8. (𝕯𝖊𝖛𝖔𝖓)
Erano stati undici giorni davvero strani, contornati da una costante tortura: non gli capitava spesso di sentirsi tanto indeciso, tormentato sul da farsi, come roso da un tarlo. Da molto tempo aveva imparato a vivere inseguendo dei principi saldi e inamovibili: era stata l'unica strategia che gli consentisse di mettere a tacere quella voragine nera che ancora lo veniva a trovare.
Mantenersi leale verso la propria morale e il proprio re, verso di lei e del suo lascito, era l'unico modo che conosceva per riuscirsi a guardare allo specchio e trovare la forza di vivere. Portava quegli stessi principi con sé in guerra, ed erano gli stessi che nel viaggio aveva tentato di mantenere fermi: eppure, qualcosa era insorto a complicare le cose. Si era ritrovato a dibattersi tra possibili scelte, solo, come da sempre aveva decretato di voler essere. A un tratto si ritrovava infastidito, incapace di trovare una soluzione chiara agli istinti che lo animavano.
Dal ritrovamento di quei due ribelli aveva intuito di essere di fronte a un bivio: quella sensazione non aveva fatto altro che aumentare e crescere col passare dei giorni, nella conferma dell'indole tumultuosa della ragazza, difficile da gestire.
Devon aveva fatto un voto, tanto tempo prima: era stata una promessa solenne e mai pronunciata ad alta voce, ma che più di tutto aveva mosso fino a quel giorno i suoi passi e le sue scelte. Si ritrovava a venire messo alla prova da una donna dai poteri oscuri, che non solo non desiderava essere salvata o protetta, ma che si ostinava con tutte le forze a rendersi impossibile da tutelare.
In certi momenti, durante il cammino verso la capitale, si era detto che sarebbe stato meglio liberarli subito: l'atteggiamento e la scontrosità di quel Mistero non lasciavano alcuna possibilità di vederli risparmiati e permettergli di mettere una buona parola con il re. Poi, però, l'idea di lasciarli alla mercé di quella regione, dove prima o poi avrebbero incontrato il destino che la sorte aveva già posto dinanzi a loro, gli sembrava insostenibile.
Nessuno gli aveva chiesto di portarli via: con tutta franchezza, riteneva persino probabile che quella donna e il suo amico, una volta liberi, sarebbero tornati difilati ad Agonos per riprendere la loro missione suicida.
La ragione glielo ripeteva. La sua parte più intima e spontanea, invece, gli impedì di lasciarli andare e lo costrinse a portarli con sé. Li protesse lungo il viaggio, all'ombra degli stessi uomini che guidava: covava la vana speranza che quei due Misteri, fuori da lì, avrebbero scelto di non tornare più e si sarebbero salvati.
Dal giorno in cui la ragazza aveva aggredito Ewan, aveva iniziato a sospettare quanto il proposito fosse sconsiderato: si sarebbe ritrovato a mentire o a supplicare il re in persona, pur di non essere lui stesso cagione della loro condanna.
Appurato che un approccio minaccioso non aveva nessuna presa su di lei, aveva tentato di rendersi accondiscendente e non farla sentire in pericolo: persino quello l'aveva stizzita. Col passare del tempo e dei dissapori nella sua compagnia, aveva preso a temere che non ci fosse modo di convincere la stolta ragazza a farsi aiutare e portare al sicuro, lontano da quel luogo diabolico che per lei avrebbe covato solo morte. Si era dibattuto per un po' e aveva oscillato tra risoluzioni diverse, senza trovare una lucida risposta.
Poi, un giorno, Fawn si era calmata, senza che lui avesse idea di cosa l'avesse portata a tale decisione: il suo compagno si era reso collaborativo e lei aveva dato segni di voler placare la sua ira. Lasciava trapelare quanto ciò le costasse, e Devon aveva intuito che un accordo si fosse instaurato tra loro. Non era interessato al motivo che li spingeva: il suo ruolo sarebbe finito una volta portati quei due individui lontano, dove avrebbero conosciuto una possibilità di vita migliore. Avrebbe sciolto anche quel fardello con la propria coscienza.
Basta che lei rimanga tranquilla.
*
Una volta davanti a Reimen II, cercò di usare tutta la capacità di persuasione che aveva accumulato, per far sì che il sovrano gli credesse: tutti gli episodi di ribellione e insolenza da lei avuti non sarebbero passati inosservati, se noti.
Iniziò a temere per l'esito sperato quando il Re, di fronte alle sue parole, non diede immediati segnali di decisione, ma si stupì quando vide la figlia accorrere in suo soccorso per imbonire il padre. Sapeva poco dell'avventura di Idalia coi ribelli: doveva aver conosciuto bene quei due, se si spingeva a tanto.
Funzionò, almeno per quel momento: il Re scelse di rimandare la questione e lui tirò internamente un sospiro di sollievo, nel percepire che gli aveva creduto. Avrebbe avuto tempo di affrontare i suoi cavalieri e le loro opinioni più tardi, avrebbe pensato a come convincerli a non lasciar trapelare nulla.
Non aveva prestato troppa attenzione agli sguardi inferociti di quella ragazza alla sua sinistra, mentre si era svolto lo scambio col sovrano: si era convinto che avrebbe colto la palla al balzo e accettato di essere rilasciata.
Mentre li scortava verso gli appartamenti della servitù, lei lo aggredì di nuovo.
Non appena si ritrovarono in un corridoio in penombra, nelle ali inferiori del castello, Fawn velocizzò il passo. Lasciò Lyam indietro e arrivò a fronteggiarlo, per impedirgli di arrivare alla porta della loro stanza. Probabilmente aveva trattenuto quell'ira per tutto il tempo in cui avevano attraversato passaggi e scale, aspettando che non ci fosse nessuno a sentirli prima di affrontarlo.
Non può essere così stupida, mentre la vide aprire bocca per ringhiargli contro.
«Chi diavolo sei e cosa hai in mente di fare? Perché non hai detto la verità?» sibilò lei tra i denti.
«Avreste preferito lo facessi...?»
«Non è una risposta! Non ho bisogno dell'aiuto di una spia e non ho paura della sorte che deve dipendere dalle mie azioni! Se vengo messa in mezzo alle menzogne di un traditore qualsiasi, voglio almeno sapere perché!»
Possibile che debba essere così petulante?
Devon chiuse per un secondo gli occhi: cercò dentro di sé la pacatezza e ignorò le parole che quella sciocca ragazza gli aveva rivolto, pronunciate con l'intento di offenderlo. Li riaprì subito: «La sorte che vi toccherebbe per aver aggredito un cavaliere reale, oltre che per aver agito alle spalle di Sua Maestà, va dal carcere alla probabile forca. Se desiderate questo siete libera di costituirvi: io non sono solito agire da boia o persecutore. Ora, se volete scusarmi...» e fece per superarla e dirigersi verso la porta. Era deciso ad aprirla con le chiavi che gli erano state affidate, rinchiuderli là dentro e andarsene.
«Avrei diritto a un processo, come tutti i cittadini di questo regno! Il tuo adorabile sovrano non manderebbe certo a morire senza possibilità di appello dei mostri come noi, o no? Che ne pensa un bugiardo come te, di questo?» continuò a sputare lei, senza retrocedere di un passo dalla sua scena collerica.
«Non esistono processi giusti per gente come te, te lo vuoi mettere in testa, stupida ragazzina? Non so dove tu sia nata, cresciuta o diventata del tutto folle, ma te lo ripeterò per l'ultima volta: se desideri morire da stolta sei libera di farlo, senza la mia collaborazione» tuonò lui, ormai seccato dalla sua insistenza.
«E ora, spostati» aggiunse.
Gli parve di essere riuscito a placarla, o se non altro a intimorirla: non aveva potuto fare a meno di alterarsi e puntare sul suo aspetto imponente per zittirla. Non era nei suoi piani cedere e lasciar trapelare i sentimenti contrastanti che quella donna riusciva a cavargli fuori, ma se non altro era riuscito nel suo intento.
Lei si spostò di lato, in silenzio, senza distogliere lo sguardo giudicatore che gli puntava addosso dal primo giorno.
«Non ci sono processi giusti per gente come voi, volete mettervelo in testa?» sussurrò mentre lui, dopo avere aperto la porta della loro stanza, fece per andarsene. Si voltò a guardarla e lei riprese: «Vi siete dimenticato la vostra proverbiale educazione per strada, messere».
Senza più dire una parola, ignorò il suo sarcasmo. Devon si voltò definitivamente e li lascio lì, diretto a larghe falcate verso le camere superiori che il Re gli aveva riservato.
Manca poco e si toglieranno dai piedi una volta per tutte. Hai fatto il tuo dovere, questa volta il destino ti ha reso il compito più arduo, ma hai agito con giudizio. Manca poco e smetterà di tormentarti.
*
Quella sera, dopo essersi ritirato nella stanza preparata per lui, si diresse nella sala dei banchetti, in cui il Re aveva fatto allestire una cena ricca per il loro arrivo.
Tutti loro si erano dati una ripulita e si erano vestiti di tutto punto, approfittando degli abiti eleganti che il sovrano aveva fatto preparare. Lui aveva preferito indossare un completo comune, scuro e semplice. Coltivava ancora repulsione per quella nobiltà che gli stava stretta e di cui aveva cercato di liberarsi, quando l'aveva strappata via da sé. Anche dopo averla riacquisita per merito, continuava a detestarla e guardarla da lontano. Non la sentiva davvero sua, come una brutta piaga sul corpo che nascondeva e faceva finta di non vedere.
Rispose con un minuscolo sorriso a Talom, che di fronte al suo aspetto commentò: «Umile come sempre, Devon. Un giorno anche tu dovresti concederti un vizio o un lusso, non conosco nessuno che ne avrebbe più diritto di te».
Accennò a un ringraziamento prima di sedersi di fianco a lui. Notò il tavolo defilato in un angolo della sala, accanto al passaggio da cui la servitù entrava nel salone: i due prigionieri erano stati sistemati di fianco a scudieri e curatrici, sorvegliati a vista da guardie di sua Maestà. Gli avevano concesso di venire liberati e mangiare, seppure circondati come pericolosi animali. Devon immaginò quanto il Re dovesse sentirsi in difficoltà, incapace di capire come comportarsi al meglio di fronte a loro, prigionieri e al tempo stesso ospiti. Sapeva esserli sia pedine importanti di quei tempi e della politica che voleva condurre, sia amici di sua figlia, per uno strano scherzo del destino.
Li osservò da lontano: il ragazzo aveva un'aria imbarazzata e si guardava attorno di continuo. Indulgeva spesso nella direzione del Re, che sedeva al tavolo principale al fondo della grande sala, con le figlie ai lati. Lei, Fawn, alzava lo sguardo di tanto in tanto dal suo piatto ancora vuoto con fare truce, lo stesso atteggiamento scontroso a cui era abituato. Non poté fare a meno di notare che anche lei lanciava occhiate incuriosite al cibo, ai cavalieri o al salone, con un luccichio appena accennato. Capì come cercasse di captare i dettagli di quella stanza lussuosa e imponente senza lasciar trapelare la meraviglia e la curiosità che provava.
Devon si disse che entrambi, probabilmente, avevano umili origini, forse non avevano mai messo piede in un castello in vita loro. Si ritrovò a sperare ancora che si decidessero a lasciarsi alle spalle quelle imprese impossibili, a sistemarsi altrove e a trovare una nuova vita.
A rendere le loro esistenze tranquille ci penserò io, lontano da qui.
Scacciò via quei pensieri. Si ripeté che del destino di quell'uomo e di quella donna scontrosa, soprattutto, lui non doveva farsi carico. La sua parte di impegno l'aveva già portata a termine, ciò che sarebbe venuto dopo era una loro scelta da cui non li avrebbe mai messi in guardia: rivelare sé stesso era qualcosa che gli sarebbe costato troppo.
Fu distratto dal notare che il sovrano, con un cenno del capo, gli faceva segno di avvicinarsi.
«Devon, accomodati. Puoi farci compagnia per il tempo di una portata, perché non siedi di fianco a mia figlia? Potresti intrattenerla con le notizie da Agonos. Idalia conserva un animo coraggioso, per quanto sia solo una fanciulla. Sono sicuro che potrai allietarla, più di quelle avventure di cui legge tanto». Nel dirlo, sorrise appena e gli indicò con un gesto delle dita il posto vuoto.
Devon acconsentì: fatto il giro del tavolo e trovatosi al fianco di Idalia, si abbassò appena per baciarle la mano col capo chinato.
Il Re deve ancora nutrire speranze su quest'unione.
Aveva ringraziato, mesi prima, che fosse stata la principessa a rifiutare la proposta del padre: in assenza di una moglie o una promessa, lui non avrebbe avuto alcun motivo per opporsi a una tale decisione. Avrebbe solo offeso il suo sovrano. Non aveva mai avuto interessi coniugali: non erano sorti in lui desideri di quel tipo neppure quando gli era stata offerta la mano di Idalia. Sapeva quanto il Re vedesse in lui un ottimo affare per la figlia, ma il pensiero di ottenere più potere e titoli di quanti già non ne avesse lo spaventava.
Inoltre, l'idea che lei fosse costretta a un matrimonio con qualcuno che non sarebbe mai stato in grado di amarla, o renderla davvero felice, lo intristiva. Era grato a Idalia per aver messo un veto a quella scelta al posto suo, ma si ritrovava a sperare che non trovasse alcun tipo di ripensamento. Ogniqualvolta il Re aveva tentato di farli avvicinare aveva cercato di dimostrarsi distaccato, pronto a non darle modo di scorgere in lui qualcosa di ammaliante, ma solo il viso austero di un uomo freddo.
Prese posto sulla sedia vicino a lei, che dal canto suo gli sorrise con dolcezza per poi volgere lo sguardo al proprio piatto, imbarazzata. Era davvero bella, nemmeno il suo occhio indifferente avrebbe potuto ignorare l'attrattiva del suo aspetto: sapeva avere quasi vent'anni, per quanto ricordasse, ma ne dimostrava di meno. Piccola e graziosa, conservava ancora il candore dell'infanzia nelle gote pallide e in quel momento arrossate, spiccanti su un viso fine. La sua maturità si rivelava solo nella magrezza dei polsi e del collo, avvolti in un vestito color turchese. Non aveva i tratti di una donna provocante: le labbra erano appena definite, sottili, incurvate con gentilezza sotto a due occhi limpidi e puri. Un barlume di impertinenza li colorava, simile a quello di un bambino dispettoso, ma innocuo. Emanava un'aura particolare, dignitosa e impacciata al tempo stesso. Niente a che vedere con la luce aggressiva e disordinata che vedeva in quella donna violenta, da oltre una settimana.
Forse potrei anche farlo. Forse, in qualche modo, potremmo persino costruire qualcosa di buono.
Si ridestò da quelle riflessioni e smise di guardarla. Quei pensieri non avevano senso: non c'era nessuna speranza, per lui, nell'ipotesi di una relazione, e la ragazza meritava di meglio.
Fu a quel punto che notò due visi lontani, tavoli e tavoli più in là, fissi su di loro: Lyam aveva un'espressione che non riuscì a decifrare, vuota e stupita al tempo stesso.
Fawn invece lo guardava inorridita, senza celare in nessun modo la furia che le ardeva dentro.
🦌🤎⚔️🔥
C'è qualcosa, nei progetti del Re, che Fawn e Lyam non si aspettavano...
Come dite che reagirà la nostra cerbiattona irascibile? ;)
E il povero Lyam?
Quanto a Devon, vi aspettavate questo suo atteggiamento?
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