti tra cui la sua compagnia di amici e sua sorella.
Si rese conto fin da subito di quanto sbavava avanti a Cyrelaus, li venne da ridere.
La prendeva costantemente in giro, ma forse, più per gelosia che per altro. I due sembravano piacersi ma non parlare dei loro sentimenti.
Quando Iskra, si era resa conto che nel suo stomaco l'unica cosa che poteva brontolare al posto delle farfalle sarebbe stata solo fame.
Odiava gli uomini che erano suoi coetanei, aveva qualche cotta per gli uomini abbastanza più grandi di lei e soprattutto, famosi. Ma mai aveva incontrato un ragazzo, che l'avesse fatta sentire speciale. Come si percepiva lei.
Emberly e Iskra si assomigliavano tanto ma non quando si parlava di ragazzi... erano completamente l'opposto.
Iskra non aveva mai avuto neanche la sua prima volta, secondo Emberly era una verginella ma non poteva neanche parlare, più di tanto, poiché lei e Cyrelaus erano famosi per piacersi senza scambiarsi nemmeno il numero. Erano occhiate fugaci quelle che si lanciavano, chiacchierate strappate via tra il resto della compagnia. Non andavano mai oltre, neanche un'uscita fuori dal college.
Emberly tendeva a nascondere tutto come una ragazzina di quattordici anni
Una vera matricola del cavolo, sbuffò Iskra.
Scese dal gradone per raggiungere il gruppo.
Fin quando un tuono colpì subito le sue orecchie.
Alzando il naso piccolo verso il cielo e allargando gli occhi scuri, Iskra poté vedere la pioggia cominciare a battere velocemente su tutto l'edificio e sui corpi dei suddetti studenti che cominciarono a correre al riparo.
Ma d'improvviso, qualcuno non fece in tempo.
Un lampo caddé dritto sul grande salice piangente del giardino, simbolo dell'università, colpendo in pieno anche un giovane.
Il ragazzo era il suo amico.
Iskra spalancò gli occhi interdetta e scioccata, prese a correre verso la vittima. Sentì le sue mani iniziare a tremare...
La mente offuscata, qualcuno stava già tentando di chiamare l'ambulanza, la folla di studenti era accorsa a vedere il corpo inerme di Cyrelaus. Gli occhi erano chiusi.
Ebbe una paura dannata quando per qualche secondo, non si ricordava le pratiche da fare per riavviare la circolazione e salvare la vita del suo amico.
Il respiro cominciò a essere affannato, quando avvicinò indice e medio uniti verso la vena del collo più sporgente e grossa.
Qualcuno aveva già preso ad urlare, uno strazio sentire quelle grida di dolore, squarciavano l'atmosfera già cupa mentre la porta dell'ufficio del professor Kayer si era gia spalancata.
Emberly aveva già cominciato a piangere, il suo volto era intriso di dolore e balbettava alla sorella parole indecifrabili contrassegnate dallo shock. Vicino a lei, Vesperine Clair, la sorella del ferito, non parlava tremava e guardava la scena immobile come fosse congelata.
Iskra le guardò in viso per qualche secondo, ricordando per un momento quando erano piccole. Vide in Vesperine il volto del terrore, le sembrava di aver appena visto un fantasma.
Il suo cuore prese a balzarle nel petto.
I capelli di entrambe erano completamente zuppi, la pioggia aveva formato una nuvola scura intorno ai loro volti, costernati dalla paura e lacrime.
Iskra abbassò il capo verso quello del giovane.
La forma del fulmine era impressa sulla sua guancia e scendeva fino alla sua mano.
Iskra era terrorizzata.
Dietro di lei, dei passi dati da corsa veloce, si fecero largo tra i ragazzi mentre con un orecchio vicino alle labbra carnose di Cyrelaus, Iskra controllava e pregava che ancora il ragazzo respirasse.
Il professore si fece spazio vicino a lei, inginocchiandosi allo stesso modo sul fradicio terriccio. Dietro le loro schiene, altri studenti insieme anche a Hyde osservavano la scena.
«Non respira.», Iskra si girò verso Noire Kayer che scostò gentilmente la ragazza e iniziò a praticare il massaggio cardiaco.
Iskra alzò lo sguardo di nuovo, per un momento, verso sua sorella e Vesperine Clair, tremavano e si mangiavano le unghie.
Gli occhi di Vesperine le facevano paura, era come se fosse stata pietrificata dallo sguardo del Gorgone Medusa, non si muoveva, sembrava non muovere neanche le pupille quando osservava la scena.
Iskra diede il cambio al professore.
Fin quando Cyrelaus si risvegliò inghiottendo tutta l'aria che fino a quel momento gli era mancata.
Le sirene dell'ambulanza cominciarono a varcare i timpani dei presenti che aiutarono Cyrelaus.
Il furgoncino in lontananza correva sull'asfalto bagnato, il rompo faceva più casino quando le ruote calpestavano le fogne riempite da foglie arancioni.
L'autunno era appena arrivato a Hermstorm.
Tutti ripresero fiato, soprattutto quando gli addetti dell'ospedale lo presero con sé.
Iskra tirò un sospiro di sollievo solo quando vide V, riprendere a parlare, soprattutto con il fratello con il quale salì sul abitacolo dell'ambulanza e sparì verso le dinanzi.
«Avresti potuto andare con lui...», sussurrò Iskra vicino alla sorella.
Emberly le lanciò un'occhiataccia senza parlare si allontanò, calciando un sassolino con un piede a braccia conserte verso i dormitori della sua ala.
«Ti ho detto di no, Hyde, Faraday non vorrà mai venire perché credi che il fulmine sia segno del suo ritorno.», blaterò qualcuno dietro di lei.
Le sue spalle rivolte verso la sorella si girarono.
Osservò l'uomo che gli aveva buttato il caffé addosso, discutere con Noire Kayer, ancora.
Si avvicinò per sentire meglio.
«Ritorno di chi?»
Hyde spostò gli occhi su di lei.
Vide sulla sua mano una grossa cicatrice percorregli il dorso fino a sparire sotto la manica del giaccone nero. La nascose immediatamente nella tasca.
«Nulla ragazzina, parliamo di cose adulte», rispose di tutto tono, ritornando con il volto su Kayer che roteò gli occhi al cielo.
«Con chi credi di parlare, stronzo? Prima mi butti il caffè addosso, ora mi denigri dal semplice conversare da una conversazione con il mio professore, ma chi sei?»
Il biondo rimase a bocca schiusa confrontando il suo volto ammaliato con quello di Kayer, che alzando le sopracciglia era stupito quanto lui.
«Prima di tutto, il mio nome è Hyde... non stronzo», si avvicinò alla ragazza allungandole la mano per darsela stringere, «secondo, è un peccato che tu potresti essere mia figlia, non so quanto convenga chiederti di andarci a prendere un caffé...», Iskra alzò un sopracciglio in segno di confusione, indagando a fondo sull'espressione che aveva usato l'uomo.
«Io odio il caffé.»
𝙀 𝙈 𝘽 𝙀 𝙍 𝙇 𝙔
𝙀mberly era abbastanza stanca di tutto.
Sembrava che quel giorno non ci fosse una cosa che potesse andarle bene.
Non aveva potuto neppure seguire Cyrelaus in ambulanza, era stato così veloce ciò che era successo che non aveva ancora avuto modo di metabolizzare.
Era ancora un po' sotto shock e il casino della camera da letto della sua stanza, non l'aiutava neppure.
Gli studenti quella sera avevano organizzato una festa per l'entrata delle matricole.
Vesperine Claire, V per lei, la sua migliore amica era così contenta ma d'altra parte suo fratello Cyrelaus, non la voleva in mezzo.
Non dava però segni verso la ragazza, erano anni che Emberly cercava un segno magari non subito del suo amore, ma almeno che gli interessasse.
Ma non c'erano.
Emberly sbuffò rumorosamente, guardando il letto disfatto e le coperte buttate dall'altra parte del materasso.
Era felice per il suo primo giorno, ma altrettanto triste per come stava andando. Sua sorella poi, non era d'aiuto, pensava solo a sé stessa era troppo fissata con lo studio, secondo lei...
Aveva preso la testa dura di sua madre, forse anche di più di Demetria mentre Emberly, pensava di aver preso di più dal padre... libertina e spensierata.
Un padre che però non aveva mai conosciuto.
Emberly purtroppo si accorgeva di aver avuto mancanze veramente gravi da parte della figura maschile, probabilmente proprio come le sue sorelle. Ma se a Iskra non sembrava fregargli niente dei maschi - anche se sapeva perfettamente che qualche ragazzo l'aveva avuto e, ne avesse fatti soffrire parecchi - ad Achylis la più piccola, sembrava aspettare l'arrivo di un segno dal cielo.
Lei e quei maledetti segni dell'universo, si fottessero.
Emberly voleva una persona con cui condividere amore, si era stufata di addormentarsi sola nel letto, di avere diversi problemi a guardarsi allo specchio.
Si concentrava troppo sul suo aspetto fisico quando vedeva il suo riflesso.
I suoi occhi rotondi e chiari, forse erano troppo grandi. La sua bocca magari era troppo piccola, i suoi fianchi troppo larghi e la sua mandibola troppo poco delicata.
Si rigirò più volte nella camera cercando un blocco su cui potesse scrivere ciò che era successo. Era strano, gli sembrava di aver avuto un dejavu della scena successa quel pomeriggio, insomma era tutto particolare...
C'erano stati pochi se non rarissimi casi, di una persona colpita da un fulmine a Hermstorm ed il caso più specifico, riguardava proprio sua madre.
Tutte e tre le figlie avevano un rapporto altalenante con lei, Demetria era la prima ad ammetterlo. E, lasciava sempre al caso fattori importanti riguardanti il suo passato.
Sapeva poco di lei, nonostante fosse sua madre e ci avesse abitato dalla nascita fino al compimento dei suoi diciotto anni.
Le sopracciglia di Emberly si corrugarono. Si ricordava di aver sognato però di quel giorno in cui tanti anni fa, ventidue, per la precisione, qualcuno era stato colpito da un fulmine, proprio come Cyrelaus.
Aveva fatto quel sogno, attraverso gli occhi di Demi. Aveva visto chi fosse, e voleva scoprire se era direttamente collegato al ragazzo di cui si era così tanto presa una cotta.
Prese il cellulare tastando prima le tasche dei jeans slavati neri e poi prendendolo per digitare un messaggio a V, la sua migliore amica.
"Ti posso chiamare tra poco?"
Lasciò il contatto aperto per poi aprire la rubrica e selezionare il contatto di sua madre, "Mamma".
Esitò qualche secondo.
Non la sentiva da parecchio, Iskra invece praticamente tutti i giorni e tutti i giorni, chiedeva di chiamare lei.
Tamburellò le dita per qualche secondo spostandole sulla scrivania attaccata alla finestra.
I suoi occhi verdi cadderò sul vialetto, il salice piangente, esaminando la scena dove una sagoma nera improntata sull'erba distraeva tutto l'altro spazio circostante.
Era stata creata dal fulmine caduto un'ora prima.
Sospirò. Ne voleva sapere di più. Cliccò sul contatto e gli squilli partirono in pochi secondi.
«Emberly?»
«Ehi ciao mamma», si grattò la nuca lasciando la mano scivolare sulla propria spalla per incontrare lo specchio, la sua nemesi. «Ho bisogno di un favore».
Il suo riflesso, proiettato all'interno le faceva i soliti "giochi del terrore", come li chiamava lei, quando abbassò il mento e prese a camminare verso il letto.
«Non ti fai sentire da tempo e hai bisogno solo di soldi?» chiese nervosamente Demi dall'altro capo del telefono, capendo tutt'altro di ciò che aveva in mente la figlia.
Le aveva chiesto poche volte i soldi, quando era lontana da casa e tutte le volte, sua mamma si era lamentata.
Era troppo tirchia. Come Iskra.
Emberly corrugò le sopracciglia, imbronciando tutto il viso per sedersi sul bordo del materasso.
Doveva ordinare assolutamente la camera dopo quella chiamata.
«No, mamma, non ho bisogno di soldi», digrignò tra i denti già imbarazzata da quella risposta, «So che non ti piace parlare del tuo passato, però...»
Emberly esitò a continuare, aspettando che la madre la bloccasse ma non lo fece, la lasciò parlare ancora.
«È successo una cosa a scuola oggi... Cyrelaus, il fratello di V, è stato colpito da un fulmine e-»
«Cosa?», la bloccò, quasi sentì il cuore perdere un battito e fare un tuffo nel vuoto. Sentì Demetria agitarsi e si immaginò la sua faccia sconvolta.
«Sì, è successo-»
«Emberly ho bisogno che tu e Iskra torniate a casa.»
Non la fece neanche cominciare a raccontare che la madre sembrava spostarsi in una delle stanze della loro casa. Emberly lo capiva tramite i fruscii che sembrano coprire la sua voce.
«Mi racconterai tutto appena siete qui. Ma è importante che tu e tua sorella mi raggiungiate, non pensavo potesse accadere così presto...», sospirò, «Non possiamo parlarne al telefono, io... io vado a prendere Achlys, ci vediamo tra un'ora a casa ok?»
Cosa voleva dire "non pensavo potesse accadere così presto"?
«Ok...», chiuse la chiamata.
Sistemò le sue cose con la testa ancora impegnata di pensieri, cosa c'era che non andava nel conversarne al telefono?
E perché voleva che tutte e tre le sue figlie giungessero a casa prima del fine settimana?
Apparte per Achlys, ovviamente, era ancora alle superiori.
Emberly guardò il suo giaccone di camoscio nero, sull'attaccapanni. Gliel'aveva regalato proprio sua madre e, qualcuno l'aveva regalato a lei. Era possibile fosse stato suo padre?
I pensieri però si raggelarono.
Sobbalzò.
Sentii un sospiro pesante fare capolino da dietro la porta.
Si irrigì all'istante, appena avvertì il pericolo.
Vedeva dalla luce riflessa nel corridoio, l'ombra dei piedi di qualcuno avanti a questa.
Il suo cuore prese a battere più velocemente, voleva aprila e al tempo stesso chiuderla a chiave.
Si avvicinò cautamente.
Era strano tutto quanto. Subito dopo la chiamata di sua madre qualcuno stava dietro la porta ad aspettare, l'avevano ascoltata? O erano giunti dopo?
Le mani di Emberly tremarono, si strinse nel giaccone sperando che quel calore istantaneo l'avesse potuta proteggere e aprì velocemente la porta.
Pronta a tutto, ma strizzando gli occhi per la paura.
Non sentì nulla, nessuno era lì.
Riaprì gli occhi, solo studenti che gioccherellavano tra loro tirandosi un pallone da rugby per palleggiarlo.
Emberly lo prese al volo, stringendolo tra le dita e lanciando un'espressione fulminante verso Desmond Ghallarfer. Uno stronzo che non sarebbe dovuto essere neanche nei condomini del college, ma allo stage del Faraday Mountain Magazine.
«Andatevene via!» gridò lei con ancora il cuore che non smetteva di provare a uscirle dal petto.
Il suo piede colpì qualcosa appena fece per indietreggiare e richiudere la porta, abbassò lo sguardo e vi erano solo delle rose nere e rosse, avvolte in un fiocco dele medesimo colore. Era un bel mazzo contornato da gambi spinati finti.
Lo guardò strabuzzando gli occhi.
Prese tra le mani il mazzo, lasciando cadere il pallone e facendo istintivamente avanzare Desmond Ghallarfer.
«Ridammi quel pallone»
«Sta’ zitto», si rigirò i fiori tra le mani con ancora il fiato sospeso e in pochi attimi, vide anche la figura di Iskra, sua sorella entrare nel corridoio.
Corse da lei, con ancora il mazzo in mano e la porta della sua camera mezza aperta.
«Iskra!», la raggiunse aggrappandosi al suo braccio, «Abbiamo un problema!»
𝘼 𝘾 𝙃 𝙇 𝙔 𝙎
𝘼chlys sospirò guardando l'orologio a pendolo appeso sulla facciata di muro bianco e nero avanti a lei.
Erano le sette e mezza di sera.
Le sue dita tamburellava sul banco di scuola, ne mancava un'altra per uscire da quell'obitorio di punizione.
Rigirò gli occhi chiari per osservare Autreus.
L'aveva trovato così coraggioso da parte sua finire in punizione con lui solo per proteggerla, "che cavaliere..."
Stava giocando con il suo pacchetto di sigarette, un segreto di stato per tutta la sua famiglia, anche se sia Hyde - il padre - e Vuardian - il fratello - fumavano come ciminiere, secondo lui era ancora "troppo piccolo" per fumare.
Achlys sbuffò, era una cazzata.
Si può iniziare a fumare anche a dieci anni, basta che si è consapevoli delle proprie azioni.
E, pensandoci... si rigirò tra le dita la sua collanina mentre ancora tuoni e saette riempivano il cielo.
Si spostò i capelli neri su un lato, osservando il temporale per poi condurre il suo sguardo sui compiti che non aveva terminato, strappò un pezzo di carta da questi e ci scrisse sopra una frase. I suoi grandi occhi volarono su Autreus, accartocciò il foglietto e si alzò stringendolo forte in una mano.
Si alzò rumorosamente trascinando la sedia e, la professoressa di sostegno, la Douglas, alzò subito gli occhi cerulei.
«Posso andare in bagno?» chiese timidamente, a sguardo basso.
Si vergognava di ciò che aveva fatto per finire in punizione.
Anche se sostanzialmente non aveva fatto altro che "rispondere" acidamente a un professore, se l'avesse saputo sua madre...
La Douglas guardò a sua volta il grande orologio posizionato sopra la scrivania al fianco di un crocifisso che a Achlys terrorizzava.
«Non c'è la fai proprio a resistere? Manca mezz'ora...»
Tremò sentendo la voce autoritaria della professoressa ma reagì, negando.
«Vai...», si arrese la vecchia arpia protesa sulla scrivania.
Muovendosi velocemente, Achlys alzò lo sguardo furtiva e lanciò il bigliettino sul banco di Autreus.
Gli colpì la fronte risvegliandolo dalle nuvole in cui i suoi pensieri erano immersi.
Autreus strabuzzò gli occhi, rimettendosi dritto sulla sedia e scostando i capelli biondi dalla fronte.
Incontro la figura della sua amica, immediatamente, che era quasi vicino alla soglia dell'aula di geografia.
La ragazza diede le spalle alla donna, indicando con l'indice all'amico, di raggiungerla subito dopo di lei.
Autreus corrugò le sopracciglia castano chiaro chiedendosi cosa la ragazza volesse.
"Ok, forse non è così intelligente come pensavo...", pensò lei subito dopo ma Autreus dopo pochi secondi intese cosa fare e si alzò prontamente dallo sgabello su cui era appoggiato.
Achlys deglutì forte, tirando un sospiro di sollievo quando la professoressa sembrò non farsi domande, era così strano... stava pensando già a trovare già dei metodi alternativi a quello, per spedire Autreus e sé stessa insieme fuori da quell'aula ma era bastato semplicemente la domanda: "Posso andare in bagno?"
Forse anche la Douglas non ne poteva più di quel giorno di pioggia così aggressiva.
Sparì dietro al corridoio avanzando il passo verso il bagno della scuola, tra gli armadietti scovò subito il primo bagno, scuro e senza luci artificiali.
Anche se le finestre non davano spazio sufficiente abbastanza da poter far entrare anche quelle temporale.
Era umido e spaventosamente freddo, si massaggiò le braccia cercando di coprirsi mentalmente aspettando l'arrivo del suo migliore amico che però, tardava.
Si rigirò nel bagno le pareti blu, rendevano ancora più scuro l'ambiente dietro di lei le latrine puzzavano di piscio anche se l'odore di marcio, le fece ancora di più storcere il naso.
Gli specchi, invece avanti a lei proiettavano la sua figura bassa e in carne - almeno rispetto alle altre due sue sorelle, le più grandi.
A volte odiava il suo aspetto fisico, si vedeva grassa anche se non lo era, avrebbe voluto perdere qualche chilo in più rispetto all'estate prima ma non c'era riuscita...
Eppure Iskra le commentava sempre: «E per il tuo bene, Achlys. Non vorrai diventare come quegli schifosi obesi che vedi sempre mangiare al McDonald's!»
Alzò gli occhi al cielo, si volle scacciare di mente l'immagine della sorella, ora era lontano da lei ed era meglio così.
Poi un tonfo la distrasse, che fosse Autreus? Finalmente?
Achlys sussultò di nuovo, un altro tonfo, questa volta pareva vicino, si girò intorno, guardandosi le spalle.
«Autreus se questo è uno dei tuoi scherzi deficienti... non è divertente, sai che non ho paura!»
Ed in effetti, cominciò a sorridere credendo che Autreus fosse lì in qualche bagno nascosto, pur non sapendo come fosse arrivato prima di lei.
Era vero che Achlys non aveva mai paura, di niente e di nessuno anzi... quando andavano al cinema a vedere i film più violenti o semplicemente horror, era Autreus a stringere la mano a lei, non il contrario.
Achlys era terrorizzata solo di una cosa: le persone, l'unica cosa dalla quale Autreus la poteva proteggere, per altro ci avrebbe pensato lei a lui.
Le persone giudicavano sempre, guardavano tutto.
Le sfiorava l'idea che in classe, durante quella brutta figuraccia tutti la prendessero in giro, compreso il suo migliore amico.
Achlys non gli aveva parlato fino a quel momento, per tutta la durata della punizione, era stata offesa dai suoi stessi pensieri che il ragazzo avesse potuto prenderla in giro.
Nel suo profondo poteva pensare che era stupida solo a pensarlo, che non era vero, che Autreus le voleva bene, la voleva proteggere. Sarebbero andati a quella festa insieme, quella sera poi...
Ma a volte la testa di Achlys non funzionava, le diceva cose che sapeva essere non vere e lei ci credeva lo stesso, come una bambina.
Autreus la proteggeva da queste, a volte.
Per questo lei era convinta che i due si completassero.
Bussarono un'altra volta, una delle porte delle latrine sembrò tremare. Lei spalancò gli occhi, come se Autreus fosse giocando anche troppo bene che avrebbe potuto spaventarsi da solo.
Non stava funzionando, neanche quando un fruscio le passò accanto come vento gelido, posizionandosi sulle sue spalle.
Si sentì mancare il respiro qualcosa la stava afferrando dal collo, i suoi occhi sembravano uscire dalle orbite. Cercò di afferrare le mani nere con le sue dita ma erano troppo grandi, troppo forti...
Una lingua le si insinuò sul lobo dell'orecchio, leccandolo. Una voce sussurrava qualcosa, ma Achlys non capì.
«La Hemingway... ti stavo cercando da tanto, quella collana non passa mai inosservata», il tintinnio della chiave al suo collo fu l'unico rumore percettibile oltre quella voce.
«Di’ a tutti che siamo tornati, Hemingway», sentì una prima voce, poi un'altra figura le si parò davanti ma non aveva volto, anzi una lunga veste oscura faceva da costume a quella persona. «o forse dovremmo ucciderti e, sarà quello il segnale...», sentì ridere.
Una voce roca, brusca e aggressiva.
Un'ennesima figura entrò in scena, sentì il cuore esplodere contro la gabbia toracica, Achlys stava morendo. Se lo sentiva.
Tutte i peli le si erano rizzati dalla paura, le vene avevano cominciato a pompare più forte il sangue e stava sudando freddo lungo tutto il corpo.
«L'unica donna della combriccola morta!» ridacchiò qualcun altro.
«Ti sei dimenticato della Kayer?», una voce bambinesca quasi mai sempre gracchiante, «Lei l'abbiamo già in pugno, vediamo se questa è più simpatica...»
Un nodo alla gola si formò, facendole formicolare tutte le braccia e le gambe che presero a tremare.
"Ti prego, Autreus salvami...", pensò solo.
Le mani nere liberò la presa, ed anzi, quelle figure sparirono nel nulla come se fossero fantasmi e Achlys le avesse semplicemente sognate.
Chiuse gli occhi, sentì il collo dolere mentre le sue ginocchia cadderò al suolo sfracellandosi.
«Achlys!?» la chiamò qualcuno, lei aprì gli occhi di scatto, tenendosi forte tra le mani la collana che quelle figure particolari le volevano strappare dal collo.
«Autreus!» urlò lei, abbracciandosi al suo collo senza lasciarlo ed anzi saltandogli in braccio con un balzo veloce, al quale il biondo non si rifiutò di indietreggiare.
Le accarezzò la schiena massaggiandola con movimenti lenti.
Achlys sentì altri passi.
Veloci e incalzanti che correvano tra le aule.
Gli si mise da scudo, nonostante fosse vulnerabile e fragile di nuovo. Si sentiva pronta questa volta. Nient'altro che non aveva dato tempo di metabolizzare, gli avrebbe spaventati ancora entrambi, di nuovo.
Achlys alzò gli occhi con spavalderia e incontro quelli verdi di sua madre.
Demetria Hemingway era lì e sapeva perfettamente cos'era successo, lo si intuiva dal suo sguardo terrorizzato dai suoi occhi magnetici increspati sulla figlia sepolta tra le braccia del suo migliore amico.
«È finita...» mormorò solo.
È finita? Cosa è finito?
𝘿 𝙀 𝙈 𝙄
«Andiamocene!», intimò ai due ragazzini Demi.
Sapeva che Hyde avrebbe ignorato completamente ciò che gli avrebbe detto il figlio, ma non lei.
Cominciò comunque a tempestarlo di chiamate nel frattempo che giungevano alla macchina.
I tre cominciarono a correre, alle loro spalle si lasciavano la scuola che stava cominciando a vedere l'oscurità della notte e, quando uscirono la luna e le stelle sparirono per colpa dei lampioni che offuscavano la vista del cielo.
La pioggia aveva smesso di sbattere contro l'asfalto con dedizione, lasciando il posto a umidità e gelo. Erano scese le temperature talmente tanto che non sembrava neanche essere settembre ma più una giornata di novembre o dicembre.
Demi rallentò appena, afferrando le chiavi della macchina. Non aveva intenzione di portare a casa Autreus, lo doveva tenere al sicuro, se qualcuno aveva attaccato a sua figlia, poteva attaccare anche lui.
Salirono sulla Jeep Gladiator di Demi.
Autreus allargò la bocca dallo stupore, fino a quel momento non era mai salito su una macchina del genere, quasi non l'avesse mai vista. Esalò un lungo respiro e si posizionò nei sedili posteriori.
Nessuno dei presenti aveva ancora accennato a ciò che era successo, neanche Autreus pareva saperlo in realtà.
Era sicuro solo di essere davvero spaventato, terrorizzato a dir la verità ma sentiva il bisogno di disegnare, senza un apparente motivo.
Le mani gli formicolarono per interminabili secondi, almeno fin quando il motore dell'auto non rombò almeno due o tre volte.
Sembrava non funzionare e Demetria aveva cominciato sin da subito a lamentarsi.
«L'ho portata questa mattina dal meccanico, cazzo!», sbatté la mano sul clacson che risuonò fortunatamente piano.
La macchina finalmente fu pronta a partire e, la donna si lasciò a un sospiro di sollievo, per poco però perché rammentò subito i ricordi di poco prima.
La figlia era avvolta dalle braccia di Autreus, il figlio del suo ex migliore amico, terrorizzata come se avesse visto qualcosa di malefico.
Demi gli aveva visti entrare, aveva visto e sentito ogni cosa pur non avendola avuta davanti.
Potevano prendere lei, ma non le sue figlie, mai. E con tutto quello che stava accadendo, anche a quelle più grandi aveva deciso di reagire immediatamente.
«Cosa ti hanno detto, Achlys?», fece retromarcia per immettersi in strada.
Ancora la mora non aveva accennato a dire niente. Sembrava essere sotto shock, non muoveva un muscolo, era seduta con lo sguardo retto e trasparente sull'asfalto bagnato e colmo di pozzanghere.
Gli occhi fissi su un salice piangente al di là del liceo. «Achlys...», gli scosse il braccio Autreus da dietro i sedili, lei si risvegliò.
«Mamma, chi erano?», si agitò la figlia spostando i suoi occhi chiarissimi su di lei e sistemandosi la felpa che, il ragazzo le aveva prestato sopra le spalle per coprirsi meglio.
«Achlys, vogl-»
«Credevano che fossi tu, mamma.»
La sua voce fu seria e fredda, come se volesse darle la colpa.
Lo stomaco di Demi fece un tuffo.
«Perché l'hanno pensato?» chiese Autreus dai sedili dietro sporgendosi verso la sua amica, si scambiarono un'occhiata fugace.
Erano entrambi confusi.
«Ho detto alle tue sorelle che ci saremmo trovate a casa», ignorò entrambi.
Guardava fuori dal finestrino guidando, senza far caso ai pensieri che aveva in testa che continuavano a dirgli che stava facendo la cosa sbagliata.
Avrebbe dovuto chiamare Blake, immediatamente, ma si erano persi di vista e se si fosse dimenticato?
No... lui aveva lasciato un marchio nel cuore di Demi e lei nel suo.
Sospirò agitata, stringendo i denti e le dita intorno al volante.
Superò la magione gremita di pipistrelli e corvi a farli compagnia, li lasciò un occhiata veloce prima di continuare per la stazione.
Ci sarebbe dovuta passare vicino, per forza e, tremò al solo pensiero. Anche se, l'andata non era stata così difficile...
I lampioni illuminavano la strada lugubre, nessuno era in giro a quell'ora e i cuori dei tre sembravano tamburellare, oltre ogni altro suono.
I brividi percorrevano tutto il corpo della mamma di Achlys, non solo per il freddo ma vedendo la stazione con il cartello "lavori in corso", si ricordò di ventidue anni prima.
Quando lei e Blake, videro ciò che due ragazzini non avrebbero voluto mai. Il loro amico li aveva traditi, si era schierato dalla parte opposta a loro. Aveva collaborato con il male, con la Congrega...
La macchina si spense d'improvviso appena prima di superarla, davanti a loro un gigantesco albero era caduto a bloccare la strada adiacente alla stazione dei treni.
«Mamma», la voce di Achylis tremò, i suoi occhi terrorizzati giunsero sulla figura della madre che in preda al panico, cercava di partire girando le chiavi.
Avrebbe voluto fare retromarcia e fuggire dalla parte opposta, pur di non passare vicina alla stazione. La terrorizzava, e quell'albero lì, che prima non c'era?
Ora stava lì. A bloccargli la strada. Com'era possibile?
Il temporale non era stato così forte da bloccarglielo.
Autreus sembrava quasi disperarsi, non aveva più parole, non sentivano più la sua voce.
Pareva fosse svenuto, anche se non lo era.
«Oh no...» realizzò Demi.
«“Oh no”, cosa?», sentirono la voce fievole di Autreus giungere alle loro orecchie.
La Jeep non si muoveva più, qualcosa nel motore non andava o le gomme erano rotte. Era un peccato ammettere ai due adolescenti che sarebbero dovuti continuare a piedi, passando proprio per la stazione.
La quercia enorme ricaduta sull'asfalto rigonfia di rami e foglie pareva impossibile da superare.
Non potevano sorpassare il ponte e la strada era chiusa per lavoro, dato per cui, sarebbero dovuti entrare e attraversare lì.
Si fece coraggio, prendendo le redini della situazione ma in realtà aveva una paura dannata, anche più della figlia e di Autreus, uniti insieme.
«Andiamo. Ci dobbiamo muovere, dobbiamo andare a casa...», insistette la donna, slacciandosi la cintura e incitando ai ragazzi di fare lo stesso.
«Mamma!», la richiamò ma lei chiuse la portiera.
Achlys guardò negli occhi Autreus, le sue pupille dilatate e il viso storto in un broncio pareva essere intimorito dalla situazione.
Ma c'era lei con lui.
Scesero insieme, mentre la madre, cercava di trovare una soluzione per non passare da dentro la stazione.
«Mamma... mi vuoi spiegare, per favore, che succede!?» chiese lei, giungendole accanto.
«Achlys non abbiamo tempo. È passato... è passato tanto», iniziò a balbettare non vedendo strade alternative a quelle, ragion per cui si fece seguire dentro l'edificio diroccato.
«Non raccontare mai di questo a tuo padre...» intimò il figlio di Hyde Halley.
Lui annuì silenzioso, dietro le sue spalle stretto alla mano di Achlys che la strinse ancora di più.
Sentì ogni nervo tendersi e cercò di essere coraggiosa per la madre ed il suo migliore amico, ma sarebbe voluta scappare, piangere e non tornare più.
Il grosso ingresso rotondo dell'area dei treni era fermo da ventidue anni esatti.
Si ricordò ancora quel giorno gelido, freddo in cui successe l'incidente in cui la gente strillava, il caos aveva preso il sopravvento e lei e Blake cercarono di sfuggirne, nonostante volessero ancora aiutare.
La stazione era composta da due piani.
I binari erano nel pieno dei loro lavori e l'eco dei loro respiri si poteva anche solo percepire.
Demi mimò ai ragazzi di stare in silenzio mentre camminavano e di guardare attentamente dove mettevano i piedi.
Non si sapeva mai e se qualcuno fosse arrivato a cacciarli, non c'era un anima non funzionavano i cellulari perché non c'era campo, erano isolati, abbandonati completamente a loro stessi.
Demetria tratteneva il fiato.
Achlys respirava a fatica.
Autreus lo trattava per pochi secondi e ricominciava a respirare.
Il biondo era sorpreso alla vista dei vecchi treni di linea ancora fermi sui binari, era stato impossibile spostarli, alcuni.
Poi improvvisamente, sentirono dei passi sopra le loro teste.
I cornicioni e corridoi neri della stazione abbandonata sembravano circolare sotto quelle gambe anonime.
Demi si girò verso i due giovani inserendo l'indice di una mano, ben curata, avanti alla bocca.
Achlys si strinse a Autreus, entrambi annuirono.
I capelli biondi del ragazzo sembrano rizzarsi come se avessero preso elettricità.
Demi si sporse per vedere se facesse parte dei buoni, o no...
Un grosso uomo passeggiava con un sigaro fra i denti, vedeva le nuvole di fumo fuoriuscire mentre da una vetrata luminosa scorse un altro gruppo di persone.
Oh no...
Non poteva essere... erano loro?
Come era possibile?
Demetria per sporsi e guardare più in alto fece vacillare dei sassolini e dalla polvere che provocarono un rumore fin troppo forte.
La figlia minore era lì, lì per urlare a squarciagola ma fu bloccata da una mano grande, quella di Autreus che la fermò in tempo mentre Demi, si nascose.
L'omone grosso e imperterrito si sporse con altre nuvole di fumo a fargli da scena dietro di lui. Si aggiustò la giacca e la camicia eleganti, prima di girarsi e tornare alla riunione.
Tutti e tre tirarono un sospiro di sollievo, piano piano continuarono a passare sotto il cornicione del secondo piano.
L'alabastro blu e nero, illuminava la luce giallastra provienente da sopra.
Il rumore del cuore di Demi tamburellava così forte che anche gli altri parevano udirlo.
Finché un altro rumore sordo non gli distrasse.
Una suoneria del cellulare, il taschino dei pantaloni della madre cominciò a vibrare ripetutamente con una canzone pop-rock a risuare.
I presenti spalancarono gli occhi.
Demi prese il cellulare in mano vedendo lo schermo: "Emberly".
"Cazzo!" Pensò.
Alcuni sguardi giunsero piano a guardare le tre prede di quella sera.
Non fece in tempo a chiudere la chiamata poiché si accorse delle facce che ormai erano pronte ad acciuffarli.
«Correte! Ora!», il grido della più grande lacerò tutto l'enorme edificio gotico.
I corvi si innalzarono a volare lontani dalla stazione abbandonata.
Ancora però, il cervello di Demi pensava alle figlie, domandandosi se non fosse mai uscita, loro tre che avrebbero fatto?
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