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𝑳𝒆 𝑷𝒂𝒖𝒓𝒆

Lungo il tragitto verso casa, Isra rimase in silenzio, persa nei suoi pensieri. Sentiva il peso di quel giorno gravarle sulle spalle, come un macigno che la opprimeva. Nonostante il suo mutismo, Aries non si lasciò scoraggiare. Il bambino, entusiasta, occupò quel silenzio raccontando con vivacità dello spettacolo del giocoliere che aveva visto al mercato. I suoi occhi brillavano mentre descriveva le acrobazie, i giochi con le palline e i sorrisi che aveva strappato alla folla. Isra, per non preoccuparlo, annuiva di tanto in tanto, cercando di mostrare un'attenzione che, in quel momento, non riusciva a sentire del tutto.

Quando finalmente raggiunsero la loro fattoria, il sole era ormai basso all'orizzonte. Le ombre si allungavano sui raccolti di grano, e la brezza della sera iniziava a portare un po' di sollievo dopo il calore soffocante della giornata. Appena arrivarono, videro la madre di ritorno dai campi. Aveva sulle spalle una cesta piena di grano, probabilmente l'ultimo raccolto di quel giorno faticoso.

"Ho già preparato il cesto da consegnare all'esattore alla fine del mese," disse la donna. Posò la cesta sull'uscio, e si avvicinò ai suoi figli. "Dovremmo essere a posto anche con le Cunie. Isra, hai venduto il latte?"

Prima che Isra potesse rispondere, Aries corse verso la madre con l'entusiasmo di chi non vedeva l'ora di condividere una gioia. "Guarda, mamma!" esclamò, mostrandole una piccola pallina che stringeva nel palmo. "Me l'ha data il giocoliere!"

La madre gli sorrise con dolcezza. "Davvero, piccolo? È bellissima," disse, accarezzandogli la testa. Poi, con un gesto affettuoso, lo invitò a entrare in casa. Aries obbedì senza fare storie, sparendo oltre la porta.

Isra tirò un lungo sospiro di sollievo. Era grata alla madre per aver allontanato il fratello: il peso di quello che doveva dire non era qualcosa che un bambino avrebbe dovuto portare. Il pensiero di coinvolgerlo, anche solo indirettamente, in quelle difficoltà le dava un senso di colpa che non voleva affrontare.

In silenzio, con gesti lenti e quasi riluttanti, aprì la sacca di tela ruvida che aveva portato al mercato. Le sue mani erano lievemente tremanti mentre afferrava le monete. Il freddo metallo sembrava pesare più del dovuto. Quando le mostrò alla madre, le sue parole uscirono a fatica: "Solo sei," disse, la voce bassa e velata da una sottile ansia, quasi temendo la reazione che avrebbe inevitabilmente suscitato.

La madre la fissò con occhi spalancati, incredula. "Solo sei?" ripeté, come se sperasse di aver sentito male, come se quelle due parole non potessero essere vere. Poi, scuotendo la testa, lasciò che un sospiro di frustrazione le sfuggisse. "Deve esserci un errore," insistette, il tono fermo, quasi accusatorio. "Non c'è altra spiegazione. Perché non glielo hai fatto notare?"

Isra abbassò lo sguardo, cercando di contenere la crescente sensazione di impotenza. Sospirò profondamente. "Non c'è errore," rispose. "Ho provato a trattare, madre, te lo giuro. Ma non c'era nulla da fare. Non mi avrebbe dato di più."

La madre aggrottò la fronte, il suo volto si irrigidì in un'espressione di crescente preoccupazione mista a irritazione. Prese le monete dalla mano di Isra, stringendole nel pugno, e poi gliele mostrò come per sottolineare quanto fossero insufficienti. "Non sono abbastanza," la rimproverò, la voce carica di tensione. "Servono quaranta Cunie per pagare l'esattore! E la fine del mese arriverà tra meno di una settimana! Come pensi che faremo?"

Isra serrò i pugni, il suo viso si accigliò nello stesso modo di sua madre. Una fiammata di esasperazione le attraversò il petto, ma cercò di non perdere il controllo. "Madre, non è colpa mia!" replicò con forza. "Hanno aumentato le tasse. È successo in tutta la regione."

La madre la fissò, il suo sguardo duro e penetrante, come se volesse scavare oltre le parole della figlia per trovarvi una soluzione o una spiegazione diversa. "E questo chi te l'ha detto?" domandò con tono scettico.

"Il mercante," mormorò Isra, abbassando la voce. Sembrava temere che anche il vento potesse ascoltare ciò che stava per dire. "Mi ha parlato di un'insurrezione. I villaggi di Tuni e Aresti si sono ribellati, e per punizione adesso pagheremo tutti tasse più alte."

Le parole della figlia ebbero l'effetto di una frustata. Il volto della madre perse colore, il pallore le salì fino alle guance, e per un istante sembrò vacillare sotto il peso della notizia. Strinse le Cunie nella mano, quasi cercando conforto nel loro tocco freddo e solido, ma la realtà era ineluttabile: non sarebbero bastate. Abbassò lo sguardo, come se volesse sfuggire all'inevitabile.

Dopo un lungo silenzio, riempito solo dal canto lontano di qualche uccello notturno, la madre sollevò lo sguardo verso Isra e chiese con un filo di voce: "Sei riuscita almeno a comprare un po' di carne al mercato?"

Isra scosse la testa, debolmente. "No," ammise. "Non bastavano."

Un altro sospiro sfuggì dalle labbra della madre. Era un sospiro lungo, carico di stanchezza e di rassegnazione, come se ogni respiro le costasse un pezzo della sua forza.

"Anche se le usassimo tutte, non sarebbero comunque sufficienti," disse infine, la voce ferma, ma con un velo di rassegnazione che non riusciva a nascondere. "Ci mancano venti Cunie. Se avessimo ottenuto almeno otto Cunie, insieme alle dodici della vendita del grano domani al mercato, avremmo potuto coprire la quota... ma ora..." La sua voce si fece più bassa, quasi impercettibile, mentre le mani tremavano leggermente. 

Il silenzio che seguì fu pesante, carico d'inquietudine. Isra avvertì una morsa al cuore, una sensazione di vuoto che si allargava in lei. Non si era mai accorta di quanto fossero ormai vicini al limite, quanto poco avessero. Ogni singola moneta che possedevano sembrava ora così infima. La realtà della situazione la travolse, più forte di quanto avesse voluto ammettere. 

La loro speranza stava per svanire come sabbia tra le dita.

La madre rimase in silenzio per un momento, con la testa china, come se stesse cercando una soluzione che non riusciva a trovare. Poi, prese un lungo respiro, cercando di recuperare un po' di lucidità in mezzo alla frustrazione. "Ridammi le monete," disse finalmente, la sua voce più calma ma anche più stanca, segnata dalla consapevolezza che ormai non c'erano più alternative facili. "Domani vedrò di vendere il grano a un prezzo più alto, sperando che non abbiano abbassato anche quello." Le sue parole avevano il suono di una speranza flebile, quasi come se si stesse aggrappando a quell'ultima possibilità, nonostante sapesse quanto fosse incerto tutto.

Isra alzò lentamente lo sguardo, il volto tirato, e senza dire una parola, estrasse dalle pieghe del suo vestito il piccolo sacchetto di monete. Era tutto ciò che avevano, tutto ciò su cui potevano contare. Lo passò alla madre, e lei lo prese, lentamente, con le mani che tremavano appena.

"Perdonami, madre—" iniziò Isra, ma la donna la fermò con uno sguardo penetrante, e le disse: "Non parliamone davanti ad Aries."

Isra annuì, comprendendo. Sapeva che il fratello non doveva portare quel peso. Lui aveva diritto a un'infanzia, anche se breve, anche se povera.

Senza aggiungere altro, le due donne si incamminarono verso la casa. Il silenzio che le avvolgeva era pesante, quasi tangibile, carico di pensieri non detti e di preoccupazioni che entrambe cercavano di nascondere l'una all'altra.

Sua madre, appena entrata in casa, si mise subito a preparare la cena. Come ogni sera, il menù sarebbe stato semplice: patate, cucinate in vari modi a seconda della stagione, e una minestra che conteneva diversi piccoli ingredienti, scelti con cura in base a ciò che c'era a disposizione. Quella sera, però, non ci sarebbe stata carne. Era una di quelle sere in cui il cibo doveva bastare, e non si poteva fare molto di più. Isra, vedendo la sua madre indaffarata, si avvicinò per aiutarla. Iniziò ad accendere il fuoco nel camino, poi, con un gesto esperto, posizionò il grande pentolone di metallo sopra delle piccole sbarre di ferro, sistemate sulle braci, per far cuocere lentamente la minestra.

Ci vollero diversi minuti prima che tutto fosse pronto per iniziare a cuocere, durante i quali Aries, il più giovane, si dedicò ad altri compiti: preparare la tavola. Con il suo solito entusiasmo, si mise a disporre le ciotole e le posate sul tavolo di legno grezzo, sistemando tutto con precisione. Ogni tanto, si interrompeva per raccontare qualche particolare della sua giornata, con il suo viso illuminato da un sorriso mentre descriveva la performance di un giocoliere che aveva incontrato durante il suo giro in paese. "Era incredibile!" esclamava con fervore, gesticolando come se stesse ancora vedendo quelle acrobazie davanti a sé. Isra e sua madre lo ascoltavano, scambiandosi qualche sorriso, ma non c'era molta leggerezza nei loro occhi. Sebbene cercassero di essere presenti e di rispondere con interesse, Isra e sua madre non riuscivano a liberarsi completamente dai pensieri che gravavano su di loro. Nonostante il sorriso che rispondevano al giovane, nessuna delle due sembrava davvero rilassata.

Quando si misero a mangiare, la tensione che avvolgeva la stanza era palpabile, interrotto soltanto di tanto in tanto dai commenti di Aries, che cercava di portare un po' di leggerezza con il suo entusiasmo. "Questa zuppa è davvero buona," disse con un sorriso, agitando il cucchiaio come se fosse un bambino felice di ogni piccola cosa. Eppure, più il tempo passava, più Aries notava qualcosa di strano nei volti della madre e della sorella. Le loro espressioni erano scure, come se un pensiero pesante stesse gravando su di loro, e i loro sorrisi erano brevi e forzati. Apparivano e scomparivano con la stessa rapidità, come se non fossero mai stati sinceri. Quello che era sempre stato un momento di convivialità familiare, ora sembrava pieno di un'ombra sottile, difficile da ignorare.

Dopo un po', Aries, non riuscendo più a ignorare l'atmosfera tesa, alzò gli occhi dalla sua ciotola e fissò sua madre e Isra per un momento. Sentiva che qualcosa non andava. "Che succede?" chiese, la sua voce genuina ma curiosa. 

La madre lo guardò, come se non si aspettasse una domanda del genere, e per un attimo il suo sorriso apparve insicuro. Si sforzò di mantenere la calma, ma il nervosismo era evidente nei suoi occhi. "È tutto a posto, tesoro," rispose, con un tono che cercava di sembrare rassicurante. "Io e tua sorella siamo solo un po' stanche, tutto qui," aggiunse, distogliendo lo sguardo e lanciando un'occhiata furtiva a Isra, come a chiedere aiuto per mantenere la facciata. Isra, con un leggero annuire, aggiunse: "Scusami, Aries, se sembriamo... un po' sovrappensiero."

Aries le osservò per un momento più lungo, sentendo che c'era qualcosa di più profondo dietro le loro facce che non riuscivano a nascondere. Il suo volto di solito allegro si fece serio, corrucciato, in una maniera che sembrava completamente fuori posto su un bambino sempre solare e spensierato come lui. "Sembrate preoccupate," insistette. La sua attenzione si spostò completamente su di loro.

"Avete la stessa espressione di quando papà è stato portato via."

Le sue parole, innocenti nella sua mente, colpirono entrambe come un fulmine. La madre sussultò, il suo volto si irrigidì e immediatamente il suo respiro si fece più profondo, come se stesse cercando di recuperare il controllo.

"Finisci la tua zuppa, Aries," disse con una voce apparentemente ferma, ma che tradiva un lieve tremore. I suoi occhi, solitamente calmi, si erano oscurati, e Aries la guardò, con un'espressione che mescolava confusione e sorpresa. "Però io—" provò a protestare, ma il suo tentativo venne interrotto bruscamente. "Niente storie," la madre lo rimproverò, alzandosi in piedi con un movimento rapido, come se volesse allontanarsi da qualcosa di troppo doloroso. La sedia scricchiolò forte mentre veniva spinta indietro, creando un suono acuto che echeggiò nella stanza. La donna si allontanò, senza dire una parola, il suo corpo rigido tradiva il suo disagio, e Aries rimase lì, a guardarla.

Dopo che sua madre se n'era andata, Aries si girò verso Isra, confuso e ancora più preoccupato per la reazione di sua madre. "Che cosa ho detto di male?" chiese, cercando risposte negli occhi di sua sorella. 

Isra sospirò profondamente, come se cercasse di trovare le parole giuste per spiegare qualcosa di troppo doloroso per essere detto ad alta voce. Lo guardò con un pizzico di tristezza. "Lo sai che non devi parlare di nostro padre," disse, la voce bassa, come se temesse che quelle parole potessero ferire ancora di più. "È una ferita ancora aperta per noi, soprattutto per nostra madre." Il silenzio che seguì le sue parole fu pesante, quasi insopportabile, come se l'intera stanza avesse assunto una densità impossibile da ignorare.

Aries abbassò lo sguardo, cercando di comprendere il peso di ciò che aveva detto. Era un bambino, dopo tutto, ma in quel momento la sua innocenza aveva solo reso tutto più doloroso.

Passati alcuni istanti di pesante silenzio, Isra gli porse la ciotola con le patate, un sorriso forzato sulle labbra, cercando di infondere un po' di tranquillità nell'atmosfera tesa. "Pensa a mangiare," disse, cercando di distogliere Aries dai suoi pensieri. Si alzò e gli arruffò affettuosamente i capelli. Il tocco delle sue dita tra i capelli di Aries, per quanto veloce, era dolce, e si portava dietro tutta la sua attenzione verso di lui.

Poi, si diresse verso l'angolo della stanza dove stava il grande recipiente di legno, robusto e segnato dal tempo, pieno d'acqua fresca. Quell'acqua era una risorsa che non veniva mai sprecata. Ogni giorno, senza eccezioni, la loro madre la raccoglieva dal pozzo che si trovava non lontano da casa, appena dopo l'alba, quando la luce era ancora tenue e l'aria frizzante. La madre la portava all'interno con fatica, avendo cura di non versarla, perché sapeva quanto fosse preziosa. Ne versava la maggior parte in recipienti per berla, e il resto in uno riservato alla pulizia della casa, alle necessità quotidiane, ma anche a lavare via i segni della fatica e della polvere che accompagnavano la vita di tutti i giorni.

Isra raccolse le ciotole vuote di loro madre, che erano rimaste sul tavolo da pranzo. Si chinò e cominciò a lavarle una per una con un gesto abile. Prese la saponetta naturale che si era ormai ridotta a un piccolo e resistente dischetto, e la passò sopra. Ogni angolo della saponetta era stato levigato dall'uso costante, ma Isra non si preoccupava di quanto fosse piccola, perché sapeva che quelle cose, quelle risorse, non andavano sprecate. L'avevano guadagnata con sacrificio, acquistata mesi prima al mercato con quei pochi risparmi che riuscivano a mettere da parte quando la situazione lo permetteva.

Mentre sciacquava le ciotole, Isra si concentrava nel sentire il fruscio dell'acqua che scivolava via, lasciando le superfici pulite. Il rumore del piatto che veniva sfregato dalla spugna riempiva la stanza, creando un ritmo rassicurante, che quasi la aiutava a respirare in modo più calmo. Il silenzio tra loro era denso, ma Isra preferiva questo, piuttosto che le domande che non avevano risposta.

La saponetta, ormai ridotta a una forma minuscola, veniva fatta scivolare tra le sue dita con cura, e la spugna, ormai quasi del tutto consumata, lasciava sulla ceramica solo i segni di un lavoro fatto con la massima attenzione, senza fretta.

A un certo punto, Isra sentì una voce che non riuscì a ignorare. "Mi credete uno stupido, non è vero?" Il tono di Aries era tagliente, irta di rabbia. Isra si fermò e si voltò verso il fratellino, che, con lo sguardo fisso sul suo piatto, non guardava nemmeno il cibo che aveva davanti.

"Pensate che io non lo sappia. Sono un bambino, non uno stupido." La sua voce si fece più intensa, quasi un grido soffocato. Alzò gli occhi verso di lei e, in quel momento, Isra vide qualcosa che la fece tremare. Non erano solo parole, ma un fuoco che gli bruciava dentro. 

Mai aveva visto il suo fratellino, il suo dolce Aries, così arrabbiato.

"Lo so, Isra, so cosa è successo a papà. L'hanno portato via," disse, stringendo la forchetta di legno con una forza che sembrava voler spezzarla. Il tono della sua voce si abbassò.

"Lo so che l'hanno ucciso."

Isra provò una fitta al cuore. Immediatamente, si alzò, appoggiando la saponetta sul piano di legno e si avvicinò al tavolo, sperando di trovare le parole giuste, quelle che avrebbero potuto calmare Aries, farlo ragionare. Ma quando aprì la bocca, non riuscì a dire nulla. Aries, con uno scatto rapido, lasciò cadere la forchetta sul piatto e si alzò dalla sedia con un movimento deciso. I suoi occhi, carichi di un'intensità che Isra non conosceva, erano fissi su di lei.

"Voi pensate che sta per succedere di nuovo, che prenderanno un altro di noi!" la voce di Aries risuonò nell'aria, ma Isra non riuscì a rispondere.

"Ti prego, Aries, non—" provò a intervenire, ma lui la interruppe.

"Sono abbastanza grande per capire!" urlò, la voce piena di una forza che la spaventava. "So che torneranno, ma io non ho paura!" C'era una sicurezza nelle sue parole che non apparteneva alla sua età. 

Guardandolo, Isra si rese conto che quella fiamma che bruciava dentro di lui non si sarebbe spenta tanto facilmente. Sentiva il peso di quello che doveva dire, ma non sapeva come farlo senza distruggere la speranza che stava cercando di tenere viva. "Aries, i Giochi di Sangue non sono, davvero, giochi. Non sono come pensi," disse con voce tremante, ma risoluta. "Sono spettacoli, e per di più crudeli."

"Il giocoliere mi ha detto che uno spettacolo dipende da chi esibisce," disse, gli occhi brillanti di una luce che Isra riconosceva. "Solo chi si esibisce può decidere come finirà. Siamo noi a decidere come andrà lo spettacolo! Non lui," urlò poi, la sua voce risuonò potente nella stanza, piena di una forza e di una determinazione mai viste prima.

Isra lo guardò, incredula, incapace di credere che quelle parole potessero uscire dalla bocca di Aries, e che avesse appena nominato indirettamente il Re.

"Lo spettacolo è nelle nostre mani!" ribadì ancora una volta il fratellino, la voce che iniziava a tremare. Nonostante la paura e il dolore che trasparivano dalle sue parole, la sua convinzione rimaneva salda, come se fosse l'unica cosa che potesse ancora afferrare per non crollare.

Poi, con uno sguardo carico di emozione, Aries si voltò e corse via.

Isra rimase immobile, il cuore stretto, mentre il silenzio tornava intorno a lei. 

Era opprimente. Come lo era tutto, ormai.

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