𝐅𝐢𝐧𝐞 𝐭𝐞𝐫𝐳𝐨 𝐚𝐧𝐧𝐨.
PHYTON's POV
Giugno 1994
Gli esami sono finalmente finiti. Le lunghe giornate di studio, le notti insonni a cercare di memorizzare formule incantate, di risolvere enigmi magici che sembravano impossibili, sono ora solo un ricordo lontano. Sono stanca, ma una stanchezza che mi riempie di soddisfazione. Mi sento fiera di me stessa, di ciò che ho realizzato. L'aiuto di Hermione è stato fondamentale, ma il mio impegno è ciò che mi ha permesso di ottenere il punteggio perfetto: 100/100. E quando penso a mio padre, a come avrebbe sorriso orgoglioso vedendomi eccellere in tutto ciò che faccio, un sorriso si fa strada sulle mie labbra. La sua ambizione e il suo desiderio che io diventassi la migliore, la più forte, mi pesano sulle spalle, ma mi spingono anche a dare sempre il massimo.
Purtroppo, non c'è tempo per riflettere su ciò che ho conquistato. Gli altri studenti cominciano a uscire dai loro esami, e la calca si sposta nel cortile dove ci siamo dati appuntamento. La luce del pomeriggio invade Hogwarts, ma non è solo il sole a riscaldarmi: la mia mente è già occupata dai pensieri su come passare l'estate, su come vivere senza il peso delle lezioni. Ma c'è un altro pensiero che mi turba. Una curiosità che cresce mentre aspetto, quasi come se qualcosa di importante stesse per accadere. Quando finalmente vedo Harry e Ron farsi strada tra la folla, l'ansia mi prende.
Sono contenta che ce l'abbiano fatta, ma c'è qualcosa in Harry che non va. Ha il volto teso, gli occhi inquieti, come se fosse tormentato da qualcosa che non riesce a spiegare. Gli altri se ne accorgono subito.
«Harry, Ron, come è andato l'ultimo esame di Divinazione?» chiedo, cercando di mascherare la preoccupazione che cresce dentro di me.
Ron risponde con la sua solita leggerezza, ma non posso fare a meno di notare quanto i suoi occhi siano ancora impastoiati da quella strana espressione che ha Harry.
«Oi... ciao! Beh, diciamo che bene... In realtà, abbiamo un po' inventato le nostre visioni, ma, insomma, non credo che la professoressa Cooman se ne sia accorta... Il importante è che siamo passati!» sorride, ma il suo tono è incerto, come se anche lui fosse in qualche modo preoccupato.
Adesso tocca a Hermione. Ha sempre quel sesto senso che le permette di capire se c'è qualcosa che non va. Si volta verso Harry, fissandolo negli occhi con una determinazione che mi lascia senza fiato.
«Cosa c'è, Harry? Conosco quella faccia... qualcosa non va, vero?» chiede, la sua voce carica di preoccupazione.
La risposta di Harry arriva come una scarica di adrenalina.
«Ha fatto una profezia...» la sua voce è bassa, tesa, quasi come se fosse stato colpito da un incantesimo. «La Cooman, prima che io potessi uscire dall'aula, ha fatto una profezia su Voldemort.»
La mia mente si ferma. Quella parola, quel nome... Voldemort. Non posso crederci. La mia mente si rifiuta di elaborarlo, ma il suo volto, quello di Harry, è pallido e segnato da un'angoscia che non posso ignorare. Il suo racconto continua, ma io sono già troppo distratta dalle immagini che si affollano nella mia mente.
«Il Signore Oscuro è solo e senza amici, abbandonato dai suoi seguaci. Il suo servo è rimasto in catene per dodici anni. Questa notte, prima di mezzanotte, il servo si libererà e cercherà di unirsi al padrone. Il Signore Oscuro risorgerà con l'aiuto del servo, più grande e più orribile che mai...»
Ogni parola che Harry pronuncia mi entra dentro come una lama affilata, gelida. Il mondo che avevo sempre conosciuto, l'ordine che avevo pensato fosse immutabile, sta crollando davanti ai miei occhi. Le sue parole sono come il tuono che precede una tempesta. Io... io non riesco più a respirare. Il cortile di Hogwarts, la gente che mi circonda, tutto inizia a diventare sfocato. I suoni si attenuano, le immagini si dissolvono. Il cuore batte troppo forte nel petto. E poi... nulla. Tutto si spegne in un buio totale.
Mi sveglio nel letto dell'infermeria. Non so da quanto tempo sono lì, ma quando apro gli occhi, sento un vuoto profondo dentro di me. La mia testa è pesante, la vista annebbiata, ma la sensazione di disagio non accenna a svanire. Ricordo le parole di Harry, il peso di ciò che ci ha detto. E, più di tutto, ricordo la paura che mi ha preso, la paura di un destino che sembra ineluttabile. Non posso... non posso lasciarlo così.
Mi alzo di scatto, ma non appena mi muovo, una voce severa mi ferma. Madame Chips appare improvvisamente nella stanza, il suo viso rugoso pieno di rimprovero.
«Dove pensi di andare, signorina?» chiede, con il tono che mi conosce fin troppo bene.
«Madame, non capisce... mi sento molto meglio! Devo andare da Harry, devo raggiungere i miei amici!» rispondo, la mia voce spezzata dall'urgenza di trovare risposta alle mille domande che mi tormentano.
Madame Chips mi guarda con una punta di pietà, e poi, con voce calma, mi informa di ciò che non avrei mai voluto sentire.
«Tutti sono partiti. Una settimana fa. Tu... tu sei rimasta qui, cara. E non hai nemmeno notato il passare dei giorni.»
Un gelo mi attraversa la schiena. Una settimana... una settimana. Come ho potuto dormire per tanto tempo? Come ho potuto perdere così tanto?
«Cosa?» riesco a sussurrare, incredula. «Sono... sono partiti?»
Madame Chips sospira e si avvicina a me, posandomi una mano sulla spalla.
«Tutti, cara. Sono tornati dai loro genitori. Ma tu... tu resterai qui. Questa è la tua casa.»
È l'inizio di luglio. Il sole splende, più forte che mai, ma io non lo vedo più con gli occhi di una volta. Hogwarts sembra un castello vuoto, il suo silenzio pesante come una coltre d'aria che non riesco a respirare. Mi sembra di vivere in un mondo che non è il mio, un mondo che non riconosco più. La solitudine si fa strada dentro di me, e ricordo le estati di quando ero bambina. Quando, insieme a Helena, giocavamo nei giardini di Hogwarts, e il mondo era un posto di giochi e di sogni. Eravamo sole, sì, ma non ci importava. Avevamo tutto ciò che volevamo. La scuola era nostra, e il resto del mondo non contava.
Ma adesso è tutto diverso. Ogni angolo di Hogwarts mi ricorda lei. Ogni passo che faccio, ogni silenzio che mi avvolge, mi fa sentire la sua assenza. E quando mi ritrovo a camminare per i corridoi, i ricordi tornano. Ricordo la sua voce, il suo sorriso. E poi, quel giorno. Quel giorno in cui, con gli occhi pieni di lacrime, mi aveva detto che le nostre strade dovevano separarsi. Mi aveva raccontato il suo segreto, e in un attimo, tutto era cambiato. Helena... anche lei era una mezzosangue. E il peso di quella rivelazione mi aveva schiacciato come una roccia.
Ora, ogni passo che faccio, ogni momento che vivo, è intriso di quella verità. La mia casa, la mia vita, sembrano aver preso una piega che non posso più fermare. E mentre mi avvicino alla finestra e guardo il cielo, mi chiedo... cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente?
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