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29. (𝕷𝖞𝖆𝖒)

Si girò sul fianco opposto una, due volte, prima di trovare una posizione confortevole e lasciarsi andare. La coscienza aveva già fatto capolino e disturbava il sogno di pace che era venuto a trovarlo, ma scelse di non farci caso. Tentò di trattenere con le dita quell'immagine sfocata e di non perdere la fantasia spontanea prima di dimenticarla: una figura minuta, capelli biondi che risplendevano in mezzo a un giardino fiorito, le spalle bianche e sottili scoperte, il vestito che veniva snodato e si liberava, scoprendo due piccoli seni. La voce di Idalia divertita e lei che gli si avvicinava con le braccia tese... il contatto col suo corpo così caldo, investito dai raggi solari, la pelle morbida e liscia.

Le prese il viso con una mano mentre l'altra passò ad accarezzarle la schiena, lenta. Tra di loro soltanto il trillo divertito della voce di lei, e la bocca un po' umida su cui avrebbe voluto far scorrere la lingua. L'aveva incontrata molte volte, ma gli mancava da morire.

Occhi azzurri in cui poteva perdersi, mentre le proprie labbra tastavano la sua bocca fresca. Qualcosa che gli si smuoveva dentro il petto e anche più sotto, dove lei non aveva ancora avuto il coraggio di avvicinarsi, se non nei sogni.

Lyam strinse un po' di più le dita intorno alla coperta e se la calò sulla testa: aveva sentore di qualche spiraglio di luce, e quella sua percezione di sé non lo voleva proprio mollare, a ricordargli che la notte stava finendo. Se ne fregò con un mugolio e strizzò le palpebre, in fondo nessuno poteva vederlo. C'erano lui e lei, soli almeno nell'immaginazione. Il vestito di Idalia iniziò a scendere ancora di più, mentre lui lo accompagnava con le dita: poteva avvertirne il tessuto che si abbassava incontrando un leggero declivio, prima di una dolce curva, quella che avrebbe tanto voluto percorrere sul serio.

«Ti devi svegliare».

Forse, ma qualche minuto in più non avrebbe fatto male a nessuno. Non c'erano rumori, attorno, nessuno che nella tenda si fosse già alzato. Emise un mormorio incomprensibile e socchiuse la bocca, portò una mano a strusciare contro la lana ruvida che lo separava dal pavimento. L'altra scese e si infilò sotto i pantaloni, coperta da sguardi indiscreti. Faceva ancora buio, nessuna luce intensa lo aveva ancora aggredito, e poi si era sistemato contro il bordo di tela della copertura, tutti dormivano...

«Ti faccio davvero questo effetto? Ne parliamo un'altra volta, per piacere. Intanto svegliati».

Si bloccò. Quella voce aveva un timbro tutt'altro che attraente. Era fin troppo profonda e secca... socchiuse gli occhi. Li spalancò e trasalì subito, alla percezione della figura nera chinata su di lui, appoggiata coi gomiti sulle ginocchia. Due occhi scuri che lo guardavano con malcelata insofferenza, sopra a due occhiaie visibili persino nella penombra.

Si affrettò a riportare entrambe le mani fuori dalla coperta e non poté trattenersi dal balbettare: «Ch-che ci fate, qui? È già ora di partire?»

Ma non era mai venuto a chiamarlo di persona, era una cosa da pazzi. Poggiò gli avambracci a terra per sollevarsi e si guardò attorno: qualcuno si muoveva, forse perché l'intera scena e la voce del comandante li avevano destati, ma nessuno che accennasse ad alzarsi. Non era ancora l'alba.

Tornò con lo sguardo su Devon, che non si era spostato da quella posizione granitica e severa: «No. Abbiamo un'ora di tempo prima degli altri, sbrigati».

Il comandante si alzò da lì e fece per dirigersi all'uscita, lui gli bisbigliò dietro: «Un'ora di tempo per cosa? Non capisco, cosa devo fare?»

Devon si diresse verso l'uscita di tela, a testa china, scostò il lembo per uscire e replicargli: «Per allenarci, tu e io. Hai due minuti per essere fuori di qui, vestito. Non farmelo ripetere».

Allenarsi? In che senso allenarsi? E perché da soli?

Ma era già scomparso, non poteva fare altro che rassegnarsi a scoprirlo. Si portò in piedi, confuso, e iniziò a vestirsi in silenzio, cercando di non fare troppo rumore e non dare a modo al resto dei cavalieri lì con lui di alterarsi.

Non era neanche riuscito a vedere Fawn, le aveva rivolto solo dei brevi messaggi mentali mentre lei era sparita dalla compagnia e si era unita alle altre donne, al fondo della carovana. Aveva cercato di parlarle per via mentale, ma lei aveva preferito non rispondergli più. Sapeva solo del fallimento con la famiglia di Dylam e dell'attacco che avevano subito... come fossero riusciti a sopravvivere e tornare sani era una cosa assurda e miracolosa.

E poi, c'erano state quelle espressioni strane sui volti di entrambi, quando li aveva raggiunti. Come se avessero sopito le reciproche ostilità: lei fin troppo tranquilla, vista la mole di eventi terribili che l'avevano sovrastata, lui quasi meno rigido del solito. Prima che Devon scoprisse dei due traditori, almeno, e che Fawn se ne scomparisse con espressione torva e afflitta.

C'era quella rabbia uscita dal corpo del comandante di getto, contro tutte le impressioni di freddezza e raziocinio che fino a quel momento aveva dimostrato. A braccetto con il terrore che gli aveva sempre suscitato.

Allenarsi insieme, certo. Quale miglior modo di morire ancora prima di vedere un nemico.

Si fece forza, prese un grosso respiro e uscì dalla tenda. L'aria gelida lo frustò in viso e dovette fare attenzione a dove metteva i piedi. La coltre di buio non si era ancora dissipata, il corpo fu scosso da brividi. Quel giaciglio scomodo che aveva lasciato appariva così invitante, ma si costrinse a fare due passi e cercare il cavaliere.

Lo trovò poco lontano, una figura scura e imponente che si alzava e abbassava, armeggiando con qualcosa, i capelli neri come ali di corvo scompigliati dalla brezza. Si avvicinò, per capire che quelli erano massi e che Devon li stava trascinando con le braccia per riunirli tutti in un unico gruppo.

«Ce l'hai fatta, quindi. Ascoltami bene: non sono pagato per aiutarti, quindi vedi di svegliarti da solo e arrivare in orario, da domani».

Tentennò. Cosa diavolo stava accadendo?

«Signore, credo di essermi perso qualche pezzo... cosa significa tutto questo?»

Devon si fermò, si alzò con un respiro pesante dall'operazione che stava svolgendo e lo guardò dritto negli occhi. Lyam non riuscì a evitare un piccolo fremito.

«Tu sei perso a monte. Cosa credi di essere venuto a fare, qui? Le tue competenze sono a dir poco ridicole, ti sei lanciato in un'impresa senza avere la minima preparazione degna di nota e ora mi balbetti dietro. Hai almeno coscienza di te stesso e di quanto tu sia inutile per la compagnia, in questo momento?»

Rimase zitto.

Forse faceva tutto parte di un tentativo di spronarlo, forse era voluto. Forse non pensava davvero tutto ciò. D'accordo, era debole, ma sapeva mirare abbastanza bene con l'arco, qualche posizione l'aveva imparata dai figli dei nobili, durante l'anno nel gruppo di ribelli, e i cavalieri anziani del re lo avevano ritenuto idoneo, alla fine... aveva i propri poteri, si era preparato assieme a Talom e a tutti gli altri, sopportando lividi e ingiurie.

«Non credo di essere inutile». Aveva praticamente pigolato.

«Come, scusa?»

«Non credo... Non sono inutile!»

Aveva alzato un po' la voce, il corpo dritto e le braccia piantate lungo i fianchi.

Devon lo fissò con uno sguardo che faceva invidia all'aria ghiacciata, ma cercò di reggerne il peso. «Allora smetti di fare domande idiote e accetta questo dannato aiuto».

Quindi era un aiuto. Ma perché? Lasciò perdere, si limitò a sciogliere i muscoli e attendere, zitto. Qualsiasi cosa fosse accaduta in quei giorni trascorsi separati, era meglio non dare modo a quell'uomo di sfogarsi troppo su di lui.

Fu il comandante a parlare ancora: «Mettiti la maglia di metallo, dieci minuti di corsa. Non azzardarti a usare quei tuoi maledetti poteri».

Lo vide prendere da terra una cotta e lanciargliela. Lyam la afferrò e iniziò a sudare freddo, all'idea. Si limitò a eseguire e apprestarsi alla corsa, seguendo Devon che lo precedeva, diretto al di là del piccolo spiazzo, verso l'inizio della boscaglia.

Lui però non usava niente del genere, che diamine. Quella roba era pesante, l'istinto a utilizzare la propria energia magica fin troppo forte. Un paio di volte, durante il percorso in cerchio fatto intorno agli alberi poco distanti dall'accampamento, cedette e usò qualche frazione di potere. Poté giurare che il comandante se ne fosse accorto, mentre lo vedeva raggiungerlo e poi rallentare, ma non ne aveva la certezza.

«Basta così, ci siamo riscaldati a sufficienza. Ora, vai a prendere il tuo cavallo e torna qua, sbrigati».

Ci mancava il cavallo.

«Signore, posso toglier—»

«Non osare, te la tieni per tutto l'allenamento. Non lamentarti o lo farai con l'intera armatura addosso già da oggi».

Già da oggi... quindi mi toccherà domani? Quest'uomo è pazzo.

Oltre che un ipocrita. Lui non girava con nessuna stramaledetta armatura, solo rivestimenti di cuoio e poche placche di metallo. D'accordo, era alto e prestante, e forse quella muscolatura gli bastava a guadagnarsi il diritto di viaggiare senza ferraglia addosso.

Però non la indossavano tutti i cavalieri, tra loro, e lui era sempre stato esentato dalla questione, limitandosi a viaggiare con ciò che riusciva a portare senza soccombere. Immaginava che in caso di battaglie si sarebbe dovuto arrangiare a sopportarne il peso, certo, ma... ma un bel niente. Aveva ragione, era quella la verità.

Affranto, fece avanti e indietro il più velocemente possibile. Bulnus lo accolse con un nitrito di fastidio e biasimo, ma lo convinse a seguirlo trascinandolo a forza, con un laconico porta pazienza, bello.

«Fammi vedere come lo monti».

Quindi era prevista una sessione di equitazione, ottimo. Era anche un cretino, a non averci pensato, a che altro sarebbe servito un cavallo. Decisamente, prima di una certa ora la sua mente non era in grado di funzionare come si deve. Si staccò dalle redini di Bulnus per fare dietrofront l'ennesima volta e andare a prendere la sella...

«Non serve nient'altro, montalo così com'è».

«Come...?»

«Mi hai sentito, avanti. E voglio vederti prendere confidenza con lui, la bestia non si fida di te, lo vedrebbe anche un cieco. Dove pensi di andare, senza essere in grado di fare una cosa così semplice? Non ti ho affidato un cavallo per vederlo trattare con superficialità».

Era pazzo, sul serio. Non c'era altra spiegazione.

«Temo di non avere idea di come procedere...»

L'ennesimo sbuffo pesante.

«Levati».

Si levò. Giusto il tempo di voltarsi e vedere il comandante afferrare il dorso dell'animale, alla base del collo, prendere una minuscola rincorsa da fermo e sollevarsi con un unico colpo fluido. Il corpo perfettamente posato sulla schiena di Bulnus, in viso l'espressione di qualcuno che non aveva fatto il minimo sforzo, riprese: «Questa è la maniera semplice, poi impareremo a farlo con la bestia in movimento. Ti va bene che non posso usare il braccio destro e sono più lento, hai osservato con attenzione?».

Sembrava facile, a dire il vero. Annuì. Era sempre stato agile, ce la poteva fare.

Aspettò che Devon scendesse con la stessa grazia. Si avvicinò a Bulnus. In effetti, standogli vicino, la cosa appariva complicata. L'animale era alto.

«Mano all'altezza del garrese, afferra i crini e reggiti a quelli, con decisione ma senza fargli male. Pressione per tirarti su, ti spingi col busto, prendi velocità e lo arpioni con la gamba. Forza».

Sembrava semplice, ma la sequenza compiuta da Devon a quel punto era già sparita dalla sua testa. Posò la mano, afferrò i crini come gli era stato detto, tentennò ma cercò di darsi una spinta forte. L'animale si agitò appena, Lyam cercò di ignorarlo, provò a sollevare la gamba opposta e risalire. Bulnus si mosse in avanti, lui intensificò la presa per non cadere, l'arto inferiore aggrappato col piede al dorso dell'animale e il resto del corpo penzoloni, il didietro che non ne voleva sapere di alzarsi.

«Lascialo. Santi numi, non glieli devi strappare!»

Mollò la presa, giusto in tempo per incespicare e finire a terra, di fronte agli zoccoli che evitarono di calpestarlo. Devon si era avvicinato per prendere Bulnus e calmarlo.

Si alzò in tutta fretta e gettò uno sguardo all'immagine del comandante che ne accarezzava il collo: tentava di consolarlo. Consolarlo? Per tutti gli dèi, non sono un mostro, sono le sue richieste a essere folli.

«Riprova, se riesci a trattarlo dignitosamente».

Furono i minuti più lunghi della sua vita. Tentativi su tentativi, uno dopo l'altro, tra l'ennesima caduta e milioni di sospiri rassegnati. Riuscì a salire in sella in maniera ridicola, Bulnus che aveva smesso di dargli retta e non ne voleva sapere di rialzare la testa, lui che salì a cavalcioni di questa per poi scendere lungo il collo e portarsi sul dorso, faccia verso la coda dell'animale. Solo a quel punto ruotò il corpo, in maniera goffa e tremenda.

«Faremo finta che io non abbia assistito a questo spettacolo indecente e tu sia riuscito in questo compito. Ora, vai al passo e al trotto».

Ovviamente. E come ci si reggeva, a un cavallo, senza nessuna dannatissima sella?

Il comandante rispose alla sua espressione sconcertata prima che avesse modo di aprire bocca: «Peso leggermente in avanti, usa i muscoli dell'addome e della schiena bassa, stringi quelli delle cosce e tieniti».

Non aspettò che lui fosse pronto, non glielo chiese nemmeno, fece un cenno a Bulnus. Neanche a dirlo, indifferente all'essere umano che lo sovrastava, il cavallo diede retta a Devon e prese a muoversi in avanti.

Lyam si accorse solo dopo minuti e minuti di agonia della stretta serrata dei denti, di averli digrignati in preda alla tensione e allo sforzo. Riuscì a non cadere dalla groppa della bestia, se non altro, dopo aver cavalcato in quella che aveva tutta l'aria di un'andatura traballante e incerta.

Quando finalmente lasciò che scendesse, non senza ulteriore difficoltà, osò rivolgersi al suo superiore: «Signore, a che serve quest'operazione? Siamo abituati a cavalcare con tutto ciò che serve, è rid—, voglio dire, è strano».

Forse si era preso eccessiva confidenza, a giudicare dall'occhiataccia feroce che gli piantò. «Non è servita, se hai ancora abbastanza fiato per dire fesserie. Per oggi l'animale ha sopportato fin troppo la tua incompetenza, passiamo ad altro».

Un'ora suonava come un tempo breve, ma si rese conto di come riuscisse a essere infinito. Quindi c'era dell'altro... e assunse un'aria davvero pessima, nel vedere Devon dirigersi verso la zona dei sassi e prendere altri oggetti che aveva ammonticchiato. Due spade e delle placche di metallo. Niente di buono.

«Ora ti aiuto a sistemarle, per fare prima. Non ho alcun dubbio circa la tua inefficienza nell'attacco, ma per oggi non faremo niente del genere. Ti limiterai a schivare e parare, sono stato chiaro? Niente poteri».

Niente poteri.

Ma perché niente poteri? È l'unico motivo per cui mi hanno concesso di venire fin qui, è la ragione stessa che ha fatto dire di sì al re, per tutti i fulmini.

Attese che Devon finisse di aiutarlo a sistemare le placche sul torace e sugli arti, mentre il ventre iniziava a lanciargli delle fitte acute. Doveva stare calmo e ricordarsi di respirare, non poteva farsi prendere dal panico per uno stupido addestramento.

Il comandante gli passò una delle due spade: non le aveva mai viste in mano a nessuno di loro, la lama sembrava più smussata del solito. Forse non erano affilate apposta, ma si chiese perché quelle di legno gli stessero tanto indigeste. Ebbe un sussulto nell'afferrarla, quando quella lo tirò nell'immediato verso il basso.

«Sono più pesanti del normale, cerca di resistere. Quelle due braccia smilze che hai non dureranno tanto, se non fai qualcosa a riguardo».

Annuì e prese un profondo respiro, tentò di controllarsi e superare il dolore alla spalla mentre alzava l'arma dinanzi a sé. Si mise in posizione di guardia. Devon aveva detto di poter usare solo il braccio sinistro, magari sarebbe stato più debole del consueto... Non poteva certo ucciderlo, d'altronde, era solo un'esercitazione.

Non riuscì a schivare il primo mandritto orizzontale, solo a interporre la lama in tempo, con un gesto casuale e scoordinato. Ringraziò i propri riflessi, non l'aveva nemmeno avvisato.

«Non costringermi a dirti la sequenza di colpi in anticipo, non sei un bambino. Sveglia, concentrati».

Sarebbe mai riuscito a rivolgersi a lui con un tono meno strafottente? Probabilmente no.

Avvertì delle piccole gocce di sudore che gli scendevano sulla fronte, il bruciore alle gambe che si faceva sentire, tremolavano mentre tentava di rimettersi in posizione e mantenersi saldo. La stoccata successiva la vide arrivare, e forse Devon era stato meno veloce apposta, ma bastò a permettergli di scivolare all'indietro con un doppio passo.

Sorrise un pochino, prima che il comandante portasse la mano all'indietro e in alto. Stava per arrivargli un colpo diagonale di rovescio: portò la propria spada in avanti a parare il colpo. Devon però virò all'ultimo con un movimento di polso e lo sorprese con una punta ferma. Se la lasciò sfuggire e lo spadone riuscì a colpirlo al fianco sinistro. La placca bastò a proteggerlo, ma la botta non fu leggera. Che bastardo, gli avrebbe lasciato un livido grosso quanto una casa...

Devon non gli diede il tempo di reagire e si lanciò con una nuova serie di colpi, sempre più veloci: un altro tondo, di rovescio, uno spostamento di piedi, un montante, un taglio che gli giunse dal nulla, forse da destra, un fendente dall'alto. Lyam cercava di sfuggire, muoveva la propria lama in maniera confusa senza più capire nulla, l'istinto a scappare lontano e sottrarsi alla raffica assassina.

Cedette all'energia che lo chiamava e si accucciò a terra lateralmente, con tutta la velocità che possedeva: abbastanza da distrarre Devon, rialzarsi e correre poco più in là. In un battito di ciglia fu fuori dalla sua portata.

Lo guardò: il comandante non emetteva un fiato, come se non avesse fatto esercizio fino a quel momento, l'aria lugubre.

«Niente poteri significa niente poteri. Metti giù la spada. Prendi uno di quei massi, dieci piegamenti sulle gambe, cammina fino alla mia posizione e lancialo più lontano che riesci. Sappi che ti toccherà per ogni volta in cui li userai».

Voltò la testa: ecco a cosa servivano quegli enormi pietroni che si era premurato di preparare. Ebbe una mezza idea di prendere e scappare lontano, non sarebbe mai riuscito ad acciuffarlo... ma la sopì, lasciò cadere a terra la spada e si diresse verso il punto che gli aveva indicato. Tentò di soppesare quale di quelli fosse il più leggero, ma era inutile. Ne prese uno e quasi cedette sotto il suo peso, disperato. L'idea di venire schiacciato e che Devon non sarebbe mai accorso ad aiutarlo lo aiutò a resistere e sollevarlo. Non riuscì a evitare di emettere dei gemiti strozzati, nel farlo.

Pensare di piegare le stesse gambe che gli stavano chiedendo pietà era impossibile.

«Non ce la faccio... l'ho sollevato, d'accordo, ma non ce la faccio».

«Non me ne frega niente. Come credi di ottenere un qualsiasi titolo, facendo la comparsa nella cavalleria? Se vuoi che i tuoi trastullamenti mattutini rimangano delle fantasie, sei sulla strada giusta».

Un fiotto rovente gli prese corpo e viso, e non aveva a che fare con la fatica di reggere il macigno.

Come fa a sapere queste cose? È stata Fawn? Lo ha scoperto da solo? Chi altro sa di Idalia? Non può essere stata lei, è totalmente uscita di senno?

«Entro oggi!»

Soffiò forte con la bocca e abbassò le gambe, senza riuscire ad arrivare fino in fondo, pregò che non glieli facesse rifare. Uno, due, tre, quattro... sei, sette, otto... No, non ce la poteva fare. Respirò con più affanno, le braccia gli gridavano di lasciar cadere quel peso insostenibile.

«Sono dieci stramaledetti piegamenti, dieci! Non cento! Al re non importa un accidente di avere un lombrico come genero».

Lo diverte proprio tanto questa questione, non è vero? Potrebbe almeno non farlo sapere ai quattro continenti.

Il sogno di poter diventare abbastanza forte da ucciderlo gli diede la piccola spinta per finire: nove, l'ultimo non serviva che fosse completo, bastava piegarsi un minimo... dieci.

Camminò con fare sconnesso verso il punto in cui si trovava Devon, una volta lì ebbe l'istinto di scagliargli il masso contro, ma lui si scostò per lasciarlo compiere il suo lancio.

Un suono strozzato che gli uscì dalla gola senza volerlo, le braccia che si liberarono prima di ricadere molli, e il sasso si sfracellò a terra, a un barlume di distanza da lui. Quasi non gli era rovinato sui piedi.

«Impressionante, davvero».

Evitò di rispondergli, non aveva più fiato in corpo. Si limitò ad accasciarsi in avanti, le mani sulle ginocchia, il respiro affannato e il cuore che gli martellava nel petto senza sosta.

«Vedi di riprenderti, non abbiamo più tempo. Per oggi basta così, domani cerca di arrivare con un minimo di lucidità in più... la situazione è disastrosa e tu hai dei seri problemi di equilibrio, dobbiamo lavorare su quello, altro che spade».

Domani? Non sarebbe neanche riuscito ad alzarsi dal letto, come faceva a pensare di pot—

«Lyam? Lyam, mi senti? Ti ho cercato ovunque, qui stiamo tutti per mangiare. Che ti è successo?»

«Fawn?»

«Dove sei?»

«Si può sapere cos'hai raccontato a questo figlio del demonio?»





🦌🤎⚔️🔥

Cerbiattini, qualcuno avrà notato la soundtrack!

A mio avviso, rea di averla rubata a un capolavoro a cui posso solo inchinarmi, non esiste canzone migliore per restituirci lo spirito di questo capitolo u.u

Che ho voluto lasciare leggero, e tenermi le questioni spinose per quando torneremo nel pov del nostro amato comandante.

Ce la farà Lyam a diventare almeno un pochino più forzuto?

E Fawn, intanto, che starà combinando?

Ci aspettavamo che Devon alla fine accettasse di propria sponte di aiutarlo? XD

Bacini!

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