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𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐈𝐈𝐈. 𝐑𝐢𝐜𝐡𝐚𝐫𝐝 𝐆𝐥𝐚𝐦𝐢𝐬

Musica consigliata: "Make You Feel My Love" di Sleeping At Last.

https://youtu.be/TlXodzoQG4U

Andrew ed Alex entrarono nell'aula dove si sarebbe tenuta la lezione di Francese e presero posto a un banco della seconda fila che distava ad appena pochi centimetri dalla parete. Il primo a lasciarsi cadere su una delle due seggiole fu il giovane Woomingan che, reprimendo un lungo e sconfortato sospiro, schiaffò con malagrazia i libri di testo davanti a sé. Aveva decisamente poca voglia di ripassare una materia che, nonostante lo zelante aiuto di Andrew, proprio non voleva saperne di piacergli né di ficcarglisi in testa.

Quella mattina Andrew, memore del fatto che avessero pianificato di arrivare in anticipo a scuola per rinfrescare le loro conoscenze riguardo al Francese in vista del probabile test che si sarebbe forse svolto a breve, aveva deciso di passare a prendere lui stesso Alexander. Quando aveva suonato al campanello, tuttavia, Daniel gli aveva detto di non aver ancora visto il figlio scendere dal piano superiore. In breve, a Collins era toccato di armarsi di pazienza e di tirar sì e no giù dal letto uno scontento Alex che non aveva fatto altro che borbottare per tutto il tempo fino a quando non erano usciti e montati in auto.

Due giorni prima, proprio dopo la visita dallo sceriffo, Woomingan aveva deciso di presentare al padre e al futuro patrigno il famigerato Andrew ed era andato tutto per il meglio. Collins proprio non era riuscito a capacitarsi di come Lex avesse potuto lamentarsi tanto di quei due uomini che ai suoi occhi erano apparsi non solo due persone di tutto rispetto, ma anche una coppia affiatata e adorabile. Aveva parlato per quasi un paio d'ore con entrambi, prima di seguire Alex al piano di sopra e in camera di quest'ultimo, e si era trovato benissimo con tutti e due.
Da ciò aveva tratto una conclusione: Alex, fra tante altre cose, tendeva anche a fare il melodrammatico e per questo si era beccato infinte da parte sua lo scherzoso soprannome di Re dei Drammi.

Si sedette accanto al compagno di scuola, nonché suo attuale ragazzo, e gli rifilò una gentile gomitata. «Su con la vita, dai! Non sei andato così male, ieri, e abbiamo ancora un po' di tempo per ripassare» cercò di rincuorarlo.

Alex gli scoccò un'occhiata torva. «Disse quello che aveva la nonna che gli insegnava a parlare francese! Vorrei sapere perché non ho avuto anch'io una dannata nonna francofona!», brontolò. «Non è giusto! Insomma, praticamente è come barare!»

Andrew sghignazzò, poi gli baciò una guancia e sussurrò: «Smettila di agitarti. Ci sono io vicino a te, no? Al massimo ti suggerirò qualcosa». Il suo casto bacio fu sufficiente a far sciogliere e rilassare un pochino Woomingan il quale, infine, abbozzò un sorriso. «Okay. Mi affido a te» rispose, sporgendosi e unendo le loro labbra in un breve e amorevole scambio di tenerezza. Dio, se amava baciarlo e inspirare il suo profumo! Non quello appena accennato, appena muschiato e artificiale che era solito usare, ma quello di Andrew in sé per sé. Ogni persona aveva un'essenza del tutto personale e unica, a malapena percepibile, e il suo mandava quasi in estasi Alexander.

In realtà ogni cosa di quel ragazzo dai capelli corvini e dallo sguardo a volte enigmatico gli faceva perdere la bussola, così tanto che il pomeriggio addietro, a un certo punto, si era ritrovato a desiderarlo nel vero senso della parola.
V'era stato un momento nel quale si erano baciati e lui, per semplice accidente, aveva cozzato contro il letto e vi era finito sopra, trascinando con sé Collins; avevano continuato a baciarsi e poi ecco che le labbra di Andrew si erano separate dalle sue e avevano iniziato a disseminare di altri baci lenti e amorevoli i suoi zigomi, la mascella e il collo.
Malgrado la novità della situazione e di sensazioni al tempo stesso familiari e nuove, Alex aveva provato soltanto un piacevole, beato torpore fra le braccia di Andrew che, nonostante le apparenze e la compostezza superficiale, aveva rivelato di esser sotto sotto intraprendente e spigliato come il più incallito degli avventurieri.

Quell'attimo si era tuttavia infranto quando Daniel aveva bussato alla porta e loro, colti alla sprovvista, avevano fatto del proprio meglio per non dar a vedere di essersi trovati a un passo dal condividere per la prima volta un letto. Era stato a dir poco imbarazzante capire che l'uomo avesse lo stesso subodorato qualcosa, tanto da lanciare un'istintiva, sospettosa occhiata a Andrew, quasi a ricordargli, in rigoroso silenzio, che da allora in avanti sarebbe stato sottoposto a un attento e marziale scrutinio.

Non appena il signor Woomingan se n'era andato, lasciando ovviamente la porta socchiusa, anzi quasi del tutto aperta, i due ragazzi ci avevano riso sopra, ma ore dopo, quella stessa notte, Alex non aveva fatto altro che ripensare a quanto accaduto e porsi mille domande, fra le quali se non sarebbe stato meglio rallentare i tempi, anziché fare come sempre aveva fatto e bruciare le tappe. Andrew, dopotutto, non era come le altre anime che lui aveva collezionato alla pari di trofei sullo scaffale delle giovanili avventure fra le lenzuola.
Drew era speciale e con lui non voleva affrettare niente. In parte, lo ammetteva, lo scoraggiava il non saper bene come muoversi o come fare, come agire o non agire. Andrew aveva esperienza in quel campo, lo aveva detto chiaramente, e di sicuro gli avrebbe offerto supporto e tutte le risposte di cui necessitava, ma lo stesso Alex aveva un po' di paura. Era come se di colpo fosse tornato vergine e ignorante in merito a certe faccende.

Per il momento, si disse mentre scostava i capelli neri dal pallido e avvenente viso di Collins, preferiva assaporare ogni singolo istante e prendere con calma le cose, proprio come era stato lo stesso Andrew a dirgli di fare quando erano tornati sull'argomento. Gli aveva assicurato di non avere di certo fretta e che l'importante fosse che entrambi avessero le idee chiare riguardo alla questione dell'intimità. «Dimmi qualcosa in francese» gli disse a bassa voce, tra il serio e il faceto.

Drew soffocò una debole risata, scosse la testa e gli sussurrò con un accento a dir poco magistrale: «Je t'aime, mon amour».

Malgrado la tenera banalità della frase, Alex si ritrovò ad arrossire come una scolaretta alle prime armi e avvertì un piacevole brivido percorrergli la colonna nell'udire le parole pronunciate dal coetaneo in quel modo, con quella cadenza musicale e sensuale al tempo stesso. «Tu vuoi la mia morte, ormai l'ho capito» commentò scherzoso, anche se dentro era in preda a un turbine di emozioni difficile da descrivere.

«Non potrei mai desiderare nulla del genere» fu la risposta sincera e disarmante dell'altro ragazzo. «Specie quando si tratta di te.»

A volte, pensò Alexander, ciò che Andrew diceva era talmente bello e dolce da far male. No, non le sue parole, ma lui in sé per sé. Era lui da essere così buono, unico e speciale da spezzare il cuore, di più se ahilui tornava a ripensare a com'era iniziato tutto e a ciò che prima o poi avrebbe dovuto confessare a quella persona meravigliosa che lo stava guardando con sentimento e premura. Forse il cuore di entrambi sarebbe andato in pezzi, quel triste giorno, ma per qualche motivo Alex sentiva che sarebbe stato lui stesso a morirne.
Lui era la nave rimasta troppo a lungo in acque tempestose e senza Andrew, senza quella salda e forte ancora che era stata in grado di ricondurlo verso rotte placide e sicure, avrebbe finito per perdersi per sempre.
Sapeva che sarebbe stata quella la sua fine, in caso tutto si fosse risolto nel peggiore dei modi e Andrew non avesse più voluto saperne niente di lui.

«Che cos'hai?» chiese Collins, riportandolo alla realtà. «Sembri... triste.» Era ovvio che ora fosse preoccupato. Alex fece per rispondere, forse per sputare finalmente il viscido rospo che troppo a lungo si era portato dentro, ma si chetò udendo dei passi infrangere il silenzio dell'aula vuota. Un attimo più tardi la voce di Brian pose del tutto fine alla loro conversazione: «Appena avrete finito di tubare come due piccioncini sul vostro ramo preferito, ragazzi, fatemi un fischio!»

Woomingan sbuffò e scoccò un'occhiata fosca all'amico. «Dimmi se non sei la quintessenza della rottura di palle con la "R" maiuscola» lo accolse acido. «Perdonalo, è un cretino» aggiunse, guardando Drew con aria di scuse. E dire che stava per confessargli tutta la verità...!

Brian, nel frattempo, si era seduto sul banco di fronte a loro. Sghignazzò alle parole del coetaneo e trasferì gli occhi castani su Collins: «Perdonalo, è talmente sbadato da essersi dimenticato tre quarti della frase. In teoria ci conosciamo già, ma date le circostanze... piacere, mio, Andrew! Sono Brian, l'amico cretino dell'imbecille seduto accanto a te!» Allungò una mano verso Andrew che la strinse, pur con un certo imbarazzo. Sorrise a Herden. «Beh, allora, già che ci siamo, io sono...»

«Andrew Jonathan Collins, lo sanno anche i sassi. Alex parla continuamente di te. Mi ha fatto venire il mal di testa più di una volta, fidati! Non la pianta un secondo di cianciare come un innamoratino! L'altra sera siamo stati due ore al cellulare a parlare di te! Gli hai sì e no mandato in tilt il sistema nervoso, amico!» lo interruppe Brian, facendogli l'occhiolino e guadagnandosi, per quella soffiata e soprattutto per la strizzata d'occhio, un pugno da parte di Alexander. Schivò il colpo e rise di nuovo, lo fece di cuore, nel vedere Andrew reagire come se fosse al tempo stesso in imbarazzo e stuzzicato dalle sue affermazioni.

Quanto ad Alex, Herden sapeva bene quanto egli fosse diventato un tipo alquanto geloso da quando si era chiarito con Collins. Sapeva molto bene della sua spontanea gelosia e da allora faceva di tutto per farlo uscire dai gangheri di proposito. Brian, d'altronde, era pur sempre Brian: il ragazzo più burlone e dispettoso di tutta la scuola. «Oh, ma non è finita qui! Giusto ieri sera ha detto che hai degli occhi stupendi, poi che adora affondare le dita fra i tuoi capelli che sembrano di seta, per non parlare delle mani! Ogni volta che lo sfiorano, testuali parole, avverte dei piacevoli brividi lungo tutto il corpo. Ti risparmio il resto delle fesserie sparate da Romeo redivivo, anche se forse lo vedrei meglio nei panni di Giulietta!»

Alex, desiderando solo di poter andare a sotterrarsi nel giardino della scuola, si spalmò una mano sulla faccia e si ripromise di strangolare quella bocca larga ambulante che rispondeva al cognome Herden. E lui che pensava di poter aprirsi in tutta libertà, se non altro, con il proprio migliore amico!
Squadrò con aria assassina il compagno di scuola. «Non hai da ripassare qualcosa per il possibile test di oggi, Brian?» chiese, calcando a denti stretti la voce sul nome mentre piegava le labbra in sorriso tirato.

Brian fece schioccare la lingua e scosse il capo, tronfio: «No! Ho ripassato ogni singolo argomento, ieri, e vedrete che oggi prenderò il voto più alto di tutta la classe!»

«Non me ne frega niente e dubito interessi ad Andrew, perciò ripassa di nuovo» insisté il quarterback.
Brian sapeva essere un vero rompiscatole a tempo pieno. Gli voleva bene ma... buon cielo, certe volte era impossibile fare i conti con la sua dannata parlantina!

Herden sogghignò malizioso e per buona misura gli sprimacciò una guancia. «E va bene. Tranquillo, non te lo porto via!» replicò prima di aprire il proprio libro di francese e ripassare ancora una volta il programma.

Fra gli altri due ragazzi, infine, calò per qualche interminabile secondo un imbarazzato e teso silenzio. Andrew, poi, inumidì le labbra e si fece coraggio: «Davvero ti piaccio così tanto? Intendo... in termini puramente fisici?»
Da un lato lo aveva lusingato e sorpreso in positivo realizzare quale effetto avessero le sue azioni e il suo corpo su Alexander, ma dall'altro era impacciato e stentava a crederci, eppure... quando si erano baciati nella stanza da letto di Woomingan, quest'ultimo gli aveva offerto molte prove tangibili di ciò che Brian poi aveva spifferato. In quell'occasione erano stati a tanto così dal giacere assieme per la prima volta e aveva visto coi propri occhi Alex sciogliersi fra le sue braccia, arrendevole e mansueto come un agnello, tanto che col senno di poi non credeva sarebbe riuscito a trattenersi se solo il signor Woomingan non avesse interrotto il loro ardente intermezzo.
Non serviva neppure specificare che, suo malgrado, appena era tornato a casa e si era coricato non avesse quasi affatto chiuso occhio, rapito dal ricordo delle labbra di Alexander, del calore del suo corpo e tanto altro ancora.
Qualunque cosa provasse per quel ragazzo, era certo di non averla provata per nessun altro, neppure per Dylan. Era un sentimento più viscerale, lo sentiva ribollire sotto la propria pelle sempre di più, un giorno alla volta, di secondo in secondo e non sapeva come fermarlo né voleva farlo, in tutta franchezza. Non voleva perché lo faceva sentire davvero vivo, non un mero spettatore della propria esistenza.

Alex, dal canto proprio, era a tanto così dall'esplodere per l'imbarazzo e sì, anche per l'emozione. Che ci si credesse o meno, Andrew era riuscito a farlo regredire allo stadio di un ragazzino alle prime armi che avvampava sulle gote per un nonnulla.
Brian ti uccido, ti riporto in vita e poi ti uccido di nuovo, pensò disperato.
Si succhiò il labbro inferiore, in difficoltà, e piantò con rinnovato e ardente interesse lo sguardo sulle proprie mani adagiate sul banco. Tamburellò le dita, nervoso. «Uhm... io... i-io...» biascicò, gonfiando poi le guance e stringendosi nelle spalle. «E-Ecco... sì, insomma... s-sei... sei...»
Dall'imbarazzo passò ben presto alla collera e batté un pugno sul banco prima di sventolare quella stessa mano a mezz'aria. «Porca miseria, Brian! Fatti i cazzi tuoi, vuoi?!» Talmente era inviperito da essersi fatto male da sé come un idiota.

Brian, il quale di nuovo aveva allungato il busto verso di loro per sentire meglio, in silenzio si stava godendo la scena con un sorrisetto furbo e deliziato stampato in faccia.
Era assai probabile che avrebbe preso in giro Woomingan per quel suo lato da timidone fino alla fine dei tempi. «Oh, dai! Siete così teneri!» piagnucolò, fingendosi trasognato e commosso. «Sul serio, siete come una coppia di soffici marmotte! Due colombelle che tubano nel loro nido d'amore! Un paio di fidanzatini sotto la tour Eiffel

«Brian, sto per picchiarti!»

«Ti ricordo che siamo a scuola!»

«Non me ne importa un accidente! Studia e non scocciare, per Dio!»

«Uffa!»

Persino Andrew, serio e poco incline al gioco com'era, non riuscì a far a meno di lasciarsi sfuggire una risata. A divertirlo non erano solo le punzecchiature di Brian, ma anche e soprattutto la reazione burbera di Alexander. Avrebbe voluto far notare a quest'ultimo che di quel passo lo avrebbero presto scambiato tutti per una ciliegia matura, tanto era rosso in faccia, ma preferì non infierire. Quei due erano un perfetto duo comico senza che altri ci mettessero lo zampino, d'altra parte.
Scuotendo la testa e abbandonando il mento su di una mano, preferì godersi la scena e indugiare nella tenerezza che provava nei riguardi di quel lato di Alex così permaloso e al tempo stesso dolce.

Osservò Alex scuotere la testa e sbuffare sonoramente, poi tornare a guardare lui e annuire, le labbra increspate in un sorriso sghembo. Sembrava un bambino che era stato appena colto in flagrante. Adorabile, si disse Andrew. La parola giusta per descrivere Lex era adorabile.

«Sì, Andrew... a dire il vero... mi piace tutto di te. N-Non c'è un singolo atomo di ciò che ho davanti a me a non mandarmi il cervello in pappa. Sei bellissimo e io... io sento quasi di non meritarti e...»

«Oh, guarda com'è diventato rosso! Questa va su Twitter, Facebook e tutti i gruppi di PhonesUp

Andrew non ce la fece oltre e scoppiò a ridere di gusto, pizzicandosi con due dita il ponte del naso e scuotendo il capo. Malgrado le parole di Alex avessero causato nel suo animo lo scoppio di mille fuochi d'artificio, l'intervento di Brian aveva causato una reazione quasi chimica e condotto a un'esplosione d'irrefrenabile ilarità. Non era possibile rimanere seri in una situazione del genere.

Alex ne ebbe fin sopra i capelli. «E va bene, ora basta! Ti riempio di botte come una zampogna fino alla prossima era glaciale e guai a te se ti muovi! Vieni qui, brutto..!»
Scattò in piedi e verso Brian nel tentativo di acciuffarlo, ma Herden fu più lesto e balzò giù dal banco, arretrando e ridendo mentre smanettava col cellulare.
«Brian, ti avverto!» gli berciò appresso Alex. Provò ad afferrare il telefono dell'amico, tuttavia quest'ultimo sollevò il braccio in aria, quanto bastava a tenere l'obiettivo lontano dalla portata del coetaneo che, ahilui, era più basso e meno agile di lui.
Ecco, pensò furibondo Woomingan, cosa ci si guadagnava ad avere un migliore amico più alto, più robusto e che per giunta se la intendeva col saccone da boxe: un bel po' di grane!

«Finirete per farvi male, così» cercò di riportarli al buonsenso Andrew, pur con poco impegno. Se aveva ben inteso il loro legame, cercare di placarli sarebbe stato come mettersi in mezzo fra un cane e un gatto. Era molto meglio lasciare che se la sbrogliassero fra di loro e, in ogni caso, erano esilaranti e teneri. Sembravano sul serio una coppia di fratelli, un po' come lui e Samantha.
Ora capiva, rifletté tra il serio e il faceto, come mai Alexander andasse così d'accordo con sua sorella: erano entrambi permalosi e saltavano in aria per un nonnulla.

Rilassò la schiena sulla seggiola e sorrise di sbieco fra sé, riflettendo su ciò che Alex gli aveva poco fa confidato.
Non si era mai considerato un granché, a dire la verità, e la sua autostima in quanto a bellezza estetica e fascino era ben al di sotto dei minimi storici. Il colpo di grazia lo aveva ricevuto nel sorprendere l'ex-fidanzato con un altro ragazzo e da allora il dolore, la rabbia e il senso di tradimento si erano mescolati a tante, troppe incertezze e dubbi. Si era chiesto se fosse talmente anonimo e banale da aver contribuito in qualche maniera alla perdita di interesse di Dylan, ma da quando si era messo insieme ad Alex aveva trovato la forza di rifilare a se stesso un metaforico ceffone e di capire che Dylan, semplicemente, lo avesse tradito per altre ragioni, forse perché i loro sentimenti non avevano mai viaggiato sulla stessa lunghezza d'onda.
Lexie lo aveva tirato fuori dal proprio guscio e gli aveva ricordato una lezione che credeva d'aver dimenticato: prima di voler bene a qualcuno o addirittura amarlo era importante amare la propria persona, difetti compresi.
Stava iniziando a riconsiderare se stesso, a pensare di avere un certo valore come tutti gli altri e Alexander, con la sua sola presenza e con le sue attenzioni, con la sua premura e il suo carattere spumeggiante, ogni singolo giorno gli tendeva una mano per aiutarlo a rimanere saldo sulle gambe e proseguire il viaggio.

Per un solo istante gli parve di sentir pizzicare, sotto gli abiti, le profonde e lineari cicatrici su ambo le braccia e si ritrovò a pensare, anzi a esser convinto, che se solo avesse potuto conoscere prima quel ragazzo a suo modo splendido e unico, magari tante cose sarebbero andate diversamente. Tanto dolore gli sarebbe rimasto precluso perché, lo sapeva, Alex sarebbe stato lì, al suo fianco, pronto ad aiutarlo e a supportarlo.
A volte gli pareva quasi di aver a che fare con un angelo custode sotto mentite e imprevedibili spoglie, e non era cosa comune per lui lasciarsi andare con facilità a simili paragoni.

Non finirà come con Dylan, si disse risoluto, anzi fiducioso. Guardò ancora una volta verso quei due squinternati intenti a bisticciare come una coppia di bambini dell'asilo.
No... non andrà a finire com'è finita con lui. Stavolta lotterò con le unghie e con i denti per tenermi stretto Alex e nessuno si metterà in mezzo. Non lo permetterò.
Non avrebbe consentito più a nessuno di portargli via la persona che, in fin dei conti, era stata capace di riportare in lui un po' di pace e fiducia nel prossimo. Adesso che la luce del giorno era riuscita a penetrare nella grigia coltre in cui aveva finito per intrappolare se stesso, nulla lo feriva e angosciava più del mero pensiero di rinunciare a quel caldo e piacevole bagliore. Voleva tenere appresso al cuore quella luce tanto quanto desiderava fare con Alex, il suo dolce Alex. Per tanti motivi, forse innumerevoli, in lui vedeva la cura a tanti dei propri mali, tra i quali la tristezza e la disillusione o, ancora peggio, il cinismo.

Alexander era diverso, era speciale, era umano più di tanti altri loro simili. Quando Andrew si era confidato con lui, non molto tempo addietro, riguardo ai ricorrenti problemi di salute che lo tiranneggiavano da tanti anni, Woomingan non aveva reagito affatto come Dylan. Non era rimasto in silenzio per attimi che erano parsi eterni; non aveva schiarito con evidente disagio la voce e chiesto se non si trattasse, per caso, di una malattia contagiosa, degenerativa o qualcosa del genere.
Andrew ricordava bene quella domanda, era impressa a fuoco nella sua mente. L'aveva ignorata, ci era passato sopra in nome del quieto vivere e del fidanzamento in sé per sé. Aveva taciuto per non far saltare la mosca al naso a Dylan e perché, in fondo in fondo, lo aveva addirittura giustificato raccattando mille motivazioni e scuse nei confronti di un atteggiamento che di scuse non ne avrebbe meritata neppure mezza. Solo dopo che avevano interrotto la relazione era iniziato l'inferno, quello vero, ed ecco che con prepotenza il dolore causato da quella domanda era riaffiorato con la forza distruttrice di un tornado in azione. Quel dolore, il reale significato dietro alle parole di Dylan, lo avevano quasi messo al tappeto e indotto a credere che tutte le persone fossero in fin dei conti uguali e intrinsecamente egoiste, interessate solo al proprio di benessere e non a quello altrui.

Aveva mollato la presa, sempre un po' di più, ma poi... poi ecco che gli era piombato fra capo e collo, esattamente come avrebbe fatto un maldestro angelo con poca esperienza, Alexander Woomingan. Un fulmine a ciel sereno in piena regola e diamine se non gli aveva rifilato una sonora scossa!
A differenza di Dylan, Lexie lo aveva guardato negli occhi, preso le mani nelle proprie e detto: "La prossima volta che andrai in ospedale e per tutte quelle a venire, Andrew, io verrò con te. Non voglio lasciarti da solo ad affrontare questo problema. Non è la fine del mondo e a dirla tutta nella mia famiglia ci sono stati ripetuti casi di cancro o malattie altrettanto gravi, quindi posso capire come ti senti, almeno in parte, ed è per questo che non voglio lasciarti da solo. Sei troppo importante e ora che so qual è il vero problema starei ogni volta a rodermi il fegato d'ansia. La prossima volta sarò accanto a te, a stringerti forte la mano. Andrà tutto bene, Andrew, forse non domani né... tra un anno o dieci, ma un giorno andrà bene e spero di essere lì per vederti superare tutto questo".
Quel discorso gli aveva fatto venire la pelle d'oca e sussultare il cuore. Erano poche le persone che mantenevano il sangue freddo quando si trattava di parlare di malattie, che fossero gravi o meno, e Alex aveva dimostrato un'inattesa maturità nel gestire la conversazione. Lo aveva rassicurato, confortato e indotto a guardare al futuro con rinnovata speranza. Nessuno prima di lui lo aveva mai fatto, a parte sua madre o sua sorella. Gli aveva dato la forza per lottare contro problemi di salute che, stando a quel che aveva potuto intendere, sarebbero perdurati per il resto della sua vita. Un giorno aveva udito un medico dire a Scarlett, a bassa voce, che quella malattia avrebbe potuto condurlo a una prematura dipartita, tenuta sotto controllo o meno, e sembrava peggiorare di anno in anno, risucchiargli le energie come un buco nero avrebbe fatto con una stella e Alex... Alex sapeva anche questo. Andrew aveva voluto essere del tutto sincero e aperto con lui, fargli capire fino in fondo che probabilmente stare insieme non sarebbe stata una passeggiata e forse, un giorno o l'altro, avrebbe condotto a un amaro finale, ma Alex, in lacrime, gli aveva detto che non gli importava e che nulla fosse stato ancora deciso né scritto nel destino. Le cose cambiavano di continuo, la scienza era in costante progresso e forse, un giorno o l'altro, lui sarebbe guarito e tornato a stare davvero bene.

Andrew non aveva potuto far altro che stringersi a lui e aggrapparsi a ogni singola parola udita con forza, grato di non sentirsi più da solo in quella strenua lotta per la sopravvivenza.
Alex era senza dubbio una persona speciale, non una nuvola passeggera che prima o poi sarebbe passata oltre.

Alex, nel frattempo, aveva sì e no rincorso Brian per tutta l'aula, ben deciso ad appropriarsi del suo cellulare e, se ci riusciva, anche torcere il collo a quell'idiota. «Dammi quel coso! Dammelo!»

«Oh, no, bello mio!» cinguettò in risposta Brian. Talmente era impegnato nel fuggire dall'amico, tuttavia, da non accorgersi del banco alle proprie spalle e di esser in poche parole in trappola. Fu allora che Alexander, con uno slancio da vero atleta, gli fu sì e no addosso. Seguì un breve, ma intenso, tira e molla, finché il telefono di Herden non venne afferrato con decisione da Woomingan. Quest'ultimo, borbottando imprecazioni su imprecazioni, cancellò la foto e a quel punto restituì l'apparecchio al coetaneo. «La prossima volta ti spenno» lo ammonì burbero mentre raccoglieva i capelli biondi in un nodo di fortuna, visto che era stufo marcio di averli in faccia, specialmente quando indossava gli occhiali da vista come quella mattina.

Per un istante i suoi occhi incontrarono quelli di Andrew che lo osservavano quasi rapiti o, addirittura, avidi.
Un'ondata di calore subito gli pervase la faccia e il suo stomaco subì una piacevole torsione, tanto quello sguardo di Collins gli aveva sottratto il fiato.

Brian, al quale non era sfuggito quel breve e silenzioso scambio fra i due, sorrise di sbieco. «Oh ho! Mi sa che qualcuno, qui, finalmente ha deciso di darsi da fare!» commentò sottovoce, con finta casualità. Alexander arrossì con maggiore intensità. «N-Non... non abbiamo ancora...» biascicò, mordicchiandosi il labbro inferiore e scoccando un'altra occhiata a Andrew che aveva tirato fuori il proprio libro di francese e deciso di ripassare al volo qualche argomento qui e là.
Solo per un momento, uno soltanto, di fronte agli occhi del giovane Woomingan comparvero molti scenari profani e roventi, uno meno adatto ai minori di diciotto anni dell'altro. Immaginò tante, troppe cose, e alla fine si coprì il viso con ambo le mani e cercò di darsi un minimo di contegno.
Aveva fatto molto male a osar andare a cercare materiale per adulti di quel tipo. Da allora la sua frustrazione non aveva fatto altro che aumentare a dismisura e se da un lato aveva provato a conoscere meglio se stesso, il proprio corpo e ciò che esso preferiva e desiderava, dall'altro non sembrava bastare. Voleva di più. Voleva Andrew, ecco qual era il problema.

Herden inarcò un sopracciglio, stizzito. «Sul serio? Insomma... guardalo, Lex! È cotto di te e tu praticamente ti sciogli come un gelato al sole ogni volta che lo guardi! Che altro vi serve per darci dentro? Un po' di vita!»

«N-Non è questo il punto» balbettò Alex, provando disperatamente a spiegarsi. «Non voglio affrettare nulla con lui e comunque... i-insomma, non ho esperienza con un altro ragazzo e ho paura che si riveli una prima volta da far pietà, okay?»
Si sfregò la fronte.
«I miei ormoni sono su di giri di continuo e di certo non aiutano. Non solo quelli, anzi. Non è una questione di sesso, è... è lui che... il punto è che... ogni volta che lo guardo è come provare la sensazione più bella e straziante del mondo. Lo guardo e mi perdo, non capisco più niente.»

Brian non poté far a meno di arcuare le sopracciglia con autentica sorpresa. «Porca miseria» esalò sorridendo. «Sei proprio innamorato, eh?»

Woomingan sospirò. «Penso di sì. Insomma... non mi sono mai sentito così in vita mia e anche se sembra difficile da credere, mi sono preso spesso delle forti sbandate per alcune delle ragazze con cui sono stato, ma questo... questo è qualcosa di diverso. È talmente forte da farmi sragionare.» Tornò a guardare il suo migliore amico e gli sorrise con autentico affetto. «Senti... io... volevo ringraziarti, Brian. Grazie per essermi stato vicino e per continuare a farlo anche nel presente. Sento di non averti mai dato quanto meritavi e mi odio per questo. Ero una persona tremenda e non so chi ti abbia dato la forza di volermi bene quando meno me lo meritavo.»

Herden sbatté le palpebre. «Giuro che scriverò al Papa di mio pugno e lo obbligherò a far santo Andrew all'istante» commentò, tra il serio e il faceto. Gli tirò una schicchera in fronte per gioco. «Sveglia, citrullo. Siamo o non siamo migliori amici? Ti guardo le spalle dal primo giorno che ci siamo conosciuti in questa gabbia di matti e anche se mi hai fatto incazzare... beh, ne è sempre valsa la pena, alla fine. È così che dev'essere, quando teniamo a qualcuno.»
Schiarì la voce. «Comunque portali più spesso, gli occhiali. Ti nascondono la faccia e questo è un grosso punto a favore, credimi!»

Alex si imbronciò, punto sul vivo. «Ritiro tutto quello che ho detto. Sei un imbecille!»

Brian cercò di contare fino a tre, ma fallì e alla fine, senza dire niente, lo abbracciò e per scherzo gli scompigliò i capelli, sciogliendo il nodo in cui erano stati raccolti. «Sei troppo tenero, non ce la faccio!»

Woomingan, in parte grato e in parte imbarazzato, sbuffò e roteò gli occhi. «Mica sono un peluches! Che cavolo fai?» borbottò, anche se non fece alcunché per sfuggire alla presa del coetaneo e, anzi, ricambiò l'abbraccio.

L'altro sghignazzò e si scostò. «Su, non ti lagnare sempre e accetta le dimostrazioni d'affetto. Ormai il tuo lato da tenerone è stato sdoganato, inutile che ti atteggi a duro!»

«Non sono un tenerone!»

«Lo sei eccome!»

«Guarda che ti vedo, Herden» intervenne Andrew, guardando verso entrambi con aria seria, anche se era ovvio che scherzasse.

Brian soffocò una risata. «Geloso, Collins?» lo stuzzicò.

L'interpellato sogghignò. «Solo un pochino.» I suoi occhi verdi scivolarono su Alex e lì indugiarono con intensità prima di tornare sulle parole stampate del libro.

Herden si rivolse allora all'amico, a bassa voce: «Se vuoi il mio onesto parere, lui ti vuole quanto tu vuoi lui e se è così, niente è affrettato». Insomma, si disse, solo un paio di giorni prima aveva deciso di recarsi agli allenamenti di Alex per aspettare quest'ultimo e restituirgli un videogioco che gli aveva prestato tempo addietro e aveva scorto, alla propria sinistra e in lontananza, proprio sugli spalti, Andrew. Lo aveva visto chiaramente osservare, a un certo punto, con marcato interesse Alexander eseguire gli esercizi di riscaldamento, specialmente dopo che si era privato della maglietta zuppa di sudore.
Gli era ben noto quello sguardo ed era chiaro che quei due, alla prima occasione, si sarebbero saltati addosso e aggrovigliati come una coppia di anguille scalmanate. A suo parere non era umanamente possibile resistere, quando la tensione era così palpabile e alle stelle.
«Se non farai tu la prima mossa, sarà lui a farla. Fidati.»

Alex deglutì, ma non servì molto a migliorare le condizioni della sua gola che si era fatta secca. «Beh... io di certo non direi di no. Sono pronto a dargli tutto di me, anima e corpo» affermò con disarmante sincerità. La verità? Era suo, di Andrew, anche se non avevano ancora condiviso il letto. Era suo, lo sapeva, lo sentiva. Era suo e gli andava bene così. Gli sembrava, anzi, la cosa più sensata e logica del mondo, una delle tante ovvietà della vita. Era una regola matematica, un precetto angolare di qualsiasi dottrina basata sul buonsenso e sul ragionamento. Era così che doveva essere.

In cuor proprio Brian non poté far a meno di provare una punta di bonaria invidia per il suo migliore amico. Avrebbe fatto carte false, pensò, per avere in quel preciso istante lo stesso sguardo che vedeva ardere negli occhi di Alexander o di Andrew. Purtroppo per lui, rifletté ancora, cupo, di certo non avrebbe trovato quella passione fra le braccia di Hanna. Hanna che gli stava dando non pochi grattacapi e tra un po' lo avrebbe costretto a chiudersi di proprio pugno in manicomio. Era impossibile andare d'accordo con lei, certe volte, e di recente, quando l'aveva sentita sparlare proprio di Alex insieme a Natasha, sua storica alleata e compagna di malefatte, era stato a tanto così dal mandarla a quel paese di fronte a tutto il cortile della scuola.
Per quanto in parte fosse normale che uno come Woomingan stesse sì e no attirando l'attenzione su di sé per via del suo atteggiamento anomalo e mutato nei confronti di tutti quanti, specie Andrew, dall'altro lato Brian era il suo migliore amico e mal tollerava certi commenti ben poco edificanti e gentili. Natasha, poi, sembrava averci preso un gran gusto nel gettar discredito e fango su Alexander. L'altro giorno, ad esempio, con le sue amiche aveva scherzato dicendo di aver finalmente capito il motivo per cui l'ex-fidanzato non fosse mai stato un granché a letto con lei. Ovvio – aveva aggiunto maliziosa – che fosse così, visto le sue attuali frequentazioni.

Brian aveva faticato come non mai nel suggerirle di andare all'inferno. Non sopportava quella mentalità a dir poco becera e chiusa, quello scherno verso Alex che, semplicemente, aveva scelto di aprirsi sul serio al mondo e nelle vesti di chi era davvero. Chi se ne importava se gli piacevano anche i ragazzi! Era sul serio questo a determinare ciò che fosse o meno una persona? Davvero era ancora materia di dibattito, nel duemilasedici, con chi esser liberi di stare o andare a letto? Incredibile!

Ad ogni buon conto, ad Alex sembrava non importare pressoché niente degli sguardi straniti e perplessi dei compagni di scuola ogni qual volta veniva scorto camminare accanto a Andrew, parlare con lui o fermarsi a baciarlo. Quei due parevano persi l'uno nell'altro, chiusi in una bolla di trasognate speranze, ed era una delle cose più belle che Brian avrebbe mai potuto augurare all'amico. Se quello non era amore, allora non sapeva cos'altro sarebbe potuto esserlo.
Gli altri ragazzi della scuola fissavano ogni giorno Alexander come si era soliti guardare un Replicante o una specie di gemello opposto provenuto da un universo alternativo. Il quarterback dei Big Lizards che trascorreva ore intere in compagnia dell'emarginato del liceo pareva esser divenuto l'argomento preferito su cui spettegolare e quelle voci erano giunte, in particolar modo, alle orecchie dei compagni di squadra di Woomingan. A Brian non era piaciuto affatto il modo in cui tre dei "confratelli" di Lex avevano occhieggiato quest'ultimo giorni prima. Che Alex non stesse dando il massimo con il football era ormai di dominio pubblico e magari da ciò derivava il livore riflesso negli sguardi di quei loro compagni di scuola, eppure non aveva potuto far a meno di mettere in guardia l'amico e suggerirgli due alternative: tornare un po' coi piedi per terra, quel che bastava a far contento il coach e la squadra, oppure decidersi una buona volta ad abbandonare un'attività che sempre di più sembrava non essergli mai realmente andata a genio.

Alex aveva replicato dicendo che si sarebbe occupato della questione e di aver in cuor proprio già capito quale strada imboccare. Brian, nei suoi occhi, aveva intravisto una maturità che lo aveva un po' spiazzato. Non era abituato a vedere Woomingan diventare man mano sempre un po' più serio e responsabile, consapevole dei propri limiti.
In quanto alle occhiatacce dei compagni di squadra, Alex si era limitato a rispondere che poco gli importava della loro opinione circa la sua vita privata. Se a quella gente non stava bene che fra lui e Andrew fosse nato qualcosa, allora erano problemi loro e non di certo suoi. Che rimanessero pure a bollire nel loro brodo.
Brian aveva cercato di insistere, ma Alex era stato categorico nell'affermare che non avrebbe più consentito ad anima viva di farlo vivere nel costante terrore di essere semplicemente se stesso. Era stanco di fingere, aveva detto, e ancor più stanco di prestare l'orecchio a simili critiche infantili. Chi frequentava o meno erano affari suoi e il mondo poteva benissimo andarsene a quel paese.

Malgrado simili parole avessero fatto onore ad Alexander e suscitato un velo di orgoglio nell'animo di Brian, quest'ultimo temeva che proprio tale atteggiamento noncurante avrebbe messo presto nei pasticci il suo migliore amico. A molte persone coloro che parlavano a cuore aperto e rimanevano fedeli a ciò che erano nel profondo non piacevano. Forse, anzi, era meglio definire quel comune sentimento pura e semplice paura. Paura di ciò che non si capiva o non conosceva, di qualcosa che purtroppo, ancora nel presente, certuni osavano definire una perversione o un'offesa a Dio stesso. Come se Dio, si era detto Brian, con tutto il gran daffare che aveva ogni dannato giorno, avesse potuto trovare il tempo o la voglia di badare a simili quisquilie. A suo parere, se era stato Dio a creare l'uomo, allora era altresì imputabile a lui l'amore in tutte le sue forme, compreso quello fra persone dello stesso sesso. L'amore non poteva essere un peccato, un motivo di vergogna.
Quella spontaneità in Alex lo faceva emozionare, sentire fiero del suo fratello di spirito, ma lo induceva anche a preoccuparsi per lui e per lo stesso Andrew. Stava andando tutto fin troppo bene, ecco qual era il reale pensiero di Brian. Talmente bene che...

Brian e Alex sbuffarono all'unisono udendo la campanella trillare e, appena un paio di minuti dopo, la porta della classe aprirsi e riempirsi di allievi.
«Buona fortuna con il test» fece Herden a Woomingan. Quest'ultimo, nervoso, mormorò un ringraziamento e andò a sedersi accanto a Andrew che gli rivolse un sorriso d'incoraggiamento. «Abbiamo studiato per giorni, Lexie. Andrai benissimo!» gli sussurrò.

Alex sospirò. «Meno male che uno di noi lo pensa» fu la sua tesa risposta. Si guardò in giro senza un reale motivo né interesse e si accorse che alcuni dei loro compagni di classe continuavano a lanciar loro occhiate tanto furtive quanto perplesse. 
Decise di infischiarsene e piuttosto di aprire il proprio libro di testo per dare una veloce letta qui e là agli argomenti nei quali si sentiva ancora impreparato. 
Andrew, invece, non riuscì a essere altrettanto spigliato e indifferente. Sentiva di esser quasi messo sotto processo da quegli sguardi e, per la prima volta nella vita, non riuscì a far a meno di provare soggezione o addirittura disagio.
Magari, si disse, era perché il ragazzo più popolare della scuola sedeva accanto a lui e sembrava aver ormai occhi e orecchie solo e soltanto per lui o forse... forse quella sensazione era così spiacevole, nitida e chiara perché le mura dietro alle quali aveva continuato a barricarsi per tanto tempo erano state rase al suolo, portandolo a essere più fragile e propenso al lasciarsi scalfire da chi lo circondava.
Non ne era sicuro e temeva, in parte, la risposta a tale quesito.

Lasciali perdere, si ammonì. E comunque ci sei abituato, no? È sempre andata così. Sei lo strambo della scuola, dopotutto.

Deglutì a vuoto e adagiò il mento sul palmo della mano destra, gli occhi bassi e incollati alle pagine del libro che aveva di fronte a sé. Si era appena accorto che fra quegli occhi insistenti e forse, in segreto, sprezzanti, vi fossero anche quelli dell'ex-fidanzata di Alexander. Non aveva badato a lei più di tanto, da principio, ma aveva capito finalmente il motivo per cui quella ragazza, sin da quando si era sparsa la voce della rottura fra lei e Woomingan, si fosse accanita nel fissarlo sempre con l'aria di chi aveva a che fare con uno scarafaggio gigantesco. 
Era molto probabile che lo detestasse e che non riuscisse a credere a quel risvolto di eventi.
Alex aveva affermato di aver interrotto la relazione con lei per ragioni all'infuori dell'infatuazione nei suoi riguardi, ma era davvero così? 
Possibile, però, che lo avesse folgorato sin da subito e fino al punto da indurlo a lasciare Natasha? E per cosa? Per chi? Per lui che non aveva fatto altro che respingerlo, durante i loro primi scambi di parole? Per lui che lo aveva trattato a pesci in faccia e respinto, il giorno in cui si erano baciati? Lui che, pur senza volerlo, per un soffio lo aveva indotto a fiondarsi quasi fra le braccia di un'orrenda morte per mano del mostro che vessava la città?

Vide Natasha sorridere fra sé con aria di scherno e accostare le labbra all'orecchio della sua inseparabile amica, Hanna, per dirle qualcosa. Quali che fossero state le parole al centro della breve conversazione, Andrew le vide palesemente sghignazzare e squadrarlo con una certa superbia negli occhi.

Col cuore che aveva iniziato a pulsare a una velocità superiore a quella normale, Andrew decise di tornare a guardare il proprio libro e si domandò come avesse fatto Alex a stare con una come Natasha. Forse sul serio l'aveva lasciata perché, in sintesi, si stava parlando di un'emerita stronza a caratteri cubitali. 

Tentò di prestare attenzione alla lezione e provò ad un certo punto l'impulso di raggiungere la mano di Alex per stringerla forte come a voler trovare una specie di supporto, ma qualcosa lo fece desistere. Allontanò le dita che tremavano e ancora una volta i suoi occhi verdi e divenuti all'improvviso lucidi viaggiarono per l'aula. Si sentiva a un passo dallo scoppiare a piangere.
Attraverso la smerigliata coltre delle lacrime poté notare tre ragazzi con addosso i giubbotti verde smeraldo e bianchi parlottare fra di loro, indicare lui ed Alex solo per poi sghignazzare e storcere il naso. 

Una cosa era certa: era ormai palese che fra di loro vi fosse più di una semplice e improbabile amicizia. Insomma... stavano quasi sempre assieme, specie durante l'intervallo, e Alexander si era quasi del tutto estraniato dai propri amici e non prestava la benché minima attenzione alle ragazze che, invano, cinguettavano al suo passaggio nei corridoi come uno stormo di tubanti tortorelle. Di recente, addirittura, Alex aveva trovato nell'armadietto che aveva dimenticato di chiudere con la combinazione un biglietto da parte di una ragazza che, senza troppe parafrasi, gli aveva fatto intendere di esser molto interessata a lui e di voler uscire per passare del tempo in sua compagnia. Andrew lo aveva visto sospirare, avvicinarsi a quella tizia e con garbo spiegarle di esser già impegnato con qualcuno prima di porgerle delle scuse e tornare da lui. La poveretta non l'aveva presa molto bene ed era corsa via in lacrime, nemmeno fosse stata presa a bastonate. 
Che le intenzioni di Woomingan nei suoi riguardi fossero serie era un dato di fatto e come era solito e consueto accadere in città non troppo grandi come quella di Hanging Creek, Western Oregon, le chiacchiere stavano iniziando a circolare e a diffondersi peggio di un'epidemia di tubercolosi. 

Non che a Andrew Collins fosse mai importato delle "chiacchiere di paese", ma era una persona riservata e di certo essere al centro dei pettegolezzi scolastici di un liceo di provincia non lo allettava per niente. In un modo o nell'altro, pur avendo fatto di tutto sin da subito per non attirare l'attenzione, alla fine ecco che si ritrovava con i riflettori puntati addosso e non solo perché era quello strambo, quello vestito di nero che, secondo coloro che adoravano prenderlo per i fondelli, di sicuro adorava recarsi al cimitero per evocare Satana o gli spiriti dei morti. Era Alex a non azzeccarci un bel niente con lui, ecco ciò che tutti pensavano. Alex che, secondo le perfide occhiate di Natasha, avrebbe potuto avere di meglio, stare con qualcuno che forse avrebbe poi condotto all'altare e con cui avrebbe potuto costruire una famiglia, cosa che invece stare con un altro ragazzo, specialmente con lui, Andrew Collins, mai gli avrebbe garantito.

In fin dei conti era questo uno dei tanti pensieri comuni di coloro che scendevano in piazza a protestare contro chi si ostinava a non voler nascondersi dietro a una maschera e preferiva guardare il mondo attraverso un caleidoscopio di colori. 
Gli altri studenti del liceo di Hanging Creek gli avevano fatto intendere in ogni salsa che non vi fosse posto per lui fra quelle mura né, forse, nel mondo in generale. 
Pareva quasi di trovarsi in una distorta e moderna versione della fiaba "La Bella e la Bestia" ed era chiaro chi fra loro due fosse quest'ultima. 

La verità, realizzò Andrew, era che stesse mettendo a repentaglio la reputazione di Alex. Lo aveva spinto a cambiare, ad aprirsi con tanta di quella audacia da suscitare non poco scalpore. Ciò che era straziante era il constatare quanto ad Alex poco ne importasse di tutto ciò. Non era interessato a ciò che gli altri pensavano di entrambi, focalizzato com'era sui propri sentimenti e su di lui, Andrew, e ne diede un'ulteriore conferma quando si sporse e chiese a Collins: «Tutto bene? Sei... sei più pallido del solito. Non è che ti senti male?» La premura nella sua voce fece torcere più che mai lo stomaco di Andrew che, vedendolo sul punto di stringergli una mano, allontanò la propria e scosse piano la testa, gli occhi puntati altrove così da celarne il luccichio almeno a Woomingan. «N-No, sto... sto bene, tranquillo. D-Davvero, n-non è niente» mentì.

Naturalmente Alex non si fece ingannare e insisté, più preoccupato che mai: «Andrew, dimmi cosa...», non riuscì a terminare, tuttavia, e guardò interdetto Collins alzarsi in piedi e chiedere in francese alla professoressa di uscire. La Graverose, sapendo del suo "problema", gli accordò subito il permesso, gli occhi castani che lo osservarono uscire con aria perplessa e preoccupata. Era giovane, più o meno della stessa età della Silvers e parimenti non troppo severa con gli alunni.

Alexander mandò al diavolo la lezione e a sua volta chiese di uscire, parlando alla professoressa in un maccheronico, seppur corretto, francese. Sin dal primo giorno l'insegnante aveva imposto loro di usare quella lingua per comunicare e fare pratica e mai come in quel momento Woomingan aveva detestato il non aver dimestichezza con certa roba. 
Ad ogni buon conto, la Graverose fu abbastanza arguta da cogliere al volo tante cose e limitarsi a dargli il permesso di abbandonare l'aula. 
Doveva aver inteso che Alex volesse sincerarsi che Andrew stesse bene, anche se, proprio come il resto dei colleghi e degli allievi, stentava ancora a credere al cambiamento avvenuto in quel ragazzo negli ultimi tempi.

Alex si chiuse la porta alle spalle e raggiunse di corsa il coetaneo, trafelato. «Ehi!» Si fermò a un metro di distanza da Collins e lo passò in rassegna, in ansia come non mai. Ricordava bene il giorno in cui era venuto a sapere molti dettagli circa la malattia del fidanzato e, soprattutto, di come spesso i medicinali e le temporanee cure causassero a Drew non poco malessere. «Hai la nausea? S-Senti, facciamo così: tu aspetti qui e io corro a prenderti dell'acqua, okay? Sempre meglio di niente!» Fece per metter in pratica quanto aveva appena detto, ma...

«Non dovevi seguirmi» fece rauco Andrew, restando dov'era. Gli dava le spalle e con una di esse si teneva appoggiato al muro lì vicino. Sospirò e si decise a voltarsi, ma non lo guardò. Non direttamente, non negli occhi. «S-Sto bene, comunque. Te l'ho detto... non è niente. O-Ora mi passa.»
Alex non ce la fece oltre, gli si avvicinò, allungò una mano e di nuovo fece per stringere una delle sue, ma Collins ancora una volta gli negò qualsiasi contatto fisico. Quello che sin da subito aveva suscitato in entrambi una scarica di scintille nell'animo. «Non farlo, ti prego» sussurrò, la voce flebile e incrinata. Si guardò attorno, dando a Woomingan la parvenza che volesse accertarsi che non vi fosse nessuno nei paraggi. 

Alexander lo scrutò, perplesso e in ansia. «Perché non devo? Cos'è successo là dentro? Prima eri tranquillo, andava tutto bene e poi... beh... ecco che ti ritrovo così» domandò con un certo disappunto. Sentiva che qualcosa non andava e non avrebbe mollato l'osso neppure per tutto l'oro del mondo. Se Andrew stava male o simili, erano eccome affari suoi. 
Sospirò e si scostò i capelli dalla fronte. «Andrew, parlami. Ti scongiuro, fallo. Dimmi cosa c'è» riprovò, la voce raddolcita e calma, poco più di un sussurro. Gli pose una mano sulla spalla e per fortuna, stavolta, Drew non lo respinse.

Collins si passò velocemente una mano sotto ambo gli occhi. «N-Non so come spiegarmi» gemette piano. «I-Il punto è che non voglio che i tuoi compagni di scuola inizino a tormentarti per colpa mia, solo perché stai con me.» Nel parlare si batté un pugno sul torace, quasi con rabbia verso se stesso e nessun altro. Mai lo si era visto in quelle condizioni. «Non voglio che tu abbia a che fare con dei bulli. Non lo sopporterei! Se devo rinunciare ad averti accanto, almeno quando ci troviamo a scuola, allora lo farò. Tutto pur di non condannarti a...», non terminò la frase e scosse la testa. Detestava il solo pensiero di Alex che veniva vessato dal prossimo proprio come accadeva a lui. Non credeva che avrebbe tollerato anche questo.

Alex finalmente capì e si fece scuro in volto. Ogni cosa nei suoi lineamenti suggeriva un moto di pura e semplice determinazione. I suoi occhi grigi ardevano di vita. «Se è quello il problema, so cavarmela benissimo da solo e quattro stronzi non mi fanno di certo paura. Che ci provino a rompere le scatole e poi vedranno come sarò io a rompergli qualcos'altro! Che si fottano, accidenti!»

«Parli così perché non sai quanto possa diventare asfissiante, una vera persecuzione» insisté Andrew, incapace di ricacciare indietro le lacrime che, calde e copiose, presero a scivolare lungo le sue pallide guance. Scosse il capo e di nuovo diresse altrove lo sguardo. «La gente, a volte, sa essere davvero cattiva, Alex» aggiunse, pronunciando a stento le ultime parole, la voce spezzata.
Serrò le palpebre per frenare la crisi di pianto, ma invano. Si sentiva così confuso, scoraggiato e inerme...
Era consapevole che Alexander godesse di una certa fama fra le mura scolastiche e sospettava che fosse stato avvezzo sino a tempo addietro a combinare mattane d'ogni tipo, ma quella repulsione, quel disappunto che aveva intravisto tante volte sul volto di molti compagni di scuola durante le ultime settimane suggerivano che l'atteggiamento di Woomingan stesse risultando assai bizzarro e inconsueto. Era come se a lasciare a bocca aperta tutti quanti non fosse solamente la loro improbabile accoppiata, ma anche qualcos'altro. 
Malgrado fosse cosciente di esser quasi diventato dipendente da lui, sotto tanti aspetti, e di provare il costante bisogno di averlo vicino, specialmente in quel preciso istante, iniziava a porsi determinate domande che non aveva il fegato o la forza di porre all'unica fonte che avrebbe potuto fornirgli delle risposte.

Che avesse paura dell'esito di tali quesiti? Poteva essere o forse, magari, temeva soltanto di rovinare tutto con le proprie elucubrazioni. Cominciava a dubitare dell'impeccabile intuito di cui sempre era andato fregiandosi e a pensare che anch'esso, di tanto in tanto, fosse capace di prendere epocali cantonate. 
Era possibile che gli avvenimenti passati lo avessero talmente reso sospettoso e malfidato da non permettergli più di trarre giudizi lucidi ed imparziali. Forse era rimasto vittima degli stessi pregiudizi che con tanta altera superbia non esitava a condannare, quando li scorgeva negli occhi del prossimo.

No, non poteva essere. Alex non poteva appartenere a quella categoria di persone che innumerevoli volte, nel corso degli anni, lo avevano preso in giro e, talvolta, picchiato. Certo, da principio gli era parso esattamente uno di loro, uno di quei lupi travestiti da agnelli, ma poi... poi aveva scelto di rischiare, di conoscerlo meglio superando le apparenze ed era stato ripagato con la scoperta di un autentico diamante grezzo in attesa di venir raffinato e lucidato. 
Ciò di cui aveva bisogno quel ragazzo meraviglioso di fronte a lui era qualcosa in cui credere, qualcosa per cui valesse la pena lottare. Non erano poi tanto diversi, a pensarci bene, e volevano la stessa, identica cosa. 
Personalmente si era sentito a lungo come uno scrigno che era stato derubato senza pietà del proprio inestimabile tesoro e poi... poi ecco che Alex, il diamante per eccellenza, per volere del fato o della Provvidenza, era entrato in scena. 
Nel profondo, Andrew sapeva di volere questo: qualcuno da custodire gelosamente nel cuore, fra le vellutate e sofferte pieghe del proprio animo, e quale scrigno al mondo avrebbe osato dire di no a un diamante?

La sua finale, disarmante conclusione era questa: Alexander era una brava persona e bastava guardare oltre la superficie per scovare una creatura bellissima, ancora più bella di ciò che i meri e fallaci occhi erano in grado di catturare. E poi... sapeva di non aver scherzato né dato fiato alla bocca quando, più di una mezz'ora addietro, gli aveva sussurrato in francese di amarlo. Non era tipo da scherzare su cose del genere e parlava solo quando aveva davvero qualcosa da dire, qualcosa che valesse la pena di venir comunicato al prossimo. Se diceva una cosa, quella era, senza filtri né omissioni, senza infiorettature. 

Credeva che l'esperienza con Dylan lo avesse ormai preparato a riconoscere i segni di qualcosa in più rispetto a una semplice infatuazione e se ciò che provava ogni volta che stava con Alex superava i chiari segni di un mero amore passeggero, se tutto era così forte e intenso da mandarlo il più delle volte in brodo di giuggiole, da togliergli il sonno e farlo sentire la persona più fortunata del pianeta, allora sì... poteva considerarsi bello che spennato, cotto a puntino e servito per il Giorno del Ringraziamento.

Alex era arrivato in un momento in cui la vita di Andrew si era fatta strana e difficile. Era intervenuto nell'attimo propizio, lo aveva tratto in salvo dal rifugio di ghiaccio e diffidenza in cui aveva intrappolato se stesso credendo che in tal modo sarebbe stato al sicuro da ogni cosa, da chiunque, ma nessuno si salvava da solo, quella era la verità, perciò... Alex era stato la sua salvezza. Suonava sciocco, pateticamente cliché e romantico, melenso, da libro rosa a buon mercato, ma le cose stavano così e v'era ben poco da farci. Non si poteva sempre andare contro la corrente e lo aveva capito, anzi se l'era ricordato. Di tanto in tanto non c'era alcun male a seguire il flusso degli eventi e godersi intanto il viaggio per il gusto di vedere dove avrebbe infine condotto.

Sospirò, stremato e stanco come mai si era sentito prima d'allora. Stanco nell'animo, non solo nel corpo. «Non voglio ti accada qualcosa per colpa mia» ammise. «Non sarei in grado di sopportarlo. Te l'ho detto: la gente sa essere davvero cattiva e io sono la prova ambulante di cosa possa fare una persona messa all'angolo e senza più alcuna via d'uscita. Non... non voglio neppure pensare a cosa farei se la tua vita diventasse un inferno a causa mia, solo perché stiamo insieme.»

Alex scosse la testa, avendone sul serio abbastanza di star a sentirlo mentre si colpevolizzava e cianciava su cose che non stavano né in cielo né in terra. Al diavolo, si disse. Al diavolo Andrew e il suo altruismo che saltava fuori nei momenti meno opportuni. «Andrew, guardami» gli sussurrò, prendendogli il viso fra le mani e cercando i suoi occhi. Li trovò e per un istante un brivido gli percorse la colonna. «A me non importa cosa dicono o fanno gli altri. Non mi importa, chiaro? Che parlino pure e mi sfottano, se li fa sentire realizzati! Chi se ne frega! La gente parlerà sempre e comunque male di qualsiasi cosa non si adatti alla loro realtà! Non possiamo farci niente, se non ignorarli e fare come se non esistessero! Che se ne vadano al diavolo tutti quanti! Al diavolo il mondo intero, anzi!» Parlò col cuore in mano, infischiandosene che si trovassero a scuola, in mezzo a un corridoio.
«Se loro sono troppo stupidi per capire, Drew, lasciali sguazzare nella loro ignoranza. Che vi anneghino!»

«Alex, no, ti prego...» lo implorò Andrew fra i singhiozzi. Lo stava pregando di dargli una ragione valida per chiudere lì la faccenda prima che l'irreparabile potesse verificarsi, non di fornirgli mille buoni motivi per rimanere insieme.

Alex, ostinato come solo lui sapeva essere, lo scosse piano per le spalle. Accidenti, si disse Woomingan, tra un po' anche lui avrebbe ceduto alle lacrime. Ecco cos'era capace di fargli Andrew. Lo guardò dritto negli occhi. «Restiamo uniti e tutto andrà bene. Ci sono io con te, mi senti? Non sei più solo e se bisognerà stringere i denti, allora lo faremo.» Abbandonò la fronte contro quella di Andrew, quasi sperando che in tal modo sarebbe riuscito a infondergli lo stesso sfacciato coraggio che sentiva ribollirgli prepotente nelle vene. Voleva che percepisse tutta la forza e tutta la risolutezza nel suo animo e che attingesse da entrambe fino all'ultima goccia, se necessario. Doveva fargli capire che per lui fosse ormai diventato troppo importante, troppo caro e prezioso per consentire a degli idioti di separarli.

Con una mano risalì fino al retro del suo capo e affondò con dolcezza le dita nei suoi capelli corvini. «Dimmi cosa posso fare per dimostrarti che tengo davvero a cosa siamo quando stiamo insieme come ora... dimmelo e lo farò» mormorò. Erano così vicini che i loro respiri erano ormai diventati come quello di un'unica persona. Aveva bisogno, davvero bisogno, che quel testone capisse che lui fosse disposto a dargli ogni oncia di se stesso, corpo, anima, cuore e sangue, pur di vederlo star bene. 
Gli lasciò delle carezze sul collo, un modo come un altro per fargli capire che gli era vicino, che lui era lì, proprio lì, al suo fianco. La sua mano era tesa e attendeva solo di essere afferrata per trarre in salvo qualcuno che meritava di esser salvato, di essere amato e protetto dal mondo intero.

Andrew serrò gli occhi con forza, incapace di smettere di piangere, di soffocare i singhiozzi, i gemiti simili a quelli di una creatura ferita e nella morsa di una tagliola sì invisibile, ma percepibile. Alex odiava sentirlo piangere e detestava vederlo a quel modo. 
Collins, poi, tentò di controllare il respiro e di parlare, di dar voce alla risposta che il suo cuore aveva già formulato. Una replica genuina e innocente, sincera, disarmante e persino straziante nella sua essenzialità. «Amami...» sussurrò, la voce ridotta a un fragile sussurro. Strinse fra le dita i vestiti di Alexander per ripararsi dal baratro che minacciava di inghiottirlo. «Amami e basta, come nessuno ha mai fatto prima.» Non c'era altro che desiderasse da parte sua, niente di più prezioso per cui valesse la pena lottare. 

Il cuore di Alex pulsò frenetico nella cassa toracica e il suo possessore non poté far a meno di sorridere. «È la sola cosa che desidero, idiota» replicò, sigillando tali parole con un bacio casto e sincero, appassionato e innocente al tempo stesso. 
Il test di Francese doveva esser iniziato da almeno cinque minuti buoni, ma a nessuno dei due importava. Era come se il tempo, all'improvviso, si fosse arrestato attorno a loro. Il mondo aveva smesso di ruotare su se stesso e l'umanità di respirare, parlare e muoversi. Tutto era stato messo in pausa come accadeva quando si interrompeva la visione in favore di un bacio impossibile da frenare.
Ad Alexander si mozzò il fiato in gola quando Andrew, con disperata foga, animato dall'urgenza di averlo più che mai vicino a sé, fra le proprie braccia, lo spinse contro il muro e reclamò una seconda volta le sue labbra, di sua spontanea volontà, e Woomingan si convinse che di lì a poco le sue gambe avrebbero ceduto, tanto si erano fatte malferme e incerte. 
Posò le dita tremanti sulle spalle del coetaneo e poi risalì fino a racchiudere fra di esse il viso di Andrew, avido oltre ogni misura del sapore delle sue labbra, di ogni cosa che lo riguardasse.

Collins si separò da lui per dargli modo di respirare a dovere e non rischiare di infrangere le regole della scuola con atti possibilmente osceni, ma fu costretto ad appellarsi a tutto il proprio autocontrollo per riuscire nell'impresa. Sorrise dolcemente e scostò una ciocca di capelli dal viso dorato e magnifico di Alex che, a lungo andare, non aveva potuto far altro che afflosciarsi sì e no nella sua stretta e aggrapparsi a lui con le braccia cinte dietro al suo collo. 
«Wow...» biascicò Woomingan, trasognato e stordito. «Non prenderla a male, ma... se diventi così dopo aver versato tanti lacrimoni, allora farò in modo di legarti a una seggiola e farti guardare a ripetizione per un giorno intero Edward mani di forbice

Andrew alzò gli occhi al cielo. «Non rovinare il momento come al solito, Woomingan.» Piegò le labbra in un mezzo sorriso, ma il suo sguardo esprimeva tutta la gratitudine che provava nei riguardi di Alexander. «Ehi... grazie per non avermi lasciato da solo, poco fa» aggiunse, carezzandogli il labbro inferiore con il pollice. «Sei una persona straordinaria, Alex, e io... io sono felice, davvero felice, di aver scelto di conoscerti meglio e di aprirmi con te.» 

Alex avvampò d'istinto e fece spallucce. «Ora vedi di non ammazzarmi di complimenti o mi avresti sulla coscienza per il resto della tua vita che, tra parentesi, risulterebbe a quel punto davvero noiosa!» replicò, cercando di ridarsi un po' di tono e di tornare al piglio di sempre. 

Andrew sogghignò. «Ah, tu dici? Io direi che risulterebbe solo più tranquilla!»

«Beh, allora posso anche alzare i tacchi!» Alex fece per sgusciare via dalle sue braccia, ma Andrew gli sospinse di nuovo la schiena contro il muro e posò ambo le mani ai lati del suo capo. «Detto fra noi, però, non sono un tipo poi così tranquillo» sussurrò sulle sue labbra, la voce rauca e vellutata quanto bastava a mandare in brodo di giuggiole Alexander. 

Fecero per tornare a scambiarsi altre dolci effusioni, ma per la seconda volta consecutiva nell'arco di una sola mattina giunse qualcosa, anzi qualcuno, a interrompere quell'attimo prezioso che si infranse attorno a loro come una bolla di sapone che sino ad allora li aveva racchiusi entrambi. «Ragazzi, cosa ci fate in giro?» La voce apparteneva ad un uomo che non avevano mai visto sin dall'inizio dell'anno scolastico.

Si scostarono in fretta l'uno dall'altro e lo guardarono all'unisono: prestante in altezza, dall'aria in un certo senso raffinata, occhiali da intellettuale dietro ai quali vi erano due vispi e pacati occhi grigio-azzurri brillanti, quell'uomo pareva la perfetta definizione d'improbabile insegnante e, a dirla tutta, non era neppure tanto vecchio. Non poteva avere oltre i quarant'anni ed era in generale di bella presenza, ma un particolare che non mancò di saltare all'occhio dei due adolescenti fu l'incarnato del tizio: pallido, addirittura più di quello dello stesso Andrew ed era tutto dire.

Magari soffriva di anemia, era plausibile, oppure era una caratteristica un po' inconsueta. Insomma, non v'era bisogno di metter in mezzo chissà quali congetture, specie quando si trattava di un professore. Era ovvio che lo fosse, lo si capiva dall'abbigliamento, dalla ventiquattr'ore che reggeva in una mano e da un libro stretto fra le dita dell'altra. Eccezion fatta per l'evidente e strano pallore, sembrava un uomo normale.

Andrew deglutì e si ritrovò a non saper cosa dire o fare. «Ecco... noi...» balbettò Alex, a disagio. «S-Stavamo solo... i-insomma...» C'era qualcosa in quel professore che gli sfuggiva, come una specie di presentimento. Perché gli sembrava di averlo già visto da qualche parte o d'aver già udito altrove la sua voce? Non riusciva ad inquadrarlo e Drew, a giudicare dalla faccia che aveva, era della stessa opinione. 

L'uomo li guardò a turno, sorrise placidamente e scosse la testa. Andrew finalmente riuscì a capire di chi potesse trattarsi, a giudicare dal libro che egli aveva con sé: il nuovo insegnante di Biologia o, per meglio dire, il supplente incaricato di fare le veci del professor Fairquick. Circolava voce, infatti, che quest'ultimo avesse chiesto al preside, circa due giorni addietro, del tempo per rimettersi da una brutta influenza e ad averlo spifferato erano stati i suoi studenti del biennio. «Tranquilli, non farò la spia. Non dirò nulla alla professoressa Graverose e in fin dei conti non stavate facendo nulla di male.»

Si rilassarono entrambi, ma solo per un secondo. Fu Andrew a cogliere qualcosa nelle parole del supplente che lo spinse a voler vederci meglio: «Un attimo, come fa a sapere da quale aula proveniamo? Siamo abbastanza lontani da quella di Francese e comunque è di fronte alla classe di Chimica. In teoria saremmo potuti provenire da lì».

Alex si accigliò. «Drew, che stai...», si bloccò quando il fidanzato gli strinse con forza un avambraccio, intimandogli di tacere perché sapeva quel che faceva. Quel professore, pensò Collins, non gliela raccontava giusta e in ogni caso aveva reagito con fin troppa nonchalance, pur avendoli beccati a pomiciare in corridoio nel bel mezzo dell'orario di lezione. Per quanto accomodante, nessun professore al mondo l'avrebbe fatta passare così liscia a due studenti sorpresi nel battere la fiacca con spudorata evidenza. Era raro che le persone gentili, troppo gentili, fossero guidate da autentico cameratismo. Fidarsi era bene, certo, ma non farlo era certe volte ancora meglio. 
Mantenne il contatto visivo con l'uomo che batté le palpebre, perplesso e interdetto: «Uhm, mi pare naturale, no? La lezione di Chimica dei ragazzi dell'ultimo anno è stata sospesa, visto che in questo preciso istante si trovano in gita scolastica al Museo di Enswell. La prossima lezione, almeno per stamani, ci sarà fra due ore e da qui ho dedotto che dovevate per forza provenire da quella di Francese».

Andrew non riuscì a ribattere in alcun modo e riflettendo si accorse che la risposta appena udita corrispondeva alla verità. Nel bene o nel male, pensò, si era messo nel sacco da solo come un fesso. Come mai, allora, aveva sin da subito provato una sorta di avversione del tutto istintiva nei riguardi del supplente di Biologia?
Sin da bambino era stato molto percettivo e guidato da un istinto che in rari casi aveva fatto cilecca, qualità che sua nonna, una volta, gli aveva detto fosse appartenuta a molti altri membri della famiglia. Sembrava una dote naturale, ma Scarlett, ad esempio, sempre aveva negato di possedere quel particolare guizzo, ciò che Sophie aveva definito una "bussola interiore" impegnata nel puntare sempre o quasi nella direzione corretta. Al momento, suddetta bussola pareva sì e no roteare impazzita di fronte a quel professore.

Inspirò piano fra sé e si umettò le labbra fattesi di punto in bianco secche. «Oh, le... le chiedo scusa, allora. Pensavo che...», scosse la testa. «Mi dispiace, professor...?»

«Glamis. Richard Glamis» si presentò l'uomo, sorridendo a entrambi gli studenti. «Tranquillo, non scusarti. È del tutto comprensibile nutrire qualche dubbio, specie di questi tempi. Insomma, con quello che sta avvenendo... gli omicidi e quant'altro!»

«Come sa di...»

«Ah, ragazzo mio, l'intero stato dell'Oregon ne sta parlando e la fama di quegli orrendi crimini comincia a circolare pure in molte altre città, e non parlo solo di questi luoghi. A Enswell, tanto per fare un esempio, il Mostro di Hanging Creek è sulla bocca di tutti e temo che se non acciufferanno il colpevole la situazione non potrà che degenerare.»

«Capisco. Se non altro, però, le aggressioni negli ultimi giorni sembrano essersi fermate.»

Il professor Glamis spalancò gli occhi, stupito. «Non... non lo sapete? Persino io, che sono appena arrivato in città, ne sono al corrente!»

Andrew e Alex si scambiarono un'occhiata allarmata, poi tornarono a guardare Glamis. «Cos'è successo?» incalzò il secondo, allarmato.

Glamis sospirò con amarezza. «Non dovrei darvi una simile notizia. Il preside vorrebbe che voi e i vostri compagni manteneste la calma, ma... si tratta del professor Fairquick.» 

I due liceali trasecolarono. Lo stesso Fairquick che aveva chiesto qualche giorno di malattia era stato in realtà ammazzato? Ma se le cose stavano a quel modo... perché il telegiornale locale non ne aveva fatto alcuna menzione? Perché nasconderlo, in generale? Sarebbero venuti a risaperlo tutti quanti, prima o poi, e quell'improvvisa segretezza era piuttosto bizzarra e insensata. 
Più la faccenda degli omicidi avanzava e più i fatti concreti si facevano confusi e colmi di troppe domande prive di risposte.
Che diamine stava combinando, esattamente, Keegan?

«Hanno trovato il suo corpo proprio un'ora fa» proseguì Glamis, cupo. «La polizia si è presentata qui in borghese proprio per non destare sospetti. I due agenti hanno parlato col preside e pare che il poveretto sia stato rinvenuto riverso a terra, immerso nel proprio sangue. Secondo loro dev'esser successo la scorsa notte e non hanno dubbi che sia l'ennesima vittima di quel mostro perverso. Recava ovunque i segni che ormai sono diventati un marchio di fabbrica dello psicopatico in questione, perciò... di incertezze sembrerebbero esservene ben poche.»

Alex, sentendosi quasi mancare, faticò non poco a rimanere saldo sulle gambe. Chiunque si trovasse dietro all'identità del Mostro di Hanging Creek, aveva cominciato a uscire sul serio dalla tana per uccidere persone innocenti direttamente fra le mura domestiche. Nessuno era più al sicuro e questo... questo valeva per tutti loro. Per lui, per Andrew, per le loro famiglie e via discorrendo. 
Deglutì a fatica e non resse all'impulso di sorreggersi afferrando una spalla a Andrew che lo guardò con attenzione e vide che, a onor del vero, aveva una pessima cera. «Ti senti bene?» venne battuto sul tempo da Glamis il quale, preoccupato, fissava a propria volta Woomingan. Non aveva affatto un bel colorito ed era chiaro che la situazione sarebbe forse peggiorata. 

Collins rifletté in fretta e avvolse un braccio attorno alle spalle del fidanzato, si scusò con Glamis e condusse il coetaneo nel bagno dei ragazzi più vicino. Appena furono là dentro non riuscì a reprimere l'istinto di chiudere a chiave prima di concentrarsi su Alexander e guardarlo appoggiare le mani sul bordo del lavello poco distante. Di lì a pochi secondi avrebbe rimesso persino le budella, lo si sarebbe capito da un miglio di distanza.

«Alex?» tentò Andrew, pentendosi di non averlo piuttosto portato in infermeria. Di tutte le idee balzane che aveva avuto, quella era stata in assoluto la più sciocca e insensata. Azzerò la distanza fra di loro. «S-Senti, ti prego, di' qualcosa o sarò io stesso a telefonare a tuo padre e a pregarlo di venire a riprenderti. Sei bianco come un lenzuolo!»

Alexander scosse la testa e serrò le palpebre con forza. «S-Sto bene, tranquillo» replicò, la voce incrinata. «È solo che... adesso neanche a scuola siamo più al sicuro. Siamo tutti in pericolo, Andrew, dal primo all'ultimo.»

Collins, capendo che fosse alle porte un bel pianto coi fiocchi, provò a rassicurarlo: «Lexie, andiamo! Non farti prendere dal panico o non ne uscirai più».

Le dita di Woomingan strinsero con maggiore intensità il lavello. «Potrebbe accadere anche a mio padre o a Christian, a te, a chiunque! P-Potrei tornare a casa, una sera, e scoprire che papà è stato aggredito in salotto! E t-tua madre, tua sorella... oh, Dio, Samantha! E se volesse ucciderla perché potrebbe riconoscerlo?»

Collins sospirò, alzò gli occhi al cielo e lo fece voltare per asciugargli le guance. «Ora basta. Sei peggio di mia madre e non sto scherzando: una volta che inizi a svalvolare non ti fermi più ed ecco che piovono cazzate come se Dio la mandasse! Tra un po' mi toccherà aprire un ombrello, fidati!»

Alex, nonostante tutto, si ritrovò a ridere fra le lacrime. «Sei proprio uno stronzo.»

«Che fossi uno stronzo lo sapevi dall'inizio e non mi pare ti abbia frenato dal frequentarmi, no?» lo rimbeccò distratto Andrew mentre gli faceva cenno di sciacquarsi il viso. «Su, forza, datti una rinfrescata e basta con il fatalismo. Non ti si addice. Ti aiuto, dai.» Aprì il rubinetto, fece scorrere l'acqua, non prima di essersi assicurato che fosse tiepida al punto giusto, e fu lui a terger via ogni traccia di pianto dal volto di Alexander che lo lasciò semplicemente fare. Non poteva negare di sentirsi un po' coccolato e di apprezzare, in Andrew, quella propensione alla premura nei riguardi altrui. Sembrava piacergli sul serio prendersi cura del prossimo. 
Senza poter farne a meno, agì d'istinto e accostò un altro po' la guancia alla mano di Collins il quale, sorridendo con dolcezza, fu ben lieto di donargli una rasserenante carezza. «Ti senti meglio, ora?» chiese qualche secondo più tardi, ritraendo le dita e passandogli alcuni fazzoletti recuperati dal distributore appeso alla parete. 

«Credo di sì. Scusa, non volevo fare l'isterico di turno» biascicò Woomingan. 

«Tranquillo. Mi preoccuperei se tutto questo ti divertisse, perché penserei di essermi messo con uno psicopatico. Non so se rendo l'idea!» replicò Andrew sarcastico.

Alex sghignazzò. «Per tua fortuna sono solo un cretino.»

Drew finse con brillante impegno un'espressione disperata e alzò gli occhi al cielo. «Ora sì che mi sento onorato!»

«Guarda che se fai così tolgo il disturbo.» Lex fece per tornare alla porta e uscire, ma Andrew ve lo spinse contro dolcemente e lì lo tenne bloccato, occhi negli occhi, proprio come poco fa era accaduto in corridoio. Si sorrisero a vicenda, nello sguardo di entrambi silenziosa e giocosa complicità. «Smettila di vedere tutto nero. Prenderanno quel bastardo, noi il diploma e ce ne andremo da qui insieme alle nostre famiglie. Ci stai?» disse Andrew, pragmatico e alquanto in vena di grandi progetti. «Ovviamente limeremo pian piano i dettagli.»

Alex gli donò un sorriso bellissimo e spontaneo, del tutto in balia di quel ragazzo meraviglioso, dei suoi occhi dallo sguardo così intenso e rivolto solamente a lui e a nessun altro. Andrew lo stregava e più che mai era certo che se quest'ultimo gli avesse chiesto di cavarsi il cuore e consegnarglielo, lo avrebbe fatto senza protestare. Ne sarebbe stato ben felice, per giunta. «Dici... dici davvero? I-Insomma...» Sembrava troppo bello per esser vero. 

Andrew sorrise di sbieco. Salvo quella piccola crisi di quella mattina, in generale pareva aver acquisito, negli ultimi giorni, una certa spavalderia che gli donava non poco. I suoi erano ancora gli occhi buoni, seri e limpidi di cui Alex, un giorno alla volta, sempre più andava innamorandosi, ma per il resto pareva nel complesso il cattivo ragazzaccio dal quale era difficile tenersi lontani. Le apparenze ingannavano, era proprio vero, e Andrew ne era l'esempio vivente. «Ti sembro uno che scherzerebbe mai su una cosa del genere?» lo rimbeccò retorico mentre staccava una mano dalla porta e con le dita affusolate sfiorava i dorati e soffici capelli del coetaneo. Alex gli piaceva da impazzire, così tanto da spingerlo a guardare oltre il termine della scuola, al futuro e in esso desiderava sopra ogni altra cosa scorgervi Alexander. 

Woomingan gli accarezzò il torace e poi risalì fino a cingergli il viso. «A me basta che ci sia tu con me. Voglio solo questo.»

«Non vado da nessuna parte» sussurrò Drew, officiando quella promessa con un bacio, le dita poste sui fianchi del coetaneo e lo stomaco in piacevole subbuglio. Lexie era una droga. Più baci si scambiavano e più si ritrovava a desiderarne altri, senza mai sentirsi appagato fino in fondo. 
Fu ben lieto di consentire ad Alex di avvicinarlo di più a sé. Alex che era altrettanto avido delle sue labbra, del suo tocco e del calore della sua anima. 
Cazzo, penso di amarti sul serio, pensò Andrew. Scese con la bocca in basso e indugiò sul collo del fidanzato ove lasciò un appena accennato e dolce bacio; lo sfiorò solamente, ma fu sufficiente a farlo sciogliere come neve al sole e indurre tutti e due a desiderare di trovarsi altrove, lì dove forse avrebbero potuto osare ancora.

Dal canto proprio Alexander provò a trattenersi, ma alla fine dalle sue labbra dischiuse provenne un gemito sommesso, uno di quelli impossibili da frenare. Non lascivo, ma deliziato. 
Sentì Andrew ridergli nell'orecchio e mormorare: «Addirittura?» 
Un altro bacio, appena sopra la giugulare, poi Collins si scostò da lui e sogghignò, gli occhi accesi da una luce giocosa, anzi maliziosa. «Sei tenero e neanche te ne rendi conto. Mi piaci per questo.» Giusto per stuzzicarlo un altro po' gli sfiorò al volo la punta del naso all'insù. Era chiaro che l'effetto che aveva su Alexander lo lusingasse non poco e non pareva sforzarsi più di tanto per celarlo. 

Alex arrossì. «Riesco a esserlo solo con te» ammise. «Comunque... Glamis non mi convince, Andy. C'è qualcosa che non va in lui.»

Collins annuì, tornando serio. «Lo so, ecco perché prima ti ho interrotto e ti ho impedito di parlare. Credevo che nascondesse qualcosa, ma... non saprei, forse sono solo io.»

«No, invece. Anche a me mette i brividi. Guarda caso, poi, proprio quando arriva lui ecco che Fairquick viene ritrovato morto stecchito in casa sua. Se c'è qualcosa che mio padre mi ha insegnato, Drew, è che le coincidenze non esistono.»

«Dici che lui potrebbe...?»

«Non lo so. Tutto è possibile.»

«Però, se anche per assurdo fosse lui il colpevole, resterebbe un buco temporale. Lui è arrivato solo ora e gli omicidi sono cominciati da prima che Glamis venisse a insegnare in questa scuola.»

«Sì, infatti» convenne sconfortato Alex. «A meno che fino ad ora non sia rimasto nella foresta.»

Andy storse le labbra. «Magari è solo un tipo bizzarro, tutto qui. Voglio dire... non presenta alcuna caratteristica che possa far pensare a un mostro che dissangua le vittime e le dilania. ha una dentatura esattamente come la nostra e occhi normali.»

«Beh, non è che in ogni caso se ne andrebbe in giro con un cartello al neon che lo descrive come il colpevole, no?»

«Vero anche questo, ma direi di andarci cauti con le congetture.»

«Forse ci stiamo facendo troppi film mentali» convenne Alex. «Non è un reato arrivare in un posto proprio quando le cose sono messe male. Può sembrare strano, certo, ma non significa che sia colpevole.»

Andy sbuffò tra sé. Con tutto quel che era accaduto non aveva alcuna voglia di far ritorno al test di Francese ed erano talmente in ritardo che si sarebbero beccati una strigliata da parte della Graverose. «Meglio tornare in classe, prima che pensino che anche noi siamo morti chissà dove. Ne parleremo stasera. Casa tua?»

«In teoria sarei ancora in punizione.»

Andrew sorrise di sbieco. «Ma va là! Ormai è chiaro che neppure tuo padre e il suo compagno siano capaci di resistere al mio fascino! Praticamente mi adorano!»

Lex rise. «Ma sentilo! Cosa sono tutte queste arie, di' un po'?»

Collins sghignazzò. «Sai com'è, a furia di andare con lo zoppo...!»

«Molto divertente.»

«Sì, lo ammetto, nel mio tempo libero faccio il comico.»

Alex roteò gli occhi. «Sei proprio uno scemo» rispose, divertito e intenerito all'unisono. Quel lato giocoso di Andrew era nuovo e gli piaceva da impazzire. 
Uscirono dal bagno e fecero ritorno da dove erano partiti, ma il corridoio accanto all'aula di Francese era deserto e di Glamis neppure l'ombra. Tutto tranquillo, eppure, mentre avanzavano verso la porta della classe, non riuscirono a togliersi di dosso l'inquietante sensazione di essere osservati.

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