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。⋆୨୧˚𝑊𝘩𝑎𝑡 𝑚𝑎𝑘𝑒𝑠 𝑢𝑠 𝑈𝑠˚୨୧⋆。

!☆𝐶ℎ𝑎𝑝𝑡𝑒𝑟 𝟨☆¡
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Prima lenti e interninabili e alla loro fine ormai già lontani da tempo, così scorrevano i giorni alla percezione umana.
Talvolta troppo rapidi e altri eterni, da perdersi in ogni attimo.

Istanti in cui il tempo sembrava bloccarsi e altri di cui non si percepiva nemmeno l'esistenza.

Lo scorrere dei giorni era un evento incurante delle necessità delle persone.

Un altro di essi se n'era andato con tale incuranza e un altro ancora era appena iniziato a Sumeru con la medesima caratteristica.

Con la luce diurna che illuminava il salotto, Alhaitham si svegliò in quella che riconobbe all'istante non essere la sua stanza.

Fissò il soffitto per giusto qualche istante, poi si alzò di soprassalto dal divano dove si era ritrovato, con la netta sensazione di star facendo ritardo per lavoro.

Rigoroso com'era non perse neanche un secondo ultetiore per riprendersi dagli effetti del mattino, la sonnolenza e la difficoltà a tenere gli occhi aperti per lui non erano un problema, e a passo svelto si fiondò in camera sua. Prese il necessario e raggiunse subito dopo il bagno, per poi chiudersi dentro giusto il tempo dovuto.

Ignorò ogni dettaglio, ogni caratteristica a cui solitamente avrebbe fatto caso, ogni cosa a cui avrebbe dato attenzione, ma quella non era la giornata giusta per perdersi nel modo in cui le cose cambiavano.

Infatti non si pose nemmeno la domanda di come ci fosse finito sul divano.

Ma del resto, non gli era mai successa una cosa del genere. Lui che aveva una sveglia naturale all'interno del corpo, si era sempre svegliato presto, come era possibile che ora si ritrovava a fare le corse?
Soprattutto ad un tipo come lui a cui non serviva nemmeno guardare un orologio per avere la certezza di aver dormito più del solito.

Così in meno di 10 minuti uscì dal bagno già pronto per andarsene, ma all'appello del suo armamentario mancavano ancora le sue cuffie, senza le quali non si sarebbe allontanato mezzo metro da casa, quindi si mise a cercarle convinto di sapere già dove trovarle.

Guardò in ogni posto dove potesse mai averle lasciate, ma niente, di loro non c'era traccia. Sparite nel nulla.
Stava perdendo tempo ed iniziò ad irritarsi.

Lui non lasciava mai le sue cose in giro.

E avrebbe potuto cercare all'infinito, ma una voce lo richiamò all'appello avendo pietà di quell'anima in pena che sembrava, vagando per casa avanti e indietro, risvegliandolo così definitivamente dal mondo dei sogni.

«Cerchi qualcosa?»

Fu il tono irritante di chi già sapeva fin troppo, quello che si udì dalla cucina, di fronte al quale Alhaitham era già passato almeno una decina di volte.

Così per la prima volta si soffermò su di essa, seppur fosse ancora di fretta, e solo allora si accorse di Kaveh, che con un sorrisetto fastidioso sul volto si gustava in tutta calma una tazza di caffè fumante, mentre leggeva uno di quei libri che Alhaitham aveva preso in prestito dalla Casa di Daena.

«Cosa hai fatto?»

Disse consapevole della colpevolezza di Kaveh, pur non avendo alcuna prova a suo favore.

«Non ho ancora detto niente e già mi accusi! Come sei scorbutico già di prima mattina! Caro Alhaitham prenditi una tisana e rilassati su!»

Si stava comportando in maniera fin troppo strana e questo decisamente bastò allo scriba per determinare con certezza, che in tutte le cose strane che erano successe da quando si era svegliato, c'era il suo zampino.

«Muoviti e dammi le mie cuffie che sono già in ritardo»

Protese indispettito una mano verso il biondo, come per invitarlo a tirare fuori la refurtiva e questo in tutta risposta bevve un altro sorso del suo caffè, non accennando a far sparire dal suo volto quel sorrisetto provocatore.

«Oh, mai che sbadato... Non te l'ho detto? Ho chiamato l'Akademya per informala che oggi ti saresti assentato per malattia. Prego non c'è di che»

Concluse sarcastico, consapevole lui stesso che l'uomo non avrebbe gradito il disturbo.

«Mi chiedo solamente perché tu non pensi mai ai fattacci tuoi ogni tanto»

Era indispettito ed irritato per l'andamento che stava prendendo quella giornata e sbuffò, infilando una mano nella tasca della sua giacca per recuperare il cellulare con cui avrebbe immediatamente contattato l'Akademya convinto fosse li, ma ovviamente non lo era.

«Ma certo, che piano infallibile. Ora ridammi il cellulare e le cuffie»

«Te l'ho già detto, siediti e rilassati, stai male e oggi non andrai a lavoro che tu lo voglia o no. Tanto, anche se fosse, sei già in ritardo quindi non vedo motivo di causarti tanto tormento. Sicuramente per un giorno di assenza quei vecchiacci non ti diranno niente»

«Non sto male, mi farai star male tu se non la smetti sul serio Kaveh»

Incrociò le braccia al petto, ancora in attesa che l'architetto gli consegnasse i suoi averi, ma sembrava avere tutt'altre intenzioni. Infatti non fece nulla di ciò che avrebbe dovuto.
Bevve di nuovo un sorso dell'intruglio dalla tazza e in tutta calma si prese del tempo per gustarne il sapore.

Poi con quella tranquillità che Alhaitham al momento non aveva, si alzò dalla comoda sedia su cui sostava, posando il libro ed il caffè e raggiunse senza dire niente lo scriba. Lo fissò dritto negli occhi con la convinzione nei gesti e il silenzio li avvolse. Era un manto pericoloso il suo e li circondò, rendendoli così vulnerabili l'uno di fronte all'altro, trasformando qualche secondo in un infinito senza tregua.

«Tu stai male. Adesso ti reggi in piedi per le medicine che hai preso ieri, ma appena finirà l'effetto starai di nuovo uno schifo e se non ti riposi come si deve, non guarirai mai»
«Di che razza di medicine stai parlando scusa?»

Si era dimenticato tutto. Era ovvio che lo avrebbe fatto.

Kaveh infatti se lo aspettava, era certo in cuor suo che quell'attimo vissuto la sera prima, sarebbe sparito per sempre ed era proprio per questo che voleva vendicarsi di lui. Di lui e di quell'assaggio che gli aveva dato, di quel rapporto che sapeva bene che in circostanze normali non avrebbero mai potuto replicare. E anche della sua dimenticanza voleva vendicarsi, perché se lui era l'unico a ricordarsi di quel momento così memorabile, che prova aveva per accertarsi che non si fosse davvero trattato tutto di un sogno?

Magari aveva davvero sognato tutto come immaginava e stava solo costruendo castelli per aria, come d'altronde faceva sempre, no? Eppure, lo straccio bagnato che aveva dato ad Alhaitham la sera prima, era ancora lì nel lavandino, così come i piatti sporchi con cui avevano cenato e proprio quella mattina si era svegliato accanto allo scriba, quindi alla fin fine qualche prova del fatto che fosse tutto reale c'era... era solo lui che pensava sempre troppo a scenari fin troppo pessimistici.

Con la rabbia di un bambino che faceva i dispetti per vendetta, era così che a volta ragionava Kaveh.

Ma in realtà lo faceva solo con Alhaitham... l'uomo era in grado generare in lui una tempesta di sensazioni che non sapeva ancora bene decifrare.

E odiava che avesse così tanto potere su di lui, così tanta influenza... nonostante ciò, l'incoerenza era radicata all'interno della natura umana e faceva sì che nonostante non sopportasse molte cose di Alhaitham, si preoccupase comunque per lui e per la sua salute.

«Sto parlando delle medicine che hai preso ieri sera, avevi la febbre»

Il silenzio tornò a dettare legge fra lo spazio che li separava e Alhaitham pensava, pensava e pensava ancora, com'era solito fare. Gli era davvero così difficile credere a Kaveh e quindi cercava di scovare la verità nelle sue parole.

«Se lo trovi un fatto così surreale, prova semplicemente a pensare tu stesso a cosa è accaduto»

Fece uno schiocco con la lingua, infastidito dal fatto che Alhaitham era semplicemente Alhaitham. Dal fatto che non avesse il briciolo di capacità di affidarsi agli altri, di affidarsi a lui.

Incrociò le braccia al petto mentre imparava a riconoscere le espressioni sul volto dello scriba.
La fronte che si corruciava, dubbiosa su ogni parola e le labbra serrate, tendenti verso il basso pronte a schiudersi e dire sentenze prive di sentimento, mentre rifletteva su che cosa avesse esattamente fatto la sera prima...

Alhaitham si ricordava del loro incontro alla biblioteca, del tragitto a casa e poi era tutto fatto a pezzi, a piccoli momenti posti senza un ordine preciso.

La figura di Kaveh che al tavolo della cucina lo incitava a mangiare, lui steso sul letto e poi sul divano...

Intuì ciò che non ricordava.

Intuì che Kaveh non lo aveva lasciato un istante solo perché quell'uomo avrebbe preferito rinunciare ad ogni bene più caro, piuttosto che vedere la sofferenza delle persone.

Si portò una mano sul volto, mentre si pentiva ogni istante sempre più di essersi fatto vedere così vulnerabile di fronte al suo coinquilino.

Poi la spostò, poggiandola sulla sua fronte accertandosi così dello stato in cui si trovava.

«Ora sto bene»

«Si questo lo noto anche io sai? Quando stai male sei molto più pacato del solito»

Kaveh sorrise leggermente, mentre Alhaitham si annotava mentalmente di non ammalarsi mai più.

«Comunque, vogliamo stare qui in piedi ancora a lungo oppure vogliamo fare colazione?»

La pose come domanda, ma quella sua richiesta era più un "Andiamo a sederci"

Così si accomodarono al tavolo della cucina e lasciarono che la loro vita sembrasse quella di due normali conviventi. Finsero come poche volte erano in grado di fare, che il loro rapporto non fosse una guerra continua.

Una convivenza fatta di piccoli gesti che in qualche modo ti facevano apprezzare la presenza dell'altro.

Kaveh prima di accomodarsi prese una tazza e la riempì di quel così raffinato intruglio che quei due uomini amavano tanto, che forse era una delle poche cose che li accomunava, poi la passò allo scriba, si sedette e riprese la sua lettura riprendendo a sorseggiare il suo caffè ormai tiepido.

Alhaitham si era arreso ai soliti modi di fare dell'architetto, ormai avrebbe dovuto farci l'abitudine, ma forse non lo avrebbe mai fatto, perché per quanto fosse in grado di cogliere la natura di Kaveh, per lui sarebbe sempre rimasto un soggetto sorprendente, in ogni cosa che faceva e così bevve anche lui il suo caffè in silenzio, osservando l'uomo che leggeva uno dei suo libri, non comprendendo per l'ennesima volta il motivo di quel suo così ostinato atteggiamento nei suoi confronti.

«Ti sei improvvisamente appassionato all'arte mentre ero via o da bravo junior stai iniziando a tenere in considerazione i preziosi appunti che ho lasciato in questi libri?»

Giusto... l'evento d'arte, ecco cos'era sfuggito allo scriba.

«Ah si, i Saggi hanno deciso di promuovere un evento d'arte»

Kaveh iniziò a tossire sonoramente, il caffè che stava bevendo gli andò di traverso.

«Scusa cosa hai appena detto?!»
«Esattamente quel che hai sentito»
«No, non è possibile»
«E invece si»
«Mi stai prendendo in giro»

Erano ritornati loro, uno strano duo a cui non vi era rimedio.
Incapaci di trarre vantaggio dalla tranquillità della mattina, ma d'altronde era normale per loro non avere un attimo di tregua.
Erano solamente fatti così.

«Non ho motivo per prenderti in giro»
«Invece si ed io so che mi stai mentendo»
«Non ti sto mentendo»
«Stai mentendo sul fatto di non star mentendo»

Kaveh si alzò dalla sedia puntando il dito verso Alhaitham.

«Ti ho già detto di no»

Quest'ultimo bevve tranquillamente un sorso di caffè.

«È impossibile»
«Lo so»
«Sicuro che non mi stai mentendo?»
«Si Kaveh, ne sono sicuro»
«No non ti credo»
«E quando mai»
«Se sei un bugiardo non è colpa mia»
«Non sono un bugiardo»

Qualche istante di silenzio rese distanti le frasi da loro, distanti dalle loro bocche ma impresse nell'atmosfera che li circondava.
Ormai era il focus della mente di Kaveh, quell'informazione di vitale importanza su cui rifletteva e che ovviamente Alhaitham gli aveva dato senza un briciolo di introduzione. Era sempre così diretto.

«Spiegami bene tutto allora»

E come da richiesta Alhaitham gli raccontò ogni cosa e più parlava e più Kaveh domandava e domandava ancora. Allora lo scriba gli narrò tutto: della riunione con i Saggi, della sua conclusione e della sua attualità. Gli espose le sue idee per il progetto, i possibili invitati e coloro a cui aveva già chiesto e il biondo senza emettere alcun suono, ascoltava attentamente ogni parola.

Ormai il caffè nelle loro tazze era finito.

«Questo è quanto»

Concluse lo scriba non notando alcuna reazione da parte del coinquilino. Era un comportamento strano da parte sua, ma in realtà stava ancora cercando di elaborare tutte quelle informazioni così irreali per la città che Sumeru era, poi si svegliò di colpo, dando di matto come fino a poco tempo prima stava facendo.

«E TU ASPETTI SOLO ADESSO PER DIRMI TUTTO QUESTO?! RAZZA DI IMBECILLE!»

Kaveh si alzò agitato dalla sedia, che strisciò sul pavimento facendo un casino. Posò di fretta la tazza vuota nel lavandino come se all'improvviso non avesse più nessun istante da perdere.

Poi fece un grosso respiro e riprese.

«No, è impossibile. Sul serio, non è credibile che Sumeru stia davvero facendo qualche cambiamento riguardo a questo. Io non ti credo, sei solo uno sporco bugiardo che mi sta prendendo in giro. Ah ah super divertente questo scherzo signor scriba, ma non ci sei riuscito, non mi hai fregato... ma giusto per sicurezza, visto che di te non c'è da fidarsi, andrò da Nilou e le chiederò di dirmi la verità visto che il suo è un animo buono, non come il tuo! Cattivo che non sei altro!»

Kaveh fece la linguaccia ad Alhaitham e si diresse all'ingresso per mettersi le scarpe, annullando all'istante ogni impegno che si era preso per quella giornata.

«Ma quanti anni hai? 5?»

Fu questa l'unica cosa che lo scriba riuscì a dire. Davvero non si spiegava come Kaveh riuscisse sul serio a fare delle uscite del genere.

«Si si come vuoi Alhaitham! Comunque vedi di non uscire di casa e se al mio ritorno non sei qui mi arrabbio te lo dico! In caso, se hai bisogno chiamami!»
«Vorrei ricordarti che mi hai preso il telefono»

Ma l'architetto era già uscito di casa... doveva essere un caso clinico il suo, pensò lo scriba.

Sospirò scuotendo il capo con disappunto. Quell'uomo era incorreggibile e senza speranza, un bambino nel corpo di un adulto per la maggior parte del tempo e un uomo iper protettivo per il restante... aveva così tanti difetti Kaveh che Alhaitham non riusciva a contarli con le sue sole dita eppure... era lui l'uomo con cui viveva.
Conosceva Kaveh, lo conosceva meglio di chiunque altro, più di quanto volesse ammettere, ma quando pensava a lui entravano sempre in gioco quegli eppure... eppure, eppure.

Era il suo semplicemente essere Kaveh che in qualche modo alterava il suo modo razionale di pensare le cose.

Ed ora era chissà dove diretto come un treno al Grand Baazar pronto a scoprire se Alhaitham volesse solamente prendersi gioco di lui.
Ci pensava spesso a dire il vero... se lo scriba considerasse davvero lui e il suo lavoro un qualche tipo di scherzo, forse lo faceva, ma voleva con tutto il cuore credere il contrario, ed ogni volta finiva per dubitare costantemente dell'uomo con cui abitava.

Era più forte di lui, non ce la faceva a fare il contrario. A dire il vero dubitava un po' di tutti quelli con cui aveva a che fare, con la costante preoccupazione che questi fossero sul punto di stufarsi di lui, di non sopportarlo più. Pensava che forse avrebbero fatto bene a farlo, ma dubitava più di tutti di Alhaitham. Se qualcuno avesse deciso di sparire dalla sua vita, il primo che lo avrebbe fatto con la più totale certezza, sarebbe stato Alhaitham. E mentre camminava tra le strade di Sumeru, Kaveh si lasciava mangiare vivo dai suoi pensieri, inconsapevole del fatto che si stava proiettando da solo problemi che ancora non esistevano, che forse non sarebbero mai esistiti.

Ma la sua mente era con il costante pensiero che ad ogni cosa bella che gli capitava nella vita, ne conseguiva una disastrosa che gli portava via tutto ancora prima che se ne fosse reso conto. Era certo che prima o poi sarebbe successo qualcosa di davvero spiacevole... pensava sempre troppo a cose sempre troppo tragiche.

Nonostante questo fece tutto ciò che dovette, raggiunse il Grand Baazar e parlò a Nilou e a Zubayr chiedendogli informazioni riguardo la vicenda e tutto si rivelò vero, proprio come aveva detto Alhaitham.
Poi perse tempo, chiacchierando con quei due soggetti per forse troppo, ma era strano per Kaveh sentirsi capito e quella era una cosa che forse solo due artisti come lui sarebbero stati in grado di fare.

Ma a causa dello scambio di idee si rese presto conto di non avere la minima idea di cosa presentare per l'evento.
Avrebbe dovuto inventarsi qualcosa al più presto, sapeva già che si sarebbe ritrovato con un sacco di lavoro sulle spalle.
Così finalmente rincasò.

Era passato più tempo di quel che credeva e senza che se ne fosse reso conto si era già fatta l'ora di pranzo.

«Sono tornato!»

Kaveh non ricevette risposta e improvvisamente l'irritazione iniziò a montargli la testa, convinto che Alhaitham avesse fatto di nuovo di testa sua. Il salotto era vuoto, così come la cucina e a da ispezionare mancava solo l'ultima stanza... la camera da letto dello scriba. Sperava davvero per la sua serenità che Alhaitham lo avesse ascoltato per una volta buona, però era già a conoscenza del fatto che non lo avrebbe trovato in nessun angolo della casa.

Lo scriba se n'era andato, per questo motivo Kaveh spalancò la porta della stanza senza esitazione... Poi si guardò attorno e tirò un sospiro di sollievo.
Come se tutte le sue preoccupazioni fossero svanite e i suoi sensi di colpa fossero un po' meno pesanti di prima.
Alhaitham era bello sdraiato sul suo letto che riposava.

Il biondo sorrise. L'uomo lo aveva davvero ascoltato, ma poi smise presto consapevole che se a quell'ora del giorno Alhaitham era a letto, era perché stava di nuovo male. Così non disse niente, si avvicinò a lui e poggiò nuovamente una mano sulla sua fronte calda, osò pensare bollente, constatando che la febbre gli era salita ancora.

Sospirò, che cosa avrebbe dovuto combinare con lui?

E Kaveh non fece in tempo a tornare composto che Alhaitham si svegliò all'improvviso, afferrandogli il polso ancora sopra la sua testa.

Nessuno disse niente, nemmeno un sussurro. Si guardavano e basta senza sapere bene cosa dire. Sarebbe davvero stato giusto dire qualcosa? Così lasciarono che fossero i loro occhi a parlare per loro. Quegli stessi occhi con cui parlavano da sempre, senza dover sprecare fiato e dove si ritrovavano poi ogni volta, persi nello sguardo dell'altro e sembrava che potessero annegarci dentro.

Annegare l'uno all'interno dell'altro.

Kaveh così annegò in quello sguardo stanco di Alhaitham che sembrava dirgli "Non ho bisogno di niente, non ti dare tutte queste pene"
Alhaitham invece cadde in quello di Kaveh pieno di mille sfumature diverse, che sapeva comprendere meglio di qualunque runa o linguaggio antico avrebbe potuto apprendere. "Non preoccuparti, penso io a tutto, tu riposati soltanto" era questo ciò che leggeva in lui.

Kaveh sorrise e con la mano libera allontanò delicatamente i capelli dalla fronte di Alhaitham facendoli ricadere all'indietro. Lo scriba lasciò la presa su di lui e si fece un po' più in là nel letto per poter scrutare meglio la figura di Kaveh, quest'ultimo ne approfittò e si sedette comodo sul letto, al fianco dell'uomo che lo guardava male e Kaveh rise in tutta risposta, mentre lo scriba lo osservava in ogni suo gesto.

Sembravano due adolescenti pronti a iniziare il loro pigiama party.

«Non so cosa fare per l'evento di cui mi hai parlato. Che cosa dovrei inventarmi Alhaitham?»

Gli chiese consiglio, proprio nell''esatto modo in cui avrebbero fatto due amici... due migliori amici.

«Si solamente te stesso, no? Sei bravo in quello»

Alhaitham ancora sdraiato si sistemò su un fianco e appoggiò la sua testa sulla mano. Kaveh lo guardò sbalordito, sorpreso da quelle affermazioni che se non le avesse sentite non ci avrebbe potuto credere. Poi sorrise ancora, un sorriso dolce che Alhaitham si immaginava ogni volta che pensava a Kaveh.

«Potresti essere un tantino più specifico? Ho davvero bisogno di idee»
«Suona il tuo violino»

𖡼.𖤣𖥧𖡼.𖤣𖥧𖡼.𖤣𖥧𖡼.𖤣𖥧 ❁

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