36. (𝕱𝖆𝖜𝖓)
⚠️ Attenzione: sono presenti scene di violenza e tortura esplicite ⚠️
Non le era chiaro quanto tempo fosse passato, il suo scorrere era ormai una dimensione confusa a cui non riusciva a dare una direzione.
C'era solo il buio, costante, schiacciante, interrotto da brevi momenti di luce che finivano tutti allo stesso modo. Frammenti casuali e senza un ritmo, che si ripetevano quando qualcuno dei suoi aguzzini decideva di rifarle la stessa identica richiesta.
La benda che le copriva gli occhi e le cingeva la testa ormai aveva smesso di essere percepita, di farle sentire la propria ruvidezza sulla pelle. I suoni si erano fatti più intensi, il modo di respirare era cambiato. Cercava di farlo in silenzio, all'erta in qualsiasi momento e pronta a spaventarsi per ogni cigolio accennato che si presentava nell'ambiente attorno a lei, ormai impregnato di paura. Si faceva più pesante e rumoroso solo quando udiva dei passi avvicinarsi, e non riusciva a controllarlo. L'aria era permeata da un odore che diventò man mano più acre, quando la costrinsero a espletare i propri bisogni senza staccarsi da lì. Forse finiva tutto in un secchio, che non venne svuotato per un lungo lasso, a giudicare dall'olezzo che le aveva saturato le narici. Decisero di ripulirlo solo a un certo punto, forse schifati dalla loro stessa idea.
Le sembrava di non avere più le mani, lo stesso dolore delle braccia imprigionate dietro la schiena e legate alla sedia era scomparso. Si sorprese a chiedersi se non le fossero morte del tutto, se le avrebbe ancora potute usare, una volta fuori da lì.
A patto che esistesse ancora un fuori. Che qualcuno si fosse accorto della sua assenza? Sì, ormai sì. Ma serviva davvero che tentassero di salvarla? Chissà, forse Lyam avrebbe provato a farlo, ma non era fondamentale che ci riuscisse.
In fondo, era meglio così. Avrebbe scelto un metodo più veloce, più rapido, se solo avesse potuto, ma il destino era comunque giunto alla sua stessa conclusione. Era riuscita ad aiutare qualcuno, e ciò contava più di tutto. Altre venti vite non sarebbero bastate a concederle il perdono, era inutile. Non sarebbe mai esistito un modo per tornare indietro, per rinascere senza quella maledizione addosso, per riportare la sua famiglia a volerle ancora bene o Darragh nel mondo dei vivi. Poteva solo rassegnarsi e andare incontro a ciò che le spettava, con un briciolo di coraggio. Quello che faticava a trovare, ma che si ripeteva di cercare con tutte le sue forze.
Aveva abbastanza buoni motivi per non meritare di salvarsi, ma l'importante era non cedere, non permettere loro di servirsi di lei... Ce la poteva fare, morire sarebbe stata la scelta definitiva a cui doveva puntare.
A intervalli indefiniti qualcuno le aveva ficcato una posata in bocca e del cibo stantio le era stato infilato a forza. Era poco ed era terribile, ma era così che la volevano, con grande probabilità. Abbastanza debole da non poter reagire, non troppo da non poter dare loro ciò che si aspettavano. Il sonno era un miraggio, ciò che anelava più di tutto. Ma ogni volta che cadeva addormentata qualcuno la colpiva da una direzione diversa, impedendole di scivolare dentro a quell'unica oasi di pace, la cui assenza ormai le logorava la mente. Le avevano già fatto perdere la lucidità? Si sentiva così intontita.
La morte sarebbe stata una dolce fine.
Nessuno la stava toccando da qualche minuto, però: le membra finirono per rilassarsi e avvertì che il corpo cedeva, bramando quella dolcezza. L'avrebbero interrotta, lo presagiva, ma poteva godersi almeno quei brevissimi, preziosi secondi...
Un tonfo secco e forte la fece spaventare. Quando qualcuno entrava nella stanza, o qualsiasi cosa fosse, era per due soli possibili motivi. Non doveva mangiare, era quasi sicura che fosse passato troppo poco tempo dall'ultima sbobba che le avevano rifilato. Poteva esserci un'unica ragione: ci avrebbero provato di nuovo. Si irrigidì, nonostante la stanchezza, e serrò i denti in una morsa spontanea.
«Vediamo se oggi ti decidi a collaborare, piccolo Mostro».
Passi pesanti che si fermarono a un certo punto, la sensazione di un fiato sopra la sua testa. Un fruscio leggero, mani che trafficarono dietro e intorno a lei. Una presa stretta e violenta ai lati del cranio, per tenerla immobile e fissa e impedirle di girarlo, mentre qualcuno da dietro armeggiava con la benda. La luce fece male, nonostante non fosse forte. La confuse per qualche secondo, la portò a sbattere le palpebre più e più volte.
Di fronte, la stessa immagine che ormai aveva l'aspetto di un incubo ossessionante. Pietra fredda e spoglia, una grossa finestra chiusa da sbarre in metallo arrugginito, al di là solo il cielo plumbeo e qualche striscia accennata di un verde smorto, cupo. In primo piano due fantocci di paglia, sempre gli stessi.
Non tentò nemmeno di muovere la testa, di ruotarla, era così esausta...
«Sai già cosa devi fare, inutile ostinarsi. Prima ti deciderai a capire, prima potrai uscire da questa situazione di merda. Allora, colpisci quello di sinistra».
Mi lasceranno dormire... Forse potrei farlo, solo per stavolta.
No. No. No.
Respiro e battito cardiaco accelerarono, ebbe un tuffo che le diede la sensazione di poter perdere coscienza. Da quanto non cambiava posizione o non lasciava riposare le membra?
No. Non dare loro quello che vogliono.
Non parlò. Non fece niente, le labbra fredde e serrate, i muscoli induriti. Stava arrivando.
Si sentì tirare all'indietro, i capelli che minacciavano di strapparsi e lasciarle lo scalpo, tante fitte piccole e acute come spilli violenti dentro la cute del cranio. La testa le si rivolse verso l'alto e si inclinò, il fiato di prima si fece più vicino e arrivò a solleticarle la fronte, con un getto caldo.
Qualcosa di piccolo e appuntito, gelido, le pungolò il fianco destro. Una lama.
«A un certo punto perderò la pazienza e ti farò male sul serio, strega. È questo che vuoi?» un sussurro, ma la voce la riconobbe, era quella che tornava più di frequente. Non aveva ancora un volto. Nessuno di loro lo aveva, erano solo mormorii diabolici che le si accalcavano nell'esistenza. Ammesso che stesse ancora esistendo, in qualche modo.
Dylam.
A Dylam era toccata la stessa sorte, ormai ne era sicura. Doveva pensare a lui, ricordarsi la propria identità, i volti delle persone care, il colore delle cose fuori da quell'abisso senza fondo.
Chiuse le palpebre, serrandole e provando a richiamare qualsiasi immagine che non fosse quella dannata finestra, il cielo grigio, la pietra.
Lyam. Papà. Dylam. Devon...
Un lampo scuro, prima che qualcosa le riaprisse gli occhi con violenza, dita grosse e sgraziate che le tirarono le palpebre. Sentì i bulbi bruciare.
«Non passi abbastanza tempo al buio, stronza? Ti ho detto cosa devi fare, non farmelo ripetere».
La presa che le manteneva la testa inclinata si allentò, per portarla a rimettersi dritta e guardare di fronte a sé, gli stessi fantocci ancora immobili. La morsa laterale però era sparita... si erano distratti.
Diede un colpo secco con tutta la forza che non credeva di avere, per liberarsi dalla mano, ruotò la faccia con velocità verso destra e all'indietro: una massa umana fugace le comparve nel campo visivo, ma non ebbe il tempo di guardarla con attenzione. Lasciò uscire ciò che poteva, una fiammata che si liberò nello spazio indefinito senza una meta precisa. Un'imprecazione e un grido... ce l'aveva fatta, aveva reagito.
Il dolore improvviso alla tempia arrivò insieme al buio che ritornava, grazie alla stessa benda che le venne legata in tutta fretta. Un altro colpo sordo le prese l'orecchio in pieno: fu attraversata da un fischio acuto che le impedì di capire cosa le stessero dicendo.
Ancora due colpi sull'altro lato, stavolta le percossero la guancia. Il sapore ferroso del sangue in bocca, la sensazione di qualcosa di bagnato che le colava lungo il mento.
«Piano, ha detto che la vuole viva...»
Una seconda voce, più bassa, più lontana.
«Serve che sia anche carina? In fondo esistono anche spose brutte, i denti non le servono».
La prima voce era diventata più concitata, arrabbiata, doveva essere lui il malcapitato che era riuscita a ustionare. Ma non abbastanza, riusciva ancora a usare le mani per picchiarla.
Un altro schiaffo.
Una risatina poco convinta e il secondo uomo riprese: «Lascia stare, tiriamo fuori altri metodi. Non mi azzarderei a rovinarle la faccia, o al capo non gli si rizzerà più, guardandola».
«Potremmo anche divertirci, con questa troia. Non saprà mai che l'abbiamo toccata».
Una mano le afferrò il mento, strizzandoglielo, mentre un altro tocco aggressivo le si infilò tra le gambe. Le strinse e iniziò ad agitarsi. Quello no, non se ne sarebbe rimasta inerme. Che la ammazzassero subito.
«Ho detto che cambiamo metodo, vedi di calmarti. Muoviti, aiutami».
Quale metodo? Cosa volevano fare? Una rinnovata piccola bolla di energia la agguantò, sufficiente a suscitarle piccoli brividi che le fecero battere i denti, sentiva i peli delle braccia e della nuca alzarsi. Il buio diventò silenzioso, opprimente, denso di disperazione.
Ce la puoi fare, qualsiasi cosa sia. Non cedere.
Tornarono dopo un tempo che sembrò immenso, cullato dal terrore dell'ignoto. Qualcuno le liberò le mani dalla sedia e venne alzata di peso. Cercò di divincolarsi, inutilmente, ma nemmeno la sua volontà aveva ormai la capacità di illudersi. Forse era meglio risparmiare energia per ciò che le volevano fare, non doveva permettere loro di averla vinta, in nessun caso...
Percepì che l'attrazione verso il suolo cambiava posizione, che il sangue le inondava il cervello e che le gambe erano in aria. Il corpo adagiato su un materiale liscio e legnoso, avvertì che delle corde le venivano passate intorno al torace, intorno al petto, intorno alle ginocchia, avvolgendola. Dovevano averla sistemata su una panca inclinata, con la testa più in basso dei piedi. Crosci, prima leggeri, poi più netti e definiti. C'era dell'acqua, lì vicino?
«Vediamo se ti passa la voglia di giocare col fuoco, eh?»
Un materiale leggero le venne posato sul viso e vi aderì del tutto. Sembrava tessuto, ma riusciva a respirare attraverso di esso. Le avevano coperto la faccia con un panno, non aveva senso...
Bryanna, perdonami. Papà... Darragh, perdonami.
Iniziò dal naso, e in un attimo l'acqua scese alle vie orali. La bocca si spalancò, alla ricerca di aria che non esisteva più. Il pensiero svanì.
La prima sensazione fu di essere stata invasa dal fuoco, poi arrivò la cappa che le schiacciava ogni orifizio. Più li apriva, più le sabbie mobili si richiudevano su di loro, lasciandola inerme a combattere contro l'inesorabile soffocamento.
Boccheggiava, disperata, rantoli che non sembravano nemmeno i suoi. Bruciava tutto, come se un'enorme torcia le fosse stata incastrata dentro la gola e un'immensa ondata di pece fosse scesa ad avvilupparla. Le impediva di trovare l'ossigeno che le serviva e le permise di rendersene conto con spietata consapevolezza. Arrivò al collo e scese ancora, giù nel torace. Si divincolò e le convulsioni la portarono a dibattersi, raschiare l'ambiente con ogni particella del proprio io: agonizzava alla disperata richiesta di poter ancora trovare uno spiraglio per respirare, ma non c'era.
Non contavano più né il dolore, né la vita, non c'era un senso e neanche una fuga. C'era solo la morte, e la vedeva arrivare con incredibile calma, mentre percorreva il sentiero tragico dei suoi spasimi. Si contorceva insieme a lei, beffarda, e le urlava dritto in faccia.
Non voglio morire, ti prego. Perdonami, non voglio morire.
Quando smisero le sembrò passata un'eternità, e la stessa ragione per cui il resto del mondo potesse continuare a vivere non la conosceva più.
Tossì più volte, in preda a un attacco violento, appena la rimisero dritta. Calmò i conati di vomito, mentre il petto non smetteva di gonfiarsi e stringersi, preso dall'affanno.
I due aguzzini le chiesero se avesse intenzione di collaborare. Fawn tentennò, ma ormai sapeva che il suo stesso nome non aveva più importanza. Nulla lo aveva, l'ipotesi di riprovare la stessa cruda sofferenza la portò a desiderare di poter dare qualsiasi cosa in cambio.
Le tolsero la benda, guardò i fantocci, rispose all'ordine che le veniva dato e incendiò quello di sinistra. Tremò tanto, per molte ore a venire. La presenza di quella bacinella d'acqua la sentiva intorno a sé, nella stessa stanza, incarnazione del peggior incubo che avrebbe mai potuto pensare di rivivere da lì all'eternità.
Lo sapeva, sarebbe tornata il giorno dopo.
Dormì, finalmente. Nessuno venne più a svegliarla e lei non smise di tremare, neanche per un istante. Dentro, la consapevolezza di essere solo una terribile codarda.
🦌🤎⚔️🔥
Questo capitolo ha uno stile diverso dal solito, più asciutto. Udite udite, ho persino avuto difficoltà a riempirlo e farlo abbastanza corposo.
Credo sia perché non trovo molti modi di descrivere una cosa del genere, forse nemmeno volevo trovarli.
La domanda lecita sarebbe: ma era necessario scriverlo?
Credo di sì, perché lasciarlo in sottofondo e non mostrare non avrebbe avuto lo stesso significato.
(Questa è una pratica realmente utilizzata, anche nel mondo odierno e in tempi fin troppo recenti. Non voglio urtare la sensibilità di nessuno, spero che la mia scrittura si sia mantenuta abbastanza "non-precisa" da non essere troppo cruda e non far star male chi passa di qui ^^).
Arrivano momenti migliori, ve lo prometto.
Nel prossimo capitolo torniamo da Devon ❤️
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro