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Kiba, da gentiluomo quale era, aveva dato la precedenza a Temari, facendola entrare in casa per prima, dopo che Akamaru gli era passato in mezzo alle gambe con fretta e irruenza, premuroso di andarsene a cuccia a dormire.
Il padrone aveva borbottato qualche insulto rivolto al cagnolone che lo stava abbandonando, lasciandolo senza supporto, nel momento di più totale bisogno: lo invidiava, ora più che mai, invidiava il suo cane e la sua vita semplice, senza complicazioni.
Non che la sua vita, in realtà, fosse mai stata complicata o faticosa, anzi, era sempre stato fin troppo fortunato, se il suo percorso, a volte, prendeva una svolta più ''impegnativa'' era solo colpa sua e del suo bisogno di ficcarsi nei guai una volta ogni tanto, ma, anche in questo caso, almeno fino ad ora, la fortuna, e il suo fidato Akamaru, lo avevano assistito, anche perchè l'uomo non aveva mai avuto un gran ingegno.
Questa volta, però, sia il suo cane che la fortuna sembravano averlo abbandonato a sè stesso, aveva la totale responsabilità delle sue azioni e delle conseguenze di esse, nessun miracolo lo avrebbe salvato, la situazione in cui si trovava era una prova per testare la sua maturità, apparentemente inesistente, oppure era il karma che stava punendo il suo irrefrenabile istinto da ficcanaso.
Aveva richiuso la porta, che aveva emesso un lungo e acuto cigolio, alle sue spalle e si era tolto le scarpe, abbandonandole in maniera disordinata, davanti all'ingresso, mentre quelle di Temari erano poste ordinatamente, senza recare ulteriore intralcio, in un angolo.
Avrebbe voluto fare il buon padrone di casa e offrire all'ospite qualcosa da bere, cercando, di nuovo, di temporeggiare, ma l'idea non aveva nemmeno fatto in tempo a prendere forma nel suo cervello, che si era ritrovato, non appena messo piede in casa, la donna addosso.
Temari non aveva perso tempo, non appena giunti a destinazione, appartati in un luogo sicuro, aveva subito preso iniziativa, avventandosi, famelica, sulla sua adorata preda, che si era, ingenuamente, intrappolata nella sua stessa tana, luogo in cui Kiba aveva stupidamente pensato sarebbe stato più sicuro delle isolate strade di Konoha.
Aveva indietreggiato, a piccoli passi, cautamente, quando la bionda aveva avanzato a falcate, con fermezza e audacia, in sua direzione.
Lo guardava, intensamente, con i suoi grandi occhi verde opale: le emozioni che si celavano dietro a quel paio di gemme preziose, brillanti, erano miste e varie, tanto che era quasi impossibile decifrare quale sentimento stesse prendendo il sopravvento sull'altro.
Temari era affamata, bramava la carne, il tepore del corpo massiccio di Kiba, voleva avvinghiare le unghie, con tutta la sua forza, nei suoi possenti e sodi muscoli, affondare i denti nella sua giugulare, percepire il bollente sangue pulsare, voleva sentire la sua preda fremere, irrigidirsi e rilassarsi a ogni sua incursione, il suo respiro farsi pesante, esanime.
Allo stesso tempo agognava di essere dominata da lui, voleva essere ristretta, sentirsi sottomessa dalla virilità dell'uomo, impossibilitata nei movimenti, nella fuga, nel dominio della situazione, costretta a cedere, a sua volta, alle aggressioni da parte dell'altro.
L'Inuzuka si era ritrovato con la schiena contro la penisola della cucina, aveva indietreggiato il più possibile, mettendosi all'angolo, cercando di sfuggire da Temari, senza grandi risultati: era una preda intrappolata nella sua stessa tana insieme al suo predatore; si era portato in casa la donna sapendo benissimo quali sarebbero state le conseguenze di quell'azione, eppure ancora cercava di sviare, di salvarsi, dall'aggressione da parte di lei.
Forse non aveva poi così tanta paura, forse, infondo, voleva che lo assalisse, forse voleva vedere di che cosa la donna fosse capace, che cosa sarebbe scaturito da tutta quelle emozioni represse, forse voleva essere la sua vittima, il suo martire, il suo complice, il suo amante: ma se davvero questo era ciò voleva, avrebbe dovuto prendersi le responsabilità di ciò a cui sarebbero andati incontro una volta dato inizio allo scontro, a chi avrebbe prevalso l'uno sull'altro.
Perchè l'ego del suo essere Don Giovanni si era ingrandito, godeva, del fatto che Temari, che tanto lo aveva disprezzato, ora fosse totalmente alla sua mercè, che la moglie di uno dei suoi amici gli stesse dando il credito che si meritava, che avesse riconosciuto la sua virilità, la sue capacità, il suo potere.
Questa piccola parte di lui che si stava crogiolando nel piacere della decisione di Temari, stava crescendo pian piano dentro l'uomo e, ciò, a Kiba, non piaceva affatto: la sua razionalità, la sua lealtà nei confronti di Shikamaru, lo stavano implorando di tirarsi indietro, di non farsi adescare dalla donna, di non abbandonarsi alla debolezza della carne e all'avidità del suo ego.
Non poteva nemmeno dare la colpa all'acool per come si stava comportando, perchè non era nemmeno così pieno da poter usare la scusa della sbronza come difesa, come via di fuga dalle sue responsabilità.
La bionda aveva del tutto eliminato la distanza che separava i loro corpi, con un altro paio di passi, di falcate, aveva del tutto intrappolato l'Inuzuka tra il mobile e il suo corpo.
Lo guardava, dal basso, affamata, carica di ingordigia, prepotentemente; l'espressione sul suo volto era seriosa, concentrata, statica, i lineamenti del suo viso erano tesi, le sue labbra, di cui l'uomo aveva avuto un breve, irrisorio, assaggio, erano serrate e tirate in una linea sottile.
Il suo lungo e sottile collo esposto, appena illuminato dalla fievole luce calda, era arrossato per via della presa ferrea della mano di Kiba, mano che perfettamente aveva aderito a esso come se fosse stata una collana fatta su misura per lei.
Il suo respiro, ora regolare, trovato il suo usuale ritmo, era tiepido e leggero, calmo: Temari era tranquilla, o almeno così pareva esternamente, non sembrava agitata, tantomeno rabbiosa; aveva il controllo sulla situazione, su Kiba e sulle sue emozioni che, però, ben presto avrebbero avuto la possibilità di prendere forma, di esprimersi, di liberarsi dal suo corpo, dal quel vaso traboccante, instabile, che non aveva più capienza per contenerle.
L'Inuzuka aveva deglutito un groppo di saliva, il pomo di Adamo, che gli sporgeva al centro della gola, era scattato su e giù come una molla, durante la deglutizione.
Temari era bella e pericolosa, come era ciò che lo stava invitando a compiere insieme a lei, un'unione pregevole e rischiosa, ma assai allettante.
Le narici di Kiba erano assuefatte dagli ormoni rilasciati dal corpo della donna, una carica di feromoni così elevata, veemente, che dava alla testa, lo stordiva, tanto da nausearlo, mai, in tutta la sua vita, aveva percepito con il suo naso un profumo così tedioso.
Era nauseato ma allo stesso tempo desiderava di più di quella delicatezza: era come un tossicodipendente consapevole che la droga di cui si faceva lo avrebbe ucciso, ma incapace di smettere di farne uso perchè i suoi effetti positivi, seppur passeggeri ed effimeri, lo soddisfano talmente tanto che i sintomi negativi, a confronto, erano un lieve prezzo da pagare.
Temari voleva essere la droga più pura, il desiderio assoluto, la passione più infima.
Non si sarebbero danneggiati a vicenda, ma avrebbero macchiato con la loro unione la loro integrità, deteriorato un matrimonio già in pessimo stato.
Aveva fatto scorrere le mani sul petto dell'uomo, risalendo lungo i bordi della sua giacca, accarezzando con le dita il pelo scuro e morbido che ricopriva i bordi di essa.
Il suo tocco era delicato, fin troppo leggero e lieve, in totale contrapposizione con ciò che Kiba si sarebbe aspettato da Temari, ormai non si sarebbe nemmeno dovuto più stupire di come la donna fosse una totale e continuo conflitto, un contrasto tra armonia e caos, eppure, era proprio questa sua imprevedibilità che lo spiazzava ogni volta.
Poi si aggrappò, di nuovo, con fermezza, a quei lembi di tessuto morbido, proprio come aveva fatto quando era stata in pericolo di vita, quasi strozzata dallo stesso uomo a cui era avvinghiata ora, lo stesso che aveva afferrato il suo collo con forza, cingendolo, stringendolo tra le dia con estrema facilità; Kiba era la sua vittima, il suo carnefice, il suo complice, la sua salvezza, il suo strumento di piacere, non lo temeva, lo bramava, non lo detestava, lo inneggiava.
Lui era rimasto fermo, immobile, appena respirava, era teso, il suo corpo era carico di tensione, ma allo stesso tempo fremeva, irrequieto, sapendo che da lì a breve quella calma apparente sarebbe sfociata in tumulto.
Ormai si era abbandonato, totalmente, al volere di Temari, all'idea di fare sesso con lei, non avrebbe nemmeno più provato ad accampare scuse, a tirarsi indietro, sinceramente, quella piccola parte egoista in lui non aveva mai voluto farlo.
Aspettava, fremendo sul posto, il comando della donna, un segnale, l'ordine di attaccare, di assalirla, di possederla: che bravo e composto mastino, che nonostante gli ormoni in visibilio, sapeva contenersi e comportarsi a modo.
''Sembri a disagio. Ti rendo nervoso, Kiba?'' Aveva sussurrato, languida, mantenendo sempre un atteggiamento calmo, senza scomporsi, mostrare alcun tipo di sentimento sovrastante, uno dei tanti sentimenti che la stava guidando a compiere adulterio nei confronti di Shikamaru, che ormai non era nemmeno un ricordo nella mente della donna: Kiba ormai aveva la sua totale attenzione, era il suo unico perpetuo desiderio.
Si stava prendendo gioco di lui, pensava di poterlo davvero sottomettere, di renderlo docile, di poterlo ammaestrare con così poco?
Oh, no...
Temari stava cercando di giocare con lui e il suo autocontrollo: solo perchè se ne stava buono, a cuccia, si mostrava remissivo, impacciato, non voleva dire che lo fosse davvero, glielo aveva dimostrato una volta, non si sarebbe fatto scrupoli a farlo una seconda e, sapeva bene, che quello era proprio ciò che lei voleva.
''No, sono solo curioso.'' Aveva risposto, lui, con sicurezza; nonostante la sua voce fosse bassa e controllata, placida, c'era un non che di scherno, di irrisione, nel suo tono.
Il contatto visivo non era mai stato spezzato, entrambi aveva continuato a fissarsi negli occhi, cercando di non far trapelare nessuna emozione, cercando di non comunicare all'altro i propri pensieri, le proprie intenzioni, anche se in realtà erano ben chiare.
Le labbra di Kiba si erano inarcate, leggermente, verso l'alto, formando una piccola, tenue curva all'insù, una bozza di ghigno, quanto bastava per non far montare la testa a Temari, per ristabilire la neutralità, per farle capire che non era affatto turbato dai suoi gesti, non più.
''Davvero? Anche io sono curiosa.'' Aveva risposto, lei, il suo tono di voce si era fatto appena più acuto: certo che era curiosa, voleva proprio vedere che cosa Kiba aveva in serbo per lei.
Aveva trattenuto una smorfia di disgusto quando il fiato caldo e alcolico di lui le aveva solleticato il naso, procurandole un lieve fastidio, un giramento di capo: odiava quell'odore acre e pungente, Shikamaru impestava la camera da letto con il suo alito aberrante ogni notte; per lei, quell'odore rappresentava la non curanza, della disinteresse, la svogliataggine, l'irriverenza, l'insolenza, l'irriconoscenza da parte di suo marito nei suoi confronti.
Temari aveva allungato lentamente una mano verso il viso di Kiba, accarezzando, poi, delicatamente lo zigomo offeso: la pelle si era scurita, aveva preso una colorazione violacea, ben presto il livido si sarebbe fatto più scuro ed evidente, la guancia era appena più gonfia rispetto all'altra ed era piuttosto calda.
Il violaceo del livido sarebbe andato ad alterare l'integrità del rosso del tatuaggio, tipico del clan Inuzuka, che l'uomo aveva sulle guance.
Lui socchiuse appena l'occhio, quando il pollice della donna sfiorò la sua pelle deturpata, mentre una fitta di dolore gli aveva pervaso la guancia gonfia.
Aveva continuato a guardarla fissa negli occhi, osservando attentamente come la sua espressione fosse mutata, si fosse fatta appena più cupa, desolata: era mortificata, si sentiva in colpa per averlo colpito in maniera così vile.
La mano della bionda era rovente, e, purtroppo, il suo tocco non gli aveva recato alcun sollievo, tutt'altro, aveva amplificato notevolmente il dolore che quel livido gli stava procurando.
La faccia gli faceva un male cane, Temari era una delle kunoichi più forti della loro generazione, il moro ne aveva prese di botte in faccia, ma quel singolo incisivo colpo, carico di rabbia e risentimento, era stato di un altro livello rispetto a calci e pugni che aveva preso in passato; fortuna che era riuscito a scansarsi giusto in tempo per salvarsi il naso, altrimenti a quest'ora sarebbe stato in ospedale con il muso ridotto a un coagulo di sangue e frammenti di ossa.
Non aveva dubbi sul fatto che avesse l'osso malare fratturato, la sua faccia probabilmente non sarebbe stata più la stessa dopo quel gancio: Kiba poteva dire addio alla simmetria del suo volto.
Forse se si fosse fatto dare un'occhiata al più presto da Sakura poteva minimizzare il danno, ma a questo ci avrebbe pensato il giorno seguente, ora aveva di meglio a cui pensare, doveva concentrarsi sulla donna che aveva di fronte che desiderava le sue attenzioni.
Le dita di Kiba si erano avvolte perfettamente attorno al polso sottile di Temari, avevano abbracciato delicatamente la sua totale circonferenza, lentamente le aveva fatto allontanare la mano dal suo viso, liberandolo dall'opprimente calore che veniva emanato da questa, ritrovando un minimo di sollievo, nonostante il suo zigomo pulsante continuasse a fargli tremendamente male.
Anche la mano della bionda sembrava averne risentito della colluttazione con il volto dell'Inuzuka: le nocche erano gonfie e arrossate, e, proprio come la faccia di lui, l'arto della donna aveva una temperatura nettamente superiore al normale, come conseguenza alla contusione.
A differenza dell'uomo, però, Temari, non provava alcun dolore: l'adrenalina che fluiva florida nel suo corpo le impediva di rendersi conto di qualsiasi conseguenza derivata dalla sua futile disputa con Kiba.
Sperava che il moro fosse in grado di portarla allo stremo, che la lasciasse esanime, distrutta, senza energie, dolorante, ma soddisfatta, compiaciuta, vuota, libera.
La schiena di Temari si irrigidì, di riflesso, quando Kiba le cinse un fianco con la mano libera: le sue dita si mossero, leggiadre, nonostante il loro spessore, intorno alla vita della donna, accarezzandola con gentilezza.
I fianchi della kunoichi, fasciati nel leggero kimono color lillà, erano soffici e pieni; il corpo di Temari era sinuoso e prospero, la sua femminilità era abbondante, ma non eccessiva, la sua figura era armoniosa, nessuna parte del suo corpo eccedeva, sproporzionata rispetto al resto.
Fece una leggera pressione sulla carne morbida che le avvolgeva teneramente le anche, invogliando la donna a fare un ultimo passo in avanti, riducendo a zero la distanza tra i loro corpi, ora pressati l'uno contro quello dell'altra.
Kiba la stava sfiorando con una delicatezza e lentezza asfissiante, eppure quelle modeste lusinghe erano bastate per farla fremere; il suo corpo non era più abituato a essere accarezzato, qualsiasi tocco, anche il più lieve, la faceva infervorare.
Se la violenza con cui l'uomo le aveva afferrato il collo aveva fatto riemergere in lei il suo lato animalesco, la delicatezza con cui ora la stava accarezzando aveva fatto affiorare la sua pudicizia: era come se fosse tornata una candida vergine che non sapeva cosa avrebbe sperimentato da lì a breve, incapace di muoversi se non sotto la guida del compagno esperto, capace di mandare in estasi i suoi sensi con delle miti carezze.
''La dualità del tuo carattere è affascinante.'' Aveva sussurrato, pacato.
L'Inuzuka sapeva cosa stava facendo, corteggiare una donna gli era ormai facile; avrebbe benissimo potuto passare subito al sodo ed evitare le moine melense, d'altronde Temari era già alla sua mercé, ma sapeva quanto lei desiderasse sentirsi voluta e apprezzata, si meritava il trattamento completo e, lui, gliel'avrebbe concesso volentieri.
Seppur farle quel complimento era stata una mossa studiata, non era fasullo, tutt'altro, l'uomo davvero era incuriosito dalla complessità del carattere della kunoichi che, nonostante conoscesse da più di vent'anni, non era mai stato in grado di decifrare.
L'aveva, sempre, superficialmente, reputata una donna stoica, severa e prudente, aggressiva, senza scrupoli e filtri, non avrebbe mai pensato che nascosta dietro alla facciata della crudele kunoichi del Villaggio della Sabbia, si nascondesse una donna insicura, docile, bisognosa dell'approvazione altrui.
Quella lusinga aveva fatto breccia nell'ego di Temari proprio come Kiba aveva immaginato; si era irrigidita, in un sussulto, tra le braccia di lui, cercando di mantenere il contatto visivo nonostante l'imbarazzo che quelle parole le avevano procurato, facendola, di conseguenza, arrossire.
Davvero si sentiva una impacciata ragazzina incapace di accettare un complimento senza agitarsi.
Eppure quell'apprezzamento per lei valeva davvero tanto; l'uomo non le aveva fatto un complimento banale, riferendosi al suo piacevole aspetto fisico, chiunque sarebbe stato in grado di dispensare elogi prevedibili riguardo l'aspetto esteriore.
L'Inuzuka le aveva, di nuovo, dimostrato, di non essere affatto una persona superficiale e di scarso intelletto che lei aveva creduto fosse, si era già ricreduta in precedenza, eppure continuava a stupirsi di quanto quell'uomo potesse essere tanto diverso da come lo aveva sempre considerato.
Kiba aveva tirato appena le labbra in un sorriso malizioso e irrisorio quando aveva visto la reazione di Temari alle sue parole: dove era finita tutta la sicurezza e superbia che aveva dimostrato, poco prima, quando gli aveva osato chiedere se lo stava facendo agitare con le sue futili moine?
''Sembri nervosa. Ti metto a disagio, Tem?'' Le domandò, retorico, inarcando ancor di più le labbra verso l'alto, in un sorriso di sghembo.
Non si sarebbe fatto sottomettere tanto facilmente; a Kiba, da buon cane quale era, piaceva giocare e sarebbe andato avanti, imperterrito, a obiettare ai suoi tentativi di ottenere il perenne controllo su di lui: non importava quanto lontano e forte gli avrebbe tirato la pallina, lui gliel'avrebbe sempre riportata indietro, senza mai stancarsi di giocare, si sarebbe stancata lei per prima, si sarebbe arresa alla sua superiorità, alla fine sarebbe stato lui ad avere il controllo su di lei e sulla situazione.
Temari aveva crucciato le sopracciglia, sdegnata, cercando di recuperare l'autocontrollo; quel cane di un Inuzuka, proprio come, ormai, aveva constatato, era un osso duro, non mollava facilmente la presa e sapeva essere parecchio tenace e arguto: un ottimo avversario.
Avrebbe voluto controbattere a sua volta, avere la possibilità di difendersi, così come aveva fatto lui quando l'aveva provocato, ma non aveva fatto in tempo a schiudere le labbra per proferire parola, o meglio aveva aperto bocca ma, invece di una frase sagace, dalla sua gola aveva esaltato un sospiro attonito.
La distanza tra i loro corpi, se prima era stata minima, quasi nulla, ora era stata del tutto eliminata: Kiba aveva fatto aderire il corpo di Temari al suo, facendo pressione sulla parte bassa della schiena della donna per far sì che i loro bacini si comprimessero l'uno contro l'altro.
La bionda rimase con le labbra spalancate, muta, abituandosi lentamente alla pressione che il corpo di lui stava esercitando sul suo.
Quel cane di un Inuzuka ce l'aveva già duro, non che le dispiacesse essere stata in grado di farlo eccitare con la sua sola presenza, ma non si sarebbe nemmeno dovuta tanto stupire del fatto che al moro bastasse avere una donna vicino per entrare in modalità da mastino da riproduzione.
Sentiva la sua erezione premere, verticalmente, sul suo ventre morbido, seppur ci fossero i vestiti di mezzo, Temari percepiva perfettamente quel pezzo di carne turgida pulsare dall'eccitazione.
Di riflesso le era venuto da abbassare lo sguardo, ma Kiba non le aveva permesso di rompere il contatto visivo: le aveva afferrato, delicatamente, ma con fermezza, il mento, non lasciandole inclinare la testa nemmeno di un millimetro.
''Dalla quantità di feromoni che la tua figa ha appena rilasciato...'' Kiba aveva inspirato a pieni polmoni, analizzando l'aria carica di ormoni con le sue narici esperte, in estasi per colpa della donna.
''Intuisco che sia già fradicia.'' Aveva concluso, espirando, in un sospiro affannato, in cui si poteva percepire un non ché di frustrazione: non era di certo facile contenersi, trattenere il suo lato animalesco, con una tempesta ormonale in corso.
Si era leccato appena le labbra, affamato, socchiudendo appena gli occhi, cercando di mantenersi calmo, composto, in modo che, così, Temari gli avrebbe dato il comando, il via libera per cibarsi di quella delizia che aveva davanti a sè, aveva bisogno che gli desse il suo consenso, che fosse davvero pronta a farsi sbranare da lui.
Questa volta Temari non era stata remissiva, passiva, di conseguenza alle azioni dell'uomo, tutt'altro.
Era vero, la sua intimità aveva iniziato a rilasciare umori, lubrificarsi, pronta ad accogliere il sesso duro di Kiba che continuava a pulsarle contro l'addome: quel contatto fisico, seppur lieve, le era bastato per farla eccitare.
Gli aveva afferrato il polso con irruenza, liberandosi il viso dalla presa leggera delle dita di Kiba sul suo mento.
''Questo è niente. Posso...'' Aveva divaricato appena le gambe, guidando frettolosamente la mano di Kiba tra le sue cosce accaldate, facendosi spazio tra il tessuto leggero del suo kimono.
Il viso della bionda era crucciato, le erano sopracciglia inarcate verso il basso ed enfatizzando la sua espressione seriosa.
''Puoi fare di meglio.'' Aveva concluso, in un sussulto, cercando di trattenere l'eccitazione che aveva tentato di fuoriuscire dalla sua gola in forma di gemito, quando aveva guidato la mano dell'altro più in alto, verso la sua intimità, come aveva proclamato l'Inuzuka, fradicia.
Le mutandine di Temari erano più che umide, erano zuppe; il moro si era lasciato guidare volentieri dalla donna, che gli aveva fatto sfregare lentamente le dita, con leggerezza, senza fare troppa pressione, sulla sua intimità accaldata, ristretta nel tessuto bagnato.
Kiba non era riuscito a trattenere un ghigno, basito: Temari continuava a fare l'arrogante e peccare di superbia, sminuendo ciò che stava accadendo tra le sue gambe, minimizzando l'effetto che lui aveva su di lei, tradendo le sue parole con le sue stesse azioni; davvero era intrigato dalla sua personalità contraddittoria.
Di nuovo, la bionda, aveva dovuto strozzare un gemito che aveva tentato di sfuggirle dalla gola, aveva serrato le labbra, cercando di non lasciar trapelare alcun suono.
''Cucciola, non ho ancora iniziato e guarda come sei ridotta.'' Le aveva risposto, languido, tirando le labbra, ancor di più, in un ghigno di sghembo.
I suoi occhi attenti, che fino a poco prima erano rimasti puntati verso il basso, seguendo con attenzione i movimenti di Temari, il percorso delle loro mani, erano tornati ad analizzare il volto della donna, contratto appena in una espressione lussuriosa di godimento: era così disperatamente bisognosa di intimità che anche il più tenue effusione la faceva fremere dal piacere.
''Per favore... Inizia.'' Lo aveva supplicato, in un lamento sommesso, allo stremo, spazientita dall'infinita attesa, dalla tensione, dall'eccitazione.
Era arrivato il momento per Kiba di banchettare.
La camera da letto dell'uomo era disordinata quanto il soggiorno, se non di più.
Era una stanza piccola che sembrava ancor più stretta per via del disordine.
Il letto matrimoniale occupava una buona metà della camera, all'interno della quale, come altri mobili, c'erano solo un armadio, posizionato di fronte al letto e i comodini ai lati di esso.
Se non ci fossero stati a terra tutti quei vestiti, vuoti di bottiglie e altre cianfrusaglie, sarebbe stata una stanza parecchio spoglia.
Kiba aveva abbandonato a terra, senza cura, la sua giacca; da sotto la maglia a rete era possibile scorgere il suo corpo statuario, i suoi muscoli sodi e ben delineati.
L'Inuka le aveva fatto strada, in silenzio, verso la camera da letto, nessuno dei due aveva più detto una parola dopo le parole di supplica di Temari.
Si era, poi, inginocchiato a terra, al cospetto della donna, in piedi, dinanzi a lui, con la testa appena chinata in avanti, gli occhi opale puntati in quelli pece del moro che la guardava dal basso, sornione.
La fronte gli si era riempita di piccole rughe orizzontali, le folte sopracciglia scure erano appena inarcate in sù, in seguito al movimento degli occhi rivolti verso l'alto a osservare, da questa nuova angolazione, la splendida donna a cui stava per prestare servizio.
Aveva fatto scorrere le mani lungo le gambe morbide e sinuose della bionda, partendo dai polpacci sodi, risalendo verso la giuntura del ginocchio, fino a raggiungere le cosce piene.
La lentezza e la delicatezza con cui Kiba la stava accarezzando le avevano fatto venire la pelle d'oca, un brivido di piacere le aveva attraversato la schiena, mentre il suo basso ventre si era accaldato, se possibile, ancor più di quanto già non fosse.
Si era sollevata appena il kimono, facilitando i movimenti all'uomo, il quale aveva continuato il suo percorso sensoriale, aveva continuato a far vagare le mani lungo i fianchi di lei, delineando con le dita ogni sua curva.
Con le dita strette sul tessuto lillà, Temari, aveva sollevato, il più possibile, il vestito, rivelando ciò che si celava al di sotto di esso.
L'Inuzuka aveva raggiunti i bordi delle mutandine di cotone color lavanda che, con cura, una lentezza esasperante, sfilò, lasciando, finalmente, la femminilità di Temari libera da quel tessuto fradicio; fu un flebile, effimero sollievo per la donna che si irrigidì appena, tra le cure di Kiba, quando si rese conto che, davvero, finalmente, da lì a breve, la sua frustrazione emotive sarebbero state tramutata in puro piacere fisico.
La soffice peluria biondo cenere che le ricopriva il pube gli solleticava la fronte che aveva appoggiato contro il suo basso ventre.
Aveva inspirato, a pieni polmoni, riempiendosi le narici della dolce, pungente, fragranza che la graziosa vulva emanava.
Un grugnito roco, animalesco, gli era risalito dalla gola, aveva socchiuso gli occhi, impaziente, mentre la punta del suo naso si inumidiva sempre di più al contatto con l'intimità velata dagli umori.
Poi, piano, aveva insinuato la lingua tra le carni morbide e madide, delibando la polpa di quel frutto maturo e succoso sapientemente, prendendosi il tempo adeguato per degustare il suo succo prelibato prodotto unicamente per lui.
Kiba ne aveva degustate, in vita sua, di prelibatezze simili, ma, mai, aveva avuto l'occasione di assaggiare niente di così gustoso e strutturato, un sapore così persistente, complesso: la dolcezza e la sapidità dell'essenza di Temari, così come la dualità del suo carattere, erano in perfetto contrasto, creavano un'armonia sublime al palato.
E se, inizialmente, la sua lingua si erano mossa placida, tra l'intimità della bionda, stuzzicandola lentamente, abituandola all'intrusione, ora, il subdolo muscolo, aveva iniziato a farsi strada tra le soffici carni con voracità.
Ne voleva di più, sempre di più, di quel sapore celestiale, ingordo, insaziabile, continuava imperterrito, feroce, a nutrirsi dei succhi rilasciati dal frutto proibito custodito tra le gambe della coniuge Nara.
Un'oasi rigogliosa offriva eterno ristoro all'ingordo uomo.
Lei aveva divaricato di più le gambe, agevolando i movimenti all'uomo, dandogli la possibilità di raggiungere con le labbra la fonte da cui prendeva vita quel succulenta leccornia da cui l'Inuzuka era dipendente.
La presa del moro si era fatta ferrea sulle natiche soffici di lei, il viso affondato completamente tra le carni floride; Kiba appena respirava, il naso e le labbra, intrise di umori, erano premute sulla vulva palpitante.
Temari non gli facilitava affatto il processo respiratorio, tutt'altro, lo stava pian piano soffocando tra le sue accogliente femminilità: gli premeva la nuca, le dita affusolate aggrappate alle ciocche brune, contro la sua intimità, bisognosa di ottenere sempre più piacere.
La folta barba ispida che faceva attrito contro la pelle morbida delle sue cosce, irritandogliele, la infastidiva appena, la peluria abrasiva la solleticava, impedendole di stare ferma.
Aveva iniziato a gemere non appena le labbra soffici dell'uomo l'avevano sfiorata, la sua gola continuava a emettere quelle viziose, intese nenie.
Non riusciva a smettere di mugugnare quella cantilena sommessa, il suo corpo non le apparteneva più, era di Kiba, era lui l'artefice della sua incapacità di controllo del suo corpo, ormai in balia delle attenzioni dell'uomo si era lasciata andare al perpetuo piacere.
Seppur non fosse ancora sazio, soddisfatto della sua abbuffata, l'Inuzuka dovette, amaramente, allontanarsi dalla fonte di nutrimento per il suo ego, cedendo al bisogno primario di respirare.
Avrebbe voluto continuare ancora a lungo a crogiolarsi nel piacere che stava provando nel prestare servizio a Temari, ma se fosse andato avanti ancora un istante avrebbe perso coscienza per mancanza di ossigeno.
La parte inferiore del viso di Kiba era completamente fradicia, le labbra erano arrossato, gonfie e lucide, la sua barba era bagnata dagli umori e dalla punta del suo mento grondava di saliva mista all'essenza di Temari.
Anche l'intimità della donna era madida, l'interno coscia irritato appena dal continuo sfregarsi della barba ruvida di lui sulla sua pelle delicata.
L'Inuzuka respirava affannosamente con la bocca spalancata, il suo respiro era pesante, velocizzato, scostante; la mascella gli faceva un male cane, tra il dolore lancinante allo zigomo e quello che derivava dall'imperterrito, famelico movimento che aveva compiuto per svariati minuti di fila per dare piacere alla donna, i muscoli del suo viso si erano contratti.
I capelli scuri, solitamente acconciati in modo da non ricadergli davanti al volto, erano scompigliati: ciocche more, sfuggite alla prestanza della cera che, solitamente, li teneva in ordine, gli ricadevano disordinatamente intorno al viso sorretto, delicatamente, tra le mani di Temari che con gentilezza, un tocco tenue e frugale, aveva tentato, invano, di scostargli dal volto quei ciuffi ribelli a cui si era aggrappata saldamente fino a qualche istante fa.
La guardava dal basso, esanime, affannato, ma ancora affamato, incapace di darsi un limite nonostante il suo corpo gli stesse chiedendo una tregua da quell'ingordigia.
Le sopracciglia erano aggrottate, eppure la sua espressione, nonostante il pungente dolore e l'insoddisfazione, era rilassata, seppur bramoso di lei, così deliziosa e prosperosa, sapeva darsi un contegno quando ce ne era bisogno: in quel momento doveva riprendere fiato, aveva solo bisogno di un paio di minuti di tregua, tregua che stava cedendo, gentilmente, anche alla bionda, perchè una volta che si sarebbe ripreso da quel rischiato soffocamento, l'avrebbe sbranata per bene, non si sarebbe più trattenuto, avrebbe lasciato il suo lato animalesco prendere possesso di lui una volta per tutte e, dal quel momento in poi, non ci sarebbero più state pause.
Le sue labbra si arricciarono appena in un ghigno perverso, i canini appuntiti facevano capolino tra le labbra tese.
Temari lo osservava dall'alto, cercando di riprendersi a sua volta, percependo il suo corpo meno teso, si sentiva già più leggera, sollevata, aveva appena avuto un assaggio di quel piacere, o meglio Kiba aveva l'aveva appena assaggiata, e già si sentiva meglio: quella linguaccia arrogante in fin dei conti non era poi così fastidiosa, tutt'altro.
''Baciami.'' Gli aveva detto, anzi, ordinato, osservando con bramosia quelle labbra gonfie e madide, capaci di meraviglie.
Quello era un ordine, Kiba doveva baciarla, eppure, seppur si fosse espressa con fermezza, aveva sussurrato quella parola in maniera sommessa: una supplica proterva.
E l'Inuzuka non aveva esitato un istante, avrebbe soddisfatto ogni suo desiderio.
Si era rialzato in piedi, senza fatica, nonostante le sue gambe fossero state piegate a terra per parecchi minuti.
Ora, era lui che, di nuovo, la guardava dall'alto, sovrastandola con il suo corpo massiccio.
Nonostante fosse lei a dettare le regole, alla fine era sempre lui a dominare quel gioco vizioso, a prendere la decisione finale, a decidere come avrebbe soddisfatto le richieste della pretenziosa donna.
Si era fatto di nuovo serio, il suo volto era rilassato, solo i suoi occhi avevano il privilegio di lasciar trapelare il suo stato d'animo.
L'espressione sul volto di Temari era tanto statica quanto quella di Kiba e, proprio come lui, anche i suoi occhi la tradivano.
Gli occhi fissi gli uni in quelli dell'altra, era come guardarsi allo specchio, il proprio desiderio riflesso nello sguardo dell'amante.
Le accarezzò delicatamente il viso; le dita tozze, per quanto rudi potessero apparire, per quanto fossero più idonee a movimenti più rozzi, sapevano essere gentili.
Socchiuse gli occhi al contatto tiepido, le recava quasi malinconia essere sfiorata così dolcemente, era una sensazione, così come molte altre, che aveva dimenticato con il passare del tempo nella solitudine e l'abbandono.
Aveva bisogno delle cure di Kiba, necessitava che le mostrasse cosa volesse dire essere amata e apprezzata, avere un valore, si era fatta forza per così tanto tempo che aveva creduto di potercela fare da sola, d'altronde ce l'aveva sempre fatta, sin da bambina, a portarsi il peso della sua famiglia sulle spalle.
Ma tutti hanno un limite, un punto di rottura, anche le persone più forti caratterialmente, cadono a pezzi quando non riescono più a trattenere tutto quello che non si sono permesse di esprimere nel corso del tempo.
Per rimettere insieme i cocci, cercare di salvare il salvabile, con la speranza di rimettersi a nuovo, nonostante le crepe nell'anima, non sempre si ha il lusso di avere il collante necessario, abbastanza forza d'animo, per mettersi in sesto da sè, a volte bisogna ammettere a sè stessi, al proprio ego, di avere bisogno di un aiuto esterno, di affidarsi alle cure di qualcuno che sappia, con pazienza e delicatezza, rimettere insieme quei frammenti d'anima abbandonati a sè stessi per troppo tempo; il ruolo del restauratore è arduo, soprattutto se le reliquie sono così fragili e differite, da mettere in difficoltà, a rischio, la propria di integrità.
Il primo bacio su breve, ma lento: l'Inuzuka si sporse piano in avanti, poggiando con lentezza e moderazione la sua bocca su quella della donna; piano, fece combaciare del tutto le loro labbra e, con la stessa indolenza, dopo un breve, effimero istante di contatto, si scostò.
Temari rimase con le labbra schiuse, a inspirare il fiato alcolico di Kiba, frustrata da quel lieve approccio che non l'aveva soddisfatta fisicamente.
Ma quel bacio non era stato così irrilevante: la casta fanciulla inesperta che si celava in lei si era agitata e si era goduta appieno, seppur brevemente, quel tiepido e morbido contatto, di cui non rimembrava la piacevolezza.
Ed era stata la stessa ragazzina innocente, che aveva appena scoperto che cosa fosse un bacio, che appagata da quell'unione effimera, aveva deciso, impavida, spinta dalla curiosità e dall'ingordigia, di farsi avanti e chiedere di più di quel piacere carnale.
Frettolosa, vogliosa, aveva riunito le sue labbra a quelle di Kiba che ghignò, a denti stretti, lasciandosi piacevolmente coinvolgere dall'iniziativa della bionda.
Si era avvinghiata a lui: le dita, fino a poco prima intrecciate nei capelli mori, ora erano incastrare tra i fori della maglia a rete che l'uomo indossava, un insulso lembo di tessuto reticolato, che divideva il corpo massiccio di Kiba dalle sue mani avide.
L'Inuzuka aveva schiuso appena gli occhi, osservando di sottecchi l'espressione crucciata dalla concentrazione e dalla soddisfazione, il piacere, sul volto della donna: ci stava mettendo la stessa la foga e collera con cui aveva tentato, appena un'ora prima, di prenderlo a pugni; finalmente Temari aveva iniziato a dare sfogo alla sua rabbia repressa nel più piacevole dei modi.
Di nuovo l'aveva stretta a sè, cingendole la vita, facendo scorrere le dita sui fianchi pieni, le natiche sode e carnose che gli traboccavano dalle mani.
Mugugni sommessi e sospiri profondi, il fiato tiepido che sfiorava le labbra umide nei brevi secondi di pausa tra un bacio e l'altro, la barba ispida e fradicia che le abradeva il mento, la pressione delle sue mani sul suo sedere, il sesso duro e pulsante che le premeva contro il bassoventre: così tante e differenti sensazioni che, l'una con l'altra, la stavano mandando in estasi sensoriale.
Le labbra vellutate di Kiba erano in totale contrasto con l'ispidezza della sua barba, così come la sua gentilezza e affabilità erano in totale contrasto con la sua sfrontatezza e invadenza; il suo lato egoista, superbo, menefreghista, cercava di imporsi sulla la sua parte altruista, onesta, premurosa.
Anche lui aveva le sue dualità, le sue incoerenze, parti del suo carattere in totale contrasto, eppure non si rendeva conto di quanto, spesso e volentieri, più di quanto credesse, si notasse la duplicità della sua persona; due facce della stessa moneta, l'una che prevale sempre sull'altra.
La ragione e l'istinto in perenne lotta; aveva deciso di aiutare Temari e, per quanto volesse convincersi del fatto che la sua scelta fosse stata ragionata, nata dalla purezza della sua bontà d'animo, in realtà, era frutto del suo mero desiderio egoistico di sentirsi indispensabile.
E, allora, forse, non era, poi, così tanto diverso da lei, la quale pretendeva lo stesso riconoscimento.
L'istinto non ha coscienza, la ragione è coscienza: l'ego dell'Inuzuka si gonfiava, la sua integrità si macchiava; quanto ci avrebbe messo il suo ego a essere roso dai morsi della coscienza?
[5881 parole] - 7 Febbraio 2022
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