⋆୨୧˚𝐻𝑜𝑤 𝑝𝑒𝑜𝑝𝑙𝑒 𝑐𝑎𝑛 𝑐ℎ𝑎𝑛𝑔𝑒˚୨୧⋆
!☆𝐶ℎ𝑎𝑝𝑡𝑒𝑟 𝟹☆¡
𖡼.𖤣𖥧𖡼.𖤣𖥧𖡼.𖤣𖥧𖡼.𖤣𖥧 ❁
"Torno tra qualche giorno, devo prendere parte all'inizio dei progetti di costruzione del nuovo edificio.
Non sentire troppo la mia mancanza :)
K."
Così recitava il biglietto che Alhaitham aveva trovato sul tavolo della cucina, quella mattina.
"Finalmente" fu la prima cosa che gli passò per la testa.
Si prospettava una bella giornata quella.
Avrebbe avuto la pace che tanto ambiva da tempo, senza doverla andare a cercare all'interno della Casa di Daena.
Si sarebbe potuto sentire di nuovo il proprietario di una casa che era alla fine, effettivamente sua. Solo sua.
Solo lui e il suo silenzio.
Quel silenzio di cui era affamato da una vita intera. Quello che non gli bastava mai.
Poi c'era il suo coinquilino.
A lui le cose non erano mai andate come sperava.
Sembrava che fosse proprio il suo desiderare qualcosa ad allontanarlo dai suoi obiettivi.
Era una lezione che quell'architetto aveva imparato con il tempo, con lo scorrerre della cattiveria del mondo sul corpo, eppure ci credeva ancora. Credeva che in qualche modo, magari, sarebbe riuscito a realizzare almeno una delle cose a cui ambiva.
Come se il suo essere un "genio" potesse fruirgli per lo meno qualche vantaggio.
Ma poi la realtà si impossessava del suo animo così idealista, e capiva che le cose belle non erano destinate a lui.
Così si disperava, crollava e si rialzava da solo, Kaveh, una marea di volte, dopo i suoi mille drammi esistenziali che Alhaitham non comprendeva, non era mai riuscito a farlo.
Ed era così che aveva passato i precedenti sei giorni.
Appresso a quell'uomo dall'animo troppo sensibile e dalla personalità troppo suscettibile e alle sue tavole che aveva dovuto rifare una quantità di volte considerevole per soddisfare le richieste di quel cliente che reputava assurdo.
Tutto alla fine era andato in porto e quei progetti per Kaveh così tanto dolorosi, avevano preso vita quasi per miracolo.
Ed ora la quiete dopo la tempesta.
Era come se tutto fosse tornato alla normalità, come sempre sarebbe dovuto essere. Nessun coinquilino fastidioso e nessun ulteriore problema. Niente di cui discutere e niente di cui preoccuparsi, eppure in un certo senso, era come se Kaveh fosse ancora lì.
Una vaga presenza che sembrava infestare quell'ambiete, che Alhaitham una volta ricordava diverso.
Quella mattina lo Scriba si era svegliato presto, più presto del solito, ed ora cercava di soffocare il profumo di Kaveh con quello del caffè appena fatto.
Trovava irritante ritrovarsi a riflettere sul quell'individuo che faticava così tanto a digerire, persino quando lui non era presente.
Così si mise alle orecchie le sue cuffie.
Quelle con cui evitava le persone che tanto non sopportava, le stesse che metteva anche per evitare Kaveh il 99% delle volte.
Si isolò dalla sua stessa casa, perché la presenza di quell'architetto sembrava impregnare così tanto quell'ambiente da cui era assente.
Più ci pensava e più non sopportava più niente di quella situazione in cui si era ritrovato, pentendosi ogni giorno di più di quella fatidica proposta, con cui aveva invitato Kaveh a stabilirsi da lui.
Affogò così i dispiaceri nei libri e nel caffè. Quelli in qualche modo, erano in grado di colmare quei vuoti che alloggiavano parassiti in lui.
Pagine macchiate d'inchiostro, da sempre erano stati tappa buchi. Buchi all'interno del suo petto da cui sgorgava alcunché. Lui era vuoto e si riempiva di parole dal significato complesso.
Rune antiche, strutture lessicali, alfabeti, parole e ideogrammi di ogni tipo. Avrebbe potuto studiarli tutti, apprendere nuovamente quelle nozioni che già sapeva a memoria, leggere quei mattoni ancora una volta, come se fosse la prima e lui non sarebbe stato comunque in grado di spiegare quella sensazione di assenza in un mondo in cui esisti e percepisci ciò che hai attorno.
Non trovava le parole adatte, le più adeguate a spiegare quella condizione di sé che non comprendeva nemmeno lui e per una volta era lui che non aveva la sua lingua sotto il suo controllo.
Lui che aveva sempre le parole giuste, il termine perfetto per ogni situazione che dovesse affrontare.
Quella sensazione non era logica, e lui odiava tutto ciò che non lo fosse.
La odiava perché quella realtà fatta di percezione non riusciva a spiegarsela.
Non riusciva a spiegare a sé stesso ciò che non fosse razionale.
Il comprendere stati d'animo e sentimenti non era affatto razionale.
Non era il suo campo, per quello c'era Kaveh.
L'unico motivo sensato che Alhaitham si dava, ogni volta che si chiedeva come ci fosse finito quell'idealista a casa sua.
Alhaitham aveva bisogno delle conoscenze di Kaveh, in quella materia così astratta e interiorizzata all'interno degli esseri umani, che da solo non sarebbe mai riuscito a comprendere.
Si teneva Kaveh stretto, perché lui gli serviva.
Era per i suoi soli interessi.
Si ripeteva.
Mentre le parole scorrevano sotto il suoi occhi attenti. Macchie di inchiostro che nella sua testa prendevano un senso e le pagine che giravano leggere.
Faceva dell'apprendimento la sua esistenza.
Per questo la casa di Daena lo accolse ancora. La casa di colei che rappresentava la personificazione delle azioni buone e cattive degli esseri umani.
Lesse così tanto in così poco, tra quelle scrivanie circondate dai libri, con gli occhi scrutatori che selezionavano così accuratamente cosa far apprendere allo Scriba e cosa no. Ciò che reputuava importante e cosa lo annoiava.
Forse passava più tempo tra quegli scaffali ricchi di conoscenza che a casa propria.
Definirla semplice biblioteca, la Casa di Daena, sarebbe stato riduttivo.
Era il punto di partenza di ogni accademico e ne rimaneva il punto di riferimento per il resto delle loro vite.
Ma alla fine che cosa rappresentasse non importava, importava la quantità di informazioni utili che Alhaitham ne avrebbe tirato fuori.
E i suoi compiti da Scriba poi, lo richiamarono al dovere, allontanandolo dalle nozioni che destavano il suo interesse, facendolo dedicare ai suoi obblighi di ordinaria amministrazione.
Tutto si ripeteva.
Giorno dopo giorno, in una monotonia che non ripudiava. Trovava quasi rasserenante quel ciclo di eventi senza fine e per un individuo pigro come lui, sarebbe stato di gran lunga più faticoso riscrivere la sua routine. Affrontarne le conseguenze.
Presediava alle riunioni dei 6 Saggi Reggenti se ne aveva voglia, annotava ciò che reputava necessario e interveniva qualora ci fosse un argomento degno delle sue parole.
Classificava e archiviava documenti di ogni tipo, venendo a conoscenza di ogni cosa riguardasse Sumeru, tutti i giorni con informazioni nuove.
La sua era una vita agiata, invidiabile da molti e non ambiva ad altro. Aveva già tutto quello che una persona comune potesse desiderare.
E le giornate passavano veloci in quella maniera, scorrendo come pagine di libri al vento, sotto il controllo di Alhaitham, che amministrava rigorosamente ogni cosa.
Lui aveva sempre il controllo su tutto.
Tranne del tempo. Perdeva la cognizione di esso, quando si chiudeva negli archivi e nelle biblioteche e leggeva fin quando gli occhi non iniziavano a bruciargli.
Come fuochi ardenti, talvolta faticava a tenerli aperti.
Poi tornava a casa tardi, senza aver mangiato nulla, convinto che gli bastassero i libri a sfamargli la mente.
La sua fame di conoscenza era più vasta di quella chimica.
Quel giorno non si era distinto dagli altri e varcò la soglia di casa, ancora una volta, inalando già il profumo di Kaveh.
Ma lui non era lì.
Aveva rimosso quel dettaglio, per lasciare spazio a informazioni più rilevanti eppure, quell'odore era rimasto lì, dove lo aveva lasciato quella mattina.
Quello stra maledettissimo incenso, vaniglia e muschio bianco.
Misto al caffè e alle parole di quell'uomo assente, la casa sembrava avere vita propria.
Non era così una volta.
Sbuffò irritato. Le cose cambiavano più velocemente di quanto credesse.
E ciò che non sopportava è che i cambiamenti li si nota quando ormai è troppo tardi per porvi rimedio.
Quando ormai già tutto è cambiato.
Posò i libri che aveva preso in prestito sul tavolo della cucina e si spogliò del necessario, buttandosi sul divano a peso morto, non trovando la forza sufficiente per raggiungere la sua stanza e i tessuti di quel sostituto del letto, lo avvolsero.
Viveva il silenzio in casa sua.
Era per lui un evento che con il tempo era diventato sempre più raro.
E per un istante pensò di non essere nella giusta abitazione.
Poi spense la mente e nel momento in cui lo fece, in cui smise di pensare ad ogni cosa, quel mal di testa che conosceva ormai bene da tempo, gli porse i suoi omaggi e lui lasciò semplicemente che accadesse, già abituato allo scorrere degli eventi.
Lasciò che il dolore lo affliggesse, come freccie incastrate nel cranio, che lo abbracciasse ancora una volta.
Era diventata anche quella parte della sua routine.
Quando gli ingranaggi della sua mente smettevano di girare, compariva quel sadico dolore che approfittava di quei momenti di pace che Alhaitham pensava di potersi dedicare di tanto in tanto.
Pensava anche di essere invincibile. Di non aver bisogno delle normali necessità che tutti i mortali hanno.
Ma alla fine era anche lui un essere umano e come tale c'erano dei bisogni di cui non poteva privarsi.
Sospirò per l'ennesima volta e chiuse gli occhi lasciandosi avvolgere dal buio.
Pensò a degli ipotetici scenari per illudere la sua mente. Scenari in cui Kaveh non era partito per lavoro.
Il primo, in cui Kaveh si lamentava di tutto e di tutti. Di come non avesse idee e di quanto non sopportasse l'assenza di estetica nelle cose. Il secondo, in cui imparava cose nuove, mentre sul tavolo della cucina, studiava attentamente forme architettoniche differenti, nelle varie regioni e in periodi storici diversi. E poi il terzo, in cui Kaveh suonava e lui sentiva ovattato il suono del suo violino attraverso le pareti.
Non lo aveva mai visto suonare, lo aveva solo sentito. Credeva che Kaveh si imbarazzasse della cosa.
L'unica volta che lo aveva colto in fragrante ascoltarlo, Kaveh era diventato rosso come un pomodoro evitando l'argomento in fretta e furia.
Quell'uomo viveva d'arte.
Era parte di lui e Alhaitham si era così tanto abituato alla presenza di quell'individuo che la sua mancanza sembrava anomala.
Strinse gli occhi già chiusi da un pezzo e si avvolse il cuscino del divano attorno alla testa. Non voleva più pensare a niente, ne tanto meno a Kaveh.
La testa gli faceva così male che non sentiva dolore soltanto quando si teneva impegnato con qualcosa.
Sperava di riuscire a dormire. Quella sarebbe stata l'unica sua salvezza, visto che quel dolore lo stava privando di tutte le energie e mettersi a lavorare o a leggere non sembrava un opzione.
Si rigirò tra quegli spazi limitati del divano, una quantità di volte non indifferente fin quando i suoi desideri vennero esauditi e cadde prigioniero del mondo dei sogni.
O per così dire.
Alhaitham non aveva sogni. Non aveva ambizioni e non reputava la cosa affatto triste come avrebbe fatto Kaveh al posto suo. Aveva già tutto. Un vita agiata e un lavoro ben retribuito ed essendo un uomo discretamente pigro, non aveva nemmeno la voglia di trovarsi un ambizione. Non che ne avesse bisogno.
Eppure in lui qualcosa mancava.
E per quante parole fosse fornito il suo vocabolario, non avrebbe mai trovato che cosa fosse quel qualcosa.
Quel tassello mancante all'interno di se.
Forse era a quel punto del pensiero, che si chiedeva che senso avesse studiare le lingue, se poi alla fine non era in grado di usarle. Di averne la padronanza perfetta.
Che strana ironia.
L'essere umano aveva inventato le lingue, eppure era lui stesso a non saperne usufruire.
E alla fine di ogni complesso il suo mondo si ripeteva ancora una volta.
La sua routine invariata per giorni, fin quando qualcosa accese una lampadina all'interno della sua testa, solitamente sempre impegnata a pensare a cose decisamente più importanti di qualunque individuo si fosse ritrovato davanti.
«Reputate voi tutti Sumeru una città colma di saggezza, alla ricerca del nuovo, voltata verso l'innovazione, ma questa non è altro che una nostra mera illusione»
Era uno dei Saggi Reggenti che parlava, all'ennesima delle loro riunioni a cui Alhaitham inizialmente non voleva nemmeno presentarsi.
Oltre per il fatto che il Gran Saggio Reggente dell'Akademya, quel giorno era assente e quindi, non si aspettava grandi cose da quel solito incontro.
Ma sorprendentemente stava iniziando a prendere una svolta che lo scriba reputava interessante, così dopo chissà quanto iniziò ad annotare qualcosa.
«Come penso che voi tutti sappiate, non c'è inganno più chimerico delle nostre stesse menti. Sono le nostre convinzioni che ci limitano. La conoscenza che dovrebbe darci la libertà ci sta in realtà limitando ed illudendo del contrario»
L'uomo dal volto stoico guardò uno ad uno gli altri Saggi negli occhi, convinto che da un momento all'altro sarebbe potuta scoppiare una guerra di ideologie a quel tavolo, se non avesse saputo usare le giuste parole.
E tutte le attenzioni rimasero all'uomo, mentre gli altri presenti attendevano intrepidi il continuo di quel discorso.
"Dove vuole andare a parare il vecchio?"
Era questo l'unico pensiero di Alhaitham che incollavano anche lui, alle labbra di quel Saggio, in attesa di spiegazioni ulteriori.
«Siamo conviti di sapere già tutto, ma si è visto dalle recenti tensioni a Sumeru che così non è. A dire il vero, non c'è fine alla conoscenza e per questo vorrei che Sumeru smettesse di limitarla»
«Vorrei che le stelle mi dessero il potere di saltare tutto il tuo bel minestrone di belle parole per dirci subito che cosa vuoi chiedere»
Fu il Saggio Reggente della Rtawahist a interrompere l'uomo. Il Saggio che gestiva gli studi delle stelle e dell'astronomia.
«Spero che le stelle ti dicano anche che non c'è fretta e che in quanto Saggi, siamo disposti ad ascoltare prospettive differenti»
Questa volta fu quello del Haravatat a parlare. Il mentore di Alhaitham e Saggio della Semiotica e delle Lingue.
Alhaitham trovava decisamente noiosi quei battibecchi, non solo perché era di gran lunga il più giovane fra i presenti e quelle litigate fra vecchi non lo interessavano minimamente, ma anche perché si stava uscendo da quel discorso che aveva in qualche modo storto la sua attenzione.
Poi il filo riprese a scorrere nella giusta via.
«Ciò che voglio dire è: Perché anziché limitare la capacità di apprendimento dei nostri accademici non la lasciamo sbocciare nelle sue mille forme. L'arte, un esempio lampante, all'interno della nostra società è vista da sempre in maniera indecorosa, ma alla base della storia dell'uomo, l'arte ha un ruolo fondamentale perché ha mille aspetti e mille sfaccettature, quindi perché non promuoverla, anziché limitarne lo sviluppo? Vogliamo fare della nostra Sumeru una città retrograda?»
Fu così che il Saggio Reggente della Kshahrewar aveva sganciato la sua bomba. Il Saggio che reggeva il mondo dell'architettura aveva fatto un passo avanti verso qualcosa che Sumeru non aveva mai visto, prima di allora.
Qualcosa per cui gli stessi conoscenti di Alhaitham, come Kaveh o Nilou lottavano da una vita intera.
Ed un vociare iniziò a proliferare come un morbo per la stanza delle riunioni. Bisbigli e mezze frasi miste a parole di altri, volavano in giro senza controllo e gli unici in silenzio che aspettavano un esito erano Alhaitham e il Saggio della Kshahrewar.
Finché d'improvviso tutto tacque, le parole ritornarono al loro posto e il Saggio della Vahumana prese parola, per primo.
«L'essere umano è da sempre in evoluzione, giorno dopo giorno, ed io non voglio limitare questo suo sviluppo. Io sono a favore»
Alla fine erano tutti interessati ai propri profitti e ai propri indirizzi di studi. Come non avrebbe potuto il saggio che promuoveva l'eziologia, rifiutare una possibilità così appetibile.
«Ciò che è astratto, non ha senso di essere. Per questo non dovrebbe essere una perdita di tempo quest'arte che tanto ambite. È un concetto troppo astratto. Io sono contro»
Si oppose così il Saggio della Haravatat. Alhaitham avrebbe voluto dire che non se lo aspettava, ma in realtà immaginava che quell'uomo si sarebbe sicuramente opposto ad un tale sviluppo.
«Se volete abolire l'arte perché vi sembra un concetto astratto, allora dovremmo abolire altre materie di studio troppo astratte come scienze sociali o le stelle stesse»
Il rappresentante della Kshahrewar, rimarcava la sua posizione. Aveva l'espressione di uno che non sarebbe uscito da quella stanza fin quando non avrebbe ottenuto quello che voleva.
«Hey! Le stelle sono una cosa seria, non sono "cose astratte"»
«Nemmeno l'arte lo è allora»
Il Saggio della Rtawahist sbuffò irritato.
«Per me è comunque un no. Le stelle sono in grado di stabilire il destino umano, e l'arte invece?»
Era una domanda, ma chi l'aveva posta non desiderava veramente una risposta.
Ed ora erano 2 a 2. Mancavano ancora gli ultimi 2 voti.
«Sono consapevole del fatto che l'arte abbia diverse forme, tra cui la musica e reputo che essa sia in qualche modo collegata alla natura. Voglio vedere gli svilluppi che avrà questa faccenda, per me è un si»
Anche il Reggente dell'Amurta aveva detto la sua, mancava soltanto l'opinione della Spantama.
Tutti gli occhi erano su di lui in quel momento, in attesa dell'esito che avrebbe deciso le sorti di Sumeru.
Di quella che avrebbe preso spazio tra i libri che Alhaitham tanto amava leggere.
«Come già stato ribadito, l'arte è un qualcosa di troppo astratto e può diventare alla lunga pericolosa, allontanando l'essere umano dagli studi più concreti. Come un sogno privo di inizio e di fine. Per me è un no»
3 a 3. Tutti i Saggi Reggenti avevano detto la loro e non erano giunti ad una conclusione.
Mancava ancora il giudizio di una persona. Una persona di cui tutti all'interno di quella stanza, non mettevano in dubbio le reali capacità e conoscenze.
Il Reggente della Kshahrewar, lo guardò negli occhi accennando un mezzo sorriso e allora parlò nuovamente.
«Io vorrei sapere che cosa ne pensa a riguardo, il nostro Scriba. Alhaitham, illuminaci ti prego»
E i riflettori erano su di lui. Occhi in attesa di un verdetto che per posizione gerarchica non contava niente, ma era pur sempre di Alhaitham che si stava parlando. Tutti avevano una grande considerazione di lui e stima seppur fosse ancora così giovane.
Così lui sbuffò. Era arrivato ad un punto in cui era lui stesso in grado di cambiare una nazione intera con le sue parole. Si sistemò a dovere sulla sedia e guardò uno ad uno ogni Saggio presente.
«Visto che siete così indecisi sul da farsi e visto che mi sembrate così lagunosi sul tema dell' "arte" che vi preoccupa tanto, perché non vedere i diretti interessati in azione»
Silenzio, ancora una volta per lui. Era così enigmatico con le sue parole che era in grado di confondere persino quei vecchi accademici.
«Spiegati meglio»
Insistè il Reggente del Haravatat.
«Come credo voi ben sappiate. Il giorno del salvataggio di Sua Eccellenza Minore Kusanali, diversi accademici e matra sono rimasti colpiti e affascinati dall'esibizione di una nota ballerina del Gran Bazaar, pur non avendo mai visto prima di allora nessuna forma d'arte. Quindi perché non dare l'opportunità a questi artisti di dimostrare ciò che possono offrire?»
«Cosa proponi di fare?»
«Lasciamo esibire gli artisti, non solo per voi, ma per tutta Sumeru, in modo tale che il vostro popolo scopra che cosa significhi il termine "Arte" e se la cosa non dovesse piacervi in ogni caso, allora abolite pure la proposta»
Alhaitham incrociò le braccia al petto, consapevole di aver segnato, ancora una volta, la svolta della nazione della Saggezza.
𖡼.𖤣𖥧𖡼.𖤣𖥧𖡼.𖤣𖥧𖡼.𖤣𖥧 ❁
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